INVITO ALLA LETTURA. FA’ CHE QUESTA STRADA NON FINISCA MAI. Apologia di Giuda

Invito alla lettura: Fà che questa strada non finisca mai. Apologia di Giuda

Presentazione del libro di Luca Doninelli, Scrittore (Ed. Bompiani). Partecipano: l’Autore; Andrea Simoncini, Docente di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

 

CAMILLO FORNASIERI:
Bene, un caro benvenuto, cominciamo questa presentazione di libri con un amico e autore che da qualche tempo non era presente qui al meeting con un suo libro, Luca Doninelli che salutiamo. Ci fa compagnia, in un dialogo con lui, l’autore, Andrea Simoncini, professore e costituzionalista, grande amico dello scrittore e grande ispiratore non di questo volume ma di altri interventi che ci accompagnano a invito alla lettura, salutiamo anche lui.
Il libro di Doninelli è freschissimo, è arrivato ieri in libreria, la casa editrice è Bompiani per la collana di narrativa. S’intitola: Fa’ che questa strada non finisca mai e, come sottotitolo della parte del frontespizio, Un’apologia di Giuda. Ecco dunque che si apre subito un po’ la curiosità perché il protagonista, o meglio, la voce che parla in questo libro è quella di Giuda e Doninelli si cimenta con questa figura da un punto di vista direi molto interno, cioè del legame che l’apostolo, il traditore di Gesù, ha avuto con quell’uomo Tanti altri autori si sono cimentati con questa figura, da Borges a Lanza del Vasto, ad altri più recenti. Doninelli ha alle spalle una grande cura narrativa di conoscenza di scritti di vangeli, di situazioni dell’epoca, però – dice – non vuole assolutamente fare un romanzo, una narrazione storica, ma entrare proprio nel profondo dell’animo, per verificare dove sia nata e in che cosa sia consistita e, forse, in che cosa consista questa figura. Quindi, c’è un invito a ognuno di noi al dialogo, per capire in che cosa consista la differenza, il punto che tiene distanti e forse anche vicine queste due persone dentro la compagnia degli altri apostoli. Io ho avuto occasione di leggerne soltanto metà, è una scrittura, quella di Luca, sempre bellissima ma mi pare molto profondo e provocante il punto di questa differenza e di questa strada che non finisce mai: vorrei capire nel dialogo che cosa sia e se tutto vada un po’ al cuore dell’amicizia. Io chiederei a Luca in un primo momento di dire da dove ha preso le mosse, come si è dovuto cimentare con questo tema, poi sentiamo Simoncini e continuiamo.

LUCA DONINELLI:
Buonasera, cercherò di essere il più possibile lineare e semplice, nel caso non si capisca, ditemelo. Nel 2006 feci un pellegrinaggio in Terra Santa da cui tornai con le immagini vive di questi luoghi dove era vissuto il Signore. Da quell’occasione mi era venuta l’idea di un testo teatrale, l’unico dignitoso che abbia fatto, che s’intitola: La passione secondo i nemici, dove ho provato a raccontare gli itinerari della Terra Santa, i luoghi toccati dal Signore, in cui incontra anche tutta l’inimicizia, l’arroganza del potere, la volontà di annichilire completamente. L’avvenimento è anche la protervia di chi dice no, non è successo niente: mi vennero tre brevi monologhi. Ho addirittura l’onore di avere qui in seconda fila l’interprete di uno di questi monologhi di tre personaggi, Pilato, Erode e Caifa. Subito hanno cominciato a chiedermi: “Ma perché non hai fatto anche Giuda?”. La risposta è stata sempre che Giuda non è un nemico, quando Gesù riceve quell’infame bacio, dice: “amico, per questo sei qui”. Lo chiama “amico”, e non è un modo di dire: l’ultima parola con cui il Signore chiama Giuda è amico, anche perché il Vangelo documenta questa amicizia che non è formale ma profonda e rivela anche un dialogo tra loro due che evidentemente c’era!
Non so se avete presente, quando durante l’ultima cena il Signore dice a Giuda: “Quello che hai da fare, fallo in fretta”, o qualcosa del genere. Giuda e gli altri non capiscono di cosa stia parlando, ma evidentemente loro due lo sapevano perché ne avevano già parlato: quindi, era una conversazione anche personale quella che c’era tra loro due. E mi ha sempre colpito, infatti, che l’ultima parola con cui Gesù nomina Giuda è “amico”, tanto è vero che Péguy fa l’ipotesi che il grido, l’ultimo grido di dolore del Signore sulla croce prima di morire, sia per il suo amico, per non averlo potuto salvare. A me, questo ha sempre molto colpito e quindi l’idea di scrivere qualcosa su Giuda ce l’avevo già dal 2006 ma non riuscivo a trovare la forma. Poi, negli ultimi anni, ho avuto la fortuna grande di frequentare Cometa a Como: molti di voi sapranno di cosa di tratta.
Un amico, che è anche la persona a cui ho dedicato il libro, anche se ho messo solo le iniziali, mi diceva: “Ma sai, Luca, che mi sono accorto che il nazismo ha insegnato molte cose al nostro mondo? Non è vero che ha perso del tutto”. Per esempio, l’idea nefasta che per ciascuno di noi il lavoro sia fare la nostra parte senza un’assunzione di responsabilità sull’insieme dell’opera. Non vuol dire poi che io mi impicci di tutto, ma che faccio il mio pezzo avendo questa apertura. E lui mi diceva: “Vedi, ci sono persone che capiscono questo e persone che resistono”. Io sono appena stato a sentire Filonenko parlare e c’è una cosa specialmente che mi ha colpito. Diceva: “Ma perché l’evidenza dell’incontro con Cristo per qualcuno non c’è, per qualcuno non è accaduta?”. Citando don Giussani, lui rispondeva: di fronte ai problemi della vita, tante volte noi chiediamo che Dio ci mandi un angelo, invece ci manda delle circostanze.
E’ questa la questione, il rapporto con le circostanze è la questione su cui ho giocato questa narrazione, poi è un racconto, quindi non svolge delle teorie ma cerca di raccontare innanzitutto una differenza di pensare: Giuda ragiona in modo diverso e l’incontro con le circostanze non lo fa cambiare, lui ama moltissimo Gesù ma questa ammirazione non diventa adesione, perché lui non rinuncia a una forma sua di approccio con la realtà. Per esempio, avete in mente tutti l’episodio del Vangelo, quando la prostituta di Magdala – alcuni dicono che sia Maria, altri no – lava con il profumo i piedi del Signore e li asciuga con i propri capelli, quando Giuda solleva l’obiezione dicendo: ma non era meglio vendere l’olio e il ricavato darlo ai poveri? Un amico una volta mi disse: da questa azione, da questo gesto della Maddalena non si può ricavare nessuna norma, è impossibile. Che cosa ne potremmo ricavare? Che bisogna ungere di profumo i piedi della gente? Non so, quando si dice che bisogna fare le abluzioni prima di mangiare, quello lì ha un senso: è una norma igienica. Ma questo è una dismisura! Anche nel mio testo, a un certo punto, quando lui guarisce il paralitico, dice: ma perché voi sappiate che io ho il potere di rimettere i peccati, dico a quest’uomo alzati, prendi il tuo letto e cammina! E Giuda dietro dice: no, no, un attimo, il fatto che tu guarisca quest’uomo non vuol dire che puoi rimettergli i peccati! Lui ha questo modo di ragionare, come tutti noi: descrivendo il suo personaggio, non ho detto nulla che non riguardi me e tanti di noi. E’ difficile chiamarsi fuori da questo modo parziale di guardare le cose. A me colpisce il fatto che sia un tipo di rattrappimento dell’io che accetta il fascino ma non ne vuole trarre le conseguenze… e che porta a due idee diverse di Dio. Giuda preferisce, tutto sommato, l’idea greca di Dio: gli dei che vengono a mettere ordine nel caos e riconducono il caos originario a un ordine visibile. Lui interpreta così anche la leggenda dell’Eden, il paradiso terrestre, mentre resta scandalizzato, addirittura dal Padre Nostro: “Sembra un patto che Dio fa con un viandante, io voglio avere una casa, questo fatto di non avere dove posare il capo mi pesa, sono tre anni che non ho dove posare il capo”.
Sono tutte questioni reali che vengono fuori, insomma: ho cercato di immedesimarmi con questa figura ma non per rimarcare le differenze che vengono fuori da sole. La mia domanda era un’altra, e qui chiudo il mio intervento, l’ultima parola del signore è “amico”, lo chiama amico. Quindi “può l’amicizia essere così grande, può offrire un ponte di esperienza, quindi un ponte dove è possibile il recupero di quello che sembra gettato via, fino a rendere impossibile il non dire tu”? E, infatti, c’è un finale a sorpresa che non vi dico, se no non comprate il libro, ed io ci guadagno anche da questa cosa. Cerco di impormi questa questione che è molto attuale, con tanti elementi di non accordo che ho con tanti amici. La mia domanda è questa: siamo ancora amici? La mia risposta è sì, dopo questo siamo amici, e con questo lascio parlare i miei amici.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie. Simoncini, forse anche questo sottotitolo, “apologia di Giuda”, è interessante. Come mai la parola “apologia”, c’è un modo forse di intendere già chiuso il discorso, non tanto su Giuda ma su tutto? Perché Giuda in qualche modo è tutto, è rovina e apertura, possibilità di tutto. Il libro si svolge con Giuda che parla, è vivo e racconta, come da un tempo, lontano dagli avvenimenti ma non tanto da non vedere ancora alcuni protagonisti viventi, per esempio Maria, la madre del Signore. Nel contempo, questa situazione è un po’ dantesca perché lui è vivo, è reale, sta parlando, sta pensando: per cui potrebbe essere un tempo molto vicino a noi. E’ una situazione molto interessante, una scrittura che ha una possibilità teatrale come resa e come presa a noi stessi. Simoncini…

ANDREA SIMONCINI:
In realtà non penso di essere molto bravo a presentare questi libri, romanzi, narrativa, mi capita spesso di fare presentazioni ma sono spesso cose talmente pesanti, tecnicamente complicate, che uno cerca di leggere. Va bene, comincio, faccio prima. Allora, quando Luca mi ha detto: “Andrea, ho scritto un libro su Giuda, amico, vorresti presentarlo?”, ho pensato: “Chissà perché gli sono venuto in mente io quando ha scritto un libro su Giuda”. Per cui, quello che ho letto in anteprima, l’ho letto davvero con grande passione perché è scritto benissimo, come tutti i romanzi di Luca e con una grande curiosità, perché io non ho mai attribuito agli scrittori come valore principale il coraggio e invece, l’idea di prendere di petto una cosa che io per primo ma penso tanti danno per scontato, cioè il giudizio su Giuda, l’idea di riaprire su questo una domanda, veramente mi ha molto incuriosito. E con questa curiosità di sapere il Giuda che ha in mente Luca Doninelli, sono andato avanti leggendo e in questo mi ha molto aiutato la struttura teatrale del testo.
Nel libro c’è una nota di lettura finale che secondo me è molto preziosa e utile, è stato bene aggiungerla. Perché ho l’impressione che porre la domanda su quale possa essere un’ambiguità nell’amicizia tra un uomo e Cristo, e se ci possa essere un’ultima ambiguità, è straordinariamente attuale, una domanda sulla quale ho l’impressione che la vicenda di Giuda non sia del tutto conclusa. Questa domanda mi lascia veramente appassionato. Volevo leggere due o tre pezzettini, non so se Luca apprezzi questo modo di fare la cosa ma volevo soltanto dire due spunti dai quali mi pare si capisca questa straordinaria contemporaneità della questione che pone Giuda e il suo rapporto con Gesù. Come tutte le opere teatrali, la prima battuta, l’entrata in scena del protagonista, è importante e le primissime righe del romanzo, secondo me, hanno un che di simbolico rispetto a Giuda. L’inizio è: “Non essere d’accordo con qualcuno non è un delitto, io amai quell’uomo fino alla fine e cercai in tutti i modi di salvargli la vita”. Giuda è questo strano controsenso: io amavo quell’uomo, ho amato tutta la vita quell’uomo tanto che ho cercato di salvargli la vita, ma non ero d’accordo con lui.
A me pare che il cuore di questa ambiguità sia nella separazione tra il voler bene e il credere e il giudizio, se volete usare una parola più di gergo, questa frattura moderna tra sapere e credere: quello che vedo non è sufficiente, quello che accade di fronte ai miei occhi e che la mia presenza riesce a registrare non è sufficiente per diventare una realtà. A me pare che dentro questa divisione – amai quell’uomo fino alla fine e cercai in tutti i modo di salvargli la vita ma non ero d’accordo con lui -, questa scissione tra l’affezione e la ragione mi pare una cosa straordinariamente contemporanea, straordinariamente mia, la sento come una questione che mi riguarda. Ora, sul primo punto, c’è anche una parte tecnica che posso svolgere. Giuda amava Gesù e sì, proprio qui al Meeting, noi abbiamo avuto uno dei principali autori – penso a Joseph Weiler – che, nel suo famoso ciclo di lezioni sul processo a Gesù, ha dimostrato, ormai in maniera abbastanza chiara dal punto di vista tecnico, che un ebreo del tempo di Gesù, che conoscesse le leggi e la struttura processuale dei tipi di reati che c’erano al tempo, sarebbe stato assolutamente certo che Gesù, se consegnato alle guardie, tutt’al più sarebbe stato processato ma sicuramente non sarebbe stato condannato a morte. E’ una parte fondata, il tipo di reato per il quale viene citato, il periodo della Pasqua, i tipi di testimoni, il fatto che si trovino di notte: sono tutti elementi per i quali era assolutamente fondato il giudizio per cui se Giuda consegnava Gesù alle guardie questo avrebbe comportato il sottrarlo alla folla che invece, molto presumibilmente, di fronte alla realtà del fatto che Gesù non era il Messia che tutti aspettavano, si sarebbe ribellata. Quindi, era un modo per salvarlo, per metterlo in galera e far passare la buriana del periodo.
C’è proprio un pezzo del libro in cui Giuda dice: “E questo posso testimoniare per quel che vale, che non è fiction, è vero”. Il punto che voglio dire è questo: se il tradimento di Giuda non sta nell’averLo consegnato alle guardie, allora dove sta? Dov’è questo difetto di lealtà? Non è per il fatto storico per il quale di solito viene accusato, cioè l’averLo consegnato alle guardie, non è lì il tradimento, perché è vero che un ebreo serio, rispettoso delle leggi com’è lui, e colto com’è Giuda, avrebbe sicuramente fatto affidamento sulle garanzie del processo, sia rabbinico che romano, pensando che il problema della pena capitale non si ponesse. Scusatemi, qui c’è un altro pezzo, quello che Luca diceva prima, un passo molto bello in cui lui dice: “Chiunque tra di voi abbia frequentato la scuola per contabili non può avere dimenticato la prima lezione di economia, che apre una finestra sull’universo e sulla sua verità. L’universo non è come noi lo vediamo perché è noto che i nostri occhi sanno essere bugiardi. Io ho visto un uomo compiere dei miracoli, eppure, se mi domandaste: tu credi nei miracoli?, risponderei come ho sempre risposto a me stesso, no, io non credo nei miracoli.
Nella prima lezione di economia, noi apprendiamo per la prima volta il senso arcano di parole che circolano presso altri popoli, per esempio i Greci, secondo i quali all’origine esisteva solo il Caos nel quale non c’erano né dei né uomini: questo fu secondo loro l’inizio del mondo. Poi, dentro il Caos sorse qualcosa di nuovo. Il Caos può produrre qualunque cosa, la novità era il tempo, il Cronos, il quale generò le ore, i giorni, gli anni, che uscivano senza sosta dal suo seno, ma che poi lui stesso senza sosta divorava: queste non sono leggende, lo dimostra l’esperienza quotidiana. E poi, fortunatamente, l’antica leggenda prosegue con la nascita di qualcosa che il tempo non riuscì a distruggere perché il tempo era pur sempre figlio del Caos. Qualcosa nato da lui sfuggì alla sua stessa legge, rifugiandosi nel cuore del Caos, e fu così che nacquero gli dei, il primo dei quali fu chiamato dal popolo antico con il nome di Zeus, ed io penso che sia lo stesso che noi chiamiamo Jahvè, qualcun altro Allah, in una parola Dio. Dio si incaricò di dare una misura al Caos, di rendere tutto quel disordine utile, di dare un senso a tutte le cose, che all’origine non avevano nessun senso”.
Scusate la citazione troppo lunga, ma a me pare che qui, come dice Luca stesso, ci sia la radice del disaccordo, questo è il vero tradimento: non è un tradimento affettivo, non è che a un certo punto non gli ha voluto abbastanza bene, è il non sottomettere la propria ragione a quel che si vede, e questo è molto più profondo, ed è un’ambiguità nell’amicizia con Gesù che non è solo di Giuda. E’ questa la cosa commovente di questa posizione, che preferisce il mito, cioè preferisce affidarsi a un Dio che è chiaramente posticcio, è nato dopo per sistemare le cose. Dio, nella cosmogonia che riprende Luca, non è quello che ha fatto tutto ma è quello che a un certo punto è venuto fuori per sistemare tutto. Per questo io ho usato quest’immagine che non è adeguata al livello del libro, è stata la mia reazione, ho detto: “Ecco, Giuda ha questo aspetto, è kantiano”.
Allora mi rendo conto che, dal punto di vista storico, potrebbe esserci qualche anacronismo nel sostenere questa tesi, però mi ha colpito questo, che è un Dio senza Cristo. Non si discute l’esistenza del dio del mito, il punto che resta indietro è se quella cosa che ti ha colpito e ti ha convinto è anche un giudizio nuovo, non soltanto un sentimento ma un giudizio più adeguato alla realtà di quello che hai tu, tanto è vero che anch’io sono rimasto colpito, non lo ricito perché l’ha già fatto lui, dal giudizio di Giuda sulla Maddalena che usa l’olio per lavare i piedi a Gesù. Ed è lì che mi è venuta l’idea di Kant, usi una parola per descriverlo e dici: “Un atto è morale se dietro di esso si può intravedere una norma che tutti possano seguire”. Questa è la definizione dell’imperativo kantiano, per questo la prostituta che inondò i piedi del Nazareno era e restava solo una prostituta che agiva e pensava come una prostituta. Quel che ci sfida nell’amicizia con Cristo è invece che non è più quella prostituta, non puoi più dire chi è prescindendo da quello sguardo, e si può essere amici dentro una tale differenza? La domanda e tutto lo svolgimento del romanzo è infatti questa idea: “Fa’ che questa strada non finisca mai”. E questa cosa mi dà speranza perché se dovessi adesso chiudere da contabile come era Giuda, fare la riga e dire come siamo messi, sono messo malissimo, però ho l’impressione che sia questo dialogo e questo rapporto il cuore del mistero dell’amicizia con Dio, per cui anche il finale che non rivelo neanche io, ma ciò verso cui va questo libro, è veramente un motivo di speranza e di gratitudine per chi ha scritto il libro.

CAMILLO FORNASIERI:
Simoncini ha centrato veramente il cuore del tema ed è veramente abissale perché è come se in questa amicizia, uno dei due poli rimanesse sempre aperto, sempre pronto a ritornare. E’ la radice profonda del fastidio in noi, perché se uno dei due poli è sempre aperto vuol dire che per me la strada non finisce mai, e quindi è proprio una questione di giudizio. Volevo in questo senso confermare con due battute. Lo dice proprio Giuda, a un certo punto, quando afferma: “Nei dialoghi tra noi spesso parlava di morte, questo metteva paura a diversi di noi ma non a me. Volevo capire da dove gli nascessero i pensieri perché tutto, anche i così detti miracoli, nasce dal pensiero; la sola cosa che sapevo con certezza era che i suoi pensieri a me non sarebbero mai venuti in mente”. E poco più avanti c’è un paragrafetto che si intitola “l’edificio sbilenco che sono io”, “l’edificio sbilenco delle mie reazioni verso di Te”. Io ricordo solo una frase che mi percuote da tanto tempo, che dice proprio: “Voi pensate che la differenza tra la santità e un’amicizia corrispondente a questo altro sempre aperto verso di me sia nell’affetto, invece non la pensate come me, è nel giudizio”. Doninelli, concludi tu.

LUCA DONINELLI:
Io concludo rispondendo alle due domande, uno perché ho chiesto ad Andrea: mi sembra che il suo intervento risponda pienamente alla mia domanda, io mi riconosco sempre in quello che scrive Andrea. Ho un modo mio, particolare di leggere i libri, gli articoli. Naturalmente un libro di matematica non lo leggo perché non lo capisco, un libro di fisica delle particelle non lo leggo, però generalmente un autore che sia un saggista, che sia un romanziere, mi colpisce molto per il suo modo di fare procedere l’immaginazione, il pensiero. Per questo, dico che Andrea non è un narratore ma a me piace molto, io mi riconosco sempre in quello che scrive e per questo gli ho chiesto di fare la fatica e di farmi la carità di introdurre: quello che ha detto, per me lo conferma.
Volevo rispondere all’altra domanda leggendovi un pezzettino che si intitola “Fa’ che questa strada non finisca mai”, perché probabilmente è il punto più acuto in cui Giuda percepisce che questo dramma è sempre aperto. Lui è uno che continua a chiudere, che continua a cercare la risposta definitiva, però la questione si riapre. Qui è quando gli dà il bacio: “Spinto dalle parole del Nazareno, abbandonai dunque la cena a metà, cosa che avrebbero fatto tutti, come seppi da lì a poco, e raggiunsi la scalinata del tempio, dove si trovava una delegazione di soldati romani inviati da Pilato per garantire la regolarità dell’operazione. Le persone che si trovavano con me non conoscevano il Nazareno, perciò convenimmo che avrei dato loro un segnale. “Che segnale ci darai?” mi chiese uno. Io, lì su due piedi, non sapendo che cosa dire, risposi “un bacio”. “Cos’hai detto?”, “Sì, un bacio, questa è l’usanza da noi. Quello che bacerò sarà lui”. “Un bacio?”, rise il capo delle guardie romane che non era nemmeno sceso da cavallo. Un suo compagno stava mangiando qualcosa appoggiato al muro, ripeté che queste erano le nostre usanze. Il capo gli chiese che cosa stava mangiando, quello a cavallo mi domandò com’era fatto questo Nazareno, se era alto e robusto, se fosse il caso di chiamare altri soldati. “Questa gente racconta storie” disse quello che stava mangiando, “dove si parla di un gigante, uno dei vostri, se non sbaglio, che uccideva soldati come fossero moscerini”. Risposi che non era uno dei nostri. “Ah no?”. “No, amico, noi siamo quelli della stirpe di colui che lo fece secco con il colpo di fionda”.
Questa conversazione mi alleggeriva l’animo, i romani sono gente con cui si può sempre ragionare, senza scendere però in profondità. Bisogna fermarsi al livello giusto, quello che ci rende simili tutti e che non è molto profondo. “Sì, ricordo”, dice il soldato colto, “doveva avere una bella mira, sembra che l’abbia beccato nella sola parte del corpo che aveva lasciato scoperta”. Il soldato a cavallo gli disse di rinfrescarsi la memoria perché questa era una storia dei greci, secondo i quali un astuto guerriero troiano colpì con un freccia al tallone il fortissimo eroe Achille che, a quanto sembra, era anche molto alto di statura. “No, no”, rispose il maggiore, “c’è anche questa storia, il gigante ha anche un nome”. Dissi io il nome, “Golia”: allora l’uomo a cavallo abbassò la testa e concluse che i popoli sono privi di fantasia e alla fine, gratta gratta, raccontano tutti le stesse storie. Lo disse in tono sconsolato, era chiaro che questo lavoro cominciava a pesargli. A nessuno in realtà importava sapere che aspetto avesse il Nazareno, né io mi chiedevo come avessi potuto scegliere tra tutti i segnali proprio il bacio, un segno di amicizia fraterna, per consegnarlo alle autorità. Scelsi il bacio solo perché desideravo dargli un ultimo bacio per fargli comprendere che continuavo e avrei continuato a volergli bene. Non aveva mai fatto male a nessuno, aveva curato, risanato, aveva guarito storpi e lebbrosi e restituito la vista ai ciechi, senza nemmeno pretendere la loro gratitudine. Era un uomo buono, e la sua mente era capace di pensieri come non ne avevo mai sentiti, però non era il Messia e non era nemmeno un profeta. Quanto a me, mi ero illuso di poterlo consegnare alle autorità contro il suo volere e al tempo stesso di poter continuare ad amarLo.
Se abbandonati i primi studi, anziché gettare reti nel modesto mare di Galilea per trarne qualche pesce da vendere ai romani, avessi potuto studiare la retorica e parlare come quei signori vestiti con la toga e dall’aspetto autorevole, adesso saprei descrivere, separandoli e poi rimettendoli insieme, sempre che in questo consista la loro arte, i mille sentimenti che si mescolavano come una brodaglia nel mio cuore che ormai avevo in odio. Scendendo lungo la via, alla fine della quale sapevo che l’avrei incontrato, pregavo tra me, pur sapendo che nessun Dio era più interessato alle mie parole, e dicevo: “Fa’ che questa strada non finisca mai, fa’ che non abbia fondo e che io possa continuare a camminare fino alla fine della mia vita. Ma la strada finiva ed io ad ogni passo vedevo avvicinarsi la curva dal fondo della quale cominciavano a giungere voci sguaiate». Ecco, qui capite un po’ che l’unica speranza alla quale si aggrappa è che questo momento di sospensione si estenda, questo momento in cui lui sente tutto il peso di questa frattura di cui parlava Andrea, non giunga alle conseguenze a cui invece giungerà perché la strada finisce. Grazie.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie, Luca. Fa’ che questa strada non finisca mai. Apologia di Giuda, lo potete trovare. Grazie a Luca tantissimo del tuo lavoro, di questa nuova offerta che ci fai, grazie ad Andrea.

Data

25 Agosto 2014

Ora

19:00

Edizione

2014

Luogo

eni Caffè Letterario A3
Categoria
Testi & Contesti