Chi siamo
INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
Invito alla lettura
23/08/2011 - ore 11.00 Siamo soli nell'universo? Presentazione del libro di Elio Sindoni (Ed. San Raffaele). Partecipano: l'Autore, Professore Ordinario di Fisica Generale all'Università degli Studi di Milano-Bicocca; Marco Bersanelli, Professore Ordinario di Astrofisica all'Università degli Studi di Milano. A seguire: La rivincita di Rosmini. Itinerari nel pensiero del nuovo millennio Presentazione del libro di Claudio Grotti (Ed. Biblioteca Rosminiana). Partecipano: l'Autore, Insegnante; Umberto Muratore, Direttore del Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa.
Siamo soli nell’universo?
Presentazione del libro di Elio Sindoni (Ed. San Raffaele). Partecipano: l’Autore, Professore Ordinario di Fisica Generale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca; Marco Bersanelli, Professore Ordinario di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano.
A seguire:
La rivincita di Rosmini. Itinerari nel pensiero del nuovo millennio
Presentazione del libro di Claudio Grotti (Ed. Biblioteca Rosminiana). Partecipano: l’Autore, Insegnante; Umberto Muratore, Direttore del Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa.
CAMILLO FORNASIERI:
Bene, un caro benvenuto a tutti. Cominciamo questa proposta di invito alla lettura di oggi, la sua parte mattutina. Abbiamo due libri e li presenteremo in sequenza con gli ospiti e gli autori. Cominciamo con un campo, un territorio a tutti noi molto caro, anche per le grandi testimonianze, interventi, riflessioni e mostre che hanno riguardato la scienza nei suoi vari aspetti in tutti questi anni del Meeting. Abbiamo la proposta della Editrice San Raffaele di Milano di un libro di Elio Sindoni, l’autore, che salutiamo, alla mia destra. Un caloroso saluto perché Elio Sindoni è docente di Fisica generale nell’Università di Milano-Bicocca, ma è un grande divulgatore, di alta divulgazione, e anche un grande tessitore di rapporti, di occasioni, è uno di quelli che ha sempre partecipato alle mostre ideate da Euresis, di cui una è anche quest’anno presente. E appunto questo suo impegno, anche a livello di docenza, di rapporto con gli studenti, ne fa una figura molto cara e importante. Il suo libro è Siamo soli nell’universo?, una domanda che subito in noi può andarsi a fissare su qualche stereotipo di risposta, su qualche stereotipo di comunicazione dei mass-media, ma non è questo il punto così riduttivo e così banale che il libro vuole affrontare, non sarebbe all’altezza della persona di Elio Sindoni. Pur arrivando anche agli aspetti tecnici o ambientali che riguardano il tema degli extraterrestri, pone questa domanda al centro dell’esistenza dell’uomo di tutti i tempi. Siamo soli nell’universo? E’ una domanda che ha attraversato la storia della nostra civiltà, di diverse civiltà, e non solo si è posta da quando c’è stato uno sviluppo tecnologico, ma si è posta fin da subito, a livello di una domanda originale profonda, tanto che il libro presenta spunti letterari, poetici e filosofici sia di quegli autori della scienza nei quali la dimensione filosofica umanistica, in epoca moderna, era ancora molto collegata e connessa, sia di scienziati contemporanei. Quindi questa domanda riguarda proprio il senso e la unicità della terra, del luogo dove noi abitiamo e viviamo. Entreremo in questi temi con un altro grande amico, il professor Marco Bersanelli, che salutiamo, astrofisico e docente di questa materia nell’Università degli Studi di Milano. Ecco, io darei subito la parola a Marco, che è un appassionato di questa materia così grande, così decisiva, che mostra come l’uomo è capace di farsi domande e di interrogarsi sulla propria esistenza.
MARCO BERSANELLI:
Ok, perfetto. Buongiorno. Per presentare questo libro pensavamo di organizzare questa mezz’oretta in modo da dare qualche spunto che adesso proporrò e poi vorrei fare un po’ di domande al nostro autore, il mio carissimo amico Elio Sindoni. Innanzitutto vorrei sottolineare quello che già Camillo Fornasieri ha accennato, cioè la domanda se siamo soli nell’universo, se esiste altrove, al di fuori della terra, la possibilità di esseri viventi, di organismi, magari intelligenti. È una domanda antica ed è interessante che la prima traccia che noi abbiamo di questa domanda risalga a 2500 anni fa, quando Anassagora per la prima volta, pensate, si rende conto che la Luna non è un disco piatto nel cielo; ancora l’idea è che la terra sia piatta, ma la Luna, Anassagora si accorge, rilascia luce solo in quanto è illuminata dal Sole. Si accorge quindi della natura delle fasi della Luna, perché noi vediamo la Luna a volte a metà, a volte ad un quarto, e si rende conto che questo dimostra che la forma della Luna è quella di una sfera e allora si accorge forse che quelle ombre scure che vediamo sulla Luna sono delle zone dove la materia si presenta in modo diverso. Allora forse, ragiona Anassagora, la Luna è fatta di materia non troppo diversa da quella della Terra; è un idea nuovissima e subito da questa idea che la Luna in fondo è un’altra Terra nasce la possibilità, l‘idea della possibilità, che possa essere abitata. E il primo che si pone questa domanda è proprio Anassagora nel quinto secolo a.C. Così il libro di Elio è un libro che affronta e accenna in modo completo a tutti i vari aspetti della questione: quello storico – c‘è un capitolo che è dedicato un po’ alla storia di questo tema, c‘è un capitolo anche dedicato alla fantasia che questo tema ha suscitato e suscita continuamente, l’industria cinematografica ha dei budget enormi su questo tema. Ma il punto focale del libro è il punto di vista scientifico, tanto che i primi tre capitoli del libro sono dedicati alla domanda fondamentale che oggi per la astrobiologia, cioè la nuova scienza che si pone questo nuovo tipo di domanda, è il punto di partenza sempre più chiaramente decisivo e cioè: la cosa straordinaria è che esiste un posto nell’universo in cui la vita c’è ed è la Terra. Se noi vediamo la Terra nel suo contesto cosmico, dobbiamo allora renderci conto di quali sono le caratteristiche che rendono la Terra un pianeta ospitale alla vita e i primi tre capitoli direi che ruotano intorno a questa grande, complessa, affascinante domanda. E poi appunto ci sono i capitoli storici, il capitolo della fantasia, ma c’è poi la domanda di come noi possiamo accertare eventualmente, verificare la possibilità dell’esistenza di vita al di fuori della Terra, sia attraverso l’osservazione che attraverso l’esplorazione; e poi c’è l’ultimo capitolo dedicato al cosiddetto principio antropico (dopo magari torniamo velocemente su questo). Il tema di che cosa rende il nostro pianeta un luogo nell’universo capace di ospitare vita, è un tema che abbiamo sviluppato in tante mostre che abbiamo fatto insieme negli anni scorsi, di cui appunto Elio Sindoni è stato ed è uno dei perni principali e si capisce subito che sono diversi ordini di fattori che entrano in gioco. Ma andando proprio rapidamente, ci sono ad esempio fattori astronomici importantissimi. Per esempio in questi giorni fa un caldo notevole, giusto? Abbiamo 37-38 gradi, ma siamo ancora tutto sommato in buona salute. Pensate che se la nostra distanza, la distanza dalla Terra al Sole fosse inferiore a quella che è, anche di pochi percento, diciamo meno del 10% – ho fatto ieri i conticini, con la formula giusta – noi avremmo temperature medie dell’ordine di 55-60 gradi. 60 gradi come temperatura media non è soltanto afoso e difficile da sopportare, indurrebbe un cambiamento climatico globale, che nel tempo renderebbe la terra molto diversa da quello che è. Quindi c’è una zona di abitabilità, cosiddetta, così definita, che riguarda la distanza del pianeta dalla stella (in questo caso dal Sole). E poi occorre che la stella (il Sole in questo caso) abbia delle caratteristiche ben precise: che sia duratura e che sia molto stabile (il Sole ha quasi 5 miliardi di anni e durerà altri 5 miliardi di anni senza grandi cambiamenti). La scala di tempo di miliardi di anni è quella necessaria al lentissimo misterioso processo evolutivo. C’è poi il fatto che il Sole, che è una delle duecento miliardi di stelle che compongono la nostra galassia, si deve trovare alla distanza giusta dal centro della galassia. La nostra galassia è come una grande girandola, gigantesca, centomila anni luce di dimensione. Il Sole impiega più di duecento milioni di anni a fare un giro intorno al centro della galassia, ma la distanza del Sole dal centro della galassia è importante per la possibilità di ospitare la vita, perché se il Sole fosse più prossimo al centro della galassia, avremmo molto più alta probabilità di esplosione di supernove, cioè di esplosioni di stelle che finiscono la loro vita e l’ambiente sarebbe molto più pericoloso, molto più instabile, nei miliardi di anni, di quello che è. Se fossimo troppo distanti non avremmo abbastanza elementi pesanti: dal carbonio, al ferro, tutti elementi di cui il nostro corpo è fatto e di cui ha bisogno, ne avremmo una scarsità tale da non poter avere organismi viventi. Il nostro pianeta roccioso sarebbe impossibile. E così via. E’ lunga la lista delle caratteristiche che rendono la terra un pianeta abitabile. E così bisogna avere questo gusto di andare a rintracciare tutte queste condizioni, tra le quali annoveriamo la Luna: il fatto che noi abbiamo un satellite molto grande e massiccio rispetto alle dimensioni del pianeta, la stessa Luna che Anassagora per la prima volta concepiva come un oggetto corporale. Quella Luna è effettivamente necessaria a mantenere l’inclinazione dell’asse di rotazione della Terra rispetto al piano dell’orbita, stabile nel tempo e questo è fondamentale per la stabilità climatica a lunghissimo termine. E così via. Poi ci sono caratteristiche geologiche, campo magnetico, la tettonica a placche, che non vediamo in altri pianeti come Venere e Marte. Dunque tanti fattori rendono la Terra un pianeta molto particolare. Bene, ma, diciamo, nel libro di Elio Sindoni, volendo provare a fare una sintesi molto rapida, è come se venissero a galla una serie di domande. Alcune le ho già accennate. La prima domanda che sta a presupposto a quello che ho detto finora è: quanto comune è il fenomeno pianeta? Noi sappiamo di vivere in un pianeta che è uno dei pianeti che ruota intorno al Sole, il Sole è una delle duecento miliardi di stelle della nostra galassia. Ma intorno alle altre stelle ci sono pianeti oppure no? Quanto è frequente che una stella abbia dei pianeti? Seconda domanda: di questi pianeti che ruotano intorno alle altre stelle, quanti hanno caratteristiche simili alla Terra? Ma poi, ancora, le domande vanno avanti. Che cosa è accaduto sulla Terra per cui gli organismi viventi più semplici hanno avuto la loro origine, probabilmente tre miliardi e mezzo di anni fa? Quanto è facile in natura che questo possa avvenire? Quindi, quanto è necessario che un pianeta sia esattamente uguale alla Terra perché ci siano condizioni perché la vita si possa formare? E quanto è necessario che un pianeta somigli alla Terra perché la vita possa durare miliardi di anni? Questa è l’altra grandissima questione e a queste domande noi abbiamo risposte ancora molto incerte. Abbiamo domande abbastanza chiare, ma le risposte sono ancora molto incerte. Nei cinque minuti che mi restano, prima di cominciare a fare qualche domanda a Elio, vorrei accennare al fatto che alle prime due domande che ho posto, proprio in questi ultimi mesi, cioè in questo ultimo anno, abbiamo incominciato ad avere delle risposte più chiare, grazie ai risultati di osservazioni astrofisiche che sono state fatte e sopratutto – questa è la cosa più recente – grazie ai primi risultati di una missione spaziale, di un satellite che si chiama Kepler, dedicato al grande Keplero, che è stato colui che quattro secoli fa per primo ha capito l’orbita ellittica dei pianeti intorno al Sole. Questa è una sonda che è stata lanciata nel marzo del 2009, quindi due anni fa dalla Nasa, completamente dedicata alla ricerca di pianeti extra solari, cioè di pianeti che ruotano intorno ad altre stelle. E i primi risultati, nei primi quattro mesi di osservazioni, sono molto interessanti. Va detta prima una cosa. Noi già abbiamo, da osservazioni precedenti, la conferma di oltre 550 pianeti che ruotano intorno ad altre stelle. Sappiamo che una buona frazione delle stelle ha dei pianeti e nei primi quattro mesi delle osservazioni di Keplero, di questa sonda, ne sono stati osservati altri 1200. 1200 candidati pianeti. Andranno ancora verificati ad uno ad uno, ma una buona parte di questi sono effettivamente pianeti. Soltanto 70 di questi 1200 hanno dimensioni paragonabili a quelli della Terra, sono tutti tendenzialmente più grandi di quelli della Terra, anche perché è più facile osservare un pianeta più grande e massiccio rispetto un pianeta piccolo; 5 di questi 1200 hanno dimensioni paragonabili a quelli della Terra e si trovano ad una distanza che è adatta, analoga – se vogliamo – a quella che è la distanza tra la Terra e il Sole, tenendo conto della luminosità della stella, la cosiddetta “zona di abitabilità” di quella stella. Quindi, soltanto 5 pianeti su 1200 potrebbero avere queste caratteristiche grossolane, diciamo, di somiglianza con la Terra. Ma poi, come ho già detto, questo è soltanto un aspetto: ci sono una grande quantità di altre caratteristiche che sono proprio della Terra che andrebbero verificate. Incominciamo però ad avere qualche iniziale risposta alle prime domande. Di sicuro abbiamo una grande quantità di pianeti intorno alle stelle. Una piccola frazione di queste hanno dimensioni paragonabili alla Terra, ma vediamo che in realtà la stragrande maggioranza dei pianeti extrasolari hanno caratteristiche completamente diverse, non solo dalla Terra, ma da tutto il nostro sistema solare. Quindi non solo la Terra, ma anche il sistema solare è qualcosa di abbastanza raro nell’Universo. E quindi di nuovo, ci troviamo sul crinale di due versanti. Da una parte abbiamo una grande possibilità, un grande numero di pianeti nell’Universo, dall’altra ci accorgiamo che i pianeti nell’Universo possono avere caratteristiche molto diverse da quelli di tutti i pianeti che noi conosciamo. Quindi, concludendo, noi non abbiamo risposte, il libro non dà risposte, mette a fuoco delle domande, ma abbiamo una certezza, questa sì: che la nostra esistenza richiede un Universo molto particolare e questo Universo molto particolare richiede una storia naturale molto particolare: il nostro pianeta è una rarità nell’Universo. E l’Universo nel suo insieme, le sue leggi, la sua storia, sono estremamente sensibili alla possibilità di avere vita qui o in qualunque altro posto dell’Universo; quindi questo è il paradosso in cui ci troviamo: un grande spazio, una grande possibilità e una eccezionalità estrema che più andiamo in profondità, più ci colpisce.
Allora io vorrei fare alcune domande adesso a Elio. La prima è che nel tuo libro fai una distinzione, che è molto importante, tra vita allo stato elementare e vita intelligente. Quali sono, secondo te, dovendo riassumere, le caratteristiche più rare che la Terra, il nostro punto cosmico ha, che rendono possibile la vita evoluta e quindi le più difficili da rintracciare in altri pianeti?
ELIO SINDONI:
Prima di tutto grazie per l’introduzione che hai fatto, perfetta, grazie. Molte di queste caratteristiche le hai già indicate tu. La presenza della Luna, per esempio, che stabilizza l’inclinazione dell’asse terrestre. Ne vorrei aggiungere altre: la posizione della Terra rispetto al Sole, cioè la Terra da oltre 3 miliardi di anni mantiene l’acqua allo stato liquido, e acqua vuol dire vita; però ce ne sono altre: la presenza di un campo magnetico, il campo magnetico ci scherma da radiazioni che sterilizzerebbero qualunque tipo di vita sulla Terra; poi una molto particolare, che penso sia difficilissimo da scoprire in altri pianeti extraterrestri, cioè la tettonica a placche, il fatto che la Terra non è un pianeta fisso, morto, ma è vivente, la tettonica a placche ha permesso la deriva dei continenti, la deriva dei continenti ha permesso la speciazione, la divisione della varie specie, non solo, ma ha permesso il fatto che ci siano i vulcani, i vulcani con le loro emissioni di biossido di carbonio mantengono l’effetto serra naturale, cioè la possibilità di avere sulla terra una temperatura media intorno ai 15°, e questo ha permesso l’evoluzione del clima e quindi l’evoluzione della specie terrestre. Quindi le condizioni sono tantissime. Ora perché ci sia un tipo di vita almeno prebiotica, sarebbe necessario, ma non sufficiente probabilmente, avere acqua, avere carbonio, e avere energia, cosa che senz’altro ci sono in tanti di quei pianeti di cui Bersanelli ha parlato, cui Bersanelli ha accennato. Però bisogna passare da lì. Due tipi di passaggio. Uno è passare da dei mattoni, che sono gli aminoacidi per esempio, che poi si mettono insieme, costituiscono una macchina che funziona, che è la vita. E’ una cosa molto diversa dall’avere diciamo le sostanze separate, è come se noi mettessimo tutti i pezzi di un’automobile su un tavolo e poi avessimo invece la macchina che funziona, e noi non sappiamo ancora come sia successo che questi pezzi si siano messi insieme e abbiano creato la macchina che funziona. Questo è un primo passo che non sappiamo. L’altro che non sappiamo, è come a un certo punto in questa macchina funzionante sia esplosa, uso la parola che mi piace di più in questo caso, l’intelligenza, cioè il fatto che sia nato un essere con autocoscienza, un essere che guardando lo specchio dice sono io. Questi sono i due passi fondamentali che mi convincono che non basta trovare un pianeta come la Terra, almeno visibilmente in prima approssimazione come la Terra, ci sono condizioni molto, molto più delicate e pesanti perché si possa dire che poi su questo pianeta sia nata la vita.
MARCO BERSANELLI:
Proprio seguendo quello che stai dicendo, che è molto importante prendere coscienza di queste discontinuità, di questi livelli diversi della natura, ma tornando anche dal punto di vista statistico, perché i libro insiste giustamente su questo aspetto, c’è un’equazione, che è la cosiddetta equazione di Drake, dal nome del fisico che l’ha suggerita, che cerca in qualche modo di quantificare queste probabilità che nella nostra galassia, ad esempio, esistano altre regioni, altri punti, altri pianeti, in cui ci sia vita intelligente. Ora già hai iniziato a rispondere alla questione di quanto delicato e forse impossibile sia questo tipo di osservazione, però se potessi magari insistere…
ELIO SINDONI:
L’equazione di Drake cerca di valutare statisticamente il numero delle civiltà intelligenti nella nostra galassia, che non solo esistano ma abbiano anche la voglia di parlare con noi.
Quindi questa equazione comincia con un numero n, che sarebbe questo numero di civiltà, dando per n una serie di fattori: il primo che ci sia la probabilità che ci sia un sistema solare con un pianeta come la Terra (primo fattore F1); il secondo che su questo pianeta ci siano le condizioni per la vita; terzo che su questo pianeta la vita sia nata; quarto che sia nata anche una civiltà; quinto che questa civiltà si sia evoluta al livello della nostra, senza distruggersi prima, avendo raggiunto uno stato di civiltà basato sull’energia atomica. Ultimo che questa civiltà abbia voglia di comunicare con qualcuno. Ora Drake ha lavorato per parecchi anni a questa equazione ed è arrivato a molti numeri, perché molti di questi fattori hanno probabilità uno, perché ormai diamo probabilità uno al fatto che ci sia un altro pianeta intorno a un’altra stella. Per molti fattori la probabilità è molto bassa, vicino a zero. Quindi si arriva in certe edizioni dell’equazione di Drake a un numero circa 10, certe circa 100. Di sicuro n è uguale a uno, perché noi ci siamo, però a un certo punto Drake si è reso conto che era difficile valutare veramente i fattori di questa equazione e ha confessato (l’ho conosciuto personalmente in uno dei miei convegni) che questa equazione gli serviva soltanto in un convegno per vedere di distinguere i vari fattori di cui tenere conto nel cercare altre civiltà come la nostra; quindi studiare e dividere i vari argomenti. Quindi era un po’ un sistema di studio, più che un sistema per cercare di arrivare a un numero.
MARCO BERSANELLI:
Tornando invece, diciamo, alla vita nel senso più elementare, la possibilità di trovare organismi, diciamo, elementari, microrganismi nei dintorni della Terra, questo è un tema che nel libro viene percorso ed è interessante vedere come da un ottimismo sicuramente eccessivo della comunità scientifica sulla possibilità di trovare vita ad esempio su Marte, su Titano, in alcune regioni del sistema solare, si sia dovuti via via arretrare proprio per l’evidenza che la vita è difficile. Però la domanda che volevo suggerire è: quali possibilità vedi oggi ancora di avere un successo nella possibilità di identificare microrganismi nel Sistema Solare?
ELIO SINDONI:
Chiaramente i microrganismi vanno cercati dove c’è acqua e dove c’è abbastanza energia; ora su Marte, sono stati studiati due famosi meteoriti arrivati da Marte e si pensava che ci fossero dei microrganismi viventi, addirittura credo che il Presidente Americano, mi pare Clinton, avesse addirittura fatto un annuncio. Poi si è scoperto che questo microrganismo era dovuto a contaminazione avvenuta sulla Terra; quindi bisogna stare un po’ attenti. Finora non è stato confermato nei meteoriti nessun tipo di microrganismo. Sulla superficie di Marte è abbastanza escluso, perché sono state fatte ormai tantissime missioni e nessuno ha trovato microrganismi. Si sta preparando, credo, una missione che scavi un po’ vicino ai poli di Marte, per vedere se sottoterra c’è qualche cosa, ma soprattutto l’interesse è verso Europa, perché Europa ha una superficie che sembra ghiacciata e al di sotto di Europa pare che ci sia acqua liquida e anche per i grandi effetti gravitazionali del pianeta, di Giove, pare che ci sia abbastanza energia per creare la possibilità di qualche microrganismo. Quindi credo che sia – forse tu lo sai meglio di me – prevista una missione su Europa per scavare nel fondo.
MARCO BERSANELLI:
Si, Europa è uno dei principali satelliti di Giove, effettivamente ci sono degli studi che sono ancora molto concettuali però, sia da parte europea che da parte americana, per andare a scavare nel ghiaccio, sperando di sbucare nell’oceano sotterraneo di questo satellite.
ELIO SINDONI:
Si, l’altra possibilità fa parte della cosiddetta panspermia, cioè il fatto che la vita sia arrivata sulla Terra dalle comete. Quindi c’è anche un’altra missione, di cui magari puoi dirci qualche cosa, per andare a fare atterrare un nostro satellite su una cometa.
MARCO BERSANELLI:
Questa è Rosetta, una missione europea che è già stata lanciata. In verità la storia è un po’ movimentata. Voi sapete che le orbite delle comete sono molto schiacciate, molto ellittiche e c’era una certa cometa per cui questa missione era stata predisposta; sennonché i ritardi della missione hanno fatto sì che hanno perso il treno, praticamente; non si è riusciti ad avvicinarsi a quella cometa. Allora il piano B è stato quello di mandare questa sonda, Rosetta, verso un asteroide che porterà comunque i sensori, gli strumenti, nello spazio profondo e quindi andare, fra le altre cose, a verificare questa ipotesi della panspermia di cui parlavi tu.
ELIO SINDONI:
Volevo solo aggiungere che questo significa che noi ormai sappiamo fare, voi sapete fare delle cose incredibili, come mandare un satellite su un asteroide; oppure il satellite Plank di cui ti sei occupato tu, messo a un milione e mezzo chilometri dalla Terra in un punto ben preciso. Quindi il livello tecnologico dell’uomo è diventato incredibile, veramente.
MARCO BERSANELLI:
Quindi ultimissima domanda: Elio, siamo soli nell’universo?
ELIO SINDONI:
Come scienziato posso dirvi che non lo so. Enrico Fermi diceva: “Se esistono, dove sono? Perché non sono ancora arrivati?” È il famoso paradosso di Fermi. Come credente direi di sì, che siamo soli, perché noi siamo il punto di arrivo di una storia ideata da un grande Architetto e che, a un certo punto, è arrivata alla rivelazione. Quindi penso che questa storia sia unica. Quindi come scienziato credente la mia risposta è si, siamo soli.
CAMILLO FORNASIERI:
Ringraziamo moltissimo. Il dialogo a cui abbiamo assistito ci fa capire quanto ricco e anche nello stesso tempo semplice e approcciabile sia da tutti questo libro. Solo due piccole cose che mi hanno colpito: questa domanda – siamo soli nell’universo? – si sviluppa dalla constatazione anzitutto di questa eccezionalità della vita di cui siamo parte, e mano a mano che l’osservazione aumenta, da Anassagora fino a questi ritrovati della scienza di oggi, questa domanda si incrementa guardando all’esterno di noi, vedendo questa grande vastità che i poeti hanno subito sentito, come i filosofi, come qualsiasi uomo che osserva. Quindi la domanda nasce da questa unicità e dalla vastità, e c’è anche secondo me il tema della modernità, della solitudine: l’uomo sente di essere qualcosa di unico e si sente quasi oppresso da questa unicità, deve cercare risposta, deve cercare certezza per la sua esistenza. Quindi questa domanda può diventare da una parte una specie di fuga dal reale, cioè una ricerca affannosa e quindi anche a-scientifica su tanti fenomeni che non sono stati giustamente descritti oggi; d’altra parte è bello e interessante ritrovarne la radice a partire dalla scienza, che si coniuga con la domanda costante riguardo al nostro presente e a questo grande mistero dell’Universo, che quanto più ci raccontate quanto è vasto, quanto è grande e che caratteristiche ha, tanto più ci impone questa coscienza di essere qualcosa di unico e adorato da qualcuno. Quindi vi ringrazio di questa dimensione intera, documentata e ampia, e che raccomando di seguire e di acquistare. Grazie Bersanelli, grazie Sindoni per il tuo grande lavoro.
Chiamo gli amici, autori della seconda proposta, Claudio Vittorio Grotti e padre Umberto Muratore.
Il libro di Claudio Vittorio Grotti che andiamo a presentare, La rivincita di Rosmini. Itinerari del pensiero nel nuovo millennio, è dedicato a una grande figura che è quella di Antonio Rosmini. La proposta è della Biblioteca di studi rosminiani che ha editato questo corposo lavoro. Siamo nel campo della filosofia ma siamo nel campo del nostro tempo, perché Rosmini, grande figura che ha segnato il secolo XIX, al centro del dibattito filosofico del razionalismo, del neopositivismo avanzante, ha voluto, come dire, dialogare con il mondo del suo tempo con grande forza, con grande certezza, a partire proprio dalla fede, ma sapendo rimanere e stare sul terreno della ragione, quale uomo appassionato a una ragione che desidera conoscere, capire il significato ultimo. Dunque Rosmini è la figura centrale della modernità, tra l’altro anche al centro della dinamica della formazione dell’unità d’Italia, perché l’unità d’Italia, di cui si è parlato anche in questi giorni, è un processo non solo di fatti storici o di azioni, ma è un humus culturale che fa sì che si crei un immagine di uomo e di società.
Claudio Vittorio Grotti, dunque, che è un amico del Meeting da tempo, fa parte della nostra storia, insegna filosofia presso il Liceo classico Dante Alighieri di Rimini e ha creato un po’ una sua strada solitaria. Questo lavoro ha incontrato la grande storia dei rosminiani, qui rappresentata da Umberto Muratore, salutiamo entrambi, che è il direttore del Centro Studi Internazionale dei Rosminiani di Stresa e ha voluto inserire nella collana delle edizioni della Biblioteca di studi rosminiani questo lavoro di Grotti. Io chiedo a lui di inquadrare un po’ la figura di Rosmini che è molto cara anche alla nostra storia. Don Giussani fece pubblicare Le cinque piaghe della Santa Chiesa nella Collana dello Spirito cristiano della Bur Rizzoli e fin da giovane don Giussani ha intuito la grandezza di Rosmini. Mi diceva poco fa padre Muratore che don Giussani è giunto a Rebora attraverso Rosmini, non viceversa. E questo è interessante, perché Rebora nasce ateo, nasce in una famiglia milanese lontanissima dalla fede e la incontra. Dunque questa chiave della modernità di un Rosmini che sa leggere il tempo e sa ancora rifare la proposta di una ragione che viene ampliata, esplosa, allargata dal fatto cristiano, è decisivo per leggere anche il relativismo, anche il pensiero debole, dice Grotti, quel pensiero debole che ha voluto sancire con un nuovo dogma la impossibilità di avere qualsiasi certezza, qualsiasi corrispondenza reperibile nell’esistenza e nella realtà singola e comunitaria. Ma lascio a Umberto Muratore il compito di introdurci a questo.
UMBERTO MURATORE:
Grazie per essere venuti a questo incontro. Io prima spiegherò il perché del titolo, La rivincita di Rosmini. Itinerari del pensiero nel nuovo millennio, perché so che nei licei la figura di Rosmini viene sempre presentata in un momento in cui i professori hanno molta fretta e quindi spesso saltano Rosmini, Gioberti e gli altri, poi parlerà l’autore dicendo i contenuti del libro. Perché ritengo necessario spiegare chi è Rosmini? Ho presente una frase di Nietzsche dove si chiede chi sono i grandi filosofi, i grandi pensatori e risponde che sono coloro i quali, dopo morti, hanno avuto un momento di oblio più o meno lungo: alcuni moriranno per sempre, altri invece ritorneranno e quando ritornano sono pronti per diventare dei classici cioè non moriranno più se supereranno questa fase di oblio. Rivincita qui significa proprio la vicenda di un pensatore che in certo momento della storia veniva dato per morto e la realtà storica, spirituale, sociale lo ha fatto ritornare. Poi in questo libro Grotti ci spiegherà perché è ritornato e che capacità ha oggi di dialogo con la filosofia moderna. Antonio Rosmini come san Tommaso d’Aquino era il più ricco della sua città, la città di Rovereto, era intelligentissimo, aveva tutte le qualità che un giovane di oggi potrebbe desiderare per diventare un figlio di Agnelli. Eppure tutto questo non gli basta e lo lascia, come Tommaso, per seguire un suo ideale. Vuol dire che aveva visto una luce molto più forte di tutti quei beni che già lui si trovava in casa; compie la carriera, l’iter ecclesiastico, si fa religioso e, dice Clemente Rebora, il poeta milanese convertito, che aveva l’ansia amorosa di abbracciare tutto l’Essere. Quindi una voglia grandissima di fare del bene a Dio e ai fratelli e contemporaneamente a quest’ansia aveva anche il senso della provvidenza, cioè non avrebbe voluto fare nulla se non avesse saputo che era Dio che voleva quella cosa. Per un caso fortuito va a Roma e incontra il Papa e Pio VIII gli chiarisce la sua vocazione, gli dice: la volontà di Dio per te è questa, devi condurre gli uomini alla religione mediante la ragione. Lui rifletterà molto su questo compito e capirà che era un compito necessario proprio per i suoi tempi: l’illuminismo stava insidiando nelle sue versioni più corrotte il pensiero della Chiesa. Gli uomini, diceva Rosmini, stanno andando via, lontano da Dio, bisogna andare a recuperarli e tutta questa lotta si svolgeva nel nome della ragione cioè nel nome della ragione si voleva allontanare la religione. Il compito di Rosmini, un po’ ciclopico, era quello di avvicinare a Dio nel nome della ragione. Per compiere questo compito scrive qualcosa come cento volumi su quasi tutti i campi, non i volumi come escono oggi, i volumi di Rosmini, tipo la Teosofia, sono sei grossi volumi di novecento pagine, la Psicologia quattro grossi volumi di sei/settecento pagine, i suoi cento volumi sono di questo tipo qui e su quasi tutti i campi del sapere, cercando non solo i problemi del tempo ma i principi su cui fondare queste scienze. Per cui tutta la sua opera, non so quanti qui presenti l’avete letta tutta, io l’ho letta tutta, tutta la sua opera è praticamente una summa totius cristianitatis, così la denominava Michele Federico Sciacca. Allora c’era questo trio, cioè nella storia antica è saltato su un Agostino che ha raccolto tutti i fremiti del suo tempo e li ha convogliati verso uno spirito cristiano, nel Medio-Evo Tommaso e nel tempo moderno Rosmini, per cui ci abitueremo in seguito a considerare Agostino, Tommaso, Rosmini come tre tappe principali in cui Dio prepara ai suoi fedeli la strada attraverso questi grandi uomini. Manzoni poi dirà che Rosmini è una delle sei intelligenze filosofiche dell’umanità e Manzoni era molto parco quando si trattava di dare dei giudizi. Ebbene, in questo suo sforzo, nella sua vita non è stato capito. La Chiesa allora si stava dibattendo nel grosso problema dei rapporti con la modernità e in questi rapporti con la modernità ha vinto in quel momento il fatto di trincerarsi in barriera contro le democrazie liberali che venivano avanti. Rosmini invece voleva il dialogo ed è stato praticamente isolato. Per isolarlo, come capita nella Chiesa, bisognava colpirlo con qualche censura. L’occasione avviene nel 1849, in occasione della pubblicazione delle Cinque piaghe della Chiesa, in cui Rosmini faceva un esame della Chiesa e proponeva delle medicine per poterla guarire. Viene condannato e questo libro messo tra i libri proibiti, poi in seguito vengono riesaminate tutte le sue opere e con Pio IX viene scagionato da queste accuse. Però dopo la morte, per necessità quasi di posizione della Chiesa, viene ancora riesaminato sotto Leone XIII e lì viene condannato pesantemente. Quaranta proposizioni, come si faceva allora, di tutte le sue opere vengono estratte e vengono messe all’indice dal Santo Ufficio. Rosmini sembrava morto: “Roma locuta est, causa finita est”. Invece proprio da quel momento inizia una lenta resurrezione di Rosmini, in cui le esigenze storiche piano piano facevano notare le sue grandi intuizioni e quindi, dagli inizi del Novecento, Rosmini comincia a risalire nell’opinione pubblica. I primi a scoprirlo sono il neoidealismo, quindi Gentile soprattutto, che ne dà una versione errata, poi inizia, attorno a Fogazzaro e ad altri, un lento recupero di Rosmini, teso a restituirgli la sua carta di identità. Qual era il problema di Rosmini? Il problema era che i cattolici lo appiattivano su San Tommaso e siccome non ripeteva il linguaggio di Tommaso, lo allontanavano; i laicisti invece lo appiattivano su Kant, Hegel e il neoidealismo e quindi ne facevano un epigono. Il problema di Rosmini era che doveva essere conosciuto per se stesso. Oggi, dopo un lungo iter, si è arrivati piano piano a togliere il libro delle Cinque piaghe della Chiesa dall’indice dei libri proibiti, cosa operata da Paolo VI, poi Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio lo mette tra i cinque occidentali che indica come maestri per introdurre l’umanità nel terzo millennio – gli altri quattro sono Newman dell’Ottocento mentre del Novecento c’è Edith Stein, Gilson e Maritain. Poi lentamente viene alla beatificazione. Ma la cosa più importante filosoficamente avviene nel 2001: per la prima volta nella sua storia, il Santo Ufficio fa una lettera apposita, mandata a tutti i vescovi, per dire che non ci sono più motivi di preoccupazione sul pensiero di Rosmini. È la prima volta e il Santo Uffizio non l’ha fatto ancora per Galileo Galilei, un simile documento, ma per Rosmini l’ha fatto. Poi c’è stato l’iter di beatificazione: è stato beatificato nel 2007, il 17 novembre, proprio il giorno in cui Rosmini aveva iniziato a scrivere le Cinque piaghe a suo tempo. Ecco quindi il ritorno di una persona obliata. Oggi la strada è tutta in discesa, lo si farà conoscere, porterà il bene di cui parla il libro di Grotti. Qual è oggi la validità di Rosmini? Rosmini è capace di orientarci nelle critiche a tutto il nichilismo e il relativismo odierni, ma non solo è capace di criticare, perché una malattia è facile denunciarla, è capace di dare delle medicine e di dare anche dei fondamenti che possano superare questo momento un po’ critico della filosofia di oggi. Ma vi spiegherà meglio i contenuti l’autore.
CAMILLO FORNASIERI:
Chiarissimo racconto di questa grande personalità, di questo beato. E adesso ascoltiamo da Grotti questi due aspetti: in che cosa Rosmini ha visto la debolezza della riduzione moderna della ragione e che cosa ha suggerito, quali sono i punti, gli snodi più sintetici che ci può suggerire.
CLAUDIO VITTORIO GROTTI:
Devo innanzitutto ringraziare padre Umberto, che con il suo apprezzamento mi ha confermato nella bontà delle tesi espresse nel libro, nonché gli organizzatori del Meeting che hanno permesso questa presentazione.
Devo dire che Rosmini ha accompagnato la mia vita, la mia vita di studio e la mia vita di insegnamento. E come tutte le cose, prima di diventare una mia scelta, mi è stata consegnata, mi è accaduta. Mi è accaduto di avere al liceo un professore rosminiano, allievo di Sciacca, di studiare a Bologna con la prof.ssa Manferdini rosminiana anch’essa e poi di ritrovare, quasi inaspettatamente, nel pensiero di Del Noce la chiave interpretativa per comprendere la portata universale del pensiero rosminiano.
In particolare la Teosofia è l’opera di Rosmini che più mi ha attratto perché studiandola ho compreso che nella pur incompiuta summa rosminiana erano contenute tutte le categorie in grado di giudicare la filosofia contemporanea e la storia della filosofia occidentale.
“La rivincita di Rosmini” viene al termine di questo lunga meditazione che ha avuto per oggetto Rosmini e con lui tutte le più importanti vicende filosofiche della modernità.
Io penso che la verità di una filosofia si misuri dalla capacità di rendere conto delle forme di pensiero diverse da essa. Non sono le idee antiche che per Rosmini devono essere adeguate ai tempi moderni; sono i tempi che hanno bisogno delle idee eterne. E in Rosmini, filosofo dell’ottocento, si trovano tutte le categorie necessarie per interpretare il tempo presente.
Da dove nasce l’incapacità della filosofia contemporanea – in alcune sue linee fondamentali almeno – di indagare l’uomo, di pensare la realtà, di farsi promotrice di orizzonti di senso condivisi? Perché tanta astrattezza, autoreferenzialità, chiusura ad ogni pensiero di sapore metafisico?
Oggi si parla di letterarizzazione della filosofia, intendendo con essa lo scioglimento di ogni legame del pensiero con la realtà. A leggere certe opere di filosofi contemporanei, si ha proprio l’impressione di un tripudio del pensiero. Senza più il vincolo della verità, e quindi della realtà – la derealizzazione del mondo e dell’esperienza è il fondamento di questo modo di pensare -, il pensiero può vagare nei meandri delle idee senza più doverle né fondare né giustificare. Può costruire ab imis fundamentis la realtà stessa, le relazioni, le situazioni. Può mutare il passato e il presente senza più alcun dovere di obiettività. Il mondo è ridotto a immagine, leggenda, e il filosofo narra favole, disegna profili, costruisce orizzonti.
La filosofia è diventata un gioco, un gioco del pensiero, una sorta di attivismo estetico che non vuole dimostrare nulla se non mettere alla prova le proprie capacità. All’origine di tutto c’è certamente la rivoluzione linguistica operata in ambiti diversi ma al fondo convergenti da Frege e da Heidegger, rivoluzione che ha portato a imprigionare l’essere nel linguaggio, finendo per dissolverlo nel contesto di posizioni anti e postmetafisiche.
Ma se volgiamo uno sguardo più attento alla tradizione filosofica italiana, troviamo che la dispersione delle tante vie intraprese dalla filosofia contemporanea nasce dalla fedeltà a un principio che in Giovanni Gentile ha trovato la sua piena affermazione: «Se la realtà, tutta la realtà è un nostro presupposto, noi restiamo esclusi da tutta la realtà, che ci sarà senza che ci siamo noi. (…) Questo è l’assurdo di ogni concezione intellettualistica, che fa della realtà una condizione del nostro conoscerla».
La realtà esiste solo in quanto conosciuta o proferita dal linguaggio. Supporre qualcosa che preesista al mio atto intellettivo o linguistico suona come una negazione del soggetto, un tornare indietro rispetto alla grande conquista della modernità. La metafisica, l’affermazione di qualcosa di altro, preesistente al soggetto, è qualcosa che mal si concilia con il moderno: non si può essere moderni e metafisici. Una concezione della ragione in cui l’intuito, l’apertura all’altro, la passività rispetto al vero abbiano ancora un posto è una contraddizione che l’uomo moderno non può più accettare. La chiusura ad ogni possibilità del soprannaturale è la definizione della ragione moderna.
Questo sembrerebbe il destino della filosofia occidentale, il razionalismo – così come perfettamente lo definì Rosmini: per il razionalista “l’uomo non deve ammettere se non quello che gli somministra la naturale esperienza, escluso ogni lume soprannaturale”.
E la naturale esperienza dell’uomo contemporaneo non lo porta ad opporsi prometeicamente a Dio, volendo usurparne il posto e la funzione. Il razionalismo oggi ha un sapore dionisiaco, ha il sapore di una chiusura dell’uomo in se stesso, alla ricerca della propria interiorità per appagarsi in essa e trovarvi ogni possibile soddisfazione. Il culto dell’anima finita dell’uomo è il modo nichilistico di escludere per principio il soprannaturale dalla ragione.
I cultori del pensiero debole, i nuovi pagani, i decostruzionisti, fino ai sostenitori delle neuroscienze verso le quali va transitando il pensiero analitico in crisi di identità, si ritrovano in questa chiusura razionalista della ragione.
La tesi del libro è che questa deriva non è il destino della cultura occidentale, come tutte queste filosofie vorrebbero sostenere. Non c’è nessuna predestinazione o epoca dell’essere che ci obblighi a essere razionalisti. Come non c’è nessun destino che ci imponga un pensiero debole, o la necessità di oltrepassare la metafisica o ancora di identificare la mente con il cervello. Grande merito di Augusto del Noce è stato l’aver individuato, accanto alla linea razionalista della filosofia moderna che da Cartesio giunge fino a Marx, un’altra linea, quella ontologistico-religiosa che, sempre a partire dall’ambiguo Cartesio, attraverso Pascal, Malebranche e Vico giunge fino a Rosmini.
E’ una linea in grado di mantenere l’apertura metafisica della ragione senza dover rinunciare al proprium della modernità. Rosmini, a lungo misconosciuto nel suo valore filosofico, trova ora la sua rivincita. La sua dottrina dell’intuito come la sua teoria dell’astrazione teosofica, lungi dall’essere retaggio di un epoca del pensiero ormai esaurita, sono in grado di fondare una concezione non razionalistica di ragione, di accogliere senza timore la rivoluzione della filosofia moderna e di porre i lineamenti di una soggettività umana che può svolgere un’opera costituente nei confronti della realtà proprio perché originariamente costituita, donata a se stessa dal supremo creatore.
Qual è stato il risultato del razionalismo nella molteplicità di forme che ha assunto nella storia della cultura occidentale? L’incapacità di pensare il reale nella totalità dei suoi aspetti; l’incapacità di pensare l’uomo nella globalità delle sue dimensioni. Un esempio per tutti: le neuroscienze. Partendo dal presupposto che la mente è identica al cervello, eliminano metodologicamente ogni dimensione spirituale della mente e dell’uomo, riducono tutto, anche le domande fondamentali ed eterne del cuore umano, a un rapporto chimico o elettrico tra neuroni. Rosmini lo dice con chiarezza: è razionalistica ogni posizione che esclude per principio ogni possibilità del soprannaturale.
E non parliamo qui di sogni mistici. Aver escluso la possibilità del soprannaturale comporta anche la perdita del naturale. Proprio perché non ha più il coraggio di pensare l’infinito, la ragione non è capace di pensare nemmeno la realtà. Proprio perché il reale si è disciolto in un gioco di simulacri, di rimandi, di copie, senza più nessun originale, anche l’infinito, il fondamento, l’origine perdono di senso. Ogni via di accesso è stata chiusa.
Ma la rivincita di Rosmini si impone con maggiore evidenza anche laddove la stessa filosofia razionalista, stanca dei falsi idoli postmoderni, si prefigge oggi una nuova svolta realistica. Il New realism di cui si va parlando riscopre categorie come verità, realtà, ontologia ma non procede oltre la proclamazione di un vago ritorno all’illuminismo, la cui critica trova proprio in Rosmini il pensatore che è stato in grado di sconfessarlo nelle sue radici.
Non è più possibile invocare i diritti dell’illuminismo senza fare i conti con la critica rosminiana al sensismo e alla connessione tra ontologismo e razionalismo. Ritornare all’Illuminismo e con esso ad una ragione chiusa pregiudizialmente al soprannaturale significa soltanto voler far girare all’indietro la ruota della storia. Lavoro inutile e votato al fallimento.
Io sostengo invece che un possibile passo avanti della filosofia stia soltanto nella ripresa critica del concetto di ragione di Rosmini che la teoria dell’intuito e dell’astrazione teosofica permettono di fondare. E’ un passo che va nella direzione dell’incontro tra agostinismo e tomismo, tra San Agostino e San Tommaso, verso la fondazione di un realismo in cui realtà non significhi chiusura alla trascendenza, in cui ragione non significhi opposizione alla fede, in cui criticità non significhi autonomia dell’uomo adulto, irriverente verso qualsiasi autorità.
Il cristianesimo è amico della ragione, dice Rosmini. La razionalità umana non si oppone alla fede ma da essa è compiuta e realizzata, perché lo stesso Essere che nella forma ideale è costitutivo della ragione umana, nella forma reale si dona come Carità all’uomo di fede, rinnovandolo secondo un nuovo principio di conoscenza e di azione. Non c’è dunque bisogno di separare gli ambiti della ragione e della fede, né l’uno contrasta con l’altro: il regno della cultura e della storia è aperto all’umanesimo cristiano.
Ho voluto in questo saggio più che riesporre la filosofia di Rosmini – lavoro già fatto molte volte ed egregiamente da altri, non da ultimo da padre Muratore – ho voluto ripensare la sua filosofia in quei luoghi maggiormente suscettibili di interrogare il tempo presente e di aprire nuove vie al pensiero.
Il tema dell’essere dialettico, dell’intuito, della costituzione comunionale dell’essere, dell’inoggettivazione, della carità come compimento della morale sono a mio parere altrettanti sentieri non ancora del tutto percorsi, che possono aprire a interessanti sviluppi futuri.
La verità del soggetto, che la modernità ha scoperto, è per Rosmini l’uomo nuovo del Cristianesimo. E’ questa una verità che attende ancora di essere integralmente pensata ma che può esserlo solo da una ragione non razionalista, cioè da una ragione – per ripetere la definizione di Rosmini – che non si limita a ciò che le «somministra la naturale esperienza, escluso ogni lume soprannaturale».[1]A. Rosmini, Del principio supremo della metodica e di alcune sue applicazioni in servigio della umana educazione, Società Editrice Libri di Filosofia, Torino 1857, n. 357.
CAMILLO FORNASIERI:
Ringrazio molto Claudio Vittorio di questa bellissima lezione, molto densa, da cui si capisce che è solido il percorso che lui ha intrapreso e ci ha raccontato brevemente, ma che nel libro trova, credo, più riscontro. L’augurio è che diventi uno strumento che adottino le università, le persone anche capaci di penetrare questo tuo studio e di divulgarlo. Mi sembra molto interessante aver colto la mossa di Rosmini come persona che, in modo certo, cioè legata a un punto decisivo della sua vita, il fatto cristiano, è andato dentro nel suo tempo, sapendo valorizzare e dialogare con il suo tempo, polemizzare anche e questo si può fare solamente in base a una certezza, ma nello stesso tempo cercando di capire questa nuova costruzione del soggetto che la modernità ha tentato in mille modi e che poi si è persa in se stessa. Infatti, nel periodo di incertezza o di desertificazione che ci circonda, che, come diceva lui, trova solo in un nuovo realismo, però nutrito di immagini del passato, l’unico modo per riproporre qualche strada, che comunque per il soggetto odierno, per la società, non basta. Quindi mi sembra proprio che la categoria di esperienza, cioè il punto in cui la necessità del rapporto tra l’io e la realtà diventa una necessità per il soggetto, può prendere due strade: o di chi guarda se stesso e si perde, come una ragnatela, oppure invece di chi guarda in questo legame qualcosa che è nuovo, una strada nuova. E il cristianesimo su questo è il punto di sfida, è il punto che ristana nuovamente noi, il soggetto. Quindi, avanti con la filosofia, che è una materia che ha un oggetto ben preciso, un linguaggio, e infatti, tra l’altro, permette a molti che la praticano di essere i primi: Marchionne è laureato in filosofia, poi ha fatto un master in economia, ma la partenza è certamente questa. Grazie per il lavoro dei padri rosminiani, di Muratore. Noi siamo vicini a questi studi, anche a questa realtà così importante legata a Rosmini. Grazie, grazie padre! Ah, padre Muratore, per altro, è quello che chiamò don Giussani nel ’85 a parlare di Rebora su a Stresa, io non lo sapevo, ma è un aneddoto che è decisivo, che poi le persone sono decisive eh! non sono solo i pensieri decisivi. Grazie.