Chi siamo
La bellezza dimenticata. Viaggio nello splendore della liturgia
a cura di Elisabetta Bianchetti, Elisa Martelli, Ambrogio Pisoni, Davide Rondoni, Marco Rossi, Alessandro Rovetta, Mario Sala, Peter Schulz, Santo Versace, Giorgio Vittadini.
Come imparavano gli uomini cosa è il mondo e cosa è Dio 1000 anni fa? E la Chiesa, la più grande scuola di tutti i tempi, come educava il popolo a conoscere e ad amare persone e cose? Un tempo non si nuotava nell’oro: più di oggi c’erano malattie, guerre, povertà… Eppure nessuno obiettava che ingenti risorse fossero destinate per costruire cattedrali, chiese, cappelle con i migliori marmi, pavimenti, soffitti e ingaggiando i migliori artisti. Il fatto è che nessuno considerava queste opere artistiche come monumenti dei ricchi o espressione del sentimento religioso di pochi.
Una ragione è nota: le chiese e le cattedrali erano la miglior espressione della gratitudine e della domanda a Dio Padre e a Gesù presente, riconosciuti come il centro della vita religiosa e civile. La loro bellezza era l’orgoglio di città che mostravano tangibilmente la loro fede e dava speranza a chiunque, povero o ricco, fortunato o sfortunato che fosse.
Evidentemente nelle chiese si svolgeva, come si svolgono tutt’oggi, i gesti liturgici. Tutto questo può sembrare chiaro e conosciuto. Quel che sembra spesso dimenticato è la grandissima funzione di insegnamento che questi luoghi costituivano, sia nel loro aspetto architettonico, che per le adunanze che vi si svolgevano. Nei tempi antichi non esistevano giornali, telefono, televisione; i libri scritti a mano erano pochi e costosi, anche le pergamene erano destinate ad atti ufficiali e componimenti di altissimo lignaggio… La gente si istruiva frequentando le chiese, guardando i capolavori dell’arte e partecipando alle liturgie. Le pietre mostravano la storia del mondo, la creazione, la chiamata di Abramo, la nascita del popolo ebraico, l’incarnazione, la vita e la morte di nostro Signore. Attraverso la vita dei santi si aveva uno spaccato del meglio della storia. I sacramenti educavano ad un modo profondo di affrontare la vita: il battesimo e la nascita; la comunione e il mistero dell’amicizia abitata da Cristo; la confessione e la richiesta di misericordia come legge di vita; la cresima e l’ordine per combattere la buona battaglia nel mondo; l’unzione degli infermi per santificare la malattia e non più maledirla, come tra i pagani.
Questi gesti, soprattutto la celebrazione liturgica, non erano solo e soprattutto “parola”, non erano innanzitutto “discorso”. Erano gesti pieni in cui, in tutti i sensi, la gente era educata a vedere, sentire e toccare. Musica, gesti liturgici, formule, movimenti del popolo: tutto era parte di un unico avvenimento. Oggi si va in chiesa distratti, si ascolta poco, non si canta. I colori e le vesti liturgiche sono più o meno parti di un arredamento; i riti, un noioso affaccendarsi senza significato, “cose che sono sempre e non accadono mai”, come disse Saturnino, filosofo pagano del IV secolo.
Elisabetta Bianchetti, la più famosa stilista del sacro, non è una donna famosa che si occupa di vestire i preti. E’ una delle poche persone che percepisce l’unitarietà dell’insegnamento profondo che è liturgia, veste liturgica, rito, arredo sacro, musica, parola, pietre, pitture, affreschi, mosaici e soprattutto la comunità cristiana protagonista. Il suo è un linguaggio segreto che si è perso, un linguaggio che può permettere di andare al fondo delle cose e scoprirne la natura profonda e amica. In questa mostra, lei insieme a un pezzo di popolo cristiano (un sacerdote, un professore di storia dell’arte, un semiologo, un imprenditore, un consulente aziendale, un critico musicale e tanti altri), non mostrano oggetti, ma fanno rivivere quell’esperienza antica e nuova che, direbbe Sinjavskij, come un segno di croce ci mette in armonia, sintonia e comunicazione con tutto l’universo, col mistero e con noi stessi. In un’epoca in cui web, televisione, giornali, cinema, riescono a informarci così bene da sapere tutto sul nulla e nulla sul tutto, è la scoperta di un tesoro antico, un tesoro che si è incontrato e, una volta percepito, può rendere liete, profonde e generatrici di popolo le nostre giornate.
di Giorgio Vittadini,
Presidente Fondazione per la Sussidiarietà