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INVITO ALLA LETTURA. ACCANTO A GIOVANNI PAOLO II. Gli amici e i collaboratori raccontano
Invito alla lettura: ACCANTO A GIOVANNI PAOLO II. Gli amici e i collaboratori raccontano
Presentazione del libro a cura di Wlodzimierz Redzioch, Giornalista (Ed. Ares). Partecipano: il Curatore; Walter Insero, Responsabile delle Comunicazioni Sociali del Vicariatus Urbis. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
CAMILLO FORNASIERI:
Io invito subito gli altri relatori perché presentiamo immediatamente il prossimo libro che è dedicato a Giovanni Paolo ll:
Il protagonista è un altro vaticanista, se così si può forse definire, per cui viaggiamo in unità con la precedente proposta. Il libro, come anticipavo, è intitolato: Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano. Si tratta di un dialogo, un’intervista con ventuno testimoni, più un testimone di eccezione. Ventuno testimoni sono le personalità tuttora presenti, attive, operative, nel seno della Chiesa, nel Vaticano e nel mondo, a lui vicinissime per i più svariati motivi: amicizie personali storiche dalla Polonia, compagni di studio, filosofi che hanno accompagnato anche il tragitto di riflessione del Papa, Cardinali, Vescovi, segretari personali, insomma tutte persone che hanno visto agire Giovanni Paolo II. Una cosa che mi ha colpito del libro, è che mette in luce questa unità straordinaria tra vita e pensiero, tra vita e giudizio, quasi che una attinga dall’altra. Il giudizio, la capacità di lettura, lo sguardo di Giovanni Paolo II attingeva a una vita vissuta, che qui si apre come delle finestre, come delle porte segrete ma di quella segretezza che, come dire, è discrezione ed è umiltà e dà conferma, agli occhi semplici di chi gridò nella piazza San Pietro, “santo subito!”; dà conferma di cose quasi intuite, sapute, perché l’occhio semplice, la persona viva sa capire da uno sguardo, da una parola, da un comportamento, da una fedeltà nel tempo, chi ha di fronte. Infatti, nell’intervista straordinaria del ventunesimo testimone, il Papa Emerito, Benedetto XVI, alla domanda sulla santità di Giovanni Paolo II, risponde: “A mano a mano che lo conoscevo mi sono reso conto di avere di fronte un santo”.
Questo coraggioso lavoro è stato fatto da un giornalista vaticanista, che è qui alla mia sinistra, che è di Wlodzimierz Redzioch, che salutiamo. La lingua polacca è una lingua di cesura tra il mondo latino e il mondo slavo che ha preso la lingua da Cirillo e Metodio, che ne hanno inventato l’alfabeto. E Wojtyla ha avuto la stessa funzione anche nella Chiesa e nella vecchia Europa. Ecco, lui, dicevo, dal 1981 fino al 2012 ha lavorato presso l’Osservatore Romano, e ha scritto libri come Tornielli, relativi alla vita della Chiesa come quello sulla tomba di san Pietro. L’altro nostro ospite è Walter Insero, responsabile delle Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma, quindi della Chiesa di Roma di cui il Papa è Vescovo. Do subito a lui la parola per il primo intervento.
WALTER INSERO:
Grazie. Grazie agli amici della casa editrice Ares per l’invito, agli organizzatori.
CAMILLO FORNASIERI:
Dimenticavo, ma la cito sempre, la casa editrice Ares ha raccolto questo libro e ce l’ha portato proprio qui fresco al Meeting, quindi è un altro prezioso contributo che ci dà.
WALTER INSERO:
Grazie agli organizzatori del Meeting per questo invito. Io vorrei condividere con voi brevemente un po’ la mia esperienza e spero non risuoni troppo autoreferenziale, ma non faccio parte ovviamente degli amici né dei collaboratori che hanno quindi condiviso e trascorso una parte della loro vita con Giovanni Paolo II. La mia vita ha incontrato quella di Giovanni Paolo II pensate già nel 1981, perché è la prima immagine che ricordo di questo Papa giovane, quella dell’attentato. Avevo sei anni e ricordo, come penso alcuni di voi, lo shock di questa notizia. Ero già chierichetto, e con il senno di poi, rileggendo la mia storia, avevo già sentito la chiamata, sebbene così giovane, al sacerdozio e ricordo lo shock, che forse i miei genitori non hanno percepito, nel vedere queste immagini, il Papa che cade tra le braccia del suo segretario sulla jeep scoperta, questa corsa verso l’ospedale. Ricordo che ci chiesero di pregare, di pregare per il Papa, quindi sapete da bambino quando ti fanno una consegna di questo tipo si è fedeli e ho pregato con costanza, con perseveranza, poi magari crescendo si diventa meno costanti. Ho pregato molto, si pregava per la guarigione del Papa, per la sua salute, perché il Signore lo difendesse.
Nasce così un rapporto semplice, evidentemente come potete immaginare è il rapporto di un ragazzino di una provincia campana che però sente questo affetto, questo rapporto che si consolida, che è un rapporto spirituale, individuando in questa figura certamente quella di un sacerdote esemplare che avrei voluto imitare. Quindi cresco con questo desiderio che io oggi posso qualificare come un desiderio, poi ho scoperto che era invece un desiderio che Dio stesso aveva messo nel mio cuore, di emulare questo sacerdote, quindi Giovanni Paolo II. Un altro episodio importante è stata la giornata mondiale dei giovani a Denver nel ’93, devo dire che crescendo avevo messo da parte un po’ questa chiamata, dicendo: “Forse mi sto illudendo io, ma il Signore mi chiama veramente, possibile? Verso 15, 16 anni iniziavo anche una storia sentimentale con una fidanzatina e dicevo “no, Signore, tu chiami me…non è possibile!” Fra tanti giovani in oratorio, considerate, appartengo un po’ alla “generazione Wojtyla”, ci piace tanto chiamarci così, cresciuti in oratorio, pane e GMG. Quindi cresciuti con questo stile e dicevo: “Ma perché a me?” Mi sentivo come il passante in strada che gli cade la tegola in testa. Io voglio una vita normale, mi vorrei fare una famiglia, vorrei dei figli. Il combattimento è stato molto forte, e un incontro per me cruciale è stato il 31 Marzo del ’93: il Papa ha incontrato i giovani in preparazione dell’incontro a Denver, noi giovani del Lazio e ricordo le sue parole, mi disse: “Coraggio!” Non ci fu una grande conversazione, ovviamente, potei salutarlo per pochi istanti, però io in quel momento ho ricevuto la grazia di dire: “Signore, questo è un dono che tu mi stai concedendo e mi stai chiamando al sacerdozio”; perché vedendo lui che si stava spendendo con forza, dando la vita fino all’ultimo, ho sentito proprio dentro, nonostante anche la mia ragazza fosse presente a quell’incontro, ho sentito che il Signore mi chiamava al sacerdozio.
Vado poi a Denver ancora con questa domanda, anche se il Signore mi aveva risposto molto chiaramente e ho visto che lì, il Signore, mi ha confermato questa sua chiamata. Poi, dieci anni dopo, io ho fatto gli studi in un’altra diocesi, sono stato poi trasferito a Roma e l’11 Maggio del 2003, proprio 10 anni esatti dopo, è stato Giovanni Paolo II a ordinarmi presbitero per la Chiesa di Roma. Poi un altro regalo che lui mi ha fatto: sono stato chiamato a lavorare, ero in parrocchia, ma il Cardinal Vicario Vallini mi ha chiamato e il mio primo incarico è stato occuparmi della comunicazione della beatificazione di Giovanni Paolo II. Quest’anno ho potuto coordinare anche i lavori, sempre per conto del vicariato, della comunicazione della canonizzazione dei due Papi. Vi raccontavo questo perché ho visto come la preghiera di un bambino per il Papa pian piano sia diventata la preghiera del Papa per me. In questo rapporto che poi è certamente un rapporto filiale, è nata una devozione e devo dire che ho fatto fatica all’inizio, perché un santo è sempre una figura un po’ lontana che si può invocare e, invece, Giovanni Paolo II paradossalmente lo sento e lo sentivo così vicino che è un rapporto davvero immediato. Vi invito a leggere questo testo perché lavorando per aiutare gli altri a conoscere questa grande figura, un gigante della storia, un gigante della fede quale è Giovanni Paolo II, ci chiediamo: perché la Chiesa l’ha riconosciuto santo? Sapete che c’è anche un po’ un dibattito, ci si chiede: ma è davvero conveniente canonizzare un Papa? Perché è un santo?
Questo testo aiuta a far sì che Giovanni Paolo II non appaia un santino ma quale è stato veramente: veramente un santo. Qual è il segreto della sua santità? Ascoltate allora i suoi testimoni, coloro che hanno visto che cosa colpiva di lui: vederlo pregare, percepire questa intimità profonda che aveva con Dio. Adesso mi occupo di comunicazione e quando la Chiesa fa comunicazione non informa, non dà delle informazioni, comunica dei contenuti ed è una comunicazione che crea comunione. Allora, mi piace forse aggiungere un ultimo episodio. Nell’intervento di Navarro Valls, uno strettissimo collaboratore e anche nel testo di Benedetto XVI, entrambi dicono che non mancava mai l’allegria nella vita lavorativa e spesso dura e sofferta di Papa Giovanni Paolo II. Il suo humor, le battute, qualche scherzo ma soprattutto la sua allegria erano quelle di chi vive un rapporto da innamorato con Dio e innamorato direi anche dell’uomo. Quindi questa allegria, questa semplicità, questa povertà assoluta che Papa Giovanni Paolo II ha vissuto, ha incarnato e testimoniato ha contagiato tanti. Io vi ho raccontato la mia esperienza ma altri che sono entrati in politica o hanno messo su famiglia lo devono a lui, al suo esempio. Tanti sono, questo lo sapete anche voi, tanti sono i miracoli morali, le conversioni, le grazie ottenute; a Roma abbiamo tantissime testimonianze oltre a quelle che l’ufficio della postulazione ha preso in considerazione proprio per il processo stesso, quindi è bello sapere di avere un amico conosciuto in terra che ora è in cielo e ricambia la preghiera. Io so che anche il mio sacerdozio è affidato a lui, il mio servizio, quindi spesso vado sulla sua tomba, nei momenti di tensione, di difficoltà, tentazione e vedo che è veramente un amico e un santo potente. Grazie.
CAMILLO FORNASIERI:
Grazie, grazie a don Walter. Adesso chiedo a Vladimiro di raccontarci un po’ come è nata l’idea del libro e quali sono le cose che più l’hanno colpito nell’emergere via via della documentazione così bella e ricca, anche di aspetti privati, nel senso profondo e costitutivo, della vita di Giovanni Paolo II.
WLODZIMIERZ REDZIOCH:
Grazie. Permettete che cominci con un ricordo che apparentemente non ha niente a che fare con il libro. Nel 1981 io stavo già a Roma, era per me il secondo anno del mio soggiorno a Roma, e allora già conoscevo tante persone, tanti giovani legati a vari Movimenti. Un giorno un gruppo degli amici miei di CL mi hanno proposto di andare al Meeting. Io non conoscevo bene la realtà di Comunione e Liberazione, non sapevo niente del Meeting, ma ho accettato per curiosità. Siamo partiti con due macchine e si improvvisava. Dormivamo in un casale prestatoci da un giovane sacerdote che lavorava in Vaticano e mi ricordo che questo casale si trovava tra le vigne, tra Rimini e San Marino, e ogni mattina si veniva qua per aiutare a organizzare il Meeting. Questo giovane sacerdote nel frattempo ha fatto un po’ di carriera in Vaticano e si chiama Claudio Maria Celli e adesso è il Presidente del Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Era un tempo di grande gioia, di grande festa, ma anche di tanta improvvisazione. Adesso venendo dopo tanti anni al Meeting, ho visto che bella e grande cosa è diventato il Meeting, e volevo congratularmi con gli organizzatori, con tutti quanti.
Raccontando questo fatto, io ho fatto una partenza falsa, perché dovrei cominciare col 1978, con quel giorno particolare, durante il secondo conclave dell’anno che è passato alla storia come l’anno dei tre Papi. Il 16 ottobre io stavo in Francia, avevo già dietro di me gli studi al Politecnico di Czestochowa e gli studi Africanistici a Varsavia. Ero partito per Parigi per continuare gli studi, perché pensavo di fare il missionario laico in Africa. Allora per me l’elezione di Giovanni Paolo II fu una grande sorpresa. Per dire la verità, nei tempi comunisti, noi non conoscevamo bene i nostri pastori; tutti i mezzi di comunicazione erano in mano al Governo, il settimanale cattolico di Cracovia dove scriveva anche il cardinale Woytjla, pubblicava 10.000 copie perché lo Stato limitava la carta per stampare questo giornale. Nel ’78 conoscevo poco l’Arcivescovo di Cracovia. Per noi, in Polonia, la figura di riferimento era sempre il cardinale primate Wyszyński. L’elezione, la grande festa dei polacchi a Parigi, l’entusiasmo. Poi la vita sembrò tornare come prima, ma in un certo momento venni a sapere che due dei miei amici sacerdoti erano responsabili del centro per i pellegrini polacchi che il Papa aveva voluto organizzare a Roma. Io spesso telefonavo a questi amici miei sacerdoti e sono stati loro che mi hanno proposto di venire a Roma e collaborare con il centro dei pellegrini. Era una decisione sofferta, perché dovevo rinunciare alla carriera professionale senza sapere cosa mi potesse aspettare in Italia, a Roma. Ma alla fine, Giovanni Paolo II ha fatto breccia anche nel mio cuore, e quando in una conversazione questo mio amico sacerdote mi disse: “Guarda, la storia della Polonia si fa adeso in Vaticano, si fa con questo Papa”, presi la decisione di lasciare tutto a Parigi, e di venire a Roma. Il centro per i pellegrini polacchi era un luogo particolare perché prima di tutto noi ospitavamo tutti gli amici di Cracovia e tutti gli amici polacchi di Giovanni Paolo II. I polacchi allora guadagnavano 100 dollari, nessuno, nemmeno i professori universitari, si potevano permettere di alloggiare in un albergo, e noi in stanze di 4 persone alloggiavamo il fiore dell’intelligenza polacca, Walesa compreso.
In questo modo io ho avuto l’occasione di incontrare gli amici polacchi di Giovanni Paolo II e di conoscere Wojtyla nei racconti dei suoi più stretti amici. Queste sono le persone che in qualche modo cominciano il libro: la professoressa Putaska, Grygiel, il Cardinale Nagy. Loro mi hanno fatto capire chi era Carol Wojtyla come sacerdote, come Vescovo e come Cardinale. Io ero anche privilegiato, perché dal Centro portavo gli ospiti dal Papa, i pellegrini per le udienze; in quella occasione ho scoperto personalmente il personaggio Wojtyla che è diventato Papa. La prima cosa che colpiva tutti i pellegrini, che ha ripetuto anche Papa Benedetto, era il calore umano che emanava da questa persona. Erano i tempi quando lui, prima della malattia, aveva ancora un bellissimo viso, molto espressivo, un viso sorridente, con gli occhi caldi. Era la persona che, con questo suo sorriso, con questo suo modo di fare, accorciava le distanze, metteva tutti a suo agio, e la cosa più importante era che lui aveva sempre qualche minuto per ogni pellegrino. E’ il Papa che ha voluto impostare il suo rapporto con gli altri in questo modo, era un rapporto di incontro, incontro personale, e i milioni di fotografie sono la prova di questo rapporto personale. Oggi si ripete con Papa Francesco che i sacerdoti devono essere vicino ai fedeli, Carol Wojtyla e dopo Giovanni Paolo II, era così. Mi ricordo quando, dopo la messa di inizio del pontificato, il Papa è voluto scendere lungo la scalinata di San Pietro per salutare la gente. Era quasi trattenuto dal maestro delle cerimonie e con i gendarmi spaventati, perché i gendarmi non erano abituati a questo tipo di comportamento del Papa. Carol Wojtyla è il Papa che ha voluto già dall’inizio farsi vicino a tutti, essere vicino agli altri, e la stessa cosa riguarda anche la caparbietà con la quale imparava le lingue, perché la prima cosa che crea la barriera tra le persone è la lingua. Il Papa, prima di ogni viaggio, o dell’incontro con i personaggi che venivano dai vari Paesi, tentava di imparare qualche frase, qualche lingua, anche le lingue più complicate e più strane.
Mi ricordo che anche nei viaggi in Finlandia, in Ungheria, se non c’era la persona che parlava tale lingua nella segreteria di Stato, lui chiamava le persone dalla Radio Vaticana. In certe situazioni voleva addirittura imparare tutta la messa in lingua locale. Andando in Africa, lui ha celebrato la messa in Swahili. Essere vicino alla gente vuol dire anche questo, abolire le barriere, vuol dire anche tentare di comunicare in questo modo con le persone. Ma dove ho imparato di più da Giovanni Paolo è stato andare alle sue messe private, cioè vedere come lui celebrava la messa e come lui pregava. Don Valter ha già parlato della preghiera, ma la prima regola nell’appartamento pontificio era che quando il Papa prega non bisogna disturbare, tutte le altre cose sono secondarie, fino a che il Papa prega non bisogna interrompere la sua preghiera, perché era una cosa molto intensa. Io tante volte, vedendolo pregare, vedendo quasi le sue smorfie, avevo l’impressione che lui parlasse proprio con Dio, era una cosa che ti scioccava quasi, l’intensità della sua preghiera. Monsignor Piero Marini, il Maestro delle cerimonie, prima dell’attuale, una volta mi ha detto: “Guarda lui prega così intensamente, perché lui è convintissimo dell’efficacia della sua preghiera, lui è convintissimo che Dio lo ascolti”. Il Papa pregava per le cose concrete, per le intenzioni concrete, entrando nella cappella, sul suo inginocchiatoio noi vedevamo un plico, delle carte, degli appunti, delle lettere, lui prendeva queste lettere e pregava per le cose concrete. La gente gli chiedeva la preghiera per cose, qualche volta direi terra terra, per cose concrete. Lui ci teneva tanto anche di pregare per i suoi collaboratori.
Una volta uno dei Monsignori polacchi che lavorano nella Segreteria di Stato è rimasto sbalordito, perché ha trovato sull’inginocchiatoio del Papa il grafico della curia romana, allora ha chiesto al Papa a cosa servisse, temeva che il Papa controllasse la curia, volesse cambiare.: “No! Io prendo, ho questo grafico, perché io ogni giorno prego per qualcuno di voi, qualcuno dei miei collaboratori nella curia romana”. Per parlare anche di questa concretezza della preghiera del Papa, volevo dirvi che il Papa nella sua stanza teneva un atlante e ogni tanto sfogliava questo atlante e sceglieva il Paese o addirittura una diocesi, dove c’erano problemi, e lui pregava per quel Paese o quella diocesi e secondo me la preghiera era la chiave per capire tante cose del pontificato di Giovanni Paolo II. Il nostro amico vaticanista Domenico Del Rio ha detto una volta che Giovanni Paolo, pregando, si metteva in Dio e quello lo salvava da tutto. Non so se ti ricordi, una volta mi ha detto questo. Questo mettersi in Dio, la preghiera che lo metteva quasi in contatto con Dio e che era anche la fonte della sua forza e della sua allegria di cui parla Papa Benedetto… ed io potrei dire tante cose ma so che ci sono i tempi.
CAMILLO FORNASIERI:
No, c’era qualche domanda ma ti sei auto intervistato benissimo, hai fatto delle sintesi delle varie interviste fatte. Volevo fare una domanda invece su questa intervista al Papa Emerito che, se non sbaglio, nella mia imprecisione giornalistica, rimane l’unica fatta sin ora, oltre forse a quella lettera al matematico impazzito Odifreddi, impazzito nella matematica.
WLODZIMIERZ REDZIOCH:
Del Papa, io ha parlato con le persone che lo hanno visto pochi giorni fa, perché il Papa ha celebrato la messa insieme con i suoi allievi, ha celebrato la messa nel Campo Santo Teutonico dove lui viveva da Cardinale e dove viveva i primi mesi appena arrivato a Roma, all’inizio dell’ottantadue, prima di avere l’appartamento pronto in Piazza Leonina. E’ sempre fragile, ma sta benissimo. A proposito del rapporto con Giovanni Paolo II, mi colpiva, vediamo se riesco a trovare la frase, il fatto che io avevo l’impressione che per Papa Benedetto, per il Cardinal Ratzinger, l’incontro e la collaborazione con Giovanni Paolo II fosse qualche cosa scritto dalla Provvidenza. Lui ha detto questa frase: “E’ come se, interiormente, attendessimo entrambi di incontrarci” . Ratzinger è molto preciso, se dice così, significa che lui ha sentito così, che un Papa slavo e un grande teologo tedesco dovevano, quaranta anni dopo la guerra fratricida tra la Polonia e la Germania hitleriana, questi due figli della Chiesa Cattolica, dovevano incontrarsi e guidare la Chiesa. Per dire la verità, io all’inizio ero perplesso se chiedere a Papa Benedetto l’intervista, perché volevo rispettare il silenzio che lui si è imposto, ma mi sono ricordato anche le parole di Giovanni Paolo II. Quando il Papa era criticato per il suoi innumerevoli viaggi – 822 giorni di viaggi, quasi il 9% del pontificato -, Giovanni Paolo una volta ha detto: “Io posso viaggiare perché in Vaticano c’è il Cardinale Ratzinger e a Roma c’è il Cardinale Ruini”. Io avevo l’intervista del Cardinale Ruini, e allora mi son detto, se sono due le colonne che reggevano il pontificato di Giovanni Paolo II, qualsiasi libro su di lui, senza la testimonianza del Papa Emerito, sarebbe un libro non completo – anche se guardando adesso mi sembra sempre un libro non completo.
CAMILLO FORNASIERI:
Questo mi pare una conferma della bellezza del libro, perché il metodo usato da Vladimir è interessantissimo, parte dai fatti e da come uno è colpito dai fatti. Io vorrei che ci lasciassimo con queste parole di Benedetto XVI: “Giovanni Paolo II non chiedeva applausi né si era mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è, ai miei occhi, un criterio di primordine della santità”.
WLODZIMIERZ REDZIOCH:
Posso finire con una battuta? Perché se non vado errato, due ore fa nel Duomo di Milano è stata celebrata la messa per il sessantesimo della morte del Cardinale Schuster, che è morto all’alba del trenta agosto del ’54 ed io, una volta, ho trovato una frase del Cardinale che diceva: “La gente sembra vivere incosciente delle cose soprannaturali, ma quando un santo, vivo o morto passa, tutti accorrono alla sua strada”. E leggendo questa frase del Cardinale Schuster, ho capito che questa frase riguarda anche Giovanni Paolo II.
CAMILLO FORNASIERI:
Bellissimo! Grazie! Grazie di questa memoria anche simbolica dovuta alla tua appartenenza alla grande nazione polacca. Grazie, il libro è in libreria o qui all’uscita, ringraziamo ancora la casa editrice Ares e don Walter Insero per il suo intervento. Arrivederci!