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INVITO ALLA LETTURA. INCHIESTE SU GESÙ. Nascita, morte e Resurrezione. Misteri, leggende e verità
Invito alla lettura: INCHIESTE SU GESÙ. Nascita, morte e Resurrezione. Misteri, leggende e verità
Presentazione del libro di Andrea Tornielli, Giornalista e Scrittore (Ed. Gribaudi). Partecipa l’Autore. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
CAMILLO FORNASIERI:
Cominciamo subito. L’invito alla lettura di questo tardo pomeriggio riguarda due proposte. Partiamo subito con la prima, è edita dalla casa editrice Gribaudi ed è di Andrea Tornielli: Inchiesta su Gesù. Nascita, morte e resurrezione; l’ulteriore sottotitolo ci indica già un po’ quali sono i temi ai quali vuole rispondere il nostro autore: Misteri, leggende e verità. Abbiamo con noi Andrea Tornielli che ringraziamo di essere venuto qua al Meeting, di aver fatto questo bel lavoro.
Prima di dare a lui la parola per un racconto dei motivi e la lettura di qualche passo più significativo che ci inviti alla lettura, voglio dire che è un libro che ha il carattere dell’inchiesta. Nasce dal desiderio di riscontrare i fattori di storicità della presenza di Gesù nella storia e di verificare la coincidenza delle tracce storiche con il messaggio di rivelazione che i dati storici stessi presentano. E’ dunque molto vicino a quell’intento magistrale, grande e nello stesso tempo grandemente semplice del prof. Ratzinger, Papa Benedetto XVI, quando ha pubblicato i volumi della vita di Gesù. Tornielli si sofferma su due poli della vita di Gesù, l’inizio, la nascita, e quello della morte e resurrezione, che sono esattamente i due punti estremi e decisivi della vita di Gesù e della fede stessa. Tra i suoi libri possiamo citare varie cose, per esempio, quello su Paolo VI, su Pio XII, tutti testi dove l’informazione non viene dall’informazione precedente, ma viene dall’andare direttamente alle fonti. Quindi Andrea a te la parola.
ANDREA TORNIELLI:
Grazie. Grazie per questa presentazione e grazie a voi per essere qui. Il perché di questi libri è che delle troppe cose che ho scritto, la maggior parte l’ho scritta perché avevo bisogno di leggerla, può sembrar strano, ma molte delle cose che ho scritto, le ho scritte perché cercavo di trovare un libro così.
In questo libro, Inchieste su Gesù, non è che ci siano delle novità, perché figuratevi poi se un giornalista trova delle novità dal punto di vista storico, archeologico, esegetico sulla figura di Gesù. A me interessava riuscire a rendere disponibile, magari a un pubblico vasto e non di specialisti, tutta una serie di contenuti che, prima che essere apologetici, cioè prima che per servire a difendere in un eventuale dibattito o contesa la storicità di Gesù, secondo me, e almeno questa è la mia esperienza, fossero un aiuto a chi la fede l’ha già, a chi non è che dubita che Gesù sia esistito veramente, che non è che dubita che i vangeli raccontino dei fatti reamente accaduti. Un aiuto perché? Perché questi indizi di storicità sono un richiamo. E’ come andare a visitare, a fare un pellegrinaggio in Terrasanta. Chiunque, in qualunque condizione sia a livello della fede personale, di ciò che crede, comunque torna colpito da ciò che vede, dunque significa che quelle pietre dicono qualcosa in più. Io credo che questi indizi di storicità, non è che provino la fede, perché la resurrezione di Gesù non è che sia provata in termini scientifici, e chi pensa che questo possa esistere, e anche chi pone in questi termini la questione, dimentica che il Dio cristiano lascia, come dice Messori, sufficiente luce per chi vuole credere, ma anche sufficiente ombra per chi non vuole credere, perché è libero di non credere e rispetta, innanzitutto, la nostra libertà.
Sono degli indizi che secondo me aiutano veramente la fede, a capire, a comprendere, a vedere, che le scene che sentiamo descritte nei brani del vangelo hanno luogo, hanno avuto un tempo e sono perfettamente inserite in una cornice sociale, economica, sociale che è quella dell’epoca in cui si presume siano avvenute. In tutti questi decenni, anzi in tutti questi secoli, anche nei secoli delle grandi scoperte archeologiche dell’ultimo secolo in Terra Santa, non c’è stata nessuna scoperta scientifica, archeologica, paleografica, esegetica, non c’è stata una scoperta che sia stata in grado di mettere in discussione, nella sostanza storica, un versetto dei vangeli; non una scoperta ha messo in discussione un versetto dei vangeli! È successo invece l’opposto, che più il piccone dell’archeologo affondava sui sassi, nelle pietre, nella terra, grazie al lavoro straordinario dei frati francescani della custodia della Terra Santa o a grandi archeologi, anche italiani che hanno scavato in Israele, ogni scoperta, ogni pietra, ogni sasso, confermava i vangeli, che dunque sono tutto tranne che un libretto di massime morali, un insieme di dottrine, ma sono il racconto di fatti che sono accaduti, sono la testimonianza oculare, non bisogna esagerare nel dirlo, di ciò che è accaduto.
Nel primo capitolo degli Atti degli apostoli, dopo che Giuda si è impiccato, devono trovare un altro apostolo da inserire nel collegio dei dodici, e dice Pietro “bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il signore Gesù ha vissuto insieme con noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme con noi, testimone della sua resurrezione”. Ci sono due candidati, poi tirano a sorte e la scelta va su Mattia, ma non è importante che tirino a sorte, l’importante è la caratteristica per diventare uno dei dodici: non il più preparato, il più culturalmente preparato, quello che sapeva le lingue, neanche il più pio, neanche il più santo, neanche il più religioso, neanche quello che aveva le visioni, no no! L’unica caratteristica per diventare uno dei dodici è di esserci stato dall’inizio fino alla fine della vita di Gesù su questa terra.
Allora capite che se questa è la premessa e la troviamo scritta negli Atti degli apostoli, la testimonianza oculare, i fatti che vengono raccontati, non è che si collocano in una nuvola imprecisa dal punto di vista del tempo, delle cose dette, dei fatti della storia. La storia è importantissima, ed è così importante che la chiesa, ogni domenica, fa pregare, ormai è accaduto milioni di volte da secoli, fa dire nella sintesi della fede che si recita nel credo, nella formula lunga cioè quella nicenocostantinopolitana, dopo aver espresso chi è Dio, che Gesù patì sotto Ponzio Pilato e di colpo compare nella sintesi della nostra fede, cioè in quello a cui noi dobbiamo credere per dirci cristiani, compare il nome di questo oscuro prefetto di Galilea che nessuno ricordava e del quale qualcuno ha persino messo in dubbio l’esistenza, -perché ci sono i razionalisti che nel ’600-’700 hanno detto “ma figuriamoci, non esiste” – poi grazie, non agli esegeti, ai biblisti, ai teologi, no, ma grazie al piccone, santo piccone dell’archeologo che a Cesarea Marittima gira una pietra del teatro, viene trovato un pezzo di lapide dove c’erano le iniziali Pontius Pilatus Prefectus Iudae. Ecco allora la pietra che conferma la storicità di Ponzo Pilato. Quel nome è un aggancio fortissimo con la storia che ci dice che quegli eventi che sono descritti nei vangeli non sono accaduti in un tempo indeterminato, ma sono accaduti in un determinato momento del tempo e dunque che la storia è fondamentale! Se si leggono i vangeli e ragionando anche soltanto a rigor di logica rispetto alle conoscenze storiche, archeologiche che abbiamo, dobbiamo dire che se fossero, come qualcuno ha sostenuto, dei testi creati da una prima comunità, magari nel 100-150 dc., se fossero stati creati in Medio Oriente a tavolino da una mente umana, non tornerebbero tantissimi elementi, perché guardate, se noi chiudessimo adesso le porte, non lo facciamo, quindi tranquilli, se chiudessimo le porte e rimanessimo qui chiedendo al Meeting di ospitarci, per creare tutti insieme una nuova religione, e noi annunciassimo che il nostro Dio si chiama Mario Rossi, ci riderebbero in faccia tutti!
Perché, come dicono, hai chiamato il nome più comune, perché Gesù, Joshua, era il nome più comune nella Palestina dell’epoca e secondo i criteri dell’epoca, delle testimonianze, delle testimonianze giurate, nessun uomo in quel tempo avrebbe inventato una storia i cui principali testimoni, nel momento iniziale, la nascita, a Betlemme e la Resurrezione a Gerusalemme, sono delle categorie più screditate all’epoca: all’inizio i testimoni sono i pastori che possiamo considerare come oggi gli immigrati extracomunitari, quelli senza permesso, quelli che forse un po’ delinquono, perché per la società Palestinese dell’epoca i pastori erano persone che talvolta rubavano, si diceva che appunto, stavano in giro tutto il tempo, come nomadi e potevano appunto rubare, per cui magari c’era qualche refurtiva tra i doni che venivano portati a Gesù, categoria screditata completamente; e al momento della resurrezione le donne, cioè una categoria la cui testimonianza, per la mentalità palestinese dell’epoca, non aveva valore! Allora quale mente umana avrebbe potuto concepire un racconto del genere.
Se fosse opera dell’uomo e se gli uomini invece che raccontare fatti accaduti avessero potuto manipolare la storia, ma spiegatemi perché Gesù nel momento della resurrezione, invece di apparire al cenacolo soltanto ai suoi, appare in Galilea, come dice Paolo, a “cinquecento persone” riunite insieme, persone che quando lui lo scrive sicuramente la metà era ancora viva! Io non posso scrivere oggi sul mio giornale che cinque anni fa in una piazza di Milano è scoppiata una bomba, se la bomba non è scoppiata, perché la gente che cinque anni fa passava di lì a mi dice “guarda non è successo niente”. Queste testimonianze quindi hanno una forza intrinseca e mostrano come non si sentivano liberi di cambiare e di aggiungere niente. Basta leggere il vangelo di Marco! Ma scusate, Pietro è colui al quale Gesù dice “pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle” dunque è il capo visibile della chiesa dopo che Gesù è assunto in cielo, ed è uno dei personaggi che nei vangeli fa una delle figure più barbine, per non dire altro, perché quello che il giovedì santo piangeva e diceva “ti voglio bene e sono pronto a dare la vita”, poche ore dopo l’ha rinnegato per tre volte prima che il gallo cantasse. Voi riuscireste a pensare a qualcosa di più autolesionista se fosse frutto di un’opera umana? Se fosse così, Gesù sarebbe apparso prima a Caifa e gli avrebbe fatto venire un coccolone e poi a Ponzio Pilato e gli avrebbe fatto venire un ictus, un finale all’americana, o comunque i romanzi, le opere scritte dall’uomo così fanno, e Gesù bambino avrebbe avuto come testimoni, il sindaco se fosse esistito, il sindaco di Betlemme, non gli immigrati, i pastori che non valevano niente e che aerano tenuti ai margini della società. Ecco il vangelo è pieno di queste cose, è pieno di queste perle che aiutano a capire come ciò che leggiamo è storia. E’ chiaro che va oltre la storia, è un messaggio che va oltre la storia, i vangeli non sono dei sussidiari di storia, però ciò che leggiamo lì non sono favole, è qualcosa che è perfettamente calato nella vita e nella storia dell’epoca. Volevo dire soltanto altre due cose: la prima è un esempio che trovo il più esilarante degli esempi per vedere come una certa riflessione teologica su questi fatti abbia sbagliato completamente strada. Vedete, nel vangelo di Giovanni, c’è a un certo punto citata nel cap. 5 la guarigione alla piscina di Betesda, che era la piscina dove l’acqua gorgogliava e c’era il paralitico che tentava ogni volta di andare e non ce la faceva. Bene, scrive Giovanni: “Dopo questi avvenimenti c’era una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme” e poi “a Gerusalemme, presso la porta delle pecore, c’è una piscina” qui i tempi sono importanti, la lingua è importante, questo è scritto in greco, e c’è, cioè dice c’è ora una piscina. Voi dovete considerare che dopo l’arrivo dei Romani, prima Tito poi Adriano, c’è non c’era più niente, perché la città è stata distrutta e anzi i luoghi che erano memoria dei fatti storici di Gesù sono stati sepolti, e Giovanni dice “c’è”, per cui quando scrive la piscina c’era ancora, e dice: “C’è una piscina chiamata in ebraico Betesda con cinque portici, sotto questi portici giaceva una moltitudine di infermi, ciechi, zoppi, invalidi”..
Qui lui l’ha scritto sapendo quel che scriveva. C’è una piscina di cinque portici, voi non sapete quanta discussione c’è stata su questi cinque portici. Impossibile pensare a una piscina di forma pentagonale, non avrebbe senso, e allora hanno detto: beh, è chiaro, Giovanni parla per simbologia, non è che sta parlando di un luogo fisico vero, sicuramente è un’allegoria, i cinque portici sono i cinque libri della Legge, la piscina è la fonte spirituale del giudaismo, e giù pagine, pagine di letture allegoriche e teologiche fino a che il santo piccone di un archeologo, negli anni ’50, comincia a scavare alla porta di Betesda e scava sta piscina che non era un pentagono, era semplicemente un rettangolo diviso in due da un portico anche in mezzo, per cui ne aveva cinque, ai quattro lati e uno in mezzo. Con una picconata, un po’ di terra tolta, pagine e pagine di letture allegoriche del passo evangelico totalmente andate a quel paese.
Giovanni descrive una piscina che era veramente così. Ecco, è pieno e zeppo, i Vangeli sono zeppi di questi esempi che, ripeto, non è che siano, non sono da usare in chissà che modo per dire allora avete visto abbiamo ragione, no, perché comunque la fede non la determinano queste cose, però aiutano la fede, e l’aiutano soprattutto perché, come diceva in una famosa omelia Sant’Agostino: “In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris sunt facta”, cioè “nelle nostre mani sono le Sacre Scritture, il Vangelo, il testo sacro, ma nel nostro sguardo sono i fatti”. Ed è per questo che io dico che questi indizi, mi piace chiamarli indizi non prove, sarebbe troppo impegnativo, indizi di storicità dei Vangeli, sono un aiuto innanzitutto per chi tiene nelle mani la Scrittura e ha soprattutto davanti agli occhi la testimonianza di fatti, e cioè del fatto che quella fede in Gesù Cristo vivo è vera e viva oggi, e dunque alla luce di questa ci si riesce magari anche a commuovere leggendo quei brani del Vangelo. Grazie.
CAMILLO FORNASIERI:
Il libro è tutto così, a me è piaciuto molto la logica, la spiegazione che Andrea ci ha dato. Io vorrei che ci lasciassimo con delle parole che, al di là di chi le ha dette, sono veramente molto belle rispetto anche a questo ultimo accenno che faceva a chi crede in una fede senza storia che alla fine si riduce a far sì che la storia sia solamente una fantasia. Lui è Jorge Mario Bergoglio che fa la prefazione alla seconda parte, quella sulla morte e resurrezione, del libro di Andrea Tornielli, la parte che è stata pubblicata prima in America Latina. È molto bella perché ci interroga sulla nostra condizione di uomini di oggi e, come giustamente diceva lui, sono, come dire, indizi, suggerimenti di fatti e la prova è certamente la tua adesione.
“Lo stupore, l’ammirazione e la gioia dell’incontro con Cristo vivo può tentarci e portare a paralizzarci provocando una resistenza alla fede. Questa realtà è tanto meravigliosa che ci sembra più sicuro andare con calma, non verificare le cose come ci consiglia il senso comune mondano o semplicemente, come Tommaso, prendere le dovute precauzioni probatorie. L’umiltà del povero, del semplice, del bambino di colui che si adatta all’obiettività della storia, si lascia colmare dalla gioia dalla gratuità grande della storia: Cristo è risorto”. Il libro di Andrea Tornielli ci conduce in modo molto semplice e documentato su questo cammino fino a lasciarci alle soglie della gioia piena.
Sono sicuro che farà molto bene alla nostra coscienza cristiana così percossa da interpretazioni basate su teorie possibili, sulle scelte apocrife, cioè della letteratura, come dire, fantasiosa di quell’epoca o anche come quella che c’è, che pubblicano i giornalisti di questi ultimi anni, anche noti giornalisti di quotidiani nazionali, o su cosmovisioni illustrate che non dicono nulla all’essere e al desiderio del nostro cuore, e non combaciano con la realtà della vita e della storia”. Io credo che presentazione più bella di libro non ci sia stata, sia per l’autorevolezza sia per la schiettezza.
ANDREA TORNIELLI:
Posso aggiungere una cosa? A me ha sempre colpito tantissimo quel passaggio che aveva citato anche più volte don Giussani di un’omelia del grande, grande Albino Luciani, quando non era ancora Papa, una Pasqua del 1976 o ’77, quando, parlando della Resurrezione di Gesù, descrisse gli apostoli, e li descrisse così: “Questa era gente sana, realista, facevano i pescatori, cooperative di pesca, non erano delle persone malate, non erano dei veggenti, senza nulla avere contro i veggenti, però sapete che il veggente può essere convinto nel momento della visione ma magari dopo può dubitare, e invece per loro è accaduto esattamente l’inverso, all’inizio erano dubbiosi, all’inizio l’hanno creduto un fantasma, hanno preteso che mangiasse con loro prima di credere che era davvero Lui, che era davvero Lui risorto”. Ecco io credo che questa frase così bella indichi proprio questo, questo realismo, questa sanità, anche del voler vedere e toccare, che è qualcosa che c’è proprio nei Vangeli e che è il contrario di qualsiasi fumo o anche mania religiosa. Erano realisti e si sono dovuti arrendere all’evidenza di un fatto, sono capitolati di fronte all’evidenza di un fatto.
CAMILLO FORNASIERI:
E Tornielli usa lo stesso metodo. Complimenti, grazie.