INVITO ALLA LETTURA

Togliatti & Amendola. La lotta politica nel PCI. Dalla Resistenza al terrorismo
Presentazione del libro di Ugo Finetti, Giornalista e Scrittore (Ed. Ares). Partecipano l’ Autore; Sandro Bondi, Ministro per i Beni e le Attività Culturali. Introduce Raffaello Vignali, Deputato al Parlamento Italiano. (Sala Mimosa B6)

 

MODERATORE:
Vorrei dire questo, alcune osservazioni preliminari sul libro innanzitutto, perché per me questo libro è un libro prezioso. E’ un libro prezioso perché noi tendiamo a dimenticare la storia da cui veniamo, e questo libro affronta un periodo storico, fra l’altro molto ampio, mettendo in luce due protagonisti ma soprattutto uno dei due, Amendola, che è un personaggio dimenticato, volutamente penso, messo da parte. Non possiamo pensare, lo dico soprattutto per i giovani che sono qui, di capire l’oggi se non capiamo il nostro passato, che è un passato non troppo lontano, anche se gli avvenimenti si sono succeduti velocemente da quando questo libro inizia a trattarli ad oggi. Questo è importante: è un dovere di memoria, perché appunto senza una memoria non si capisce l’oggi e tanto meno si può costruire un futuro, mettere le basi per un futuro non tanto diverso ma sicuramente un futuro che sia in grado di non ripetere gli errori del passato. Il secondo aspetto è che è una bella descrizione, fatta da un punto di vista storico, di cosa possa significare l’ideologia e non che oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, le ideologie non ci siano più, semplicemente hanno un’altra forma, ma ci sono eccome se ci sono. A me viene da dire, in fondo, che almeno una volta erano più chiare ed erano anche forse anche più decise. Oggi c’è un sottofondo a tutte le ideologie che mi sembra sia il nichilismo, che io trovo essere un nichilismo non serio, un nichilismo molto soft, come diceva Del Noce, ma al fondo un nichilismo: non si sa perché si vive, perché si costruisce, perché si muore. Una volta almeno c’era il pregio di avere visioni del mondo, per quanto potessero essere sbagliate, che cercavano almeno di dare una risposta a queste domande, che sono domande fondamentali dell’uomo. Il terzo motivo per cui vi invito a leggere il libro è che i libri vanno letti soprattutto questo che è difficile raccontare, perché è talmente particolareggiato nel racconto storico che se ne possono raccontare, come farà Ugo, solo le linee, i temi salienti. Ma i libri vanno letti, comprati, come diceva Don Giussani e letti, quelli che valgono, quelli che non valgono è meglio non comprarli, tanto meno leggerli, ma quelli che valgono bisogna leggerli e questo è un libro scritto come un romanzo, un libro che si legge veramente come un romanzo. Le dimensioni possono a prima vista scoraggiare ma come si inizia a leggere le prime pagine … è difficile poi riuscire a staccarsi. Io, prima di dare la parola ai nostri ospiti, chiederei però, visto che è presente in sala, all’editore Cesare Cavalleri di dire, dal punto di vista dell’editore, di dirci perché pubblicare oggi un libro come questo, con questo contenuto e scritto da questo autore.

CESARE CAVALLERI:
Come editore, la cosa più essenziale l’ha già detta l’onorevole Vignali: i libri bisogna comperarli e leggerli. Questo è il messaggio fondamentale dell’editore. Ma a parte questo, perché fare l’editore oggi e perché pubblicare libri come questi in una collana che li raccoglie, che è la collana Faretra,? Noi siamo la casa editrice Ares. Ares è un acronimo che sta per Associazione ricerche e studi, però Ares è l’altro nome di Marte, il dio della guerra, noi non facciamo guerra a nessuno però abbiamo frecce nel nostro arco. Infatti un’altra collana si chiama Sagitta e invece la collana che riguarda la riflessione sui temi fondamentali si chiama Faretra, è quella che appunto accoglie il libro di Ugo Finetti e che verte su saggistica e in particolare su saggistica storica. I libri di storia non riguardano il passato, noi siamo convinti, tutti noi viventi sappiamo che esiste soltanto il presente, il passato non c’è più, il futuro è incerto, esiste il presente e quindi anche lo storico, quando fa il suo lavoro, parla per l’oggi, si sceglie i suoi temi, li svolge in vista dell’oggi, perché evidentemente il passato è irriformabile e senza arrivare a ripetere un aforisma dell’ a me amatissimo Karl Kraus, che diceva che appunto gli storici sono profeti voltati all’indietro, perché appunto lo storico in genere tende a proiettare la sua visione del mondo sulle vicende che invece deve raccontare, senza arrivare a questo dobbiamo sgomberare il campo da quella pretesa o presunta obiettività dello storico, che è labile tanto quanto quella della obiettività giornalistica. Questo spiega il luogo comune che dice che non si può fare storia contemporanea. Invece è sbagliato, perché proprio dalla storia contemporanea, dove ci sono ancora viventi i protagonisti, dove c’è la possibilità di documentarsi, in cui gli archivi sono accessibili per non parlare dei giornali – il guaio dei futuri storici è che faranno i libri di storia sulla base dei giornali, purtroppo, e quindi diventeranno sempre meno attendibili – comunque dico che se una storia è possibile, dovrebbe essere proprio la storia contemporanea. In questa collana, noi abbiamo cercato di svolgere una rilettura… Ormai è entrato nel linguaggio corrente il termine revisionismo, cioè considerare delle vicende da un punto di vista diverso da quello che la vulgata ha trasmesso. Forse la parola non è appropriata, quanto meno noi preferiamo parlare di rilettura, e se l’aggettivo non è troppo impegnativo, veritativa, perché effettivamente anche nella storia, pur con tutte le limitazioni e quindi con tutti i condizionamenti che lo storico può avere, se è uno storico onesto deve tendere in qualche modo a una verità, dato che la verità comunque sempre esiste, anche se è difficile circoscriverla e poi esporla. Tra i libri più recenti che sono apparsi in questa collana, ci sono quelli della Angela Pellicciari “Risorgimento da riscrivere”, che ha offerto proprio a Paolo Mieli, al Direttore del Corriere, l’occasione, durante la presentazione di questo libro, di parlare e di inaugurare questo filone così detto revisionistico. La Pellicciari ha avuto il merito di rileggere la storia del Risorgimento come una battaglia in cui i cattolici sono stati emarginati e soccombenti e proprio da questo equivoco nasce la difficoltà di trovare anche al giorno d’oggi un senso di identità nazionale, dato che, la stessa unità di Italia, è stata fatta contro qualcuno anziché per qualcuno. Tra l’altro della stessa autrice abbiamo pubblicato più di recente “I Papi e la Massoneria”, che è una ricognizione documentaria proprio del rapporto tra Massoneria e Chiesa. Fra gli altri libri di questa collana possiamo ricordare il libro di Alberto Leoni “La quarta guerra mondiale”. La quarta perché le prime due sono quelle notorie, la terza è “la guerra fredda”, la quarta è la guerra contro il terrorismo che si sta combattendo adesso e questo autore, Alberto Leoni, è stato il curatore di un altro libro apparso in questa collana di uno storico irlandese del ’800, che ha raccontato il Risorgimento visto appunto d’Oltralpe. Per citare qualche testo tra i più recenti, abbiamo anche questo libro di autori vari curato da Marco Invernizzi “Il 18 aprile 1948 l’anomalia italiana”. Perché anomalia italiana? Perché il 18 aprile del ’48 che, come ben noto, ha segnato la vittoria dei cattolici impegnati in politica, non è mai stata celebrata come vittoria proprio dagli stessi vincitori, come una sorta di understatment piuttosto ingiustificato, che spiega poi anche sviluppi e involuzioni che pesano tuttora sulla nostra storia politica. Poi, giusto per concludere, per citare soltanto il libro dell’onorevole Mario Mauro “Il Dio dell’Europa”, che riguarda sia la fondazione dell’Europa sia anche un po’ il tradimento attraverso la burocratizzazione e lo svuotamento di ideali che l’Europa sta vivendo in questo momento, proprio disattendendo quelle che erano le speranze e le aspirazioni dei padri fondatori che, guarda caso, avevano dato una impronta chiaramente ispirata anche alla dottrina cattolica. Ecco, questi sono il libri, alcuni dei libri. Il libro che presentiamo quest’oggi è il numero 68 della collana, quindi sono parecchi i libri che si possono leggere in questa collezione e, conclusivamente, mi sia consentito fare l’elogio del libro, perché indubbiamente viviamo nella società tecnotronica, siamo informati in tempo reale attraverso internet e tutta la tecnologia che giustamente ci assilla e a cui attingiamo ben volentieri, ma la informazione elettronica serve, in questo caso è una delle poche occasione in cui ha ragione Umberto Eco, che diceva appunto che la tecnologia elettronica e internet in particolare, serve per consultare, ma per leggere e quindi per capire, per entrare nel dibattito delle idee, il libro resta insostituibile e questo lo dico non soltanto come editore ma innanzitutto come lettore. Grazie.

MODERATORE:
Grazie Cesare. Darei la parola ad Angelo Crespi che è il Direttore de “Il Domenicale” e Consigliere del Ministro Bondi. “Il Domenicale” fra l’altro ha dedicato ampio spazio al libro e al tema, quindi a lui la parola.

ANGELO CRESPI:
Grazie. Mi sento innanzitutto in dovere di portare il saluto al Ministro che attendiamo tra breve. Ci siamo confrontati su questo libro, io e il Ministro durante le vacanze, perché sapendo dell’uscita da parte di Ares, che ringrazio dell’invito, di questo libro di Finetti, ci siamo detti che era, secondo me, un segno importante poter essere qua al Meeting a presentarlo insieme all’autore e quindi vorrei portare anche a Finetti il mio personale ringraziamento di giornalista e di storico per quanto ha fatto in questi anni. Il libro prosegue, secondo me, come già anticipava Cesare Cavalleri, prosegue un tentativo di revisionismo veritativo. Perché ormai col termine revisionismo, grazie sempre a questa vulgata e a questa egemonia che comunque resiste in termini, se non magnifici, almeno di capacità di un gruppo intellettuale di mantenere e di dominare alcune parole del palcoscenico della cultura e dell’informazione italiana, con revisionismo si intende ormai un termine quasi paragonabile a fascista. Ciò nonostante devo dire che ringrazio Ugo Finetti e la Casa Editrice Ares perché in questi anni ha proseguito su questa linea, in questa interpretazione veritativa, non tanto della storia, sui cui accadimenti siamo più o meno tutti diciamo concordi, ma sulla lettura che di questa storia negli ultimi 50 anni è stata fatta, quindi sulla storiografia. Devo dire che Ugo Finetti, quasi con acribia nel precedente libro che era “La Resistenza cancellata” e in questo che è questa splendida analisi del rapporto tra Amendola e Togliatti, smonta non tanto la storia, che sarebbe stupido e pretenzioso fare, ma la lettura che della storia è stata fatta, quindi della storiografia. Sono libri, devo dire, se pur scritti in modo magnifico, appassionante, sono libri comunque difficili, perché non vanno più a contestare il fatto ma la lettura che si è fatta e quindi presuppongono anche una certa conoscenza già della storia. Però lo devo ringraziare perché il suo lavoro, fatto appunto con certosina analisi delle fonti, è riuscito laddove molta della storiografia non allineata alla sinistra non era riuscita, perché molte delle cose che oggi sono state raccontate, anche penso agli ultimi libri di Gianpaolo Pansa, erano cose note, notorie da almeno una trentina di anni, ma erano state sempre squalificate perché provenivano da un’area culturale minoritaria in Italia, che era quella di centro, centro destra, destra. Cosa che non è stata potuta essere imputata a Ugo Finetti, non solo perché la sua militanza è una militanza socialista e poi più vicina al mondo cattolico, ma perché Ugo Finetti non ha mai avuto come idea principe quella di una animosità ideologica contrastante, ma quella di, come è nell’animo del più grande storico, dei migliori storici, quella di andare, controllare le fonti e riportare, smontare più che riportare, smontare la lettura che è stata fatta dei fatti. Allora lo ringrazio perché il libro sulla Resistenza cancellata è stato fondamentale dopo 50 e passa anni di mitografia comunista, espressamente comunista e di una resistenza solo ed esclusivamente portata avanti e vincente, portata avanti dai comunisti. E’ il primo libro che la smonta passo dopo passo, non solo smontando la lettura ma anche facendoci capire come è stata costruita questa lettura, come da una resistenza variegata a cui hanno partecipato i filoni liberali, monarchici, socialisti e largamente di sinistra, siamo arrivati ad avere un mito della Resistenza esclusivamente come mito della sinistra comunista. Quindi un mito non identitario certamente, non legante, ma come voi avete avuto modo magari di vedere ogni 25 aprile in questi ultimi anni, un mito disgregante che ogni volta pone l’Italia, durante una festa che dovrebbe essere identitaria di unità nazionale, pone l’Italia di fronte al classico dilemma: chi partecipò alla Resistenza, chi vinse davvero la guerra, chi furono i bravi, chi furono i cattivi.
Qua andiamo oltre perché in verità il libro, pur essendo centrato su Amendola, non sbaglia nel titolo a dire Togliatti & Amendola, perché pur essendo centrato sulla vita di Amendola è un libro che tenta una rilettura di Togliatti. Oggi resiste in Italia, nonostante, come dire, i cambiamenti anche di nome del Partito Comunista e i tentativi di porre i DS, adesso il Partito Democratico all’interno del mondo riformista, resiste un’idea di Togliatti come il migliore, come il leader carismatico del Partito Comunista che riuscì a inventarsi, non si sa come, un Partito Comunista in qualche modo autonomo dal Partito Comunista sovietico e dall’Internazionale Comunista. Cosa non vera; ovviamente Finetti non è il primo storico a dirlo, ci sono studi, non so, Galli Dalla Loggia ma anche Zaslaski, Ada Rossi che mettono in luce questa cosa. Non è vero perché anche il momento cruciale della svolta di Salerno, che è il momento in cui Togliatti cambia il corso della politica italiana, ammettendo la collaborazione col governo provvisorio, non è assolutamente un’idea, né un’azione voluta da Togliatti, anzi è subita da Togliatti e anche questa fortunosa entrata nel governo da parte del Partito Comunista in quel momento di tragedia, di divisione dell’Italia dopo il ’43, parlo della svolta di Salerno, è dovuta a incidenti internazionali e alla ferma volontà di Stalin, contraria alla volontà di Togliatti. Infatti Togliatti in tutti i modi, in quel momento lì ancora in esilio a Mosca, chiedeva e dettava analisi e le mandava a Stalin, in cui si dichiarava contrario a un governo di unità nazionale. Quindi anche il mito della svolta di Salerno, su cui si fonda poi l’idea di un Togliatti capace di allontanarsi dalle grinfie di Stalin, è una cosa non vera e così continua nel rapporto con Amendola, chi avrà poi la voglia di leggere il libro, si vede che in tutte le decisioni topiche di quei momenti Togliatti, che apparentemente è meno filo sovietico di Amendola, meno ortodosso, o comunque presagito, percepito come meno ortodosso, in verità è sempre più legato al Comunismo Internazionale che non Amendola. Amendola, con questo carattere anche molto, come dire, iroso, contro la propria volontà si ritrova, come racconta Finetti, a interpretare il bastian contrario del partito e quindi si scontrerà sempre con la linea di Togliatti, ma anche con la linea di Longo, con la linea di Secchia, fino a arrivare all’ultimo scontro con Berlinguer. Vediamo che in un altro momento proprio tipico, che è il rapporto Kruscev, vediamo che Togliatti è più riottoso ad ammettere il crimine di Stalin di quanto non lo sia Kruscev e il filo krusceviano Amendola. Quindi anche in questo momento in cui c’è già il tentativo da parte di alcuni di allontanarsi dal Partito Comunista – addirittura Amendola arriverà a chiedere che si cambi il nome del Partito Comunista – vediamo che spicca, non so se dire la grandezza, comunque una sorta di lungimiranza da parte di Amendola, mentre viene depotenziata l’idea, quasi mitografica, che abbiamo di Togliatti. Quindi trovo che questo libro sia altrettanto importante rispetto al precedente libro che è quello della Resistenza cancellata, proprio perché aggiunge un altro piccolo tassello. Oggi, tra gli storici più attenti, è chiaro che gli sbagli di Togliatti sono riconosciuti. Togliatti appunto non voleva la svolta di Salerno, non voleva entrare nel Governo con la Democrazia Cristiana, non si adoperò per riportare in Italia i prigionieri dell’Armir in terra Russa, voleva a tutti i costi lasciare Trieste alla Yugoslavia. Anche in quel caso lì, il cambiamento di rotta di Togliatti non fu dovuto a un patriottismo che mai ebbe, ma semplicemente al fatto che Stalin in quel momento aveva rotto con Tito e quindi sembrava inopportuno, per Stalin, cedere una parte dell’Italia a Tito. Quindi, seppur tra gli storici avvertiti questi errori, questa poca considerazione patriottica dell’Italia da parte di Togliatti è riconosciuta, è ovvio che negli stati maggiori dell’opinione pubblica ancora resiste il mito e quindi devo ringraziare Finetti proprio di questo lavoro anche certosino, fatto sulle fonti. E poi, chiudo, secondo me è un libro interessante, perché si vede come la storia del Partito Comunista è costellata da divisioni interne che sono poi oggi visibili anche nell’epilogo del Partito Comunista che adesso, in un momento forse non brillantissimo della loro storia, non riescono assolutamente ad avere un’idea unica sulla politica italiana. Questo fatto sembra, almeno dalla lettura del libro di Finetti, congenito alla sinistra, che è sempre stata divisa tra un Partito Comunista più vicino alle esigenze dell’URSS, un partito Comunista più vicino alle esigenze invece del Comunismo Internazionalista, un Partito Comunista diviso in un’altra setta più vicino invece all’autonomismo, un Partito Comunista comunque diviso tra le sezioni di Roma e quelle di Milano e quindi, tra chi stando a Roma riceveva gli ordini da Mosca più velocemente e chi invece a Milano era più legato al movimento operaio e al sindacato, un Partito Comunista assolutamente, pur nelle malefatte del ’900, in una profonda e continuata crisi e travaglio interno, che poi viene oggi palesata dalla situazione attuale anche del Partito Democratico. Ecco questo è tutto, comunque grazie ancora perché è un libro illuminante.

MODERATORE:
Adesso la parola per l’intervento centrale all’autore che ringrazio nuovamente per essere stato qui con noi, ma soprattutto per essere stato qui con noi avendoci portato un bel regalo.

UGO FINETTI:
Sono io che ringrazio voi di essere qui presenti, ringrazio il Meeting di avermi dato questa bella occasione di incontro e di presentazione, di dialogo con quella che è una realtà fondamentale nella nostra vita, non solo vita nazionale. Perché, come si diceva prima e scorrendo anche le vicende di questo libro, soprattutto negli ultimi capitoli, quelli a partire dal ’68, se non ci fosse stata CL che problema avremmo avuto? Io credo di avere un po’delineato anche quello che è uno sfondo reale della società italiana, che troppo spesso viene un po’ mitizzato. Si fa troppo idealizzazione degli estremismi ed è per questo che è fondamentale la lezione e la conoscenza, non dico la riscoperta, di Giorgio Amendola.
Giorgio Amendola è una personalità, un pezzo importante della storia comunista, che è stato cancellato. Tra l’altro è stato paradossalmente cancellato negli ultimi vent’anni, venticinque anni, quando anzi avrebbe dovuto essere maggiormente valorizzato dal Comunismo e dal post Comunismo. Negli anni ’90, dopo la caduta del Comunismo, il confronto con la social democrazia, con l’esperienza della social democrazia europea occidentale, avrebbe dovuto naturalmente portare a una valorizzazione da parte comunista e da parte post comunista di Giorgio Amendola. Invece verso questo Giorgio Amendola, per citare uno storico, un altro storico di sinistra come Luciano Cafagna, il PC, PDS e DS fino ad oggi hanno mostrato un grande fastidio. Perché un grande fastidio? io credo che sia significativo questo, almeno io ho fatto questo sforzo, che certamente ha molte pecche, però di certo nessuno può dire che questo è anticomunismo viscerale, perché io parlo del Partito Comunista Italiano e indago, valorizzo e cerco di capire che cosa è stato fatto da una parte importante e da uno dei suoi leader storici più importanti. Perché parlare di Giorgio Amendola significa parlare di mezzo secolo di militanza del Partito Comunista. Amendola è uno che è stato nel Partito Comunista, ha aderito al Partito Comunista dal 7 novembre del 1929, in una riunione clandestina a Napoli, in cui si celebrava l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre, fino al 1980. Quest’arco di cinquant’anni che si concludeva il 7 novembre 1979. Uno potrebbe pensare, beh chissà che bella festa avranno fatto ad Amendola. Gli fecero una bella festa, nel senso che Enrico Berlinguer convocò un comitato centrale, come ricorda Luciano Barca nel suo diario, Comitato centrale tutto interamente dedicato contro Amendola. Amendola, uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista, si ritrova in un Comitato centrale dove, a cinquant’anni di distanza dalla sua iscrizione, gli fanno un mazzo di fiori. Ma il segretario del Partito Comunista va a un comizio pubblico al Cinema Adriano e lo insulta dicendo che non conosce l’a b c del Marxismo e nei giorni successivi convoca un comitato centrale per metterlo in stato di accusa, isolarlo, condannarlo e demonizzarlo. Allora qui si capisce che evidentemente c’è un problema. Amendola è da un anno ormai ammalato, stupisce questa animosità di Berlinguer nell’attaccare violentemente un dirigente ormai anziano che tutti sanno malato e che dopo qualche mese sarebbe venuto meno. Amendola, nell’ ultimo intervento al Comitato centrale, orgogliosamente rivendica il suo isolamento e attacca le mediazioni centriste del Partito, a cui Berlinguer reagisce: “Ma che cosa sarebbe stata la storia del Partito Comunista senza il centro?”, rivendicando in tal modo tutta una eredità togliattiana, di Longo fino a lui dell’esistenza del centro e demonizzando, scomunicando Giorgio Amendola. Allora andiamo a vedere perché è antipatico Amendola ai post comunisti. L’obiettivo di tutta la vita di Amendola è stata la polemica da un lato nei confronti del centrismo, delle mediazioni centriste e dall’altro nei confronti dell’estremismo, dell’estremismo non al di fuori del Partito Comunista, ma dell’estremismo interno al Partito Comunista. Questo è insopportabile per i giovani leoni allevati negli anni ’70 e ’80, i ragazzi di Berlinguer e i figli, i nipotini di Ingrao e del sessantottismo. La storia del Partito Comunista è stata fatta anche da Giorgio Amendola, ecco perché dico non è un libro di anticomunismo viscerale e vorrei anche fare una precisazione: non sto parlando dei se, non sto facendo la storia dei se, ma cercando di capire meglio certe scelte di Togliatti, Longo e di Berlinguer, comprendendo contro che cosa queste si sono formate e si sono pronunciate. Ecco, perché la vicenda di Amendola e la dialettica che c’è stata, soprattutto quando si è trovato ad essere al vertice del Partito Comunista tra il ’55 e il ’65 è importante. Poi, come dice anche questo osservatore che è ex dirigente comunista, Luciano Barca, quando si esce dalla segreteria, si esce dalla cucina e quindi si ha un ruolo diverso. Ma in quel decennio in cui è stato al vertice, che ha coinciso anche con il Krusciovismo, perché ha coinciso con la scomparsa di Stalin, la destalinizzazione fino alla caduta di Kruscev, Amendola ha avuto questo balzo sulla prima scena e Togliatti ha dovuto cooptarlo e ha dovuto misurarsi e convivere con Amendola. Io cerco di vedere come si è formato Amendola ma soprattutto voglio rivendicarne la coerenza, con tutti i limiti che ha avuto. Amendola comunque era uomo del Komintern, si forma negli anni ’30, ha una visione del movimento comunista, della funzione storica dell’Unione Sovietica, ha una visione catastrofista del capitalismo. Ha quindi tutti questi lati conservatori ma, sin dal 1930, ha questa caratteristica antiestremistica e di ricerca del dialogo con le forze esterne al Partito Comunista. Anche quando il Partito Comunista è nel pieno del socialfascismo, demonizza tutto il resto dell’antifascismo, Amendola cerca di formare una sezione di dialogo con gli altri partiti antifascisti, perché lui era figlio del grande leader, del leader dell’Aventino, di Giovanni Amendola, leader liberale e nel distaccarsi dal liberalismo egli mantiene sempre i rapporti con i liberali, con i socialisti, con i personaggi di cui poi era anche amico e coetaneo. Parlo di Ugo La Malfa, di Pietro Nenni, Saragat e altri anche del mondo stesso cattolico con cui era cresciuto. Amendola ha questa linea di confine, è in questa zona di confine, per cui i comunisti lo usano, lo brandiscono come grande testimonial, perché è il figlio del leader del Partito Liberale, del Movimento Liberale che aderisce al Comunismo e dall’altra parte lo vedono sempre con sospetto, perché lui è uno che viene dal mondo borghese, ha delle idee borghesi. E qui vengo al carattere per cui il libro si legge in modo un po’ romanzesco. Questo deriva anche dal fatto che la storia del Partito Comunista è un po’ un romanzo giallo, perché è una storia dove continuamente continuiamo a fare delle scoperte e anche sorprendenti, che vengono dagli archivi sovietici. Le lettere che Togliatti mandava al Politburo, dove invocava l’intervento armato per esempio in Ungheria, o le lettere che mandava a Mosca dicendo che i soldati italiani, gli alpini, potevano anche continuare a morire e a essere massacrati, non esistono nell’archivio del Partito Comunista. Perché ci sono questi buchi? Dal dopoguerra c’è sempre stato un organismo, che ha affiancato il vertice del Partito Comunista che si chiama Ufficio di Segreteria. L’Ufficio di Segreteria, come spiega uno dei suoi componenti, è un ufficio costituito da persone che partecipano al vertice del Partito Comunista, senza essere membri della Direzione Nazionale, e che ha tre compiti:
– uno, amministrazione straordinaria, cioè trattano dei fondi neri, non solo di provenienza dell’Unione Sovietica.
– due, la vigilanza cioè l’apparato clandestino paramilitare.
– tre, archivio segreto e lettere segrete.
Di questo archivio segreto e lettere segrete, che è verbalizzato nella documentazione ufficiale del Partito Comunista, nessuno ha mai reso conto. Dov’è questo archivio segreto? E’ possibile che per esempio un intervento, come quello di Togliatti, che quando c’era il rilancio della destalinizzazione nel 1961 infierisce contro Amendola, dicendo che il compagno Amendola dovrebbe fare più viaggi nei paesi dell’est e Amendola l’accolse come una minaccia personale, è possibile che questo intervento sia scomparso e sia stato poi ritrovato, nei mesi scorsi, nella nastroteca dei DS? Si dice il partito è diverso, diverso, diverso, però è un partito che ha dei doppifondi, non abbiamo ancora trovato tutti i tasselli di questo mosaico. Ecco perché l’indagine sul partito comunista è un’ indagine un po’ da romanzo, da romanzo giallo. Comunque una delle ragione del libro, è che in Italia c’è stata un mancata resa dei conti con il comunismo, è una mancata resa dei conti nel senso che, mentre in campo internazionale abbiamo un certo dibattito sul comunismo, di analisi critica del comunismo, in Italia c’è una certa autarchia, molti studi sul comunismo non vengono pubblicati, studi fondamentali, e soprattutto c’è una idealizzazione del comunismo, del comunismo italiano e questa idealizzazione consiste nel fatto che a distanza di venti anni siamo arrivati a idealizzare il partito comunista come un partito che non aveva nulla a che fare con il mondo comunista e che non aveva nulla a che fare con la società italiana. E’ un qualcosa d’altro – si dice – cioè una eccezione, una eccezione di purezza astorica, che non aveva nulla a che fare col comunismo al potere e non aveva nulla a che fare con la società italiana; è una alterità duplice, sia verso est, sia verso ovest. Invece è proprio la figura di Giorgio Amendola, secondo me, che ci riporta al fatto che il partito comunista è una storia che fa parte da un lato della storia del movimento comunista internazionale e dall’altro fa parte di una storia nazionale. C’è stato come un dare e un avere tra partito comunista e società italiana e quindi bisogna vederlo anche nella storia del comunismo italiano, va visto nel quadro del comunismo internazionale, nel quadro della storia nazionale. Una cosa è l’alterità rivendicata in modo demagogico e mitico, altra cosa poi è la storia vera e propria. Ecco perché non si può parlare di anticomunismo viscerale ma di una ricerca per capire in realtà che cosa è successo nel nostro Paese e perché noi abbiamo una visione mitica del partito comunista. Le ragioni sono poi due, una la diceva Lucio Colletti perché, all’indomani della caduta del muro di Berlino e dello scioglimento dell’Unione sovietica, chi è stato messo sotto accusa sono stati i partiti anticomunisti, non il partito comunista in Italia. E dall’altra parte perché l’insegnamento della storia è incardinato, come ricordava Crespi, attraverso apposite convenzioni ministeriali, sull’Istituto nazionale di storia per il movimento di liberazione nazionale cioè l’ ISLI che, a sua volta, è incardinato sulla storia della resistenza e su una visione schematica e dogmatica della resistenza. Chi è che dice di essere comunista? Nessuno in Italia, nessun storico dice di essere comunista, ma resiste la lettura classista del novecento. Quando apriamo i libri di scuola, anche i manuali scolastici, prevale questa visione del novecento come il grande teatro di scontro tra capitalismo reazionario e movimento operaio a guida comunista. Per cui vi è una inconciliabilità e una incompatibilità di fondo tra antifascismo e anticomunismo, per cui uno storico come Sergio Luzzato, un, diciamo, agit-prop, proprio dell’ ISLI, ha coniato questa formula che l’anticomunismo è anti-antifascismo, per cui di fatto chi è anticomunista è fascista, è in una deriva fascista, chi si stacca dal primato comunista finisce in una deriva fascista. Invece noi abbiamo avuto molte rivelazioni, indagini, che sono state citate prima. Dalle rivelazioni che vengono dagli archivi sovietici, è stata smontata la figura di Togliatti autonomo da Mosca, anche perché se lo stesso Togliatti si riteneva uno dei grandi leader del movimento comunista internazionale, dire che Togliatti è stato un leader nazionale, è il più grande torto che gli si possa fare. Togliatti si è sempre ritenuto uno dei capi del movimento comunista internazionale. Negli ultimi anni della sua vita, lui riteneva di dialogare e di mediare tra Mosca e Pechino. Il memoriale di Yalta sulla realtà italiana, sono le ultime due tre righe del documento, il memoriale di Yalta cosi esaltato, comunque valorizzato giustamente, perché è un testo importante, è un testo che è imperniato sul destino, il futuro, la crisi, e il superamento della crisi del movimento comunista internazionale. Espellere il movimento comunista internazionale, io direi anche espellere Stalin dalla storia del comunismo italiano, ci porta a una storiografia amputata, a una storia di un comunismo che nasce sotto i cavoli. Se vogliamo ancora raccontare la storia che i comunisti nascono sotto i cavoli in Italia, raccontiamo questa storia del comunismo, dei comunisti che non sono comunisti, che i comunisti sono sempre stati anticomunisti e dei comunisti che non hanno nulla a che fare con Lenin, Stalin e l’Unione Sovietica. Ecco perché io credo che sia importante la figura di Amendola. Oggi nella sinistra e per gli storici di sinistra si sta ancora a enfatizzare il ruolo di Vittorio Foa, di Rossana Rossanda, di Pietro Ingrao, di Bruno Trentin cioè i più grandi antagonisti in polemica con Amendola. E qual era il problema che Amendola contestava a Foa, Rossanda, Ingrao, a gran parte di questa sinistra che poi invece è la sinistra che è rimasta? Le tesi della proletarizzazione, che essi sostenevano negli anni ’60 e ’70, tesi di proletarizzazione che facevano a pugni con una possibile politica di alleanze. Per non parlare delle tesi che essi brandivano sugli obiettivi che doveva avere il sindacato, non solo i partiti, gli obiettivi non riassorbibili nel sistema. Ecco questa espressione “obiettivi non riassorbibili nel sistema” ha generato tutta una tradizione devastante di lotte rivendicative e di lotte politiche, che sono state per decenni al centro delle polemiche di Amendola, e delle accuse che Amendola ha avuto man mano, dai vari Secchia, fino allo stesso Luciano Lama. Giorgio Amendola invece ha queste due caratteristiche importanti: è la personalità, il dirigente politico più polemico e quello che, nell’ambito di questo partito che aveva tutti i suoi rituali di centralismo democratico, che ha portato maggior chiarezza se non divisione all’interno del partito comunista. Giorgio Amendola faceva discorsi chiari, irruenti, è quello che ha fatto più polemica e più chiarezza nel dibattito interno cosi conformistico, così chiuso e ovattato del partito comunista, è quello che ha portato con più determinazione e convinzione una polemica contro l’estremismo e questo lo ha fatto attraverso vari capitoli, che ha ricordato poco fa, anche Crespi. In particolare vorrei ricordare brevemente alcuni capitoli fondamentali. Tutto il capitolo degli anni trenta, questa storia segreta del partito comunista, poi la vicenda della resistenza, è importante la polemica che fatto all’indomani della caduta di Mussolini all’interno del gruppo dirigente appena ricostituito, dove non c’era ancora Togliatti, la polemica che fece con Longo e con Secchia, con coloro che volevano creare una “via” jugoslava, cioè un via in cui comunisti facessero tutto da soli. La rivendicazione di tenere unito il fronte della resistenza e soprattutto la concezione della resistenza non come resistenza rossa ma come resistenza tricolore. Poi si impegnò a fare chiarezza su degli episodi. Io ne cito uno, per esempio, l’attentato di Via Rasella. Dette lui l’ordine di fare l’attentato di Via Rasella, e fu lui messo sotto accusa nel CLN a Roma, dove venne sconfessato e dove fu solo grazie al liberale Manlio Brosio che non si votò formalmente un documento di condanna dell’attentato di Via Rasella. Ma quello che è importante di Giorgio Amendola, sono due riferimenti a questa vicenda: uno, che l’attentato di Via Rasella nasce prevalentemente per una polemica interna al partito comunista, tra Roma e Milano, quando in modo feroce, da Milano, Longo e Secchia contestano la passività, l’attendismo e Longo scrive: “non abbiamo notizie dei gap”, quasi a dire: vergognatevi non state facendo niente. Ed è all’indomani di questa contestazione dove Longo scrive “non abbiamo notizie dei gap“, che viene ideato l’attentato di Via Rasella. La seconda cosa che va ricordata a onor di Amendola è che ricorda la figura di Cordero di Montezemolo, il colonnello legittimista monarchico che animò la resistenza clandestina a Roma e che fu catturato e fucilato alle Fosse Ardeatine. Le Fosse Ardeatine sono una fossa comune per gli storici, soprattutto per i comunisti italiani. Nessuno ricorda che lì è morto, dopo essere stato torturato, il protagonista della rete clandestina di Roma, che era appunto non un comunista, ma il liberale monarchico, legittimista, colonnello Cordero di Montezemolo. E poi, vorrei, per concludere, citare l’importanza che ha avuto Amendola nel momento in cui, dopo la scomparsa di Togliatti e dopo la scomparsa di Kruscev, egli propone di cambiar nome al partito. Nell’ottobre-novembre del ’64, attraverso due articoli su Rinascita, dichiara che bisogna rendersi conto che quando una esperienza dopo mezzo secolo non riesce a concludere, bisogna riconoscere che è fallita; e dichiara il fallimento del comunismo, affiancandolo con una dichiarazione di fallimento anche della socialdemocrazia. Bisogna dar vita a un partito nuovo – dice – né socialdemocratico né comunista. Questo è un elemento di innovazione che però è stato cancellato dalla memoria. Voglio concludere con quello che è un messaggio, secondo me, importante di Amendola, cioè il suo fastidio verso le occasioni perdute. Non si può fare una politica sempre di occasioni perdute, lamentandosi delle occasioni rivoluzionarie sempre perdute, cosa che lo affiancava alla polemica che faceva lo storico liberale Rosario Romeo, con cui era esplicitamente d’accordo. Rosario Romeo usava l’espressione “la storia sbagliata”, diceva che la storia d’Italia è spesso vista come una storia sbagliata, o una serie di errori o per usare il titolo di un storico appunto dell’Isli, l’Italia come Paese mancato. Ecco questa è una cosa brutta che c’è in Italia; la cosa brutta è questa storiografia, che avvelena le nostre menti e avvelena soprattutto gli studenti; la visione che in Italia, dal 1944 ad oggi, le uniche cose positive che ha fatto il parlamento sono l’aborto e il divorzio. Salvo l’aborto e il divorzio non ha fatto niente, non c’è stata nessuna riforma, agraria, sanitaria, previdenziale. Secondo questi storici dell’Isli sono tutte illusioni riformiste e tentativi di restaurazioni capitalistiche. Che cosa c’è in Italia, salvo il l’aborto e il divorzio? Abbiamo le lotte, le proteste, i movimenti, gli scioperi, le inchieste giornalistiche, le inchieste giudiziarie, cosa abbiamo di positivo? Qualche libro, qualche canzone, qualche cantautore, qualche intellettuale ma soprattutto nel panorama economico abbiamo solo schioccar di frusta. Il panorama dell’economia italiana poi, per questi storici, è una vergogna. L’economia italiana è andata perché era un vagone dietro la locomotiva del capitalismo statunitense. Ebbene, questo è quanto di peggio c’è nella sinistra, ma non è tutta la sinistra, fortunatamente, in Italia, non tutta la sinistra ragiona così. Gli storici di sinistra ragionano così, invece quelli che sono per esempio degli storici dell’economia, come Amatori, Silva, sostengono che il capitalismo italiano non è stato solo restaurazioni, gente che ha affamato, ma c’è stata grande innovazione. Se noi siamo stati un grande Paese con grande innovatività è anche grazie a Vittorio Valletta, Adriano Olivetti, Oscar Sinigallia, Enrico Mattei, Raffaele Luraghi, Angelo Rizzoli. Noi perdiamo la testa di fronte a quello che è un patrimonio nazionale di coraggio, di creatività. Ecco io credo che il messaggio migliore della lettura e della conoscenza di Amendola è aver contrastato questa idea, che c’è ancora nella sinistra, di un’altra Italia che non ha potuto esistere contro questa Italia. Vediamo di uscire dall’altra Italia e vedere un po’ la storia nazionale come una grande storia che abbiamo avuto, dove appunto anche i comunisti ci sono stati, con le loro luci e ombre. Vorrei concludere veramente ringraziando Sandro Bondi e, ringraziandolo, ricordare una persona che purtroppo, per ragioni di salute, non è qui tra noi, spero per ragioni contingenti, ma che è un vostro carissimo amico e che è stato sempre molto presente negli passati e che ho contattato e che vi pensa sempre con grande affetto: Massimo Caprara.

MODERATORE:
Diamo la parola per le conclusioni al ministro Sandro Bondi. Grazie ancora Sandro, a te le conclusioni.

SANDRO BONDI:
Grazie a voi, scusatemi ancora per questo ritardo, mi dispiace molto non aver ascoltato tutto l’intervento dell’amico Finetti e anche il contributo che ha portato il Professore Angelo Crespi. Io credo che questo libro, questo nuovo libro di Finetti, sia un libro molto prezioso per capire non soltanto i passaggi, la storia, una parte della storia del partito comunista italiano, ma sia un libro prezioso per capire anche, per comprendere meglio gli avvenimenti politici più recenti del nostro Paese, naturalmente in particolare quegli avvenimenti politici che riguardano la sinistra italiana. La questione fondamentale, che è al centro di questo libro, è perché il partito comunista italiano non ha saputo, non ha potuto, trasformarsi nel corso della sua storia in una forza politica autenticamente socialdemocratica di stampo europeo. Questa credo che sia la questione essenziale, sottostante questo importante contributo alla storia politica del nostro Paese offerto da Ugo Finetti. Ugo Finetti, con questo libro e con altre ricerche storiche come sappiamo tutti, ha dato un contributo non irrilevante, molto importante anzi, a svelare gli errori di una certa storiografia di sinistra, di cui ha parlato poco fa, che ha dato una visione unilaterale, di comodo, della storia del partito comunista italiano. Quello che Ugo Finetti ha detto, nelle parole che ho ascoltato, è un tentativo fatto non da tutti, da una parte della storiografia italiana, degli storici di sinistra del nostro Paese ed è stato un tentativo che non ha portato fortuna alla sinistra nel nostro Paese, perché sarà banale dirlo, ma credo che vada ricordato specialmente a chi si dichiara di sinistra, che la verità è rivoluzionaria. Se si vogliono fare delle scelte nuove, se si vuole diventare qualcosa di altro rispetto a ciò che si è stati, bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, bisogna avere il coraggio di guardare il faccia la propria storia, di fare i conti fino in fondo con la propria storia, cosa che in Italia la sinistra non ha mai fatto finora, e questo problema è al fondo, a mio parere, di tutte le difficoltà in cui si è dibattuta e si dibatte tuttora la sinistra italiana. Non sono difficoltà di carattere politico o meglio le difficoltà di carattere politico, in cui si è dibattuta e si dibatte la sinistra nel nostro Paese, sono problemi di carattere culturale, cioè è il tentativo di non fare mai i conti con la propria storia. Questo ha portato la sinistra nel vicolo cieco in cui purtroppo si trova oggi, in questo momento, perché tutti i problemi politici con cui ha che fare e in cui si dibatte hanno un’origine e un carattere culturale, riassumibile proprio nel tentativo di travisare la storia, di vederla con le lenti dell’ideologia, oppure di guardarla con un tentativo di cambiare le carte in tavola, di fare apparire la storia del partito comunista italiano ciò che non è stata, di far credere che è stata una storia diversa da quella che è stata. Perché il partito comunista italiano non ha saputo trasformarsi in una forza politica socialdemocratica, in una forza politica socialista, riformista, perché fondamentalmente il partito comunista italiano non è stato come si è fatto credere durante un certo periodo della storia politica italiana? Io me lo ricordo personalmente, per la mia esperienza politica personale. Il partito comunista non è diventato, non si è trasformato in una forza politica socialdemocratica, perché non era vero che il partito comunista italiano era una forza politica socialdemocratica con una dottrina, con una ideologia rivoluzionaria, non era così. Molti storici e uomini di cultura hanno fatto credere che il partito comunista italiano in fondo, paradossalmente, era una forza politica moderata, riformista, come dimostravano anche molti modi di amministrare la cosa pubblica, in particolare in Emilia Romagna. Si voleva far credere che il partito comunista in fondo era una forza politica moderata, riformista che però manteneva una ideologia, una dottrina rivoluzionaria che cozzava, contraddiceva con la sua politica in fondo sostanzialmente moderata. Questa è stata la falsificazione storica, politica, culturale, perché in realtà non era così. Il libro di Finetti, ci aiuta a capire che cosa è stato il partito comunista prima del crollo del comunismo internazionale, prima dell’89, proprio attraverso la ricostruzione del rapporto tra Togliatti e Amendola. Il partito comunista italiano fino, forse oltre al ’89, è stato un partito comunista come tutti gli altri partiti comunisti europei, certo con le sue particolarità, le sue specificità, la sua autonomia, ma è sempre restato sostanzialmente un partito comunista con una ideologia comunista, con un politica che traeva ispirazione da una ideologia comunista e che in occasione di tutte le svolte storiche e politiche internazionali non ha mai, mai, mai, rotto sostanzialmente con il partito comunista sovietico. Questo è tutto quello che dimostra tutta la storiografia più moderna di questi ultimi anni. Penso in particolare agli studi, alle opere di Elena Garossi e di tanti altri storici, che hanno fatto vedere che il mito di Togliatti era appunto un mito che non corrispondeva alle scelte vere che Togliatti ha fatto dal dopoguerra in poi. Il partito comunista italiano era un partito comunista anche all’epoca di Enrico Berlinguer. Io sono convinto, assolutamente convinto, proprio perché avevo abbracciato la teoria del compromesso storico, che anche la teoria e la strategia del compromesso storico di Enrico Berlinguer non era una strategia e una politica moderata. Poteva apparire tale: l’idea di un governo con la Democrazia Cristiana, che cercava di affrontare l’emergenza economica del nostro Paese, dell’Italia, poteva apparire un tentativo del partito comunista di diventare un partito riformista, socialdemocratico, non più comunista. In realtà se si vuole andare a vedere bene nelle idee, nella politica, nei valori di Enrico Berlinguer che sono stati una cosa seria, non una cosa da ridere, un cosa complessa anche, se si vanno a vedere queste cose, si vede che, nella sua concezione, la strategia del compromesso storico era il tentativo di realizzare la rivoluzione socialista in uno dei paesi nei punti più alti della democrazia occidentale. Questa è stata la concezione di Enrico Berlinguer, del compromesso storico, non una semplice politica di alleanza con la Democrazia cristiana per far fronte alla emergenza della crisi economica del Paese. Era una concezione che cercava, sulla base del pensiero di Gramsci, di Togliatti, appunto dell’esperienza del partito comunista, di realizzare in Italia, in Occidente, l’unico partito comunista, di realizzare una rivoluzione socialista in un paese democratico. Questa è stata la strategia del compromesso storico, che appunto presupponeva e si fondava sulla convinzione che non si potesse governare con la maggioranza relativa, ma che occorreva una maggioranza assoluta, del più del 50% per poter realizzare riforme di struttura, riforme socialiste in un paese democratico dell’Occidente. Questa è stata, almeno come l’ho rivista io, la politica del partito comunista nell’epoca di Enrico Berlinguer. Poi certo c’erano anche delle cose positive. Purtroppo il dramma della sinistra italiana e del partito comunista italiano è stato che, almeno come lo vedo io, gli epigoni del partito comunista italiano molto spesso hanno messo da parte le cose positive di quella storia e hanno mantenuto solo le cose negative, perché in quella storia – non è più il momento di riprenderla – ci sono state tante cose positive; penso ad esempio soltanto al rapporto col mondo cattolico, che da Gramsci, Togliatti, Enrico Berlinguer è stato un punto di riferimento fondamentale della storia del comunismo italiano, il rapporto col mondo cattolico visto come un lievito positivo del rafforzamento della democrazia e di una politica di cambiamento, di modernizzazione, di rinnovamento del Paese. Questo punto, ad esempio, paradossalmente, nella storia successiva fino alla fine del partito comunista è stato quasi totalmente abbandonato, fino a giungere ad un laicismo esasperato, ad un laicismo, per certi aspetti, quasi anticlericale che oggi sembra dominare la sinistra italiana, sia nella sua componente riformista, sia nella sua componente radicale e comunista. Questo ad esempio è un punto che io non ho mai compreso: come è stato possibile che la sinistra italiana, la sinistra che è nata dal partito comunista italiano, abbia abbandonato questo punto di riferimento, questa stella polare del dialogo, del confronto, della collaborazione col mondo cattolico, per giungere ad una posizione laicista, addirittura finendo per acquisire una politica, una cultura radicale, fondata sull’individualismo libertario, tralasciando tutta quella cultura propria del partito comunista italiano che si fondava su un tentativo di dialogo con il mondo cattolico? Questo è un punto, ad esempio – qui l’affronto appena – che faceva parte delle cose, se possiamo dir così, buone di quella storia che sono state abbandonate, mentre altre cose, meno positive di quella storia, sono state mantenute dagli epigoni della storia del partito comunista italiano. Un’altra cosa che è stata abbandonata .. e qui un cenno ad Amendola. Io ho conosciuto Amendola in una occasione particolare e mi ricordo che mi colpì molto anche allora, il fatto che disse, si rivolse ai giovani comunisti e disse –e lo disse in un modo burbero, con cui alle volte lui si rivolgeva non soltanto ai giovani, ma anche ai dirigenti del partito molto forti-: voi non studiate più, voi non siete più in grado di capire la realtà, di comprendere la realtà, di studiare la realtà, voi non capite la realtà perché non studiate più. Questo disse ai giovani. Oggi si potrebbe dire la stessa cosa della sinistra italiana, che ha abbandonato perfino il metodo marxista, se possiamo dire così, il metodo marxiano, che in fondo si fonda sull’analisi della realtà (il marxismo potrebbe, nella sua componente economica, esser ridotto all’analisi della realtà, economica, sociale di un Paese). La sinistra oggi ha abbandonato anche questo metodo di lavoro, questo metodo critico di lavoro; non conosce più la realtà, non studia più, non conosce più neanche la realtà economica, in cui era specializzata la sinistra politica e la sinistra sindacale. Era specializzata nella conoscenza, nella lettura e nella conoscenza della realtà del Paese; oggi non conosce più questo! Se voi vedete, la sinistra italiana – questa è la cosa più sconvolgente per me – vede che i cittadini – io direi non soltanto quelli di destra, anche quelli di sinistra, tra virgolette – vogliono sicurezza: sicurezza nelle città, sicurezza nei luoghi di lavoro, di vita; oggi i cittadini italiani di destra e di sinistra non vogliono una immigrazione incontrollata, vogliono una immigrazione controllata, come avviene in tutti i paesi del mondo. Oggi tutti i cittadini desiderano, vogliono, hanno l’esigenza, la speranza di una giustizia giusta, più efficace e più giusta. Oggi gli italiani, tutti, vogliono che nella scuola o nella pubblica amministrazione si premi il merito e non si premino coloro che non meritano (non voglio usare altre parole, fannulloni), ma vogliono premiare il merito nella pubblica amministrazione, nella scuola. Tutto questo la sinistra lo legge come razzismo o come fascismo addirittura, facendosi guidare, non dico da intellettuali (perché è troppo, ma uomini come Moretti, così..), facendosi guidare da queste personalità. Vuol dire che la sinistra non capisce più la realtà, non sa più vedere quello che avviene nel Paese, perché una sinistra non dico riformista, una sinistra, dovrebbe essere in grado di comprendere, le esigenza, i bisogni, la realtà, le speranze dei cittadini a partire dai cittadini di sinistra, i quali non sono meno preoccupati di noi dei problemi della sicurezza, dell’immigrazione, della immigrazione clandestina, dei problemi della pubblica amministrazione che non funziona, della giustizia! Non sono meno preoccupati di noi di questi problemi! Basterebbe ascoltarli, sapere cosa pensano, sapere di cosa hanno bisogno e invece si chiudono a questo ed etichettano tutto quello che vedono, quello che sembrano vedere come razzismo, fascismo, una democrazia che non c’è più, dimenticandosi che tre mesi fa, quando governavano loro, sembrava che tutto andasse bene. Questo non è serio, non è serio: pensare che un anno fa c’era la democrazia, c’era la pubblica opinione e l’anno dopo non c’è più perché è cambiato il governo.. questo non è serio, è una propaganda dozzinale, che non porta da nessuna parte e questo è il problema oggi della sinistra. Io ho ascoltato il congresso di Rifondazione comunista. Io sono rimasto colpito (io ho ascoltato anche alla radio – era ancora meglio alla radio, perché uno non è condizionato dai volti, dalle persone, ma ascolta le parole), ma si ascoltavano delle cose in cui si capiva che quelle persone vivevano, erano completamente staccate dalla realtà, erano preda di una allucinazione ideologica, cioè vivevano in un mondo di parole, di suoni, di fantasmi che non hanno più rapporto con la realtà, fino al punto di apparire quasi comici. Non so, ogni tanto si diceva bisogna socializzare la politica e politicizzare la democrazia, tutte queste cose che non capiscono più neanche gli operai, cioè neanche i militanti di sinistra, a parte quelli che vanno ai congressi, neanche loro capiscono più, non sanno più cosa significa ma capiscono almeno che queste parole non hanno più un rapporto con la realtà. La forza della sinistra un tempo era quella di legare la realtà alla cultura, almeno una certa forma di cultura. Questa è stata la forza della sinistra! Ma quando la sinistra usa delle parole che non hanno più alcun corrispettivo con la realtà, ecco la crisi della sinistra. È una crisi politica, ma prima ancora che politica è una crisi culturale e finché la sinistra non farà i conti fino in fondo con questi problemi, non risolverà mai i suoi problemi. Si illudono! E anzi io temo che più vanno avanti così e più c’è il rischio in Italia che non solo si veda la nascita di un partito riformista, ma che la sinistra veramente si frantumi in mille pezzi, in mille rivoli, in mille spezzoni, non riuscendo più a dare vita ad una forza politica popolare, di massa, riformista, forte, che rappresenti uno dei baricentri della vita politica italiana! Questo è il rischio che oggi c’è nel nostro Paese, io oggi vedo questo rischio. Io non ne parlo con gioia, con soddisfazione – potrei farlo – perché il fatto che non ci sia ancora oggi in Italia una vera forza politica riformista, è un problema che pesa su tutti noi, pesa sulla democrazia italiana, pesa sulla necessità e la possibilità di creare in Italia una vera democrazia fondata sull’alternanza di due schieramenti moderni, come c’è in tutti i paesi europei. Io parlo di queste cose con amarezza e con preoccupazione. Dopo il 1989 – e non voglio andare oltre – è chiaro che l’ipotesi di Amendola, l’ipotesi riformista, seppure non esplicitata come potremo pensare, una ipotesi “in nuce” riformista di Amendola, è stata abbandonata, non è stata più ripresa, se non a livello di testimonianza personale da un uomo come Giorgio Napolitano, l’attuale Presidente della Repubblica, ma non come ipotesi politica di cambiamento del partito. Dopo il 1989, anche con Occhetto questa ipotesi non viene più ripresa: Occhetto parla non a caso di partito democratico, non parla di partito socialista. C’è sempre stata la volontà di non diventare un partito socialista e questo problema, guardate, è arrivato fino ai nostri giorni, perché alle ultime elezioni che cosa è successo? E’ successo che Veltroni ha fatto una scelta politica coraggiosa – dobbiamo dirlo, ammetterlo – quando ha detto, prendendo atto dell’impossibilità di governare con Rifondazione comunista sulla base dell’esperienza di governo che era chiara a tutti, ha detto: “bisogna che noi fondiamo un partito riformista ed andiamo alle elezioni in maniera autonoma”. E’ stata una scelta politica, dobbiamo dirlo ancora oggi, coraggiosa, che avrebbe potuto dare vita finalmente, nonostante la sconfitta, ad una forza politica autenticamente riformista in Italia. Ma poi che cosa è successo? È successo che lo stesso Veltroni rifiuta l’alleanza coi socialisti, almeno quella forza socialista che era rimasta, che non aveva solo un valore elettorale, ma anche simbolico; rifiuta l’alleanza con i socialisti (anche in un modo abbastanza umiliante.. io ricordo le parole.. abbastanza dure…) e sceglie di allearsi con Di Pietro. Ma come si spiega questa cosa? Si spiega con un ritardo di carattere culturale, perché se non ci fosse stato un ritardo di carattere culturale, Veltroni non si sarebbe alleato con Di Pietro, sarebbe andato fino in fondo lungo la strada che aveva individuato, intuito, come quella di dare vita ad un partito che fosse autenticamente riformista. Purtroppo questa è stata purtroppo una occasione, una opportunità che è stata sprecata nella vita politica italiana. E io credo, adesso io non so, le cose si sono complicate adesso. Io penso però che noi dobbiamo continuare – questa è la mia opinione – nella ricerca di un dialogo, di un confronto, anche con la sinistra, perché io sono convinto che non si può dire che il dialogo è necessario un giorno, e il giorno dopo, di fronte ad ostacoli, a difficoltà, tornare alle vecchie contrapposizioni, demonizzazioni, delegittimazioni reciproche. Un Paese come il nostro non più vivere come sulle montagne russe: un giorno sei in alto, un giorno sei in basso.., un giorno c’è il dialogo, il giorno successivo c’è la contrapposizione, c’è l’odio fra le forze politiche. Io penso che, se il dialogo, il confronto è una necessità per il nostro Paese – e io penso che sia una necessità per il nostro Paese -, io penso che dobbiamo continuare a credere in questa possibilità e coltivarla, nonostante le difficoltà che ci sono state e continueranno ad esserci. Lo vedo su tante questioni, ma io penso che dobbiamo continuare a tenere la barra dritta rispetto alla necessità di un confronto diverso rispetto al passato, e a continuare a chiedere alla sinistra di confrontarsi sui contenuti, sul merito delle questioni, anche su tutte le questioni che ci sono. L’appello che vorrei fare alla sinistra: abbandonate la propaganda, il giudizio frettoloso, la demonizzazione, cimentatevi con i contenuti e vedrete che se ci cimentiamo sui contenuti, certamente avremo opinioni diverse ma il confronto politico sarà più utile per il Paese. Su tutte le varie questioni che si porranno – la giustizia o altre questioni -, se noi ci concentriamo più che sulle demonizzazioni, sui contenuti, io penso che alla fine qualcosa di buono arriverà; ecco, io penso che questo sia oggi quello che è utile non a noi, quello che è utile al Paese. Penso che questo Meeting è importante, perché ci aiuta sempre a capire non ciò che è utile a noi e alle forze politiche di cui facciamo parte, ma ciò che è utile al Paese, alle persone, e il Meeting ci aiuta molto in questo. E io spero che anche da questo Meeting le riflessioni, il confronto, le analisi come queste di oggi del libro di Ugo Finetti ci possano aiutare davvero a trovare delle soluzioni che aiutino il nostro Paese in un momento certamente non facile della sua storia.

MODERATORE:
In un minuto due punti per concludere. Diceva prima Finetti che il suo è un po’ un libro giallo. La storia del comunismo è un libro giallo, perché man mano che si aprono gli archivi o si ritrovano i nastri, improvvisamente ci sono nuove scoperte e abbiamo elementi in più. L’unica cosa che sappiamo fin dall’inizio è chi è il colpevole. E il colpevole, mi verrebbe da dire, è il comunismo, ma il comunismo in quanto ideologia, in quanto pretesa di un sistema di pensiero di ridurre l’uomo e questo lo rende, come diceva giustamente Sandro prima, incapace di guardare la realtà. A proposito di ideologia, ho sempre citato un vice ministro del governo precedente che, ad un convegno, disse: le piccole imprese sono un assurdo, al massimo si possono considerare un ammortizzatore sociale. Questo significa negare che ci sono 6 milioni di italiani che tutte le mattine si alzano per costruire il bene per sé, per la propria famiglia, per le persone che lavorano nell’azienda, per il territorio, per il Paese, perché il Pil lo fanno questi. Questa è l’ideologia che nega la realtà. Ma la realtà ha una caratteristica, è testarda e vince. La realtà vince sempre rispetto all’ideologia; l’ideologia vince per un po’, può sembrare vincere per un po’, ma poi la realtà prepotentemente emerge e allora l’invito che faccio a me e a ciascuno di voi è di tornare sempre alla realtà per poter essere protagonisti.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2008

Ora

15:00

Edizione

2008

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Incontri