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INNOVAZIONE: UNA SFIDA A 360°
In collaborazione con Unioncamere. Interviene Antonio Tajani, Vice Presidente Commissione Europea, Commissario responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria. Partecipano: Marco Arzilli, Segretario di Stato all’Industria della Repubblica di San Marino; Giampiero Cantoni, Presidente Fondazione Fiera di Milano; Sergio Dompé, Presidente Farmindustria; Giuseppe Orsi, Amministratore Delegato di AgustaWestland. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.
BERNHARD SCHOLZ:
Buongiorno a tutti, e benvenuti a questo incontro, nel quale parleremo di innovazione. Un benvenuto particolare e un grazie per la loro presenza a Antonio Tajani, Vice Presidente della Commissione Europea e Commissario Responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria; Marco Arzilli, Segretario di Stato dell’Industria della Repubblica di San Marino, il senatore Giampiero Cantoni, imprenditore e professore per l’economia, oltre che Presidente della Fondazione Fiera di Milano, benvenuto. Sergio Dompé, Presidente di Farmindustria, e Giuseppe Orsi, Amministratore Delegato di AgustaWestland. Io vorrei introdurre questo incontro con una riflessione su una anomalia di due paesi che sono sempre rimasti con un export in termini positivi, che sono l’Italia e la Germania, e questo vuol dire che l’Italia è sempre stata capace di innovare, altrimenti non si spiega questa performance internazionale. Se invece guardiamo le classifiche classiche dell’innovazione, noi vediamo che l’Italia non brilla proprio, e questa è una contraddizione, che in parte dice che tante classifiche poi trovano il tempo che trovano, però c’è dentro un’osservazione molto acuta, che l’Italia è campione mondiale di quell’innovazione che possiamo chiamare “innovazione incrementale”. E’ l’innovazione fatta dalle piccole-medie imprese, che vuol dire un miglioramento continuo di prodotti e di processi, senza però poi rispondere ai criteri di investimenti in ricerca, di brevetti, di relazione tra sviluppo e PIL, cioè secondo i criteri classici. Infatti in Italia abbiamo delle eccellenze nella grande industria innovativa, perché lo vedremo dopo con le due persone che sono alla mia sinistra, e poi parleremo anche del supporto con Cantoni, però solo per dire che abbiamo un altissimo livello di eccellenza della grande industria, e poi però abbiamo un’innovazione molto diffusa che non viene percepita con le solite ricerche economiche, e che però è la spina dorsale di questo Paese, poi vedremo più avanti anche quale relazione esiste tra i due fattori. Allora, io vorrei cominciare questo incontro con l’Amministratore Delegato Orsi. L’AgustaWestland è famosa a livello mondiale per i suoi elicotteri, che sono molto apprezzati anche dalla Casa Bianca, come sappiamo. Questa è un’eccellenza italiana, qual è allora, questa è la domanda, qual è allora il segreto che ha portato un’azienda come la vostra a diventare così riconosciuta a livello internazionale? Perché, una premessa ultima che voglio fare è questa: tutto quello che si vende e che trova un riscontro positivo sul mercato non è mai niente di scontato, ha sempre dietro idee, impegno, motivazione, ricerca, organizzazione, processo. Dietro ogni cosa c’è un mondo che non si vede, ma che sta a monte di tutto quello che poi noi vendiamo sul mercato, e noi oggi vogliamo capire quali sono questi fattori a monte che permettono poi di essere competitivi a livello internazionale.
GIUSEPPE ORSI:
Grazie. Innanzitutto è un piacere essere qui, e lo dico come premessa, perché si aggancia a quanto dirò dopo, e per me è una conferma, vedendo in giro i giovani, i volontari, sapendo che spendono una settimana del loro tempo, e in più pagano una settimana di vacanza per organizzare, per partecipare, per assistere a questi dibattiti. Beh, io dico che finché ci sono questi ragazzi l’Italia è un Paese che non potrà fallire, e ringrazio, quindi e poi vi parlerò dei giovani di AgustaWestland, prima ho visto un papà, dei giovani di AgustaWestland, perché veramente sono la mia carica di fiducia quotidiana.
Lasciatemi dire intanto quanto condivida anche il titolo del Meeting, e quanto lo ritenga direttamente collegato all’attività industriale. Nessuna industria può crescere se manca il desiderio di fare cose grandi, e per fare cose grandi ci vogliono impegno e passione, l’impegno che viene dalla razionalità, la passione che viene dal cuore; senza queste due cose non si farebbero cose grandi, non si farebbe industria, non avremmo il successo che, dicevo prima, l’Italia ha nel mondo. Sono due riferimenti che io ho sempre mantenuto nella mia vita professionale. Quindi razionalità, passione, cuore. L’impresa rappresenta sicuramente l’istituzione economica sociale più nota per creare e distribuire ricchezza, e certamente è quella più utilizzata. L’innovazione è ovviamente alla base dell’esistenza dell’impresa, e quindi è un’innovazione che abbraccia a 360°, ed ecco il titolo poi, è una sfida a 360°, tutta la nostra attività. Ma l’innovazione è anzitutto pensiero, che elevando il concetto di conoscenza attuale, perfeziona un processo che ha come ultimo scopo quello di migliorare il tenore di vita dell’uomo. Innovazione è il cambiamento che genera un progresso umano, portando con sé valori e risultati positivi, e solo positivi; è solo la distorsione dell’innovazione, o la sua derivata negativa, che a volte ci fanno dire che forse era meglio un mondo non rinnovato, ma se noi prescindiamo o ci allontaniamo dalla distorsione delle derivate negative, allora ci convinciamo che innovazione è il modo migliore per rendere la vita dell’uomo più facile. L’innovazione può riguardare tante cose, un processo di produzione, un servizio, la creazione di un oggetto artistico, una tecnica medica, una nuova musica, su tutto si può fare innovazione, anche se generalmente è collegata alla parola “tecnologia”. Penso che poi il professor Cantoni ci parlerà di innovazione anche della finanza. E’ chiaro che io vi parlerò di innovazione legata invece alla tecnologia, al fatto industriale. E quello, la tecnologia che deriva dall’innovazione, è quello che consente di migliorare le condizioni di vita della persona; la tecnologia se ben impiegata fa guadagnare terreno nel cammino verso la gioia di vivere. Infatti la tecnologia libera sempre più l’uomo da vincoli che ne condizionano lo stato fisico, materiale, culturale, spirituale; un classico esempio di innovazione è quello che consente di ridurre i tempi di lavoro pur migliorando la qualità e certamente la qualità del prodotto che viene fatto, liberando così spazi temporali che l’uomo può dedicare ad altre cose, all’aumento della conoscenza, all’approfondimento dei rapporti sociali, all’impegno sociale, al perfezionamento spirituale, a quanto state facendo voi qui in questa settimana. Motore dell’innovazione è in questo caso l’etica, è il desiderio sincero forte di servire l’uomo nella sua essenzialità, che a mio parere è lo stimolo più importante. Se non c’è uno stimolo etico anche l’innovazione sarebbe di minore efficacia. Ma cos’è l’innovazione? Io la definisco un’esplosiva miscela di impegno e di passione. L’innovazione non è un meccanismo completamente razionale, è in gran parte un meccanismo di sintesi che passa attraverso una grande quantità di aspetti, anche irrazionali. Ci si deve innanzitutto innamorare di un’idea, a me è successo e ve ne parlerò dopo. Quasi sempre ci si butta nella realizzazione di qualcosa che è obiettivamente improbabile, e quindi molto challenging; se uno pensa prima a tutte le difficoltà che ci sono e guarda razionalmente il problema, rischia di non iniziare mai, ed è qui che interviene il cuore. Non è molto diverso dalla decisione di avere un figlio: se uno pensa a tutti i problemi che potrebbero nascere, “andrà bene, andrà male”, l’educazione, cosa succederà in futuro, non lo farebbe mai. La stessa cosa per l’innovazione; uno deve pensare un’idea, ed ecco perché quando c’è un’idea innovativa si dice “è figlia di”, perché nasce innanzitutto da un atto d’amore, mi innamoro di qualche cosa, voglio farlo. Tutte le avventure economiche, grandi e piccole, nascono dalla intuizione che un’idea contiene in sé una grande possibilità di sviluppo, una promessa, e la gran parte delle innovazioni portano benefici non solo per le persone o le imprese che le realizzano, ma per tutte. E questo è anche uno dei messaggi della Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, di percepire un’unità tra la propria attività e il cammino umano. Innovazione quindi come valore personale, aziendale e sociale è intimamente corrispondente alla natura umana, al desiderio di essere protagonisti, e per tornare al titolo del vostro Meeting, al desiderio di fare cose grandi. Io provengo da AgustaWestland, però lasciatemi dire innanzi tutto che AgustaWestland è una fabbrica, e lo dico rinforzando quanto ho sentito ieri sera alla televisione e che la Marcegaglia vi ha detto ieri: l’Italia è il secondo Paese industriale d’Europa. Abbiamo, dicevamo prima, una cultura del prodotto che molti ci invidiano, abbiamo la cultura della fabbrica, abbiamo la cultura del saper fare. Non lasciamoci prendere dalla sirena dell’Italia come centro di servizi, o meno che meno dell’Italia come la Florida degli Stati Uniti, o la Florida dell’Europa, così faremmo la fine dell’Inghilterra e senza nemmeno avere il petrolio del Mare del Nord. L’Italia è un Paese industriale, e industriale l’Italia deve rimanere. Dalle fabbriche italiane escono prodotti di grande tecnologia, che vanno sul mercato nel mondo, e non c’è nulla di tossico nascosto nei prodotti che escono dalle nostre fabbriche; pensate, ragazzi, quando farete la vostra scelta professionale.
E veniamo all’industria del settore aeronautico. Si deve immaginare il settore aeronautico, parlando di innovazione, si deve immaginare il futuro prima dei concorrenti, progettarlo e realizzarlo in anticipo prima che gli altri lo facciano, l’innovazione quindi è il nostro pane quotidiano. In AgustaWestland i numeri parlano chiaro, investiamo in ricerca e innovazione circe il 15% del fatturato, e nonostante la crisi nel 2008-2009 il trend di questo valore è addirittura cresciuto. Su 10.000 dipendenti, 14.000 se contiamo i polacchi della società che abbiamo recentemente acquisito, 1.500 rispetto ai 10.000 sono ingegneri, sono impegnati nello sviluppo del prodotto, e lo sviluppo del prodotto non è solo limitato, e il concetto di sviluppo del prodotto trascende la parte di engineering dalla parte di disegno perché entra poi nella produzione del supporto: tutto è innovazione, tutto è sviluppo. Tralascio i numeri, se poi siete interessati a dati su AgustaWestland nel padiglione di FidelMeccanica abbiamo la possibilità di darvi tutti i numeri che volete, posso solo dirvi che negli ultimi sei anni AgustaWestland è stata continuamente in crescita con un cargo del 5%, un anno sull’altro e continua a crescere, è cresciuta l’anno scorso durante la crisi, e prevediamo che crescerà anche quest’anno. L’8 maggio di quest’anno il Presidente Napolitano ci ha conferito il Premio Nazionale Innovazione, a conferma della capacità di Augusta Westland di sviluppare soluzioni tecnologiche all’avanguardia nell’industria del settore. Settore in cui vantiamo una lunga e consolidata leadership a livello mondiale. Facciamo i migliori elicotteri del mondo; non per niente vi ricordo che è stato scelto e sarà ancora scelto dalla Presidenza degli Stati Uniti, non dal Presidente ma dalla Presidenza. Siamo presenti in tutti il mondo, siamo una società globale, ieri Tremonti ci ha detto quali sono i rischi delle società globali, noi ci riteniamo una società globale perché noi sviluppiamo, ricerchiamo, costruiamo, vendiamo in tutto il mondo. Noi oggi abbiamo ricerche in India, abbiamo ricerche in Cina, abbiamo fabbriche in Russia, veramente ci riteniamo una ditta globale, soltanto il 10% del fatturato di AgustaWestland è in Italia, il resto è nel mondo, tuttavia le radici sono in Italia. Stamattina da Marchionne si è vista l’immagine con le radici, bene noi diciamo lo stesso, noi abbiamo le radici, pensate al territorio italiano e che consentono poi di sviluppare le chiome in tutto il mondo. Ma uno dei prodotti esprime l’idea di cui ci siamo innamorati, e lo dico in senso completamente consapevole della difficoltà di qualche anno fa, quella del convertiplano. Il convertiplano è oggi il simbolo più evidente, non necessariamente il più difficile, ma sicuramente quello più evidente della capacità di AgustaWestland di innovare. Rappresenta l’inizio di una discontinuità nello sviluppo del nostro prodotto, l’elicottero, di un break assoluto tecnologico che rafforzerà la nostra leadership. Si tratta del primo convertiplano costruito in Europa, un aereo che non ha bisogno di pista per decollare, un elicottero che può andare alla velocità e alle altitudini di un aeroplano; con il convertiplano superiamo i limiti tecnologici invalicabili dell’elicottero. L’aereo ha permesso di restringere il mondo, l’elicottero ha permesso di potersi alzare partendo da qualsiasi punto e fermarsi in aria: il convertiplano riunisce tutto questo in un solo mezzo. Il convertiplano impiega meno di un minuto per passare da un assetto all’altro, è questa capacità legata alla tecnologia sviluppata oggi, quindi all’elettronica. Qui questi sviluppi tecnologici che noi in parte abbiamo fatto insieme ad altri, li abbiamo convertiti su un prodotto che riteniamo in futuro potrà essere di grandissima utilità sociale. E proprio per questo facciamo i prodotti, ma a cosa servono i prodotti – e trascuro un attimo la parte militare – se non consentono di fare poi, o di trasformarsi in un beneficio per tutta la società, magari per mancanza di infrastruttura? Cosa ce ne facciamo di elicotteri e convertiplani che oggi possono collegare Milano e Rimini in un’ora, ad un prezzo equivalente a quello di un aereo di linea, o equivalente di un taxi, se non lo possiamo fare perché non ci sono le infrastrutture? Allora ci siamo posti il problema: non dobbiamo soltanto preoccuparci di fare quei mezzi che corrispondono allo scopo della nostra azienda, ma quelli che consentono l’utilizzo ai fini e a beneficio di tutta la società. E allora qui si fa l’inviluppo delle cose, siamo i migliori nel prodotto ma dobbiamo anche essere i migliori nell’utilizzo del prodotto, in modo da poter fare quel ciclo virtuoso che ci consenta di sostenere con l’utilizzo il prodotto, e con il prodotto l’utilizzo dello stesso. Ci sono quasi 5 miliardi, abbiamo allora fatto uno studio, e stiamo cercando oggi di fare e di contribuire alla creazione di un network di collegamento, di porti per poter collegare i centri, soprattutto i centri più disagiati con gli elicotteri. Oggi si perdono 5 miliardi di ore altrimenti attive a livello nazionale. Chiunque deve fare la Brescia-Milano sa che impegna un’ora e mezza o due ore contro quelle che sarebbero i quindici minuti, i venti minuti di un potenziale elicottero. 250 ore sprecate ogni anno da ogni automobilista nell’area romano-milanese secondo l’ACI, cioè più di un mese lavorativo all’anno bruciato sull’altare della congestione stradale. L’opportunità è di recuperare da tre a nove miliardi di PIL ogni anno con uno sviluppo integrato della mobilità.
Passiamo su un altro tema, il discorso Vertipass verrà continuamente presentato, questo è il nome del progetto, quindi avremo modo di parlarne in un’altra occasione; vorrei invece arrivare ad un altro punto che è quello delle risorse. Come abbiamo fatto a diventare oggi leader mondiale, con una società che nel ’90 era fallita? Bene, attraverso il nostro personale, attraverso il nostro management. Da sette anni stiamo attuando un fortissimo ricambio generazionale, dal 2002 al 2009 abbiamo assunto 3000 dipendenti, di questi 800 giovani ingegneri. Lo spirito e la volontà hanno portato AgustaWestland a dove siamo oggi. Abbiamo giovani molto capaci, e per chi ha voglia c’è lo spazio per affrontare nuove sfide, tra cui lo sviluppo di tecnologie fortemente innovative. La selezione all’ingresso è altissima, noi mettiamo la barra molto alta, ma una volta che i giovani sono dentro, siamo noi che vogliamo tenerli, facciamo di tutto perché rimangano, dando un ambiente di lavoro interessante, stimolante, internazionale. I nostri giovani sono il nostro vero capitale investito, e sono la mia dose quotidiana di fiducia; nei momenti un po’ più difficili, che ci sono più o meno ogni giorno, una passeggiata nell’hangar e vedere questi ragazzi che montano gli elicotteri, guardarli in faccia, vedere l’entusiasmo con cui lavorano, e poi tornare in ufficio: credo che chi non abbia gli uffici in fabbrica perda molto. A loro, a questi giovani, chiediamo di voler fare cose grandi, a loro chiediamo di mettere il cuore. Il gap coi Paesi emergenti, Cina e India, lo manterremo solo se sapremo utilizzare il vantaggio che oggi abbiamo, ma non semplicemente proteggendo con leggi il nostro attuale livello tecnologico, continueremo a primeggiare se alle scienze, alla matematica, oltre al cervello applichiamo anche il cuore. Siamo globali, ma la differenza sta qui, nella motivazione per cui noi facciamo certe cose rispetto a quelle per cui i cinesi fanno le stesse cose. Ma l’innovazione non possono farla solo le grandi industrie, e qui mi collego a quanto ci ha detto prima Bernhard Scholz, perché è importante. Noi abbiamo una strettissima collaborazione con l’indotto, perché è dalla microsocietà che emergono le nuove scoperte, i nuovi processi, ed è in questi ambiti che avviene spesso la perfetta sintesi tra tradizione e innovazione. Innovazione di prodotto e di processo, ma anche innovazione nella ispirazione. Ritorniamo alle botteghe del Medioevo: andare a bottega come si diceva, come diceva a Leonardo da Vinci il padre, vai a bottega per imparare. Noi vogliamo ritornare un po’ a bottega, e questo è uno dei motivi che ci ha spinto a essere leader del distretto aeronautico lombardo, dove assieme a noi stanno tutte le PMI del settore, assumendone addirittura la leadership, perché abbiamo voluto in un certo senso ritornare a bottega, non per una forma di paternalismo verso le piccole e micro imprese, ma perché solo lavorando assieme possiamo migliorare le nostre performance globali sul mercato globale. Si tratta di una sfida da vincere, perché di fronte alla realtà imprenditoriale e manageriale di qualità e storicamente portata all’innovazione, attraverso il distretto si può puntare a far diventare eccellente e internazionale l’intero sistema industriale aeronautico, anche le piccole e medie industrie. Questa crescita insieme, tecnologica, produttiva, di presenza sul mercato internazionale la si può utilizzare avviando iniziative comuni, concrete, anche in un contesto di sussidiarietà, ma non puntando esclusivamente sull’acquisire aiuti finanziari per progetti magari spesso velleitari. Si tratta di fare attività, si tratta di fare cose che consentano a tutti di crescere.
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie, grazie soprattutto per l’ultima osservazione, e infatti sostiene la nostra profonda convinzione che una piccola e media impresa può essere estremamente innovativa, non è una questione di grandezza, è una questione come dicevi tu, di cuore. Passiamo all’industria farmaceutica, non c’è sicuramente un’industria che chiede più investimenti in ricerca dell’industria farmaceutica, però sappiamo anche bene che i soldi non bastano. Che cosa allora è la spinta innovativa? Io mi permetto anche qua solo una brevissima riflessione: innovare, come abbiamo già capito per adesso, non vuol dire avere delle belle idee, ma avere delle idee che danno poi dei risultati sul mercato, idee che portano poi fatturato, che si posizionano, e questo poi è uno dei grandi rischi che corrono tutti quelli che investono tanto in ricerca. La parola a Sergio Dompé.
SERGIO DOMPÉ:
Grazie, grazie di cuore per l’invito, complimenti per questo meraviglioso Meeting, sono orgoglioso di parlare di fronte a un auditorium così qualificato, dove vedo personalità e amici, e parlare davanti al nostro responsabile europeo massimo che abbiamo, Antonio Tajani, per me diciamo è un grande privilegio, così come anche davanti al Segretario di Stato di San Marino.
Allora, Orsi vi ha fatto volare, e io ho lo sgradito compito di riportarvi a terra, come si dice. Ho una decina di slide, sono solo dieci, e vi prego di seguirmi perché cercherò di farvi fare un breve viaggio attraverso dei concetti, attraverso delle realtà, che spero vi diano una idea concreta, toccata, vitale e pulsante di quello che l’innovazione dal mio punto di vista è. L’innovazione non è soltanto impegno e passione, come benissimo ha detto Orsi, ma è anche un qualcosa di fortemente organizzativo, che vive anche in funzione dell’ambiente che ci circonda. Perché l’innovazione è così vicina ai giovani? Perché la fantasia, la spinta, la voglia di nuovo, la necessità di sperimentare qualcosa di nuovo è propria dei giovani, non c’è niente da fare. L’organizzazione della ricerca non sempre è una questione che è soltanto frutto di ingegno, è una questione culturale, organizzativa; gli Stati Uniti sotto questo punto di vista, senza dubbio, sono stati uno dei Paesi diciamo che hanno insegnato al mondo come si fa innovazione, oggi ci sono Paesi emergenti che lo stanno dimostrando. Ma se voi mi seguite, già in questa prima delle dieci slide, io ho cercato di farlo concretamente; allora io ho messo l’esempio del tasso di sopravvivenza a 5 anni in pazienti oncologici coniugato per i singoli Paesi alla disponibilità dei nuovi farmaci tumorali. Che cosa sto cercando di dirvi? Che, come giustamente Scholz all’inizio ha detto, la vera innovazione non si fa soltanto con quei tassi di breakthrough, cosiddetti, che tutti realizzano. Guardate i miglioramenti in pochi anni che si sono avuti anche in tumori dove purtroppo la sopravvivenza ancora oggi è frustrante per noi che produciamo e ricerchiamo farmaci. Non siamo minimamente soddisfatti del risultato e dobbiamo avere l’umiltà di riconoscerlo, la sofferenza di capire che siamo ancora lontanissimi da dove vogliamo arrivare. Però anche qui voi vedete che ci sono dei miglioramenti che arrivano ad essere il 100-200% in più di quello che si riusciva a fare anche una manciata minima di anni fa. Allora, noi guardiamo qui, siamo sulla seconda slide che vi dice un’altra cosa che non leggete mai sui giornali e che è la notizia più importante del secolo che stiamo vivendo. L’uomo è sulla Terra da centinai di migliaia di anni, guardate cos’è successo nell’ultimo secolo e guardate ancora che cos’è successo soltanto dal ’51 a oggi; il ’51 è l’altro giorno, è qualcosa mi spiego che è proprio dietro l’angolo, ogni quattro mesi di vita vissuta noi stiamo guadagnando un mese di aspettativa di vita; una ragazza, una bambina che nasce oggi è già destinata ad arrivare mediamente vicino al secolo. E’ una cosa straordinaria, è una cosa che riformerà completamente le organizzazioni del sistema Paese, il welfare, la sanità. Oggi abbiamo delle persone di 75 anni che hanno una capacità vitale che non avevano neppure diciamo ipotizzato di avere quando sono nati. Il mondo è profondamente cambiato: tennis, la capacità mentale di lavorare, di fare delle cose, sesso, tutto oggi è in una situazione profondamente diversa. Questa è una rivoluzione che non viene mai celebrata, è la cosa più importante in assoluto, il cambiamento totale dell’aspettativa di vita che noi abbiamo in questo momento.
Altra slide: l’innovazione, la maggiore capacità di crescita per le imprese per il Paese. Guardate le differenze del valore aggiunto per tetto di queste aziende rispetto a quelle normali. AgustaWestland è un esempio naturalmente di questo, ma ce ne sono tante in altri settori, anche di piccole aziende innovative. L’approccio Biotech, dopo ve lo farò vedere, è innovato completamente sotto questo punto di vista. Guardate la crescita, l’export, la redditività, e guardate il verde e l’arancione, o il rosso, che sono i due elementi più importanti: “innovazioni” e “capitali”, innovazioni e capitali. Anche con un numero ridotto di imprese, anche con un numero ridotto di giovani, chi ha la capacità di fare davvero innovazione, non di chiacchierare di innovazione, ha una capacità competitiva, e una ricaduta di quello che fa che è straordinaria, che è incredibile. Dietro le grandi aziende innovative, e dietro le piccole aziende innovative, pensate la Silicon Valley negli Stati Uniti o alla Biotech Valley, dietro anche a piccolissime aziende si sono create poi delle cose incredibili.
L’innovazione cambia, perché noi offriamo alle nostre generazioni il miglioramento della qualità di vita, che non è solo su cose importantissime, non pensiamo solamente alle medicine che ti salvano la vita, ma pensiamo alla vita vissuta. Io ho 54 anni, ho iniziato a lavorare molto presto con mio papà, e mi diceva “Sergio, io oggi non riconosco più questo mondo”, perché nell’immediato dopoguerra c’era una tale volontà di tornare alla normalità, che la gente lavorava per potersi permettere la Lambretta, la macchina era un sogno, poter fare una vacanza era una cosa che la gente inseguiva, mi spiego, magari per due, tre, quattro anni, per permettersi di andare via una settimana. Oggi, onestamente, è tutto diverso. Allora dobbiamo capire, io qui naturalmente l’ho girato in scientifico, e l’ho girato sulle terapie, che man mano che tu risolvi un problema purtroppo il sistema diventa molto più complicato e molto più costoso. Devi cambiare il modello, se tieni il modello di prima non puoi pensare di dare da mangiare a una kermesse come quella di Rimini con la soluzione che tu avevi per accudire un ristorante di Rimini piuttosto che nel resto d’Italia. Occorre essere completamente innovativi, coniugare la qualità con la quantità, e quindi il sistema va cambiato. Come? Con la rete. Una volta le aziende farmaceutiche facevano la ricerca dentro le imprese, oggi si è aperto completamente il sistema, perché i costi sono saliti, le conoscenze si sono moltiplicate, sopra, di fianco e sotto per cento, e neanche la più grande impresa al mondo è in grado di contenere dentro la capacità di fare innovazione. Allora non è più importante quello che fai; importa che tipo di approccio riesci ad avere, come riesci a connetterti con il mondo innovativo che ti circonda. Oggi anche piccolissime aziende hanno decine e decine di collaborazioni, con l’azienda di Bologna che fa un certo tipo di macchina, con l’Università del Minnesota che ha un certo tipo di tecnologia, o Dusseldorf dove fanno… E’ una cosa meravigliosa, stupenda ma occorre una mentalità, una capacità di aggregazione completamente diversa, stiamo passando da un modello chiuso a un modello che non soltanto è aperto ma che dovrà aprirsi ancora di più.
Guardate come la rete è la protagonista della rivoluzione nell’innovazione farmaceutica. Questi sono intelligibili, chiaramente, guardate soltanto la densità dei nodi, noi abbiamo fotografato un cluster competitivo nel campo dell’oncologia su Milano nel ’85, ’95 e oggi, per numero di collaborazioni: sono moltiplicate per cento, e continuano a movimentarsi, per cui tu hai la necessità di avere un software di lettura della realtà che ti cresce attorno e di connetterti in senso coerente con l’innovazione che avanza. Se ce la fai sei anche tu master innovation, se non ce fai scivoli via e nessuno sentirà la tua mancanza. Questo è un challenge per tutti che non è un challenge italiano è un challenge mondiale, noi come italiani abbiamo delle discrete capacità e qui vi voglio far ridere, andando velocemente verso la fine del mio intervento: noi tutti pensiamo all’innovazione negli Stati Uniti, voi guardate cos’è lo statuto dei brevetti della Repubblica di Venezia, 19 marzo 1474, 1474, una cosa da brividi. Negli Stati Uniti in quel periodo, come dice Bossi, diciamo erano impegnati nel gestire le attività di immigrazione, diciamo, e forse anche con qualche difetto di software, dopo naturalmente sono diventati lo straordinario Paese che oggi amo follemente, perché è secondo me la patria non soltanto dell’innovazione, ma anche delle possibilità per chiunque. Io sono un amante degli Stati Uniti perché trovo che siano un sistema, il più aperto in assoluto al mondo e quello che mi piace di più. Ma sono un orgogliosissimo italiano europeo e non capisco perché noi non cerchiamo di organizzarci meglio per fare in modo che quello che con grande capacità il Doge di Venezia nel 1474 già aveva identificato, non venga dimenticato e venga portato avanti con determinazione. Ultime due cose: ecco in Italia le imprese fanno meno ricerca che negli altri paesi del mondo, non è un problema di Italia, l’Italia ha una struttura industriale estremamente complessa, organizzata sul manifatturiero che non possiamo e non dobbiamo perdere per niente a questo mondo e il numero di grandi imprese che fanno ricerca sono quelle che hanno la capacità di spendere cifre importanti in ricerca e hanno la capacità anche di rendicontare, perché le piccole imprese non hanno una rendicontazione sistematica della reale spesa di ricerca che ci porta una doppia sottovalutazione: una perché abbiamo un numero di imprese grosse molto inferiore a quello degli altri competitor europei, seconda perché le piccole aziende spesso e volentieri non hanno interesse, non hanno la volontà di rendicontare. Ma la ricerca nostra è competitiva, noi dobbiamo, per far crescere l’intero sistema, far leva sulle imprese che investono, concentrando le risorse con meccanismo premiale. Questo va fatto, parlo diciamo anche a Tajani, perché dall’Europa riesca ad illuminare i nostri sulle differenze competitive di sistema, per fa sì che ci sia una specie di promozione concreta. A maggior ragione se ci sono poche risorse, le risorse vanno concentrate dove ci sono possibilità reali competitive e nel nostro paese queste ci sono.
Chiudo con un esempio che non è un esempio di innovazione industriale, è un esempio di innovazione amministrativa, gestionale, che ha come buon esempio la nostra sanità italiana, fra le migliori al mondo per il rapporto prezzo-prestazione. Le Regioni e il Ministero della Sanità hanno pubblicato gli indici che danno l’appropriatezza, danno al cittadino la capacità di vedere dove gli sforzi economici e di resa terapeutica, di appropriatezza della cura vanno a colpire il centro del bersaglio e dove invece ce ne sono altre che sono più o meno così, ma dà l’idea di come nell’ambito di uno stesso sistema noi possiamo aver un meglio della sanità in Europa, e anche non voglio dire il peggio, ma poco di manca. Questo è un sistema di fare innovazione, questo è un sistema di dare la spinta a tutti per fare in modo, diciamo, che ci sia la possibilità di concentrare gli sforzi sulla qualità. E questa è l’ultima e sono due battute, fatte naturalmente da due economisti di grandissimo peso, Joseph Schumpeter e Paul Romer.
Una racconta il processo della distruzione creativa, spiega come continuamente ci sia la necessità di rivedere continuamente i modelli. Io gestisco un’azienda, con onestà devo dirvi che se la mia azienda la tengo così per due anni, tre, una volta erano dieci, adesso sono più due che tre, la mia azienda fra due anni sarà morta. Devo riuscire a cambiare, devo riuscire a rinnovare completamente la mia azienda, devo riuscire a dare al pubblico, ai cittadini qualcosa attraverso cui io possa essere valutato, possa chiedere un prezzo ai cittadini da pagare perché abbiano in cambio qualcosa che rimanga, che loro reputino valido. E la seconda e ultima è una battuta ma non è poi così una battuta, uno dei più importanti economisti della crescita che dice che una crisi è una cosa troppo terribile per essere guastata, per essere persa. Vi ringrazio.
BERNHARD SCHOLZ:
Grazie per questa illustrazione, molto affascinante, molto interessante. Forse i nostri figli raggiungeranno centovent’anni e non utilizzeranno più le macchina ma andranno con i tuoi convertiplani, quindi l’innovazione procede. Comunque, di nuovo è emerso che bisogna entrare in merito per capire cosa un paese fa e non fa. Mi ha molto colpito questa distinzione fra l’Italia alla pari dell’Europa guardandola in un certo modo. Perché le statistiche, le famose medie, dicono tanto ma non dicono mai tutto. Quindi una lettura approfondita di questi dati è sempre importante. Passiamo alla finanza. Parlare oggi di finanza innovativa, dopo che si è parlato di finanza creativa in un certo modo e dopo che si è parlato dei derivati in un certo modo, è un bel rischio, ma il rischio fa parte dell’innovazione. La parola al Senatore.
GIAMPIERO CANTONI:
Grazie, presidente Scholz, grazie per avermi invitato. Anche per me è un onore essere qui, è ormai un appuntamento consuetudinale. Anch’io vengo con grandissimo piacere, perché trovo qui un’atmosfera di una grandissima solidarietà, sussidiarietà, che è commovente. Certamente parlare di innovazione fa riflettere sulla natura umana e sul desiderio di grandezza e di compimento che sta scritto nel cuore di ogni uomo. Bellissimo il titolo del vostro Meeting. Quindi ci porta a riflettere inevitabilmente su quel meccanismo, su quel processo che rappresenta il motore di ogni crescita e di sviluppo umano che è l’innovazione. L’innovazione a 360°. Ma chi è uno dei più grandi innovatori? Don Giussani. Basta leggere il libro di Renato Farina per accorgersi che don Giussani è stato un grande innovatore del processo religioso: un processo di grande umanità, che tenga conto di un aspetto fondamentale del processo di sussidiarietà verso la gente. Quindi siamo chiamati a dibattere. È una riflessione sul significato, direi, temporale che l’innovazione nel campo finanziario ha avuto in questi oltre vent’anni di sviluppo sfrenato e incontrollato, come oramai è noto a tutti noi nella maggior parte dei casi. Non vorrei ricordare gli tsunami finanziari, i derivati, gli scandali mondiali che hanno in realtà portato a un processo di globalizzazione che doveva essere dal volto umano. In realtà si è evidenziato un processo estremamente cinico che ha trasferito gli errori, i cinismi e i grandi egoismi di poche migliaia di persone a svantaggio di milioni di persone, ai quali hanno sottratto risparmi per una vita. Quindi voglio ricordare solamente alcune considerazioni di un grande mentore del mio lavoro, che è Guido Carli. Ricorderemo non solo i lacci e laccioli, ma parlo dei vincoli di mercato, e dirò, più avanti, perché poi questi aspetti, che Carli aveva evidenziato, consentono bene di capire le dinamiche economiche legate a queste innovazioni. Carli scriveva: una delle manifestazioni dell’innovazione finanziaria è la produzione degli strumenti mediante i quali si trasferiscono i rischi da un operatore all’altro. Nel caso specifico, i rischi sono stati trasferiti poi ai cosiddetti utilizzatori finali a cui hanno portato via tutto. Quindi non si eliminano. Gli assolutori di ultima istanza sono e restano coloro che hanno con i loro risparmi contribuito a una stupidità di queste poche migliaia di persone che hanno distrutto, ripeto, milioni di risparmiatori. Compete quindi alle autorità assumere e determinare le regole di comportamento, vigilare sulla loro osservanza. Spetta loro intervenire quando la gravità dei sinistri non è compatibile con lo svolgimento ordinato dell’attività economica. Alcuni mi potranno chiedere: ma cosa c’entrano queste osservazioni relative a questi aspetti caratteristici dell’innovazione finanziaria? In realtà è perché la globalizzazione non è stata regolata, non è stata controllata. È stata una sorta di far west finanziario mondiale, che in realtà ha portato a delle innovazioni dove i paesi più ricchi sono rimasti più ricchi e i paesi più poveri, che dovevano beneficiare della globalizzazione, sono rimasti più poveri. Quindi l’innovazione comporta sempre dei rischi, che non si annullano, ma al limite si trasferiscono. È necessario avere regole di comportamento e di controllo nel processo di innovazione. Ricordo che, senza un coordinamento del processo di innovazione, il rischio è quello, come abbiamo visto nella recente esperienza della crisi finanziaria, di un effetto negativo chiamato “sistemico”, che condiziona poi le libertà non solo economiche ma anche individuali e sociali. In realtà incidono nella qualità della vita e nella società. Lo sviluppo dell’innovazione quindi richiede un’azione coerente e determinata da parte di tutti i principali attori coinvolti in questo sviluppo. Queste piccole pillole di saggezza, sono, ricordo, ancora di Carli, come anche la lucidità di analisi che individua la validità di un corretto approccio di governance dell’innovazione, perché l’aspetto fondamentale è la governance dell’innovazione. Senza una regola della politica con la P maiuscola, la globalizzazione in mano ai grandi combinats finanziari mondiali rischia di generare, come sta generando, ancora dei rischi di tsunami finanziario. Nel caso specifico degli Stati Uniti, il nuovo tsunami di carattere immobiliare. Le innovazioni in una società libera dipendono soprattutto da due fattori fondamentali: dalla creazione di conoscenze, dallo sviluppo delle competenze. Questi sono degli aspetti fondamentali, e in questo senso possiamo parlare di un’evoluzione verso una società della conoscenza che caratterizza le moderne società post-industriali. L’intervento dell’amico Dompé ha evidenziato i grandi sviluppi riguardanti i processi di welfare e di allungamento della qualità della vita. È la conoscenza, è la conoscenza che ci porta inevitabilmente ad avere maggiore conoscenza e quindi specializzazione, ed è l’aspetto fondamentale di un processo culturale, come Dompé ha sottolineato. Quindi la creazione delle conoscenze è il risultato di un processo di apprendimento basato sull’interazione di diversi attori, interni ed esterni alle strutture formative, scuola e università in primis. In tale consenso, in tale consenso i ruoli della famiglia, delle istituzioni, delle aziende, della comunità di appartenenza, rappresentano il motore per lo sviluppo economico e sociale, per l’ingresso nel mondo dei giovani, che è uno degli aspetti fondamentali per un processo di vera innovazione, non solamente finanziaria, del sociale. Quindi abbiamo la sfida, la sfida così detta dell’education, che è uno degli aspetti fondamentali. Le nazioni, i sistemi, i paesi vincono per chi più sa. Chi non sa declina. E quindi il mondo della conoscenza, il mondo della conoscenza delle nuove tecnologie, il mondo dell’università, l’educazione, la famiglia, sono i perni fondamentali. Più importante ancora del capitale, è necessario avere un popolo che conosce. Quindi la crescita aumenta le opportunità e la chance per ogni individuo di realizzarsi. Aumenta la mobilità sociale e la tolleranza per la diversità. Consente una riforma profonda dei nostri sistemi di welfare. Rende più facile perseguire l’equità, che è uno degli aspetti fondamentali della crescita della nostra società. Rafforza la democrazia e soprattutto rafforza la libertà. Capacità e crescita vuol dire anche libertà di impresa, libertà di intraprendere un’iniziativa economica, e sviluppo delle innovazioni che accompagnano l’evoluzione della società. L’evoluzione verso una società della conoscenza comporta un ridimensionamento dello strapotere delle grandi imprese industriali, terziarie e finanziarie. Tipico delle società industriali tradizionali è l’emergere di altri tre tipi di attori importanti e fondamentali. Innanzitutto possiamo individuare il peso crescente nel settore produttivo delle piccole e medie imprese industriali, come acutamente il presidente Scholz ha già individuato. E quindi tecnologie e servizi basati sulla conoscenza. In secondo luogo possiamo individuare il ruolo crescente della domanda rispetto all’offerta connesso a un’elevata capacità di autorganizzazione dei cittadini nell’uso del loro reddito e del loro tempo libero. Infine, possiamo individuare la crescente consapevolezza, da parte del settore pubblico, della necessità di una guida nel processo di trasformazione e di promozione dello sviluppo diverso dal lasser faire delle democrazie non compiute o del ruolo di meno sostegno dei progetti e degli interessi delle grandi imprese. Quindi, volendo sintetizzare, un sistema di innovazione nella moderna società della conoscenza sembra articolarsi in quattro grandi blocchi di attori. Il primo è l’oligopolio collusivo delle grandi imprese industriali e dei servizi a rete finanziari. Quando è collusivo, normalmente è un apporto di grandissima capacità di innovazione. Ma nel processo di questi scandali alcune volte è stato collusivo. Il secondo è il sistema ampio e diversificato delle piccole e medie imprese industriali e dei servizi basati sulla conoscenza. Il terzo, le numerose e frammentate comunità di utenti e cittadini con sempre maggiori livelli di cultura e di conoscenza tecnica. E il quarto, infine, il sistema delle istituzioni pubbliche ai diversi livelli locali, regionali e nazionali. Dobbiamo allora chiederci qual è l’effetto di questi diversi luoghi nello sviluppo delle innovazioni e quindi della società in generale. Lo sviluppo della società della conoscenza, l’ampia diversificazione della frontiera delle conoscenze e delle tecnologie, la necessità di una sempre maggiore specializzazione e sviluppo di relazioni a rete con altri operatori che abbiano conoscenze complementari, portano una continua diminuzione delle dimensioni ottimali delle grandi imprese industriali. Quindi l’attività manifatturiera delle grandi imprese è sempre più affidata a un sourcing delle piccole e medie imprese. La produzione industriale si baserà su una moltitudine di imprese, ciascuna delle quali è specializzata in componenti specifici di cicli produttivi sempre più complessi ed è responsabile dell’avanzamento delle tecnologie nel comparto tecnologico considerato. Infine, la ricerca è spesso affidata, per i settori più specialistici, a piccole imprese esterne di ingegneria e di ricerca, e questo è un fatto estremamente importante, perché è un punto di grande debolezza del nostro sistema paese. I flussi di conoscenza circolano più nelle piccole e medie imprese specializzate verso le grandi imprese assembratici e viceversa. Le grandi imprese si specializzano nella produzione di prodotti tradizionali ma ormai indispensabili come l’auto, i prodotti di prima necessità, come quelli alimentari, farmaceutici, dei servizi di pubblica utilità come le telecomunicazioni e le autostrade. La differenza, quindi, fondamentale tra le piccole e medie imprese e dei servizi rispetto alle grandi imprese è il fatto che la produzione di piccola e media impresa è personalizzata, e soprattutto anche più flessibile ed innovativa di quella delle grandi imprese, e quindi le PMI si configurano come “fornitori personalizzati”. Il rapporto tra grandi imprese industriali e dei servizi e la comunità dei consumatori e dei cittadini è quella in cui stanno emergendo i maggiori cambiamenti. I cittadini e i consumatori avranno sempre di più un ruolo più attivo nel processo di innovazione. Saranno i cittadini, i consumatori che richiederanno sempre di più l’innovazione. Non sono le innovazioni, spesso trainate dalla domanda degli utilizzatori, che le imprese devono individuare ed interpretare, ma spesso le innovazioni sono il risultato di un’iniziativa diretta autonoma degli utilizzatori che autoproducono nuovi beni e servizi. Infine, e ho finito, una quarta componente, fondamentale in un sistema di innovazione: il ruolo dello Stato è importante nell’evoluzione della società industriale, della conoscenza e dell’economia della conoscenza. La sussidiarietà è uno dei punti fondamentali e cardine per il processo dell’innovazione. La mancanza di una guida politica o di concentrazione spiega la lentezza dei processi di innovazione. Le grandi imprese industriali si sono diversificate nel settore terziario con il sostegno del settore pubblico, sfruttando le opportunità del processo di privatizzazione dei servizi pubblici. Questo ha portato molti grandi gruppi industriali a svilupparsi nel settore dei servizi della pubblica utilità, abbandonando le piccole e medie imprese industriali specializzate e orientate all’esportazione. Nel processo della finanzializzazione a 360°, la base fondamentale è l’etica comportamentale, e quindi il comportamento di un padre di famiglia affinché la globalizzazione sia una globalizzazione dal volto umano. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Io ringrazio il Senatore Cantoni soprattutto perché ha fatto comprendere bene l’integrazione di un sistema che crea condizioni favorevoli all’innovazione, perché l’innovazione ha bisogno anche di condizioni esterne, che sono: un sistema finanziario, un sistema politico, più sussidiario possibile. E penso che, adesso, quando entreremo a parlare della politica, questo sarà ulteriormente accentuato. Partiamo dalla Repubblica di San Marino, uno Stato piccolo ma importante, che ci farà vedere come anche un sistema politico, un’amministrazione politica ha, può avere a cuore l’innovazione. La parola a Marco Arzilli.
MARCO ARZILLI:
Grazie, buonasera a tutti. Grazie al dottor Scholz e grazie al Meeting per avermi invitato, questo Meeting che, come ho sentito prima dal dottor Orsi, fa bene all’Italia. Dico che fa bene anche a San Marino, che è qui vicino, perché questa grande energia che pulsa qui al Meeting e questa idea della centralità dell’uomo, della volontà di affrontare temi grandi fa bene anche alla mia Repubblica. È importante e paradossale che un piccolo stato come questo sia oggi qui a parlare di una cosa così grande, confrontandosi con grandi realtà che oggi, non solo l’Italia ma anche l’Europa, sono le grandi nazioni. È abbastanza semplice dire che l’innovazione è alla base dello sviluppo economico ed è una strategia da portare avanti, ma per un piccolo stato con quello che rappresento è vitale, oggi più che mai. San Marino è già stato innovativo di per sé nella sua storia, perché è sempre stato in passato ed è rimasto Repubblica e democrazia, quindi un’innovazione geopolitica; nella storia è sempre rimasto Repubblica e democrazia passando in mezzo ai feudi, alle monarchie, alle dittature, all’unità d’Italia, anche allo Stato Pontificio, e ha destato il rispetto di grandi uomini della storia, che sicuramente non è che avessero avuto molto tempo di occuparsi di San Marino ma se ne sono occupati, come Napoleone, Abramo Lincoln, grandi intellettuali e grandi letterati come Carducci, che ha riconosciuto a San Marino la libertà perpetua, con un discorso che dovrebbe essere ricordato più spesso all’interno del mio paese. Però questo era il passato. Questo ci ha permesso di arrivare ad oggi, e oggi dobbiamo uscire da quel concetto protezionistico che ha permesso a San Marino di sopravvivere. San Marino aveva una consuetudine radicata al suo interno, che forse non è poi tanto lontana, che era quella di dire: noti a noi e ignoti agli altri. E questo di per sé oggi cozza con quella che è l’esigenza di nazionalizzare e di avere una globalizzazione nella visione, non tanto solo nella necessità di annientare gli stati che non dev’essere assolutamente così, ma nella visione dell’economia. E quindi la sfida oggi moderna di San Marino è quella che ci siamo portati avanti dal dopoguerra in poi: un piccolo paese con un’economia diversificata, non monotematica, dove al suo interno c’è di tutto, c’è un’economia composta da industrie manifatturiere, commercio e tutto quello che ovviamente è un’economia più grande, ma in numeri piccoli. E questo penso che sia uno dei punti di partenza importanti. Però noi, penso che abbiamo accumulato un enorme gap, un enorme ritardo, proprio per quanto riguarda uno dei veri motori fondamentali per la crescita economica della repubblica di San Marino e non solo. Ovvero quello di pensare che l’innovazione, la promozione e il finanziamento della ricerca e dello sviluppo fossero la chiave di volta per l’economia di San Marino, per traghettare quello che era il 2000. Però purtroppo, ci vorrebbe innovazione anche nella politica – e questo lo dico proprio anche come rappresentante politico – perché l’instabilità, la difficoltà tutte le volte di ricominciare da capo i progetti, hanno bloccato questo tipo di crescita, senza pensare che questa dovesse proseguire indipendentemente da chi governasse. Questo penso che non rappresenti solo un problema di San Marino. Dunque adesso dobbiamo recuperare questo. Non è possibile pensare che un paese, anche così piccolo come il nostro, investa in finanziamenti alla ricerca meno dell’1% del suo prodotto interno lordo. Non è possibile, non è possibile pensare che non si possa investire in formazione, perché dove tu non puoi arrivare con i tuoi finanziamenti come Stato – poi soprattutto adesso che abbiamo un problema abbastanza grosso da risolvere, ma che risolveremo, perché stiamo guardando al futuro – devi pensare a una sinergia pubblica e privata, ma non puoi creare una possibilità di finanziare la ricerca da una partecipazione tra finanziamenti pubblici e finanziamenti privati con la visione però privata della gestione di questi fondi. E finanziare la ricerca per il nostro paese significa poter portare avanti uno sviluppo dell’economia che sia anche verticale, non più solo orizzontale, e possa permettere, all’interno di quello che è il nostro territorio – e poi qui vi spiego perché dico questo – una grande opportunità. Perché se pensiamo alla ricerca, se pensiamo alle tecnologie, pensiamo che anche le piccole cose fanno andare avanti le grandi cose. Le nanotecnologie sono un esempio di questo. E San Marino nel suo piccolo – non voglio essere modesto – però può essere, può essere sicuramente una risposta, in termini di collaborazione con il nostro Stato vicino e amico che è l’Italia, ma penserei anche di più, visto che abbiamo la fortuna di avere anche l’onorevole Tajani, anche con l’Europa. Perché se pensiamo allo sviluppo della ricerca nel nostro paese, dobbiamo vederlo in sinergia all’interno del contesto in cui siamo, che non è più quello che dicevo io prima dell’epoca feudale oppure anche del primo ’900. È un’epoca in cui bisogna confrontarsi con il mondo, e non bisogna avere paura delle dimensioni, non bisogna avere paura di non avere le idee da portare avanti. E dunque questa è la nostra grande sfida, sfida che era, che deve essere anche portata avanti nell’investire in formazione. Noi non investiamo in formazione, non investiamo in giovani, non investiamo in quello che è la necessità di far crescere il vero motore della ricerca e dello stato, e quella che è la nuova classe dirigente del futuro, la nuova classe di lavoratori, di operai, di scienziati che sono i giovani. E investire in formazione, per un piccolo Stato ad esempio come il nostro, significa la chiave di sopravvivenza e la chiave di evoluzione del nostro sistema. E per questo è importante anche ascoltare quello che la nostra piccola università ha sempre chiesto e ha sempre supportato. E fra le sue proposte c’è stata anche quella del parco tecnologico, in sinergia con l’Italia, dunque una zona ideale, dove abbassare i costi della ricerca, per potere dare la possibilità di ridare un motore alla ricerca, dove i costi sono un problema e dove i costi possono essere un gap. Perché se le aziende continueranno a far la ricerca al proprio interno e non troveranno quell’ambiente ideale, come diceva giustamente Dompé, di confronto necessario, di network, di possibilità di compartecipazione, di sviluppo insieme, non ci sarà una ricerca importante: ci sarà una ricerca solo legata al profitto. E una delle lezioni più importanti che ci ha dato questa crisi è che non si può più basare l’economia su questo ma bisogna basarla sul sociale e sulla conoscenza. Quella conoscenza che è alla base anche del tema del Meeting, credo, che è una natura – come dice il tema principale del Meeting – che aiuta a desiderare cose grandi. Il cuore, deve essere il nostro motore fondamentale. Oggi San Marino ha questa sfida di fronte a sé, una sfida veramente a 360° gradi, una sfida non solo culturale ma una sfida di rivoluzione di un sistema economico che oggi ha tutte le carte in regola per porsi davanti al futuro. Oggi noi siamo finalmente liberi da un certo tipo di economia, e siamo pronti ad accettare la grande sfida, perché, anche se arriviamo ultimi, possiamo avere la forza di essere al passo degli altri, imparando dagli errori degli altri, portando anche qualcosa di nostro. Questa è San Marino, questa è la politica, il ruolo che la politica deve avere, questa è la grande forza, sempre però tenendo a mente – e concludo il mio intervento – quello che ha detto anche l’Enciclica del Papa: che lo sviluppo è impossibile senza uomini retti e senza operatori economici, uomini politici che vivono fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune. Questo sarà ilo nostro obbiettivo. Grazie.
BERNHARD SCHOLZ:
Io ringrazio il Segretario di Stato e penso che evidentemente a una collaborazione fra paesi corrisponde anche una collaborazione più generale, cioè l’idea della rete, della collaborazione transnazionale e internazionale diventa un fattore sempre più importante, perché noi possiamo competere a livello globale. Per quanto riguarda la competizione a livello globale l’Europa ha dichiarato nel 2000, nella sua famosa dichiarazione di Lisbona, che l’Europa deve diventare entro dieci anni, e questi dieci anni sono passati, la forza più competitiva a livello mondiale, basandosi sulla conoscenza. Una grande sfida. Però quando si parla di Europa, si parla poi subito della burocrazia che fa il contrario, che diventa il fattore che frena tutto. Questa contraddizione, che caratterizza proprio l’Europa, è il tema che chiediamo di affrontare a Antonio Tajani.
ANTONIO TAJANI:
Grazie. La differenza tra il burocrate e il politico è sostanzialmente questa. Il burocrate è qualcuno che cerca di gestire lo status quo, il politico è chi cerca di perseguire degli obiettivi, guidando un processo per raggiungerli attraverso delle buone norme e quindi creando le condizioni perché questo obiettivo possa essere perseguito e raggiunto. È vero, purtroppo l’Europa a volte ha visto prevalere una concezione burocratica del lavoro. È altrettanto vero che quello che era stato disegnato dieci anni fa a Lisbona è un percorso che non ha ahimè raggiunto l’obiettivo; ma detto questo non possiamo arrenderci, proprio perché la visione, almeno che personalmente io ho dell’Europa, non è quella burocratica, né quella soltanto economica, né quella soltanto finanziaria, ma è soprattutto politica. Abbiamo il dovere di invertire la rotta e abbiamo il dovere di prendere la guida di un processo politico che deve affrontare una situazione di crisi che non si è ancora conclusa ma, come sottolineava bene il senatore Cantoni qualche minuto fa, rischia ancora di avere qualche scossone a causa di episodi gravi che succedono negli Stati Uniti – pensiamo chiaramente alla crisi immobiliare. Bene, allora noi che cosa dobbiamo fare? La politica europea, in questo caso il Governo, cioè la Commissione Europea, ha il dovere di disegnare delle regole e di favorire un processo che permetta ai cittadini europei di affrontare la crisi nel modo migliore, impedendo che la crisi economica e finanziaria si trasformi in una crisi sociale, vale a dire che si perdano posti di lavoro e quindi centinaia di migliaia di cittadini dell’Unione Europea possano vivere in condizioni di disagio, perché l’obiettivo della politica e l’obiettivo dell’Unione Europea è quello di avere una strategia che è legata all’economia sociale di mercato, dove il mercato è fondamentale, ma è soprattutto lo strumento per fare una politica sociale. Questo è l’obiettivo che noi abbiamo davanti a noi. E per fare politica sociale, cioè per dare lavoro ai cittadini, noi dobbiamo aiutare le imprese grandi, piccole e medie a poter lavorare ed essere competitive sui mercati mondiali. E come si è competitivi sui mercati mondiali dove, in paesi come la Cina, in paesi come l’India, in paesi come la Russia, ci sono milioni e milioni di lavoratori, il cui costo del lavoro è certamente molto più basso di quello della unione europea; dove in alcuni di questi paesi emergenti le regole e le garanzia di tipo sociale e sindacale sono più basse di quelle che ci sono in Unione Europea? Certamente non possiamo competere sulla quantità, perché ne saremmo sconfitti; dobbiamo competere sulla qualità e la qualità si chiama innovazione; la traduzione di qualità è innovazione. Ma naturalmente per aiutare non soltanto le grandi aziende, perché loro l’attività di innovazione la svolgono perché hanno i mezzi per farlo, hanno anche le idee, hanno le capacità, hanno le risorse, hanno la cultura. E prima Dompé parlava dei cluster. Certo che la grande industria ha la possibilità di investire in ricerca, ha la possibilità di avere contatti con le università, ha la possibilità di dedicare una parte dei propri sforzi e delle proprie energie alla ricerca, e quindi all’innovazione. Noi dobbiamo però mettere in condizione, come veniva ricordato qui nel corso di questo dibattito, anche le piccole e medie imprese di poter essere innovative, di rinnovarsi perché se no rischieremo di trovare sempre più piccole e medie imprese, che poi rappresentano la vera colonna vertebrale della nostra economia europea, in difficoltà, perché non saranno competitive nell’esportare i loro prodotti su mercati diversi da quello europeo ma anche su quello europeo, con prodotti che magari vengono dalla Cina, dall’India o dalla Russia. Allora noi cosa possiamo fare? Certamente dobbiamo dare delle buone regole per impedire per esempio che ci sia la delocalizzazione del nostro sistema imprenditoriale. Piccole e medie imprese ma anche grandi imprese, e, visto che siamo in un luogo dove anche Marchionne ha detto alcune cose sulla FIAT, una parola la voglio dire anche io. Il nostro impegno è quello di impedire la delocalizzazione, cioè vale a dire il trasferimento degli impianti industriali e del lavoro fuori dall’Unione Europea, non per esplorare nuovi mercati – questa è l’internazionalizzazione – ma perché non ci sono più le condizioni per l’attività industriale all’interno dei confini dell’Unione Europea. Allora noi certamente dobbiamo fare in modo che vengano rispettate le sentenze dei giudizi, certamente dobbiamo fare in modo che vengano rispettati i diritti dei lavoratori, perché sono regole fondanti, valori fondanti della nostra economia, dell’economia sociale, di mercato; ma dobbiamo anche fare in modo che le imprese, le industrie possano continuare a produrre benessere sui nostri territori e di questa responsabilità devono farsi carico certamente i proprietari, certamente gli amministratori, ma se ne devono far carico anche i sindacati, che devono avere una visione più moderna, più innovativa per quanto riguarda la politica industriale. Un appello che io lancio al mondo sindacale è questo, e la stragrande maggioranza considera queste scelte positive: devono favorire l’innovazione per impedire la delocalizzazione e questo discorso vale anche per la FIAT. Allora, diciamo, noi Europa che cosa stiamo facendo per favorire l’innovazione? Intanto la scelta politica che è stata fatta è quella di dare, nel documento Europa 2020, che disegna un po’ la strategia della Commissione Europea di qui ai prossimi dieci anni, è quella di innalzare al 3% del prodotto interno lordo gli investimenti per la ricerca. Oggi siamo fermi all’1,9; se guardiamo invece quello che accade negli Stati Uniti e in Giappone, vediamo che negli Stati Uniti siamo al 2,6 del prodotto interno lordo, addirittura in Giappone siamo ancora quasi al 3 e mezzo % del prodotto interno lordo. Noi dobbiamo fare in modo che, forse per l’Italia il 3 è troppo, però dobbiamo favorire questo percorso che in Europa ci porti a un investimento del 3% del prodotto interno lordo, se vogliamo veramente che tutto il sistema imprenditoriale possa essere innovativo. Questo è un po’ la chiave anche della comunicazione che noi faremo tra qualche settimana da Bruxelles, cioè la strategia politica sull’innovazione, che verrà prima della strategia sulla politica industriale. Non è un caso che i responsabili siano non soltanto il commissario innovazione, ma anche il commissario all’industria della strategia sull’innovazione, perché non ci può essere politica industriale se non c’è politica dell’innovazione. Ma l’innovazione, dicevamo, a livello strategico generale significa investire di più in termini di prodotto interno lordo, ma significa anche permettere alle piccole e medie imprese di poter investire all’interno della loro microvisione più di quanto possono fare oggi. E se, il problema è molto chiaro, se non c’è accesso al credito non si può fare innovazione. Noi non possiamo pensare che una piccola impresa con venti, trenta, quaranta, cinquanta persone, se è presa per il collo per quanto riguarda i crediti, possa poi anche innovarsi. Ecco perché noi due strategie dobbiamo fare: favorire, quindi fare in modo che le banche, anche le piccole banche che hanno già svolto un ruolo importante, tutte le banche tornino a fare il loro mestiere, che è quello di raccogliere risparmi e erogare credito alle famiglie e alle imprese. Questo per quanto riguarda il credito. Il secondo aspetto importante, e passo alle cose concrete perché stiamo per arrivare a un risultato positivo, mi auguro entro la fine di quest’anno, con l’approvazione della direttiva sul ritardo dei pagamenti, è fissare delle regole e dei termini di scadenza oltre il quale le pubbliche amministrazioni quando sono debitrici nei confronti delle pubbliche amministrazioni, superata quella scadenza. debbano pagare un interesse. Insomma dobbiamo fare in modo che tutte le amministrazioni pubbliche paghino al privato quello che gli è dovuto, perché per una piccola e media impresa è importante. Pensiamo ai ritardi di pagamenti in certe regioni italiane nel settore della sanità; è vero che il settore della sanità per quanto riguarda la ricerca e anche i servizi è all’avanguardia, ma è certamente a livelli di forte retroguardia per quanto riguarda il pagamento alle piccole e medie imprese, che senza un pagamento del loro dovuto in termini normali e accettabili rischiano di chiudere, di mandare a casa decine e decine di persone. E questo la Commissione Europea, ecco questa è una scelta politica non burocratica della Commissione Europea. Siamo riusciti a superare anche gli ostacoli da parte degli Stati membri, perché il Parlamento ha sostenuto la nostra posizione, siamo riusciti ad arrivare a una soluzione, io credo che entro la fine dell’anno avremo l’approvazione di questa direttiva importante sul ritardo dei pagamenti, che favorirà certamente la innovazione. Ma innovazione, come si diceva oggi, è innovazione in tanti settori. Pensiamo nel settore della difesa, che è un settore industriale fondamentale per l’economia dell’Unione Europea, pensiamo all’industria farmaceutica che è un altro settore fondamentale anche per una politica sociale. Io vorrei coinvolgere, l’ho annunciato già al segretario generale, le Nazioni Unite per quanto riguarda il tema della responsabilità sociale d’impresa: anche qui si tratta di innovazione. Non è un’innovazione che porta benessere finanziario, ma è un’innovazione che certamente porta un cambiamento. Puntare sulla responsabilità sociale d’impresa è lì, ecco, l’industria farmaceutica. Pensate quanto bene può fare l’industria e quanto può fare per la crescita del Sud America e dell’Africa una seria politica di responsabilità sociale d’impresa, dove l’industria farmaceutica si impegna, attraverso la sua attività d’innovazione, per combattere malattie che in Africa si fatica a poter debellare, quale la malaria, l’Aids, la tubercolosi. E allora sì che c’è innovazione anche morale, anche della persona, anche della scelta. Quindi un contributo allo sviluppo e alla crescita serio, con un aiuto forte da parte delle imprese e, devo dire che l’industria farmaceutica da questo punto di vista è sensibile. Dobbiamo impedire che ci sia quel mercato vergognoso che porta a buttare in Africa le medicine scadute e vediamo madri che cercano nei cassonetti di grandi città africane medicine scadute per cercare di salvare i propri figli. Questa è una cosa che deve cambiare, anche questa è innovazione. Questo messaggio lo voglio lanciare, perché so che l’industria farmaceutica è particolarmente sensibile, ma voglio lanciare questo messaggio dal Meeting di Rimini, dove, per fortuna, apprezzo le parole con cui ha concluso il suo intervento Arzilli, deve partire anche un messaggio etico. Non dico un messaggio morale, un messaggio etico. Innovazione è anche questo modo di cambiare il modo di fare impresa, perché proprio guardiamo sempre alla persona, guardiamo sempre al cittadino, guardiamo anche all’uomo, che ha un rapporto con noi sia esso in Africa o in America Latina. Ma innovazione significa anche cambiare, e lo dico in una città come Rimini, cambiare il nostro modo per esempio di fare politica del turismo. L’Europa vuole intervenire perché ne ha, grazie al trattato di Lisbona, la responsabilità e ha avuto l’onore e l’onere di essere insieme la responsabile della politica industriale, della politica dell’impresa e dello spazio, anche della politica del turismo. Innovare nel settore del turismo significa poter creare decine di migliaia di nuovi posti di lavoro, non guardare più il turismo come lo si è guardato per decine di anni, ma cercare di trovare al turismo un valore aggiunto, puntando sull’innovazione, che è un’innovazione culturale ma anche innovazione tecnologica. E perché non utilizzare avvenimenti come la fiera, come l’expo del 2015 di Milano per attirare turisti in Europa? Ma chi l’ha detto che il businessman cinese debba venire a Milano solo per fare affari? Perché non può portare famiglia e amici per restare invece che tre giorni, restare quindici giorni; dopo essere stato a Milano andare a Venezia, e poi a Trieste, e poi andare a Vienna, e poi a Budapest? Perché non fare lo stesso con le Olimpiadi di Londra in programma e poi, mi auguro, per le Olimpiadi di Roma del 2020? Con una visione europea, noi stiamo lavorando con i russi e con i cinesi puntando a delle scelte innovative. Innovazione è anche superare una politica del turismo, dell’egoismo localistico, una regione contro l’altra, un paese contro un altro. Ma chi l’ha detto che un marchio, per esempio Europa, non possa fare in modo che la matematica sul serio sia un’opinione; invece di cento, duecento, trecento turisti, quella somma possa diventare quattrocento o cinquecento, perché il marchio Europa aggiunge qualche cosa di più, fa crescere l’attrazione di un continente che deve fare della politica del turismo, ecco, anche qui un’innovazione della politica economica e industriale? Anche questo è piccola e media impresa. Noi possiamo fare di più, dobbiamo difendere anche le nostre piccole e medie imprese, tutta l’azione che è stata fatta da parte della Commissione Europea, da parte del Parlamento Europeo, della difesa del made in, io credo che la soluzione debba essere un made in europeo più che un made in nazionale, perché è difficile poter risolvere il problema da questo punto di vista. Ecco, quindi non è soltanto una scelta tecnologica, è anche scelta dell’idea, from idea to market, è un po’ il messaggio che volevo mandare. Volevo anticiparvi alcune cose, quelle che stiamo facendo naturalmente sull’accesso agli strumenti finanziari l’abbiamo detto, sul trasferimento tecnologico dal laboratorio alla fabbrica perché poi le scoperte, il lavoro che si fa, che la grande impresa può fare deve poi essere trasferito dalla grande impresa alla piccola e media impresa che sta nel piccolo comune magari di montagna, dove però può fare qualcosa in più. Poi naturalmente possiamo valorizzare i mercati guida e favorire la diffusione delle tecnologie. Io voglio soltanto annunciarvi, anticiparvi qui alcuni contenuti dell’Innovation union che è il documento sull’innovazione che presenteremo con la commissaria Guggenheim nelle prossime settimane. Tre minuti benissimo. Allora, la partnership sulle materie prime. Abbiamo un problema delle materie prime che tutto il mondo industriale europeo conosce. C’è una crisi fortissima delle materie prime e là noi dovremo intervenire per cercare di sviluppare nuove attività di sostituzione, di recupero e di riciclaggio delle materie prime. Anche questo è una cosa che riguarda la nostra attività di politica di informazione. Poi dovremo dare vita a due distinti soggetti, entrambi fondamentali per l’implementazione delle politiche di innovazione: l’European design leadership board e l’alleanza delle industrie creative europee. Insomma, l’obiettivo è un marchio di eccellenza europeo per il design. Un altro fronte è quello delle competenze digitali, gli skill entro il 2011; proporremo un quadro integrale e completo su questo punto allo scopo di rafforzare la formazione di personale qualificato. E ancora, entro il 2012 la Commissione intende mettere a punto un regime che permette ai fondi di venture capital, stabiliti negli stati membri, di raccogliere capitali e di investire liberamente all’interno della Unione Europea. Anche questo è un modo diverso di fare innovazione. Ecco, questi sono soltanto alcuni punti. Io credo che la Commissione Europea abbia dimostrato la volontà di essere punto di riferimento politico per le piccole e medie imprese, per il sistema economico imprenditoriale e manifatturiero dell’Unione Europea. Intendiamo proseguire questa strada, abbiamo fatto la scelta dell’innovazione, cercheremo di fare delle buone norme, di creare un buon terreno che favorisca l’innovazione, abbiamo bisogno del contributo di tutti. Noi siamo convinti che l’innovazione non sia una prerogativa soltanto dell’industria o della politica. Anche i corpi intermedi devono essere protagonisti della innovazione. Vi chiamiamo a raccolta, chiamiamo a raccolta i corpi intermedi, le organizzazioni di categoria, le banche, le banche cooperative, le strutture di volontariato, a dare un contributo perché insieme si possa vincere questa sfida dell’innovazione che è la grande sfida sulla quale l’Europa è chiamata a confrontarsi nell’era della globalizzazione. Contro la quantità noi possiamo giocare soltanto la grande carta dell’intelligenza, della storia, della cultura dell’Unione Europea che si chiama qualità. Se la sapremo giocare, la nostra economia ne trarrà certamente vantaggio e forse riusciremo a creare qualche migliaia, qualche centinaia di migliaia di posti di lavoro in più, che è il nostro obiettivo prioritario. Vi ringrazio.
BERNHARD SCHOLZ:
Io ringrazio Antonio Tajani anche perché l’Unione Europea veramente ha dato una svolta anche con il famoso Small business act, che è stato recepito anche dal governo italiano, cercando di dare spazi reali alle piccole e medie imprese, chiedendo anche ai sistemi politici di riconoscere la loro valenza, il loro potenziale. Per quanto riguarda le piccole e medie imprese stesse, io penso che loro stesse che sono piene di idee, piene di innovazione, abbiano un potenziale da spendere, dialogando in un modo consistente con la grande industria, riconoscendo, anche se non fa sempre piacere, le loro richieste a livelli organizzativi di pianificazioni a lungo termine e presentandosi con dei piani veri, con dei budget consistenti e innovativi anche alle banche, perché l’innovazione è anche una questione di sistema fra tutti gli attori e penso che questo tavolo di oggi abbia dato un impulso a tutti in questo senso. Per rispetto di tutti quelli che vogliono andare adesso al grande incontro delle ore 17 rinunciamo al secondo round. Voi conoscete tutti i siti internet, i libri delle persone qua presenti. Se vi interessa andate a studiarli. Io vi auguro un buon proseguimento del Meeting. Ringrazio tutti gli interlocutori di questo pomeriggio. Grazie.
(Trascrizione non rivista dai relatori)