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INTERGRUPPO SUSSIDIARIETÀ: LE RIFORME ISTITUZIONALI
Graziano Delrio, Capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei deputati; Mariastella Gelmini, Capogruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati; Giancarlo Giorgetti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; Maurizio Lupi, Presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Roberto Speranza, Segretario Nazionale di Articolo 1; Gabriele Toccafondi, Deputato al Parlamento Italiano. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
Intergruppo sussidiarietà: le riforme istituzionali
Graziano Delrio, Capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei deputati; Mariastella Gelmini, Capogruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati; Giancarlo Giorgetti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; Maurizio Lupi, Presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Roberto Speranza, Segretario Nazionale di Articolo 1; Gabriele Toccafondi, Deputato al Parlamento Italiano. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
GIORGIO VITTADINI:
Buongiorno, benvenuti a questo incontro dell’Intergruppo per la sussidiarietà che evidentemente oggi avviene in un momento strano. Strano perché c’è la crisi di Governo, una strana crisi di Governo, ma questo sottolinea l’importanza dell’incontro. Che in un momento di crisi, esponenti di partiti politici che hanno di fronte alla crisi, di fronte alle possibili maggioranze, alla scelta elezioni o non elezioni, una posizione diversa, sottolinea l’importanza di avere un luogo in cui sia possibile un dialogo che vada al di là delle divisioni. Il Meeting è stato espressione di questo dialogo, ricordo la visita di Napolitano qualche anno fa, ma poi questo dialogo è andato avanti in tutte le legislature. Quali sono i fattori che mettono insieme? Innanzitutto la parola stessa che è alla base di questo dialogo: la sussidiarietà. L’idea che pur partendo da posizioni politiche, ideologiche diverse, il nostro Paese si costruisca dal basso, attraverso una collaborazione tra forze politiche, perché questo aiuta contro l’impoverimento umano, economico e sociale del nostro Paese. Il fatto di avere a che fare con l’individuo isolato, di non costruire corpi intermedi, rende l’azione di tutti più difficile, anche l’azione politica. Di fronte a problemi di questo tipo ci vuole qualcuno che collabori, qualcuno che costruisca. Quindi questa parola sussidiarietà è un metodo con cui affrontare tutto. È come dire: valorizziamo il tentativo di tutti per costruire. Lo abbiamo visto anche negli ultimi anni: nessun problema che abbiamo davanti è affrontabile se non con questa costruzione. La seconda parola che aiuta questa cultura sussidiaria, è l’idea di sviluppo, cioè l’idea che il nostro Paese non può fermarsi. Deve costruire, deve lavorare, deve impegnarsi perché altrimenti rischiamo definitivamente di andare in serie B, di uscire dai Paesi più sviluppati. E da questo punto di vista, il lavoro dell’Intergruppo negli ultimi anni ha avuto alcuni punti fermi. Il primo – che è stato sempre il punto di riferimento e che è stato argomento di un incontro fatto a Firenze in cui era presente anche il ministro Bussetti quest’anno – è il tema dell’educazione, dell’istruzione. La debolezza di un Paese, personale e sussidiaria, è quando non c’è educazione, non c’è istruzione. La disoccupazione è soprattutto disoccupazione di non conoscenza. Il tasso di iscrizione all’Università è il più basso. Le difficoltà a costruire un sistema di autonomia e di parità nel nostro Paese è enorme, tanto è vero che, dal punto di vista del mercato del lavoro, il 37% delle imprese italiane ha difficoltà nel trovare lavoratori con la giusta competenza. L’ha detto l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, lo dice per la prima volta proprio in un incontro dell’Intergruppo, fatto su questi temi a Udine. E quindi è necessaria l’idea dello sviluppo sostenibile, che è uno dei temi sviluppati in questo Meeting, cioè di uno sviluppo che abbia a tema l’uomo. Non solo in termini ambientalistici ma in termini di tutto ciò che questo può voler dire: equità, giustizia sociale, ambiente. Questo sviluppo sostenibile è fatto di lavoro, che è l’emergenza del momento. Questa educazione, questa istruzione, questo sviluppo sostenibile, infatti, deve creare lavoro. Noi pensiamo che non possiamo saltare il lavoro e anche questo è stato un argomento dell’Intergruppo di quest’anno. Avete visto pochi giorni fa sul Corriere della sera, due proposte di legge nate dall’Intergruppo: una proprio sull’educazione inerente alle non-cognitive skills, cioè l’idea di sviluppare la personalità e e l’altra riguardante un’idea di sviluppo, di aiuto alle piccole imprese dal basso, che porti avanti il lavoro. Infine il quadro dove questo avviene: una possibilità di arrivare a riforme istituzionali che siano condivise. Se non c’è una condivisione, lo abbiamo visto negli ultimi anni, quello che avviene è che queste riforme avvengono, non avvengono, vengono smentite. Allora sussidiarietà come educazione, come sviluppo, come lavoro, come sostenibilità, come riforme istituzionali. Perché questo è attuale adesso? Perché qualunque sia la soluzione di questa crisi, prima o poi, elezioni o non elezioni, si dovrà arrivare a rispondere a questi problemi; e se non c’è nel Parlamento e nel Paese una condivisione, si va avanti a colpi e contro colpi. Invece almeno alcuni punti, pur nella dialettica democratica, hanno bisogno di una grande condivisione, di qualcosa che avvenga per un lungo periodo. Altrimenti chi ne soffre è il popolo. Allora da questo punto di vista oggi abbiamo degli interlocutori veramente di primo livello. Innanzitutto Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, che applaudiamo. Poi abbiamo Graziano Delrio, che è a Roma per il dialogo sul Governo e parteciperà via video, capogruppo del Partito democratico alla camera; Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla camera. Poi abbiamo Roberto Speranza, segretario nazionale di Articolo 1; Maurizio Lupi, presidente Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà; e Gabriele Toccafondi, deputato del Parlamento italiano. Do innanzitutto la parola a Graziano Delrio, che poi sarà impegnato nel lavoro di questi giorni, che ci parla da Roma. Grazie per la presenza.
GRAZIANO DELRIO:
Grazie a voi, buongiorno a tutti. Avrei voluto esser lì con voi ma abbiamo proprio una riunione alle 14 per un incontro tra i capigruppo delle delegazioni di Pd e Cinque stelle, quindi davvero non posso ovviamente esimermi dal partecipare qui a Roma a questo incontro. Grazie per l’occasione e per aver ancora una volta messo a valore il lavoro dell’Intergruppo della sussidiarietà e credo che le parole che ha detto il presidente Vittadini siano davvero molto giuste. Il Paese ha bisogno in questo momento di ritrovare uno spirito di coesione, uno spirito di lavoro comune, non tanto di alimentare divisione e odio, ma quanto di mettere a sistema e mettersi in ascolto delle intelligenze migliori, delle esperienze migliori che vengono dal basso. Perché se c’è una fragilità molto poco discussa del nostro Paese, è proprio quella della nostra società civile. Noi abbiamo bisogno di più protagonismo della società e lo dico in un momento in cui sembra declamato da parte di molti un ruolo dello stato sempre più forte, sempre più presente. Vivendo in un epoca di smarrimento, di fragilità delle relazioni familiari e sociali, di indebolimento di queste relazioni, si cerca un approdo sicuro. Ma l’approdo sicuro non è quello di uno stato sempre più protagonista, ma quello di uno stato che svolge il ruolo di facilitatore, di regolatore delle iniziative della società. E quindi le nostre proposte, anche come Intergruppo, vanno esattamente in questa direzione. Noi stiamo cercando adesso di fare un tentativo – lo dico perché l’amico Giancarlo Giorgetti, il suo tentativo l’ha fatto e poi ha preso atto che questo tentativo non dava i frutti sperati – anche noi stiamo cercando di capire se ci sono le condizioni per un agenda del Paese che sia un’agenda soprattutto dedicata al tema del lavoro, dedicata al tema della centralità del lavoro e della promozione del lavoro. Perché l’Italia è uno dei Paesi con il più basso tasso di occupazione, perché abbiamo il problema di incontrare le esigenze di una nuova impresa che si è sviluppata autonomamente nel nostro Paese in maniera bellissima, in maniera molto forte. Quindi il tema del lavoro vuol dire per noi, nell’agenda che vediamo, il tema dell’educazione, delle potenzialità, delle capacità delle persone prima di tutto, perché il più grande promotore del lavoro è l’uomo con la sua capacità di impresa, con la sua capacità di inventarsi cose nuove e anche di stabilire relazioni inusuali con le altre persone. L’Italia in questo è un Paese straordinariamente capace e ricco. Dicevo quindi il tema del lavoro vuol dire anche e soprattutto il tema che noi vorremmo in questo momento al centro di un lavoro potenzialmente comune, se si vorrà affrontare questo tema e se queste ore diranno che si può fare un tentativo vero per il bene comune. Vuol dire innanzitutto il tema di rimettere la parità salariale uomo-donna, la capacità di ridurre il costo del lavoro come priorità, come pilastro fondamentale. Io spero che questo dialogo che si sta avviando, non solo con i Cinque stelle, ma anche con altre forze presenti nel Parlamento, sia un dialogo che prescinda totalmente da ambizioni di comunicazione, e abbia invece l’ambizione di affrontare i problemi che le famiglie e l’impresa hanno visto purtroppo aggravate in questo anno. Perché certamente è stato un anno che non ha prodotto, dal punto di vista degli investimenti, dell’occupazione e una cresciuta di quelle aspettative che erano state annunciate. Io ricordo che il presidente Conte aveva detto che il 2019 sarebbe stato un anno bellissimo: una previsione quanto meno sbagliata. Siamo tutti molto preoccupati. Questa preoccupazione non deve farci perdere la speranza di costruire cose positive, cose nuove. Ed è con questo spirito che ci si avvicina. Io ho fatto proposte dall’opposizione a questo Governo, proposte ad esempio sull’assegno unico per i figli e la dote unica per i servizi per le famiglie numerose, che il ministro Fontana aveva visto con grande interesse, anche il ministro Di Maio – per dire che si può continuare a lavorare senza per forza demonizzare l’avversario, senza per forza pensare che quello che ritiene il nostro avversario sia dettato da chissà quali oscuri desideri. Io non sono per niente d’accordo con l’impostazione del ministro Salvini, rispetto però profondamente la sua idea, anche se non è la mia idea. La rispetto fino a quando questa idea sta nei limiti delle regole costituzionali, sta nei limiti e nei confini che sono stabiliti dalla convivenza comune ovviamente. Credo che questo sia molto importante oggi. Noi ci apprestiamo a fare un tentativo, che è un tentativo di lavoro comune, senza grandi presunzioni, sapendo che c’è un’emergenza da affrontare, che è l’emergenza di una crisi – che è una crisi non solo economica, mi permetto di dire, ma che è una crisi di fragilità del sistema paese complessivamente, che deve ritrovare spirito di unità, spirito di lavoro comune, capacità di coesione. Devono calare le accuse e le parole di odio e devono crescere parole positive, di incoraggiamento. Siamo tutti molto inadeguati ai compiti che abbiamo davanti, ma credo che se ci apprestiamo con disciplina e con capacità ad affrontarli, indipendentemente dal fatto che poi questo tentativo vada bene o male, credo che questa sia la strada giusta. E quindi vi ringrazio molto e mi scuso davvero per non poter seguire tutto il dibattito, ma sono davvero felice che ancora una volta approdiamo al porto di Rimini tutti quanti, per dare un segnale di disponibilità e di lavoro comune. Pur nelle grandi differenze, il dialogo è un piacere ed è un dovere, soprattutto per chi ha identità forti. Non dobbiamo avere paura delle nostre identità, ognuno ha la sua; importante è che queste identità vengano messe a disposizione per creare una convivenza più sicura e più pacifica e più fruttuosa per tutti coloro che vivono la nostra casa italiana, che è cosi ricca di straordinarie potenzialità. Grazie davvero quindi e un abbraccio a tutti e un augurio di buon lavoro a voi e a tutti i volontari che hanno servito e che stanno servendo il Meeting in questi giorni.
MARIASTELLA GELMINI:
Buon pomeriggio a tutti, grazie a Giorgio Vittadini, grazie al Meeting, grazie a Maurizio Lupi per questo incontro. Un amico del Meeting, Renato Farina, in uno dei suoi tanti e begli articoli, ha messo in evidenza come quest’anno forse il Meeting rischi di essere un po’ oscurato dagli eventi politici e dalla crisi di Governo. Io per una volta sono in disaccordo con Renato, perché ritengo che sia proprio in momenti come questi, particolarmente nevralgici e difficili per la vita del Paese, che la bellezza del Meeting splenda ancora di più, perché risulta essere un’oasi nella quale, lontano dai contrasti romani, dalle difficoltà che si stanno vivendo a Roma, si possa respirare un clima di confronto e di ascolto e dica un po’ quello che noi, forse, in maniera un po’ utopistica, stiamo facendo all’interno di questo comitato della sussidiarietà, questo Intergruppo per la sussidiarietà, che devo dire Maurizio Lupi porta avanti con il dinamismo che tutti gli riconosciamo e di cui gli siamo particolarmente grati. Quindi dico che la prima cosa che balza all’occhio è secondo me la necessità di uscire un po’ dal presentismo, dalla comunicazione esasperata, dall’ansia del consenso, per provare a dare una visione a questo Paese, per fare in modo che il futuro sia ancora un futuro di speranza e non una minaccia e proprio per questo credo che sia importante recuperare quello che è un pilastro del Meeting, ma anche del nostro manifesto, ovvero il valore della sussidiarietà. Noi siamo di fronte a un individualismo esasperato e ad una società atomizzata. Dobbiamo tornare, un po’ come ci insegna a fare il titolo di quest’anno, quel bel passo della poesia di San Giovanni Paolo II che dice che la nostra identità, la nostra essenza umana, culturale, intellettuale di persone si identifica e si costruisce in relazione con l’altro e allora, lontano da questa ansia individualistica di atomizzazione della società, noi proviamo anche con tutto il senso del limite, delle difficoltà, degli errori che si possono compiere, ad ascoltare e dialogare con i corpi intermedi, con l’associazionismo, consapevoli che la nostra personalità, la nostra individualità emerge in relazione con l’altro e all’interno di un contesto che può essere quello della famiglia, della scuola, dell’associazionismo e anche della politica. Forse se noi avessimo il coraggio di andare contro corrente e di pensarci come persone immerse in un destino più ampio di quello personale e individualistico e provassimo ad avere il senso del limite e quindi a recuperare la capacità dell’ascolto e del confronto con gli altri, riusciremmo a restituire anche una credibilità alla politica. Credo che oggi la difficoltà più grande per la politica sia avere consapevolezza che dalle difficoltà si esce insieme, si esce con la consapevolezza e l’umiltà di capire anche il proprio limite e le difficoltà nel trovare delle soluzioni. Abbiamo una fortuna che anche in questo momento difficile c’è un arbitro imparziale, una persona saggia ed equilibrata, un servitore delle istituzioni come Mattarella, che prova a dare un ordine a questa crisi e a valutare in maniera imparziale quale possa essere, nel rispetto della Costituzione, quindi nel rispetto del ruolo delle forze politiche, l’esito di questa crisi. Devo dire che, senza voler entrare nella contingenza del dibattito al senato, quello che un po’ mi ha colpito di questa crisi, è che con tutti i difetti che aveva il bipolarismo, che era sicuramente muscolare, però favoriva una contrapposizione tra visioni diverse di bene comune, tra visioni diverse della società, del Paese, programmatiche. Nel dibattito al senato, la sensazione che io ho avuto, non so se è anche la vostra, è di non trovarmi di fronte a delle visioni diverse, ma ad uno scontro quasi personale. L’intervento del premier Conte è sembrato un po’ un redde rationem, che può capitare anche all’interno delle nostre famiglie, ma che aveva veramente poco di politico. Allora questo mi fa pensare che, per portare avanti quei progetti che noi abbiamo inserito nel manifesto, e che fanno riferimento a una ridisegnazione del welfare, siamo necessarie delle maggioranze omogenee prima del voto. Ecco perché mi sento di dire che se vogliamo costruire un progetto che abbia la possibilità di durare per cinque anni, che possa essere un progetto coerente, lo sforzo della politica debba essere quello di riacquistare una terza via. Tra lo scontro muscolare e l’inciucio di palazzo ci deve essere una strada, secondo noi è quella delle elezioni, ma siamo dentro una democrazia parlamentare, è quindi corretto che se ci sono maggioranze alternative, emergano, purché quelle maggioranze siano solide e concrete. Oggi dobbiamo uscire dall’isteria del consenso, dalla preoccupazione del sondaggio, dalla battuta efficacie, dal convincimento quasi che la nostra identità non nasca in relazione con l’altro ma possa essere definita da un algoritmo, dal numero di like su Facebook o su Instagram e provare a recuperare una dimensione dell’ascolto e del confronto che non debba essere necessariamente scontro muscolare, ma nemmeno un accordo al ribasso. Questa è la sfida che noi abbiamo davanti. Io al momento non sto facendo nessun tentativo, né di conquistare nei i Cinque stelle né il Pd. Come Forza Italia penso che la strada maestra siano le elezioni, credo che la Lega sbaglierebbe a tornare con Di Maio, perché non penso che da lì’ nascerebbero buone proposte, buone riforme né in materia scolastica, né in materia di lavoro, né per quanto riguarda la crescita e lo sviluppo del Paese. Sono scettica rispetto alla nascita di maggioranze alternative. Credo che la via maestra debba essere quella del voto e se c’è un’emergenza, un’urgenza è quella di ricostruire uno spazio progettuale, programmatico e valoriale all’interno del centro destra, dove noi governiamo a livello regionale, a livello comunale. La direzione è quella di una sussidiarietà come metodo di un dialogo con i ceti produttivi, con i corpi intermedi, con le associazioni di categoria, con la famiglia che deve essere messa al centro, essendo il primo baluardo della società. Quindi tutto questo io lo vedo dentro un orizzonte di centro destra, che francamente mi spiace osservare un po’ rarefatto negli ultimi mesi, come effetto inevitabile di una maggioranza diversa al Governo del Paese. Se dopo 14 mesi, però, quel Governo del cambiamento si arresta e come penso non ci saranno maggioranze differenti, credo che sia importante restituire la parola agli elettori, dando però prima del volto alcune certezze, una visione precisa che, secondo noi, lo ha detto ieri il presidente Berlusconi uscendo dall’incontro con Mattarella dopo le consultazioni, deve essere un orizzonte di centro destra, un orizzonte ampio, con un centro destra coeso, unito, pur nelle differenze che esistono anche all’interno di questa coalizione. Noi, come Forza Italia, poniamo un paletto che riteniamo importante: il nostro europeismo, non perché ci piaccia questa Europa, il nostro è da sempre un europeismo critico, ma convinto. Noi riteniamo che la nostra strada, che la nostra patria sia l’Europa, che dobbiamo rigenerare rispetto a una stagione nella quale l’Europa sembra più l’Europa dei burocrati, l’Europa del rigore, un’Europa matrigna, lontana da quello che volevano che fosse i fondatori. Ci aspettiamo ovviamente da parte degli alleati delle risposte un poco più calde rispetto a quelle che abbiamo avuto negli ultimi mesi, perché siamo convinti che si debba partire dalla concretezza e la concretezza è fatta non solo dalla capacità di vincere le competizioni elettorali, ma di rimanere insieme con coerenza all’interno di programmi condivisi. A me pare, non so cosa ne pensiate voi, che dove governiamo la sfida del buon Governo il centro destra sia in grado di giocarla e spesso anche di vincerla e quindi mi auguro che in questo contesto così complicato non si vada verso soluzioni complicate, non si immaginino governi costruiti nel laboratorio dell’alchimista, né governi salvo intese, perché le intese devono nascere prima che il Governo si concretizzi. Mi auguro che ci sia invece la possibilità di riprendere a declinare quei temi che vedono in una ratio unica la loro ragione di esistere, ovvero la centralità della persona. Io credo che dobbiamo partire da lì, dalla consapevolezza che non è attraverso l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza, non è attraverso uno statalismo esasperato che si va lontano, che si fa in modo che il Paese esca dalla stagnazione in cui è immerso, ma è valorizzando tutte le energie, sprigionando tutto il talento, la competizione e anche la solidarietà che non è assistenzialismo. Il nostro orizzonte non è sicuramente la decrescita che di felice non ha nulla, è la crescita e lo sviluppo, lo sviluppo sostenibile come diceva Vittadini poc’anzi, quindi abbiamo davanti una grande responsabilità, una grande sfida, e questi sono i paletti dentro i quali il mio partito intende muoversi.
ROBERTO SPERANZA:
Si, grazie, buongiorno. Anch’io ritengo prezioso un momento di confronto tra di noi, in modo particolare in questo passaggio, ma direi più in generale, utile provare a superare un clima di odio, di scontro, di veleno che spesso si percepisce nell’arena politica e che viene proiettato poi purtroppo nella società. Io ringrazio Giorgio Vittadini per il lavoro fatto attorno a questo grande tema della sussidiarietà, come anche Maurizio Lupi che anima il nostro intergruppo, dove ci confrontiamo a partire da posizioni diverse e credo che ognuno abbia anche l’orgoglio della propria posizione politica. Del confronto bisogna avere paura se non si ha un’identità forte, quando si ha un’identità forte, si hanno le idee chiare anche sul modello di società. Io ritengo che il confronto sia sempre qualcosa di utile e di positivo. Il confronto ha fatto parte della storia politica di questo Paese. Se io penso al passato, se io penso al confronto tra parti politiche diverse, mi vengono in mente due giganti della storia di questo paese che sembrano così lontani dall’oggi, dalla cronaca di queste ore, che sono Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, due personalità straordinarie, che partivano da posizioni politiche molto diverse, ma che nell’interesse del Paese ebbero la capacità di dialogare, di confrontarsi e anche di produrre iniziativa politica con ricadute poi positive rispetto agli italiani. Io lo dico sempre a me stesso in Parlamento, io ho quarant’anni, ma sono deputato della Repubblica da sei anni, spesso ho la sensazione che non siamo all’altezza di quelle elezioni, non siamo all’altezza di quelle figure straordinarie, anche perché il modello di comunicazione nel quale siamo tende a deprimere il pensiero e valorizzare gli spot, gli slogan. La politica è ridotta a dirette che si fanno ogni tre ore su Facebook, a tweet continui e viene a mancare il pensiero e senza pensiero la politica muore. Lo stesso confronto senza politica e senza pensiero si riduce appunto a insulti e spesso a veleni, come quelli che ogni giorno fanno parte della nostra discussione e quindi io credo che questo intergruppo, questo tentativo, sia un tentativo utile, prezioso, soprattutto in questo tempo, in questi giorni, e particolarmente prezioso quando si parla di riforme, di come cambiare il Paese. Io penso che la Costituzione sia forse il simbolo di come il dialogo di forze politiche differenti possa produrre cose positive. Pensateci per un istante, la Costituzione non fu figlia di una parte politica che decise di imporla su di un’altra, ma fu figlia di una stagione memorabile della storia del nostro Paese, dopo la resistenza antifascista, in cui le grandi culture politiche italiane, nella loro diversità, nell’ascolto e nella loro capacità di comprendere le loro diversità, riuscirono a scrivere quel testo che per me è e resta il testo fondamentale: lì, c’era la cultura cattolico-democratica, c’era la cultura repubblicana, quella liberale, c’era la cultura della sinistra italiana, che è stato un pezzo rilevante della storia di questo Paese. Quella carta costituzionale è la cosa più preziosa che abbiamo, è per questo che quando si parla di metter mano alla Costituzione c’è bisogno di grande prudenza e grande attenzione, perché il lavoro di quegli anni, che ci portò all’approvazione della Costituzione, non va buttato a cuor leggero dentro un dibattito di scontro. Io ho avuto molta preoccupazione nell’ultimo referendum costituzionale, quello del 4 dicembre, perché sembrava più una rissa tra parti interessate a un tornaconto politico che una discussione su quella che è la Carta fondamentale di tutti noi. Oggi, noi stiamo discutendo della riforma costituzionale, in Parlamento vedremo che cosa avverrà, ci sono tre micro riforme, tre piccole riforme della Costituzione, che sono significative e io vorrei che su quelle tre micro riforme, per esempio, si potesse discutere serenamente, apertamente, fuori da vincoli di maggioranza, lasciando il Parlamento un po’ più libero anche rispetto alle divisioni del Governo. Una di queste, all’ordine del giorno in queste ore, è la questione della riduzione del numero di parlamentari, che è stato il primo punto che ieri Di Maio ha voluto proporre come base di una nuova agenda di discussione. Io penso che sia un tema vero e dico come la penso con serenità. Io penso che mille tra parlamentari, deputati, senatori, avevano un senso dopo la seconda guerra mondiale, quando l’Italia era frammentata, divisa, quando per andare per esempio dalla mia città, Potenza, fino a Roma ci volevano nove o dieci ore. Oggi, forse, mille parlamentari sono troppi e sarebbe un fatto positivo immaginare una riduzione. Attenzione, però, perché una riduzione del numero dei parlamentari, con una legge elettorale come quella che abbiamo oggi, causerebbe alcune distorsioni e allora se il tema è ridurre il numero dei parlamentari, va bene, ma contemporaneamente andrebbe immaginata e costruita una legge elettorale proporzionale, che consenta alle persone di poter avere una rappresentanza diretta. Questo è il primo punto non banale, una legge proporzionale che consenta di rappresentare i punti di vista diversi e anche di favorire un dialogo tra le parti. Poi ci sono altre due micro riforme, le tocco soltanto, una sul referendum propositivo, cioè dare anche ai cittadini il potere di proporre leggi, che poi il Parlamento è chiamato obbligatoriamente a discutere. Io credo che anche in questo caso l’idea non sia negativa, va però adottata in un contesto di rispetto della democrazia rappresentativa e della democrazia parlamentare. Poi c’è un terzo punto, di cui si è parlato molto poco, su cui c’è una sostanziale unità tra le forze politiche, cioè l’idea di dare sin dai 18 anni la possibilità del voto anche per il senato, perché oggi, come è noto, per il senato si può votare solo dai 25 anni di età. C’è una quarta riforma che voglio toccare soltanto in un istante. Queste tre che ho prima citato sono tre riforme costituzionali, perché cambiano la Costituzione, quindi sono delicate, fondamentali, toccano la carta che ci hanno lasciato i nostri padri, la generazione che viene appunto dalla resistenza antifascista che ha ricostruito l’Italia. Ma c’è un’altra riforma che secondo me è molto delicata e può avere un impatto in qualche modo sul nostro Paese, che è quella della autonomia differenziata. Anche qui c’è un dibattito complicato, difficile, a me è dispiaciuto fino ad ora che sia stato un dibattito quasi per nulla parlamentare, ridotto quasi a trattativa privata, tra i tre presidenti di regione che hanno promosso la autonomia differenziata e il Governo, che però ora è dimissionario. Io sono molto preoccupato su questo tema, io credo che la autonomia differenziata, se non viene fatta per bene, con prudenza e con grande rigore, partendo dalla individuazione dei livelli essenziali dalle prestazioni, rischia di essere un vero e proprio spacca Italia. Io la dico così, rischiamo un paese arcobaleno, un paese arlecchino, in cui regione che vai diritto che trovi e rischia di essere una vera e propria tomba per le regioni del mezzogiorno. Come vedete queste tre riforme costituzionali e questa quarta riforma di natura istituzionale hanno bisogno che la politica si parli, che la politica discuta, che la politica approfondisca, che trovi un pezzo di giustizia e di condivisibilità nelle ragioni dell’altro. Io penso che questo sia la nostra sfida. Se io mi siedo con l’idea che quello che penso è giusto, punto e basta e il mio avversario ha torto, punto e basta, è chiaro che non se ne esce e il Parlamento non funziona. Il Parlamento nasce per sviluppar altre dinamiche e per coltivare sempre l’idea del confronto. La parola inciucio che spesso alberga nelle nostra discussione, io credo che meriterebbe essere messa da parte. Io chiederei una sorta di moratoria sulla parola inciucio, perché in Parlamento si discute tra diversi, altrimenti non ha senso. Io non credo ad una idea per cui c’è qualcuno che deve avere pieni poteri e altri che devono stare lì solamente a fare il pubblico pagante o spettatore. Io credo fino in fondo nel confronto e oggi noi siamo una democrazia parlamentare e la democrazia parlamentare che cosa presuppone? Presuppone che in Parlamento si facciano i governi. Poi qualcuno mi potrà dire non mi piace questa Costituzione, voglio cambiarla, in alcuni casi è stato provato, in alcuni Paesi il popolo elegge direttamente il popolo del Governo, sono Paesi democratici. L’Italia non ha una Costituzione fatta così, in Italia i governi si fanno in Parlamento. E questo è avvenuto all’inizio di questa legislatura. La Lega e il movimento Cinque stelle hanno Governo per 14 mesi, non perché avessero vinto insieme le elezioni. Sono andati separati alle elezioni, hanno fatto una intesa parlamentare. Nessuno di noi ha detto inciucio e io penso che lo stesso rispetto, lo stesso atteggiamento lo si debba avere oggi alla vigilia di una potenziale discussione che vorrei dire molto complicata. Io non do nulla per scontato. Io sono tra quelli che pensa che il muro di incomunicabilità tra Cinque stelle e centro sinistra vada fatto cadere e non lo penso da qualche settimana. Tutti ricordate il 2013, io ero appena entrato in Parlamento, ero capogruppo del partito democratico e il segretario del partito democratico allora si chiamava Pierluigi Bersani. Forse ricorderete lo streaming con alcuni delegati del movimento Cinque stelle. Anche allora, qual era il senso? Qual era il tentativo? Era dire che se c’è un pezzo di italiani che ha dato fiducia a questo movimento che voleva cambiare le cose, poi uno può pensarla come vuole, bisognava provare a portarli dentro le istituzioni, perché tenere pezzi di rappresentanza fuori dalla dinamica democratica, è un errore. Allora io che cosa penso? Io sono rimasto di quella opinione. Ero nel 2013 dell’idea che bisognasse provare ad aprire un dialogo tra Cinque stelle e centro sinistra, ero nel 2018 tra quelli che aveva l’Idea che bisognasse riprovare a riaprire un dialogo tra i Cinque stelle e il centro sinistra. E in quella occasione, nel principale partito del centro sinistra che è il Pd, prevalse una opinione diversa. Lo ricorderete, fu Renzi ad andare in televisione a dire «no non si può fare». E l’esito è stato la saldatura tra la Lega e il movimento Cinque stelle sul Governo. È chiaro che su questo tavolo abbiamo idee diverse. Io ho stima, anche amicizia personale nei confronti di Giancarlo Giorgetti, che è una persona apprezzabile. Il mio giudizio è un giudizio drammaticamente negativo su questo Governo. Però ora la parola tocca di nuovo al Parlamento, la parola passa di nuovo al Parlamento e se dovessero verificarsi condizioni, io me lo auspico sinceramente, io vorrei un Governo di svolta. Su cosa? Su due questioni fondamentali. La prima è la questione sociale che è la grande questione di questo Paese. Ci sono ancora troppe disuguaglianze, bisogna mettere più soldi nella scuola pubblica, nell’istruzione pubblica, nella sanità pubblica, nessuno ne parla mai prossimi cinque anni vanno in pensione 45mila medici di medicina generale. Tra un po’, se non mettiamo soldi nella sanità pubblica, funzionerà che chi ha i soldi si potrà permettersi di curarsi come vuole, chi invece non ce li ha, avrà una sanità sempre più decadente. E quindi per me la questione sociale è la questione fondamentale. E poi c’è un secondo punto di cui dobbiamo avere il coraggio di parlare. L’Italia deve avere il coraggio della rivoluzione verde, di portare fino in fondo la sfida di una riconversione ecologica, su cui noi siamo ancora in pesante ritardo. E allora io non voglio aggiungere altro. Io penso che in questo passaggio non stiamo facendo una diretta Facebook o un giochino su Twitter, si tratta di fare il Governo dell’Italia e io penso che la serietà, il rigore, la necessaria consapevolezza della difficoltà di un passaggio del genere richiedano massima attenzione. Nei prossimi giorni, nelle prossime ore questo confronto andrà fatto con grande serenità. Io non sono sicuro che l’esito sarà positivo, ma sono sicuro che è obbligo di questo Parlamento provarci, non era un inciucio quello di prima, non è un inciucio la riunione che si sta facendo in questi minuti tra il primo e il secondo partito in Parlamento di queste ultime elezioni, che vogliono provare a costruire un intesa. E allora io non aggiungo altro, ma credo che il nostro lavoro sia solo all’inizio, credo che al Paese serva una politica che abbia una consapevolezza dei propri limiti. Ecco, se possiamo dare un contributo per costruire una stagione diversa, io credo che sia giusto avere il coraggio di farlo. Grazie.
GABRIELE TOCCAFONDI:
Grazie. Vorrei partire da un dato di fatto, non sfuggirà nessuno e qui ognuno di noi rappresenta partiti differenti, coalizioni differenti, molto diverse, che hanno una dialettica tra loro che si nota e non solo in questi giorni ma diciamo in questi mesi e soprattutto in queste ultime settimane. Quindi c’è una differenza oggettiva. È un dato di fatto, però è possibile un dialogo. Sia perché c’è una conoscenza umana personale, che innesta una dinamica umana in politica, in Parlamento. L’altro aspetto che ci accomuna e non è banale, è l’idea della importanza della politica. Non è banale, perché siamo in una fase di antipolitica militante. C’è chi ne fa un programma, stabile di anti politica e penso che anche la legge sulla riduzione dei parlamentari tout court, senza un contesto, senza una proposta di legge elettorale, vada in quella direzione e sia da rigettare. Idee diverse contrapposte ma in un dialogo, sono il segno di una politica possibile. È il compromesso che non è una parolaccia. La nostra carta costituzionale è stata un compromesso non al ribasso ma tra idee, culture, posizioni non diverse ma divergenti in alcuni punti, eppure è stato possibile. Quindi il tema del dialogo in politica, la posizione differente sono un valore. Difendo e difendiamo la politica, il senso del fare politica, del bene comune è il senso anche del dialogo che arriva in politica anche ad un compromesso e non mi limito a dire questo in virtù di nuove maggioranze, ma in generale. Dobbiamo ripartire da questo dato di fatto, da cos’è la politica e cos’è il dialogo in politica. Perché è stato minato questo aspetto che prima era naturale, scontato. L’importanza della politica e del dialogo non è scontato e servono lodi che possano aiutare in questo. Io ringrazio il Meeting di Rimini perché ha sempre ospitato il dialogo nella politica. E devo dire, l’Intergruppo è nato storicamente per questo, è ripartito un anno fa per questo e non a caso in un Parlamento molto diviso come quello di un anno e mezzo fa, eletto un anno e mezzo fa, più di duecento parlamentari hanno aderito all’Intergruppo per la sussidiarietà e hanno lavorato in gruppi tematici, sulla educazione, sulla scuola, sull’incontro di Firenze e non solo. Ecco io vorrei ripartire da questo punto, dal punto della scuola. Noi da subito abbiamo detto che l’educazione è uno dei punti fondamentali di lavoro. Mettere al centro l’educazione per noi ha voluto dire, nelle differenze che vi immaginate, declinare il tema sull’aspetto della struttura, della gestione. Abbiamo sempre detto che la scuola è tutta pubblica e si divide in statale e non statale. Ha la stessa identica dignità, perché svolge lo stesso identico ruolo, cioè accompagna i ragazzi nella crescita. Nelle differenze che ho detto prima, questo è stato un punto oggettivo, che tutti hanno sempre riconosciuto. C’è, c’è stata e ci sarà molta differenza sul come eliminare l’ostacolo principale alla libertà di scelta educativa, cioè quello economico, perché oggi in Italia non c’è reale e oggettiva, totale libertà di scelta educativa. Su questo abbiamo fatto tanti passi in avanti insieme. Come è stato possibile fare questi passi in avanti? Con il dialogo. Pur partendo da posizioni diametralmente opposte su questo aspetto, in questi ultimi anni, maggioranza e opposizione, Governo e Parlamento hanno fatto molto. È un compromesso? Sì! Non mi vergogno di dire che anche su questo, anche sull’aspetto della libertà di scelta educativa, è stato fatto qualcosa che va in quella direzione ma non risolve il problema. Ecco il senso della politica. Abbiamo declinato il tema della educazione anche sui contenuti. La scuola è il luogo fatto per i ragazzi. Sarà naturale, scontato, oggettivo, fa sempre bene ricordarlo, perché delle volte sembra fatto per altre categorie o per altro, per portarci altro. No, è il luogo di crescita dei ragazzi. La scuola deve puntar al meglio non alla mediocrità. Se deve puntare al meglio, qualità valutazione, merito sono concetti fondamentali. Certo, limitare, quasi abolire l’alternanza scuola lavoro non fa bene in tal senso, modifichiamola quanto si vuole, miglioriamola quanto si vuole, ma fa fare esperienza ai ragazzi, soprattutto ai ragazzi che scelgono un percorso scolastico ben preciso, fa bene a loro e al sistema produttivo italiano. La priorità è la formazione. Formazione di soggetti responsabili. Non è che tutto si può demandare alla scuola, per questo abbiamo parlato di educazione che non è solo scuola. C’è un Paese intero che educa partendo dalle famiglie. Però sentire questa esigenza di formazione di soggetti responsabili, è un dato di fatto. Sull’altro fronte Vittadini faceva riferimento ad alcuni numeri. Oltre due milioni di cosiddetti Neet non studiano, non lavorano, stanno lì, aspettano, sono il frutto più amaro di questo periodo di crisi e sono una sconfitta anche per noi. Per noi sistema scolastico, per noi genitori perché come dire, non hanno trovato ciò che cercano rispetto al percorso che hanno fatto. Abbiamo disoccupazione giovanile superiore al 30%, si è abbassata negli ultimi anni ma è il 30%. Abbiamo abbandoni scolastici attorno al 14%, si è abbassato negli ultimi dieci anni ma è il 14%. Negli istituti tecnici e soprattutto negli istituti professionali questa percentuale schizza in alcune aree del paese anche oltre il 30%. È un fallimento per tutti. In questo scenario, abbiamo Università che perdono iscritti, un terziario professionalizzante che non decolla e aziende che cercano ma non trovano. Non trovano perché non trovano i profili professionali adeguati, le competenze adeguate. Sul tema delle non cognitive skills, delle competenze relazionali, emotive, far fare esperienza ai ragazzi è fondamentale, perché la scuola è conoscenza e competenze, è apertura alla realtà, la scuola è istruzione ma è anche educazione quindi va ben oltre la scuola delle nozioni. Io difendo la scuola delle nozioni, ma non è solo quello il percorso educativo scolastico, non può essere solo quello, però le competenze relazionali servono al ragazzo per crescere. A scuola si diventa maturi, adulti, quindi serve la nozione, serve il congiuntivo, serve far i conti, la lingua straniera, ma serve anche una competenza che va oltre la nozione. Anche perché la personalità cresce quando la libertà è sollecitata, è allenata. Quindi si guarda la realtà e si giudica. La scuola non può tirarsi indietro. Solo che se è solo una scuola delle nozioni fa metà del suo lavoro. La proposta di legge che abbiamo condiviso insieme e presentato va in questa direzione. Come dire, non si limita a dire più alternanza scuola lavoro perché è divisivo in questo momento. Ma dice che la scuola non può essere solo la nozione. In questo Meeting mi hanno impressionato tre cose, tre aspetti che sono di aiuto all’Intergruppo, a noi che facciamo politica in questo momento storico. Il primo è il contesto. Se uno esce dal contesto, il contesto se lo crea. Realismo, cioè senso della realtà. È un concetto che rischiamo di perdere. Sui migranti, partire dal contesto non significa banalizzare, non l’ho mai fatto e mai lo farò, non significa dire viva la capitana o viva le Ong, non mi appartiene. Vuol dire, però, anche partire da chi sono i migranti. Sono persone. E a me ha colpito riprendere, riascoltare ciò che il Papa, papa Francesco disse a Lesbo nel 2016: “I migranti, prima che numeri, sono persone concrete, volti, nomi, storie”. Altro concetto non banale. Il metodo della ricerca mi hanno sempre insegnato è imposto dall’oggetto non dal soggetto. La realtà imposta dal soggetto rischia di diventare ideologia. Seconda parola e secondo concetto è coscienza. Ognuno risponde ad una coscienza. Nel contesto, nelle condizioni ideate ma ad una coscienza. In una mostra su Havel si parla di un ortolano che decide di non scrivere la frase del regime comunista sulle casette di frutta “proletari di tutto il mondo unitevi”. Ecco quell’ortolano risponde alla propria coscienza. Quindi la coscienza non è un tema da grillo parlante di Pinocchio ma un tema che ci riguarda assolutamente tutti. Oppure nella Firenze del 1400 costruiscono lo Spedale degli Innocenti, cioè l’orfanotrofio, che in quattrocento anni ha salvato ed educato mezzo milione di bambini, creato da privati, voluto dalla Chiesa e dalla Repubblica fiorentina. Questi rispondevano, nel loro contesto, nelle loro condizioni, alla propria coscienza. L’ultimo concetto è speranza, che è il test per rendersi conto se uno poggia su una certezza reale o su una categoria mentale, dialettica. È la stessa differenza che c’è tra il calcio mercato d’agosto e il campionato. Ad agosto abbiamo vinto tutti, io poi, abbiamo comprato Ribéry, abbiamo già vinto il campionato, tra l’altro abbiamo anche trattenuto Chiesa cioè noi siamo i più cattolici di tutti in Italia e non sventoliamo rosari. Ma la differenza è tra il calcio mercato d’agosto e poi il campionato. Ecco, la speranza è diversa dall’ottimismo, perché si è certi del senso di ciò che si fa e di ciò che si dice, non si è certi del risultato. Io ringrazio il Meeting perché ci aiuta, perché è fatto e vissuto da persone piene di speranza, non perché hanno certo il risultato, ma perché hanno certo il senso per cui fanno le cose. Grazie.
GIANCARLO GIORGETTI:
Buongiorno a tutti, credo che qualcuno di voi si aspetti che io parli della situazione di attualità, magari qualche sfumatura in fondo ce la metto, però prima di tutto farò alcune riflessioni di carattere generale sul tema della sussidiarietà, che si potrebbe, diciamo così, liquidare nelle formule classiche che ci ha insegnato la dottrina sociale della chiesa, se esistessero ancora esattamente gli oggetti di cui la dottrina sociale della chiesa parlava, ma tutto il mondo è cambiato e quella comunità naturale, che era un po’ il punto di riferimento, mi sembra abbondantemente sostituita da un’altra comunità, direi virtuale, che merita in qualche modo di declinare la sussidiarietà in un altro modo. Per chi come noi fa politica o comunque vive una realtà totalmente astratta dalla realtà stessa, molto spesso è difficile comprendere cos’è esattamente oggi la società. Dico questo applicato a tre dimensioni: l’economia, la società, la politica. In campagna elettorale, questa volta, durante le europee, hanno deciso di impostarmi la campagna elettorale visitando le aziende. E lì, visitando le aziende, ho trovato una realtà diversa rispetto a quella di cui io quotidianamente parlavo al Governo o nelle aule del Parlamento. La realtà dell’economia vera, di quelli che lavorano, inventano, vivono la dimensione del rapporto anche con i propri dipendenti o con il proprio imprenditore è ben diversa rispetto a quella che è descritta nei libri. E allora per chi è abituato a ragionare di vincoli, di mercati finanziari, caro Speranza, di salario minimo… Io ho l’impressione che rimanendo legati a questi concetti noi perdiamo la dimensione reale di chi oggi fa economia, impresa, di chi lavora in Italia. Io non ho visto in giro ovviamente non imprenditori, ma forse neanche lavoratori che chiedevano il salario minimo. Ora, questa realtà vera dell’economia vera, contrasta con un’economia di cui parliamo quotidianamente e di cui ignoriamo anche completamente l’esistenza. La classe politica che parla di economia, molto spesso non sa di che cosa parla, quindi non sa quali sono i problemi reali di chi tutti i giorni si confronta con mercati che non sono più mercati nazionali, ma mercati internazionali. La seconda dimensione è quella della società. E qui non dico che in campagna elettorale, ma ogni tanto capiterà anche voi che si organizzino le cene dei compagni di classe. Quando uno organizza la cena con i compagni di classe, trova di fronte la realtà per quella che è, perché non tutti sono stati fortunati ad andare all’Università, diventare deputati, diventare sottosegretari. No. La realtà in giro è molto, molto diversa. Allora, se continuiamo a parlare della sussidiarietà basata sull’individuo responsabile, sulla famiglia, sulla comunità, sul paese, sulla parrocchia, di che cosa stiamo parlando? Di che cosa stiamo parlando? Almeno la mia realtà, che è una di quelle più fortunate. Io vivo in una realtà territoriale fortunata: le famiglie non ne parliamo, va bene. Vedo grande solitudine, estraniamento, senza neanche punti di riferimento. I sacerdoti non ci sono più, sono stati sostituiti dagli psicologi. Io non ho niente contro gli psicologi eh, però mi sembra che se andassimo a fare delle statistiche forse è una delle professioni… E ci sono anche sacerdoti che vanno dagli psicologi e questo è un altro problema, anzi, oserei dire, forse questo è il problema. Caro Speranza è vero: mancheranno 45mila medici di base nei prossimi cinque anni, ma chi va più dal medico di base? Senza offesa per i medici di base anche qui presenti in sala. Nel mio piccolo paese vanno ovviamente per fare le ricette mediche, ma quelli che hanno almeno cinquant’ anni vanno su Internet e si fanno fare le autoprescrizioni su Internet, cercano lo specialista. Tutto questo mondo qui, questo mondo del medico di cui ci si fidava, è finito. Voglio dire che fortunato è colui che trova un punto di riferimento, che non rimane solo, che non ha una comunità virtuale a cui far riferimento in Internet, ma trova un corpo intermedio che è ancora vivo e vitale e che gli dà una dimensione di tipo comunitario in senso lato. Voi vivete una realtà che questo tipo di risposta la dà, ma la stragrande maggioranza degli italiani questo riferimento non ce l’ha. E la scuola è una dimensione fondamentale, di cui si parla poco. Terza dimensione: la politica. E qui veniamo al bello, o al brutto, perché poi farò un aggancio alla realtà di oggi, facendo il confronto tra due poli, fra il palazzo e la piazza. La piazza è social, troppo social, ma il palazzo è troppo a-social, ha completamente perso il contatto con la realtà. Chi vive il dibattito anche di questi giorni in Parlamento, ne ha piena consapevolezza, e farò riferimento ovviamente alle questioni di cui si parla adesso in queste ore e in questi minuti anche a Roma. E se non si riesce in qualche modo, nella dimensione politica, a riconnettere questa piazza social che ragiona di pancia, che non riflette, che non elabora, che non ha visione, se non la si riconnette in qualche modo alla politica di palazzo, che forse ragiona troppo ma di cose astruse, senza nessuna connessione con la realtà, è un grande problema. E diciamocelo francamente: questa dimensione di collegamento la Costituzione la immaginava nei partiti politici. Corpo intermedio. Ma dove sono i partiti politici? Dove sono questi strumenti che devono collegare la realtà, la società ai palazzi? E quindi dov’è la democrazia parlamentare se non ci sono più i partiti che collegano la società con i palazzi? Questo è il punto di debolezza del ragionamento di questi giorni? E allora i partiti tradizionali non ci saranno più, non possono esserci più, ma ci deve essere qualche altro modo dove in qualche modo si discute, ci si confronta, ci si scontra in termini dialettici, si formulano delle idee, si portano avanti delle visioni, delle suggestioni, dei miti, delle utopie. Perché altrimenti non c’è più nessun luogo dove questo si verifica, dove questo in qualche modo si elabora. E, per dirla anche in termini sovranisti, lo stato serve ancora o non serve più? Io potrei dire e l’ho sempre detto: meno stato c’è, meglio è. Anzi, in base alla dottrina sociale della chiesa: “lo stato intervenga soltanto dove già gli altri non ci hanno pensato”. E continuo a dire che meno stato c’è, meglio è. Ma attenzione. Il problema è: chi difende i popoli da soggetti che senza legittimazione e sfruttando la dinamica globalizzante, oggi di fatto hanno autorità, indirizzano, influenzano, stampano moneta e quindi paradossalmente si faranno beffe dell’euro e dell’Unione europea, altro che la Lega e questi qui che vogliono uscire dall’euro, no? E quindi forse lo Stato serve. Uno Stato sovrano in cui la sovranità appartiene ancora al popolo. Ma forse serve lì, non in mezzo alla società, in mezzo all’economia, nella scuola. Serve nelle istituzioni sovranazionali e anche in quelle dimensioni non istituzionali dove c’è in realtà effettivamente il potere, il potere però totalmente svincolato da ogni meccanismo democratico. Oppure, vinceranno loro, vinceranno quelli che non si confrontano mai né dopo un anno né dopo cinque anni con il corpo elettorale. Un passaggio sull’autonomia di cui parlava Speranza: mi ha colpito molto quello che hai detto. Prima eravamo lì e mangiavamo qualcosa e giustamente mi hai fatto notare: «Guarda che quando Salvini non sarà più ministro dell’Interno, non sarà più al Governo e sarà all’opposizione, il suo consenso al Sud sarà molto, molto inferiore». Questo è il problema. Dalle mie parti il politico, colui che è al Governo, è mal sopportato, in qualche modo sì, tollerato. Il problema dell’autonomia è proprio questo: che se il Sud non torna a essere responsabile delle proprie azioni, se non ha una classe politica che in qualche modo rende emancipato e libero il popolo che gli sta sotto, non riusciremo nel nostro intento. Non ci deve essere lo Stato mamma e il politico mamma. E finalmente anche al Sud dovranno votare e dovranno poter votare indipendentemente, anche se uno è alla maggioranza o all’opposizione, al Governo o non al Governo, se gli può fare un favore o non può fare un favore. Perché se no il Sud certo che non ne esce più. Secondo me il tema dell’autonomia che noi continuiamo a portare avanti, ha esattamente questo obiettivo: iniettare per quanto possibile anche nell’istituzione, nelle istituzioni politiche il principio di responsabilità che dovrebbe in qualche modo governare qualsiasi dimensione. In merito alle vicende odierne, chi ha a cuore la democrazia e la democrazia rappresentativa, non dovrebbe guardare con disprezzo l’opposizione. Io non guardo con disprezzo l’opposizione, io vado all’opposizione con grande fierezza, coerente delle cose che penso. Quello che mi disturba, anche tra coloro che in qualche modo poi a gran voce reclamano il principio della democrazia rappresentativa, è che in Italia, se tu fai una scelta di opposizione per coerenza sei un fesso, perché dovresti in qualche modo rinunciare alla tua coerenza e ai tuoi ideali e comunque stare al potere. E questa cosa qua non è una cosa positiva in una democrazia parlamentare, è una patologia. Perché oggi in Parlamento, lo sappiamo perfettamente, il minimo comune multiplo dei parlamentari non è quello di fare una discussione sulle grandi visioni, sul futuro, sul lavoro. È semplicemente mantenere per quanto più possibile quella posizione, quel posto. Io non uso il termine “poltrona” e non uso nemmeno il termine “inciucio”, perché in una democrazia parlamentare uno può cambiare idea, però non è possibile che la stessa persona che fino all’altro ieri ha votato tutta una serie di cose, dopodomani voti esattamente il contrario, perché evidentemente c’è qualcosa che non funziona, né nel termine “democrazia”, né nel termine “parlamentare”. Il Parlamento è un luogo, è un confronto di idee. Non è un posto dove in qualche modo una classe politica cerca di perpetuarsi a qualsiasi costo e per qualsiasi motivo. E per questo io, anche nel dibattito di questi giorni, a tutti quelli che in qualche modo dicono «boh, la Lega, Salvini ha fatto un grandissimo errore politico! Ma che cosa fa? Siete pazzi? Andate all’opposizione, fra quattro anni non vincete!», rispondo: «Scusate, se dopo 14 mesi, dove si sono fatte tante cose positive, a un certo punto uno dice “ma non abbiamo un metodo, non è possibile che facciamo discussioni infinite senza riuscire a produrre un risultato. O troviamo un altro metodo di confronto per produrre un risultato, oppure è meglio prendere atto di questo e in qualche modo mettere anche in discussione una posizione di potere”. È dire delle cose sbagliate? È dire delle cose senza senso? È essere stupidi politicamente?». Probabilmente nel dibattito politico italiano sì, ma in qualsiasi Paese del mondo, è semplicemente dire la verità. E quando si dice la verità non si sbaglia mai. Dopodiché che cosa accadrà? Siamo in una democrazia parlamentare. Non è esattamente la stessa cosa di un anno e quattro mesi fa, nel senso che noi e i Cinque stelle eravamo molto diversi, ma eravamo due forze di opposizione. Il Movimento Cinque stelle ha preso il 33% facendo campagna contro il Pd, che era al Governo, quindi mettersi assieme, secondo me, è un po’ diverso rispetto a quello che è successo per noi e il Movimento Cinque stelle. Staremo a vedere quello che si presenterà. Io dico che semplicemente ci deve essere un Governo che possa governare, che prenda delle decisioni. E quando tu ti rendi conto che quel modo di operare non produce delle decisioni, è giusto mettersi in discussione. Noi ci siamo messi in discussione. Se altri pensano di poter ricostruire un Governo che decida, che faccia il bene del Paese e non semplicemente dei parlamentari che in questo modo possono prolungare la loro permanenza lì, ben venga. Attenzione, però, a non sconnettersi con la realtà del Paese. Attenzione a non chiudersi nel castello e nel palazzo, perché io ho l’impressione – e non voglio agitare le piazze – che la gente veda questo come una manovra fine a se stessa. E la democrazia alla fine è sempre legittimazione popolare. E se non c’è legittimazione popolare, ma solo parlamentare, alla fine diventa molto, molto, molto complicato.
MAURIZIO LUPI:
Anche io intanto ringrazio gli amici deputati dell’Intergruppo, che quest’anno hanno lavorato insieme con fatica, con responsabilità, serietà e con le differenze che avete anche visto. Tra l’altro, permettetemi, manca Massimiliano Romeo, perché, essendo capogruppo della Lega al senato, credo che negli ultimi dieci giorni sia stato leggermente impegnato ed era il più giustificato di tutti nel passare un week end con la sua famiglia. Io lo voglio ringraziare perché stata una delle persone che più ha accompagnato, insieme alle persone che sono qui e agli altri che non sono stati invitati, il lavoro dell’Intergruppo. Io mi permetto di dire due semplici cose e intervengo per ultimo non perché voglia fare la sintesi e le conclusioni, ma semplicemente perché a me è stata data questa possibilità di poter coordinare i lavori dell’intergruppo. La prima è questa: siamo fuori dal mondo? Perché è inutile prenderci in giro, quello che noi stiamo facendo qui, nella lettura dell’opinione pubblica e anche dei giornalisti che ci stanno guardando, è: «Siete matti, siete fuori dal mondo, la politica, la realtà sono un’altra cosa, il Parlamento è un’altra cosa. Di che cosa ci venite a parlare, del dialogo? Cosa vi accomuna? Cosa state dicendo? Guardate cosa è successo». La cosa che mi ha più colpito, indipendentemente dal merito, è quello a cui 14 milioni di italiani hanno dovuto assistere la settimana scorsa in senato, nel luogo che dovrebbe essere il luogo più alto delle istituzioni. Un presidente del consiglio che attacca nel luogo delle istituzioni il suo vicepresidente del consiglio con cui ha governato per 14 mesi. Siamo alla follia! La prima cosa che io personalmente credo, è che invece il punto di ripartenza, anche rispetto alle cose che adesso ha detto Giancarlo Giorgetti su una società che è cambiata, è esattamente questo. La mostra su Havel, che invito anche i miei colleghi ad andare a visitare, tra l’altro la porteremo in Parlamento nella prima quindicina di ottobre, dice questo: la forza è ripartire dal cambiamento di sé, nonostante tutto quello che gli altri pensino, nonostante che tutti ti possano deridere, nonostante il fatto che nessuno ti possa seguire, inizia a cambiare tu, inizia a capire che il cambiamento della politica, del modo di fare politica deve partire da te, non cambiando le tue idee, non cambiando quello cui credi anzi, l’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà testimonia che se non c’è identità non c’è dialogo. Su che cosa ci confronteremmo se la pensassimo tutti uguale? Con Roberto Speranza mi confronto sul fatto che lo Stato debba occupare tutto, che nella sanità debba esserci l’invadenza dello Stato ma contemporaneamente lui mi sottolinea un problema, un punto reale, come dare dignità a tutti, come permettere a tutti di avere un diritto giusto a essere curati, accuditi ecc. Questo è un problema reale, il reddito di cittadinanza toccava un problema reale: come aiutare quelli che erano fuori. La risposta è stata totalmente sbagliata, perché la dignità passa attraverso il lavoro, non attraverso l’assistenzialismo. Questa è stata la negatività di questa politica e quella realtà di cui parla Giancarlo Giorgetti, di cui diceva Mariastella Gelmini, è la realtà di chi ti dice che non riesce a trovare giovani o meno giovani che abbiano un lavoro qualificato, un posto qualificato. Nel documento che abbiamo fatto dell’Intergruppo, pubblicato ancora quest’anno dal Corriere della Sera, che abbiamo intitolato “L’educazione sfida centrale anche per l’impresa”, il professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che ci ha aiutato, ha citato una nota secondo la quale il 27 per cento delle imprese italiane non trova un lavoro qualificato e allora qual è la sfida che abbiamo davanti? Continuare a dire questo, rimetterci in gioco. Iniziare a cambiare noi, iniziare a dire che ci si può confrontare, dialogare, non cercando tutto ciò che ci accomuna ma individuando quelle piccole cose, piccole o grandi, da cui ripartire assieme. E allora la proposta che è emersa e che abbiamo condiviso tutti, da Speranza fino a Maurizio Lupi, da Mariastella Gelmini a Massimiliano Romeo, da Toccafondi e anche da alcuni amici del Movimento Cinque stelle, è stata: perché non iniziamo a dire che la prima vera risorsa dell’impresa è il capitale umano, è la persona e non solo innanzitutto la macchina. Allora, per sviluppare la crescita di un’impresa abbiamo fatto la cosiddetta industria 4.0, cioè abbiamo detto che chi investe in macchinari, chi investe per il suo futuro, chi investe in ricerca deve avere il maxi ammortamento, l’iper ammortamento, e perché se un’impresa investe in capitale umano questo non gli può essere riconosciuto allo stesso modo con cui gli è riconosciuta la possibilità di avere un macchinario? Capitale 4.0 vuol dire che se io decido che un mio dipendente per sei mesi lo mando all’estero, non devo avere paura di perdere, ovviamente, un posto di lavoro o ad avere un costo in più, devo essere orgoglioso di aver investito su quello e quindi lo Stato mi riconosce il contributo che sto dando e quindi anche su quello posso fare l’iper-ammortamento o il super-ammortamento cioè il credito di imposta su quella cosa che sto facendo. Ho fatto un esempio per dire come dalla discussione e dalle diversità, si possono trovare punti in comune. Secondo esempio: la mediazione, il compromesso, lo diceva prima anche Gabriele, è fondamentale, è l’arte della politica, a condizione che non sia al ribasso. Se come diceva adesso Giancarlo, due soggetti politici fanno un contratto, ma a un certo punto questo contratto diventa quasi un baratto, io ti do una cosa a te e tu ne dai una a me e il bene comune viene dimenticato, è sbagliato continuare, bisogna interrompere perché non si fa male alla propria forza politica, si fa male al proprio paese. Dire queste cose non vuol dire spaccare, vuol dire iniziare a capire che se ciò che ti guida è l’idea di bene comune e questo è ciò che ci accomuna, questo ti indica una strada. Bene, l’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà afferma che il metodo della politica si fonda sulla stima dell’altro. Questo è un punto di riferimento da cui partire, indipendentemente dal fatto che legittimamente tu la pensi diversamente da me o che attui politiche che io non condivido. Non rinunciamo a questo, perché se si parte da qui si inizia a cambiare. Un’ultima battuta ovviamente sulla situazione di Governo. Io ringrazio ancora il presidente della Repubblica Mattarella perché ieri, con una chiarezza inequivocabile e anche con una durezza che gli è propria, ha chiarito qual è l’idea di istituzione e di bene comune. Ha detto che siamo un grande Paese e guardate che Mattarella ci ha messo la faccia quando ha evitato la procedura di infrazione per debito nei confronti dell’Europa, ce lo siamo già dimenticati. Mattarella ha detto: siamo un Paese sano e l’ha detto all’Europa e un grande Paese ha bisogno di avere una guida, una guida certa. Siamo una democrazia parlamentare, io su questo mi distanzio un po’ magari anche dalla riflessione di alcuni. Io sono convinto che sia una forza essere una democrazia parlamentare, non una debolezza, a condizione che non ti stacchi dal popolo e dalla gente, perché altrimenti l’azione della politica si limiterebbe soltanto alla ricerca del consenso. Un anno fa sei andato alle elezioni, hai preso il 32%, governi, magari fai delle cose che non piacciono, prendi il 5%, e allora cosa facciamo? Andiamo a rivotare perché in quel momento hai preso il 5% e quell’altro ha il 30%? Compito del Parlamento è la mediazione, compito del Parlamento è il Governo e quello dell’opposizione è stimolare chi governa e testimoniare che tu potrai fare meglio. Ieri Mattarella ha detto che è un’anomalia andare a votare prima, perché la Costituzione prevede che si voti ogni cinque anni, è evidente invece che si deve andare a votare, nel momento in cui il Parlamento dimostri di non poter funzionare, faccia degli accrocchi che non stanno in piedi, non si dia quella guida certa di cui il Paese ha bisogno. Troverete nel manifesto pubblicato dal Corriere della Sera e che abbiamo distribuito al Meeting, tre proposte di legge che speriamo, in questa legislatura si possano approvare all’unanimità, arle perché ovviamente sono state condivise: quella sul capitale 4.0, quella sull’educazione illustrata da Gabriele Toccafondi e quella sulla sostenibilità. Crediamo che il cambiamento inizi esattamente da qui, dal rimetterci in discussione e dall’idea che c’è bisogno di segni e di testimonianze. Havel diceva che “non esiste conflitto tra élite e popolo a condizione che l’élite non abbia la presunzione ideologica di guidare il popolo ma di segnare una testimonianza per indicare al popolo una strada e sollecitare la libertà del popolo”. Ecco questo è il nostro auspicio grazie.
GIORGIO VITTADINI:
Traggo due conclusioni ma dal punto di vista del Meeting, prendendo la provocazione di tutti i nostri interlocutori che hanno condiviso questi principi di sussidiarietà, fino ad arrivare a domandarsi cosa vuol dire il soggetto. Allora la prima cosa che voglio dire è che noi non diamo per scontato che ci sia più il soggetto. Non solo il soggetto dei corpi intermedi che è andato molto in crisi nella seconda Repubblica, ma neanche l’io, non è scontato che ci sia l’io. Noi non posiamo parlare della sussidiarietà, dei corpi intermedi e della democrazia, dando per scontato che ci sia un io, dotato di ragione e di volontà, di desiderio, di autocoscienza, senza pensare che questo io va ricostruito. Questo è il tema che abbiamo lanciato in tutto il Meeting attorno al titolo interpretato da Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, quando dice: “Il problema è la costruzione del soggetto”. Non solo noi ma chiunque deve domandarsi, dopo settant’anni di democrazia, quale è il soggetto umano che fa le azioni, che educa, che costruisce, che lavora. Educare è introdurre alla realtà, secondo una frase di don Giussani. Se noi difendiamo i principi, i valori irrinunciabili, senza pensare che qualcuno ci deve essere dietro a vivere un’esperienza, noi facciamo ideologia. Allora il nostro compito innanzitutto è, prima ancora della politica, che ci sia il soggetto che guarda a tutto e questo è un compito, una responsabilità. Se si dà per scontato, anche pensando di avere l’idea giusta, anche essendo credenti, si fa un errore clamoroso. Il primo compito è questa costruzione comune che nel Meeting si fa, dando le ragioni per cui uno si mette alle sbarre dei parcheggi e non vede il Meeting, per servirlo, dando le ragioni per cui uno costruisce una mostra, dando le ragioni per cui uno viene a un colloquio, dando le ragioni per cui tra di noi c’è un pluralismo politico ma dietro questo pluralismo ci deve essere una ragione, una volontà. È interessante vedere degli interlocutori politici che non solo in Parlamento ma anche in televisione non si sbranano ma danno delle ragioni diverse, rispettandosi. Perché cosa vuol dire? Che in questo caso c’è un soggetto. Allora il nostro primo compito è questa costruzione del soggetto che nasce usando non solo l’analisi, ma lo sguardo che si stupisce, che viene colpito, che segue qualcosa di vero, che segnala, perché se è solo l’analisi, l’analisi non porta speranza, l’analisi porta quello che c’è. Lo stupore, l’amore al vero, il vedere qualcosa di vero è ciò che mette in azione. E questo è il primo compito. Secondo compito: il 37% di studenti che non ci sono, ma guardate che non è scontato, non basta finanziare una scuola professionale. Ho sentito ieri sera Maddaloni, padre dell’Olimpionico a Scampia: non basta finanziare un centro sportivo, ci vuole un uomo che lì, senza niente, si metta dentro e tiri su un campione olimpionico in una palestrina che gli altri… Allora il problema è la costruzione di questo soggetto. Io vi invito a visitare, oltre la mostra di Havel, quest’area dove ci sono varie realtà: quelli che hanno fatto con Aslam qualcosa che ripara gli aerei, quegli altri che fanno il formaggio, quegli altri che fanno il parrucchiere. Che cosa è avvenuto in queste realtà? È nata la capacità di dialogare, perché i 37% che non c’è, non è solo perché non c’è qualcuno che gli insegni a fare il fresatore, ma perché non c’è nessuno che superi il muro dell’incomunicabilità con dei giovani. Capite che prima deve rinascere la passione, lo stupore, la voglia di sacrificio. Mi diceva un mio amico qui di Rimini, all’inizio del Meeting, che fa il frigorista, quindi mestiere che col caldo che c’è stato andava fortissimo, che aveva cercato faticosamente nelle scuole di Rimini qualcuno che lavorasse d’estate. Faticosamente ne aveva trovati due, uno era un albanese che lavora l’ira di Dio, l’altro era un italiano. La sera gli telefona la mamma dell’italiano e gli dice: «E no, ma mio figlio è arrivato con le mani sporche e poi ha lavorato fino a tardi, gli dai gli straordinari?» Non ha cominciato neanche a lavorare. Gli ha detto: «Signora, si tenga suo figlio». Capite che il problema è questo qui? Che non possiamo dare per scontato che ci sia la gente che faccia questo? Il nostro compito è questo qui. Ma non solo il nostro ma di tutte le realtà di base, perché per rifare i partiti ci vuole spirito ideale e noi non siamo per un ideale, perché è fondamentale che ci siano tutti gli ideali e ci sia una posizione ideale, perché il nemico è il nichilismo. Il fatto problematico è che nessuno abbia una posizione umana per costruire, per lavorare. Noi non possiamo rassegnarci. Penso che questo sia anche lo scopo dell’Intergruppo, evitare all’Italia il declino, lai serie B, perché voi capite che se c’è il declino non c’è più la sanità, non c’è più il welfare, non c’è più lo sport, perché i soldi da qualche parte bisogna prenderli, non è che si può fare l’assistenza sanitaria generale se non ci sono più soldi. Questo è un compito generale. Allora quello che è avvenuto qui e che vorremmo più avanti continuare è che tutti nostri interlocutori sono fondamentali, anche quelli che non ci sono ancora, perché noi vorremmo che nelle differenze abbiamo insieme questo spirito di costruire questo soggetto, di amare il nostro Paese, perché vorremmo che il nostro Paese, dialogando con gli altri, sia ancora un Paese, un grande Paese, dove l’io conti. Perché se c’è una cosa che si è vista anche in questo Meeting, anche rispetto ad altre culture, è che ogni io vale. Noi dobbiamo fare un Paese dove ogni io sia tutelato così. Grazie e buon lavoro
Trascrizione non rivista dai relatori