INNOVAZIONE: IL MOTORE DELLO SVILUPPO

Partecipano: Brunello Cucinelli, Presidente e Amministratore Delegato Brunello Cucinelli Spa; Manuela Kron, Direttore Corporate Affairs Gruppo Nestlé in Italia; Gianpiero Lotito, Founder & CEO FacilityLive. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.

INNOVAZIONE: IL MOTORE DELLO SVILUPPO

BERNHARD SCHOLZ:
Benvenuti a questo incontro sul tema dell’innovazione. Non passa un giorno in cui non si parli di innovazione, però purtroppo se ne parla tanto e se ne fa poca. Quindi questo incontro oggi vuole servire ad approfondire il tema di come è possibile innovare, di quali sono le condizioni, i fattori che favoriscono il fare cose nuove o il fare cose vecchie in un modo nuovo. A questo dialogo abbiamo invitato Manuela Kron, Direttore Corporate Affairs Gruppo Nestlè in Italia, Brunello Cucinelli, Presidente e Amministratore Delegato della Fondazione “Brunello Cucinelli S.p.A” e Gianpiero Lotito, Founder e CEO FacilityLive che oggi è con noi perché ha rifiutato di farsi comprare dalla Google. Iniziamo subito ad entrare nella tematica: Nestlé festeggia 150 anni, quindi sicuramente qualche cosa ha innovato, altrimenti sarebbe già sparito dal mercato. I consumi di Nestlé superano il miliardo di porzioni al giorno, lavora in quasi tutti i Paesi del mondo, con 340 mila dipendenti in organico, in Italia sono 5500 in 13 stabilimenti. Questa è la cornice ma la domanda a Manuela Kron è: qual è stata la tua marcia in più? E’ già difficile far carriera, per una donna è ancora più difficile. Come ti sei mossa per innovare dentro ad una multinazionale in cui non mi sembra molto facile che idee nuove si realizzino molto facilmente?

MANUELA KRON:
Buongiorno a tutti. In realtà, le idee nuove si realizzano, eccome. Una delle innovazioni più riuscite nella mia azienda è stato dire: la pizza deve essere per forza rotonda o magari alle persone può piacere anche rettangolare? E siccome le teglie sono rettangolari, noi abbiamo venduto un’innovazione che era la pizza rettangolare. Questa è stata un’innovazione semplice e che ha funzionato. Quindi l’innovazione non dev’essere qualche cosa per forza di eclatante, ma semplicemente può essere fare in modo diverso qualche cosa che era stato fatto fino a quel momento. E’ abbastanza buffo che questo approccio di pensiero mi è venuto tanti anni fa, partendo dagli specchietti laterali delle automobili. Quando ero piccolina, gli specchietti laterali erano corpi mobili e vetri fissi e sembravano funzionare benissimo così, hanno funzionato così per tantissimi anni. Poi qualcuno, vorrei tanto che quel qualcuno mi si materializzasse davanti, ha detto: ma deve andare per forza così? Rispetto a un qualche cosa che funzionava bene qualcuno, un genio assoluto per me, ha inventato corpi fissi e vetri mobili, che sono le nostre automobili. Qualche volta penso che se noi ci mettiamo a pensare di fare innovazione, questo pensiero ci schiaccia. In realtà, fare innovazione è semplicemente cercare di guardare le cose da tanti punti di vista, vedere come le persone ne usufruiscono, e cercare di dire: ma lo posso fare anche in maniera differente. Quindi all’interno dell’azienda, portando questo genere di cultura, ho trovato un terreno molto fertile, perché appunto, come dicevi prima, Nestlé nasce da una grande innovazione 150 anni fa ed è cresciuta andando avanti per innovazioni, magari facendo cose piccole, che però si sono rivelate essere anche molto forti. Anche in altre aziende dove ho lavorato, mi sono sempre occupata di cose nuove e su certi aspetti ho sempre trovato che se hai un approccio in cui cerchi di far vedere alle persone quello che stai vedendo tu, questo funziona.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Manuela. Brunello Cucinelli è stato un innovatore che ha fatto il maglione di cashmere in modo colorato. Questo è stato l’inizio di una azienda, una azienda di stampo – come dice lui – umanistico, perché avendo visto suo padre soffrire in fabbrica, voleva fare una fabbrica dove la gente stesse bene, si trovasse a suo agio. Ha creato una struttura dove, ad esempio, alle 17.30 si esce tassativamente, le mail sono spente e si ritorna il giorno dopo alle 8, c’è una pausa pranzo di 90 minuti con buono mensa. Questi sono solo alcuni elementi. È una azienda di successo, quotata in borsa a rilevanza internazionale. La mia domanda specifica è questa: questa organizzazione che tu hai creato, ha favorito questa innovazione continua che è nata da questa innovazione originaria? Perché una volta fatta un’innovazione non ci possiamo fermare, dobbiamo andare avanti, come diceva Manuela prima. Quei tipi di rapporti, di relazioni interne che tu hai creato e cerchi tutt’ora di creare, favoriscono, aiutano la creatività e la riflessione dei processi innovativi?

BRUNELLO CUCINELLI:
Intanto grazie immensamente per l’invito. Prima di tutto vorrei fare un grandissimo complimento al tema che avete scelto. Avete scelto l’essere umano. Quindi questo è un meeting dove l’essere umano è al centro di tutto. Vorrei che le cose che dico le ascoltassero ragazzi venticinquenni e io vorrei parlare loro da nonno, da padre. Mi piacerebbe con voi fare delle riflessioni sul momento in cui viviamo, su come guardiamo il mondo e su che cosa possiamo fare insieme. Io lo trovo un momento proprio affascinante. Siete d’accordo con me, io ho scritto che questo è il miglior mondo dove noi potevamo vivere, perché l’umanità non ha avuto mai un momento così meraviglioso. Siete d’accordo con me che internet ha cambiato l’umanità e probabilmente può essere ritenuta forse l’innovazione più grande anche dei prossimi secoli? Ha cambiato il modo di rapportarci, e ci ha creato quel mal dell’anima che io avevo visto nei miei genitori e nei miei zii ma all’ennesima potenza. Per poter curare questo mal dell’anima abbiamo bisogno in qualche maniera di cultura, perché la cultura è il nutrimento della civiltà. Abbiamo avuto un trentennio di crisi di civiltà, onestamente non dico crisi economica, non ne voglio parlare, ma una crisi di civiltà dove noi abbiamo immaginato di governare la civiltà solo con la scienza. L’umanità non si può governare solo con la scienza, ma si deve miscelare l’anima, altrimenti non c’è possibilità di vita. Mi sono segnato tutto perché non mi deve sfuggire niente. Ho temi importantissimi che vorrei che questi amatissimi giovani accogliessero. C’è una bella espressione di Eraclito, che è uno dei miei grandi maestri, che dice: “Mentre le cose si riposano il mondo si rigenera”. E noi siamo nel momento della rigenerazione dell’essere umano. Noi siamo in rinascita. È chiaro però che dobbiamo ritrovare il coraggio di credere nella speranza. Abbiamo perso l’amore verso la speranza ed è la speranza che genera coraggio. Quindi abbiamo bisogno di speranza e di coraggio. Abbiamo cercato di convincervi che noi eravamo più bravi di voi, non è vero niente, voi siete come eravamo noi alla vostra età e avete un futuro meraviglioso. Adesso mi piacerebbe che foste, da domani, guardiani, sentinelle, custodi dell’umanità, custodi protempore. Voi siete i futuri custodi. E adesso mi piacerebbe immaginare che cosa possiamo fare domattina insieme: tornare a credere nello Stato. Platone nella sua Repubblica dice: “Rispetta le leggi dello Stato più che i tuoi genitori”. Se noi torniamo a credere nello Stato, significa che torniamo ad avere rispetto per l’umanità. Siete convinti che viviamo nel migliore stato sociale al mondo? Si, noi viviamo in Italia, il miglior Stato sociale al mondo. Abbiamo qualche debito di troppo, sì, ma l’essere umano in Italia è trattato con una grandissima umanità. Abbiamo ridisegnato la mappa mondiale del lavoro e questo ha cambiato l’umanità, perché la nuova mappa mondiale del lavoro dice che noi italiani possiamo fare cose solo speciali, quindi manufatti speciali. Per fare manufatti speciali abbiamo bisogno di esseri umani che vengano trattati con dignità morale ed economica. Mio babbo non conosceva niente dell’operato e dei profitti del suo datore di lavoro, adesso voi conoscete tutto, noi conosciamo tutto, il che significa che per essere credibili dobbiamo essere veri. Questa è una cosa abbastanza importante: io sono convinto che i nostri figli, i nostri nipoti, i miei nipoti, siano i più bravi al mondo, perché noi abbiamo scuole con diciassette materie e in questo momento ci sono una marea di aziende internazionali che vengono a investire qui in Italia, perché dicono che voi giovani avete il tasso più alto di capacità di intercettare le cose quando non sono lineari. Abbiamo qualcosa di speciale, perché ci dobbiamo buttar giù così? Vi vorrei dare un’ultima responsabilità: noi abbiamo bisogno di riprogettare le periferie in un modo garbato, abbiamo restaurato i centri storici delle nostre città, adesso dobbiamo curare, se è vero che vivono nelle periferie il 75% degli esseri umani, dobbiamo far sì che le nostre periferie tornino ad essere splendenti e di grande umanità. Quindi vi vorrei lasciare dicendo: questa migrazione forse, è la più grande migrazione del secolo. E non è vero che viene solo dalla guerra, sono stato in Mongolia e un ragazzo, un pastore mongolo, ha voluto vedere dove io abitavo, dove noi lavoravamo. Questa sarà la più affascinante migrazione dell’umanità secolare. E noi siamo un popolo speciale, tolleranti, speciali, abbiamo grande umanità e grande dignità. E adesso a voi giovani vi vorrei dare due obblighi: di governare l’umanità come veri custodi e l’altro, come dice il mio grande maestro Rousseau, unire la mente e l’anima, perché un progetto che parte dalla mente e passa per l’anima sarà un grandissimo progetto. E adesso vorrei concludere dicendo a voi giovani: dovete essere persone per bene e non volgere mai le spalle alla povertà, grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Brunello, però vuol dire che alla domanda rispondi nel secondo round.

BRUNELLO CUCINELLI:
Ci ho pensato un giorno e mezzo, quando mi hanno invitato, e mi chiedevo: ma che gli dico a questi giovani affascinanti, che hanno paura, di che? E poi non parlo più: mio babbo per Natale mi ha detto una cosa bellissima, 95 anni: “Ti devo confessare una cosa: avevamo 8-9 anni con i tuoi fratelli, andavamo a letto, avevamo fame e mio babbo e mia madre piangevano perché non avevano di che mangiare”. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Giampiero Lotito ha abbandonato una carriera da musicista per occuparsi di editoria e di tecnologie che potesse valorizzare i contenuti. Da lì è nata poi, saltando tutti i passi intermedi, lo sviluppo di una tecnologia per l’organizzazione e la ricerca di contenuti, è nato un cosiddetto motore di ricerca che, come accennato prima, è risultato talmente potente che Google si è presentato volendolo comprare. Lui ha detto di no. Adesso io non mi accingo a presentare questa invenzione innovativa che ha portato poi “FacilityLive” a essere una delle start-up di high-Tech più importanti nel mondo. Chiedo a lui di presentare direttamente questa innovazione e poi facciamo due tre domande di approfondimento. Partiamo subito con il video così iniziamo.

GIAMPIERO LOTITO:
È un video che in tre minuti racconta il percorso che abbiamo fatto.

Video

Grazie, allora il video consente in tre minuti di raccontare una storia lunga e complessa, perché provare a fare innovazione nell’ambito del software a livello globale da una piccola città italiana, è una sfida complessa, molto difficile e noi tre anni fa abbiamo deciso di non andare in Silicon Valley, di rinunciare molto probabilmente a una quantità di denaro importante a livello personale per portare la sfida dell’Europa, credendo che fosse possibile da qui, costruire una compagnia, una società globale, un’azienda globale nel campo del software, anche perché sono tanti gli elementi di cui bisogna tener conto per non avere paura. Non c’è motivo per pensare che un nostro laureato sia meno talentuoso, meno pronto o meno intelligente del laureato di Harvard o di Stanford: lì hanno degli ecosistemi molto forti che permettono alle idee che hanno questi ragazzi di andare velocemente verso l’alto, ma quando è cominciata la storia degli anni ’80, questo ecosistema non c’era, e quindi si può creare, si può cercare di creare qualcosa che parta da una città italiana con caratteristiche adatte a quelle della nostra cultura, del nostro modo di fare impresa. L’innovazione è uno stato della mente, non è qualcosa che si impara sui libri, cioè io nasco innovatore e muoio innovatore. Questa è una caratteristica anche delle aziende. Faccio due esempi che conosco, delle aziende che sono qui al tavolo: uno, secondo me l’innovazione più clamorosa che ha fatto Nestlé nel caffè, ha cambiato il nostro modo di concepire il concetto di caffè a casa e in ufficio, la Nespresso. E’ un’innovazione straordinaria, fatta soprattutto vincendo la sfida in un Paese come il nostro che è il Paese del caffè. Lo dicevo prima a Brunello, io trovo straordinario il fatto che lui abbia pensato di dare un modus cultura, ai suoi dipendenti, di permettere ai dipendenti di chiedere il rimborso dei biglietti del teatro o dei concerti o dei libri che comprano. Innovazione è anche queste cose, non è solo tecnologia, anche perché in modo molto disincantato io ritengo che questa non sia l’era tecnologica più rilevante e devastante. Il frigorifero, secondo Jacques Le Goff, è stata la cosa che ha fatto passare l’umanità dal medioevo all’età moderna e non ha tutti i torti, perché il frigorifero ha cambiato il senso del tempo. I nostri nonni hanno visto la radio, la televisione, hanno visto le autostrade, hanno visto tantissime cose, però le hanno visto nell’arco di una vita. Noi in venti anni stiamo vivendo una cosa sconvolgente, che però non ha niente di nuovo. Questo oggetto qui mette al suo interno tanti oggetti che avevamo prima, una macchina fotografica, un telefono, un oggetto per ascoltare la musica eccetera eccetera. Quello che ci sconvolge veramente, è che tutto questo è senza peso, è ubiquitario, arriva dappertutto. E soprattutto, e questo è molto vicino al tema del Meeting, c’è una macchina che ci dice quello che dobbiamo fare. E allora qual è il pensiero che io e Mariuccia Teroni abbiamo avuto, dopo aver vissuto una vita di lavoro nel mondo editoriale? Noi lavoriamo insieme da ventinove anni, questa idea la abbiamo avuta quindici anni fa, dieci anni fa abbiamo presentato le domande di brevetto, cinque anni fa abbiamo cominciato a mettere in piedi l’idea FacilityLive, perché le start-up, le grandi idee sono percorsi. Non dobbiamo far credere che siano biglietti della lotteria, che creare una nuova impresa sia qualcosa che io faccio perché tra tre anni la venderò per tre milioni e mi sistemerò per la vita. Perché molto spesso è stato questo il concetto di innovazione e di novità che è stato trasmesso. Noi abbiamo un Paese dalle ricchezze straordinarie, siamo uno dei cinque Paesi con più di 100 miliardi di surplus manifatturiero nel mondo. Siamo ancora una potenza industriale di primo livello nel mondo. Sapete dove è il futuro più straordinariamente in trasformazione nei prossimi dieci/quindici anni? Nell’azienda manifatturiera. Non su internet. Internet è uno strumento, è un mezzo, è un veicolo. Ma il mondo reale rimane. L’innovazione è il mestiere di alcune persone, l’execution è il mestiere di altre persone, la creazione di opportunità di mercati è il mestiere di altre persone ancora. Noi queste cose le abbiamo nel Paese e non sono inferiori assolutamente a quelle di altre grandi potenze industriali. Solo che: 1) non ci crediamo, questo è il problema, perché per noi, quello che arriva da qualche altra parte, è sempre meglio di quello che facciamo noi; 2) abbiamo poco senso del gruppo. Una delle cose che ci contraddistingue come italiani è la capacità di primeggiare, però noi vogliamo primeggiare fino alla fine. Mentre c’è un momento in cui dobbiamo capire che poi bisogna mettersi tutti insieme e cercare non di prevalere, ma di fare squadra, gruppo, di creare ecosistemi, come fanno in Silicon Valley, come fanno i tedeschi, come fanno gli inglesi. Noi abbiamo grandi doti, ma ci manca un pezzo in questo mondo per diventare veramente la prima linea, la prima fila, ed è importante questo passaggio, perché il più grande limite che noi abbiamo in questa fase storica siamo noi stessi. E lo dico da persona che ha deciso di non andarsene da qui, e lo dico da persona che quando va fuori, legge nelle parole degli altri, nella considerazione che altri popoli hanno di noi, un’ammirazione straordinaria. C’è una finestra di opportunità di cinque /dieci anni adesso, nella quale le idee possono avere una velocità, una forza straordinaria. Noi abbiamo raccolto 30 milioni di euro da 75 investitori privati italiani. Non c’è una banca, non c’è lo Stato, non ci sono fondi, non ci sono venture capital. Privati. Persone che credono in un’idea e la aiutano a crescere. C’è una diponibilità di capitali e una possibilità di accesso al capitale, perché quando fai crescere una azienda innovativa senza debito, la fai crescere sana, con la possibilità di svilupparsi, come ci hanno insegnato in Silicon Valley. Sono tantissime le condizioni favorevoli di questo momento, di questa epoca. Esistono due tipi di aziende innovative che nascono dalle idee: una che nasce dall’idea in sé, e quella può averla un ragazzo come Zuckerberg, che a 22 anni crea un social network (non è stato il primo, c’è stato dieci anni prima una cosa che si chiamava Classmate che faceva esattamente quello che fa Facebook, lui è stato bravo a riconoscere il momento giusto e quella cosa lì è nata per conoscere le ragazze dell’università, non è che è nata con la prospettiva di diventare la piattaforma di un miliardo e settecento milioni di persone). Quindi gradi idee che possono arrivare anche da ragazzi molto giovani, ai quali va data la possibilità di sbagliare, che è un altro limite che abbiamo in Italia e in Europa, perché noi non diamo ai ragazzi la possibilità di avere la seconda, la terza, la quarta prova che quello che stanno facendo è giusto. In America, ci sono venture capital che quando fanno i colloqui per capire se investire su un’azienda, chiedono quante ne hai già fatte, e se ne hai fatte due o tre, sbagliando, la possibilità che sbagli con loro diminuisce, perché hai fatto esperienza, hai fatto errori. Sono tantissime le condizioni, per cui questa è una condizione storica straordinaria, in cui possono nascere anche un secondo tipo di idee, quelle che nascono dall’esperienza, come nel nostro caso: abbiamo lavorato per vent’anni, abbiamo avuto un’idea importante, l’abbiamo messa per strada, a cinquant’anni, non a venti o a venticinque, perché a venticinque non sarebbe stato possibile. E questo è un Paese che produce intelligenze e innovatori, anche di cinquant’anni, non solo di venti / venticinque. E bisogna far leva su quello che noi abbiamo come capacità, come Paese: la manifattura, la creatività, l’intelligenza, il talento, la capacità di inventare cose che non c’erano prima, lo facciamo da mille anni, da duemila anni, e andare avanti su questa strada, perché nei prossimi dieci anni si fanno i giochi dei prossimi trenta o quaranta. E se perdiamo questo treno, ci rivediamo nel 2050, come quando abbiamo perso il treno degli anni ’80 dell’informatica, dello sviluppo dell’informatica a livello globale e ci siamo rivisti nel 2020.

BERNHARD SCHOLZ:
Abbiamo sentito che l’innovazione non è solo la genialità di uno, ma anche una capacità di lavorare insieme, di creare squadra. Il gruppo Nestlé tra l’altro ha valorizzato alcune squadre importanti italiane, quelli che fanno i Baci Perugina, quelli della Buitoni, quelli che fanno diversi gelati, ma in che senso una multinazionale, una grande organizzazione riesce a valorizzare creatività, a mettere insieme forze innovative, cambiamenti, perché spesso si sente dire che è meglio lavorare in una piccola impresa perché la grande comunque ti mortifica. È vero o non è vero? Cosa ne pensi?

MANUELA KRON:
Penso che chi lo dice appartiene a una piccola impresa, che va benissimo. Grazie per aver citato qualcuna delle nostre innovazioni. Una di quelle che ha citato prima Lotito, in realtà ci ha messo quindici anni a diventare quello che vediamo oggi, solo che a un certo punto c’è una specie di disvelamento e ti sembra che sia appena nata. E mi è piaciuto molto il discorso di “bisogna permettersi di fare errori”. Quello che una grande organizzazione ti permette di più è di fare errori in piccola scala e di fare tentativi, di fare prove: quello che non funziona nel paese A, magari funzionerà benissimo nel paese B. E relativamente a quello che stavi dicendo prima dei marchi italiani, chiediamoci: che innovazione c’è in una bottiglia d’acqua minerale? Però siamo tutti orgogliosi di trovare San Pellegrino ovunque nel mondo, perché è un simbolo del made in Italy. Ma è un simbolo del made in Italy che ha potuto diventare grande perché c’era dietro la forza muscolare di una grande azienda multinazionale, che ha creduto in quello che un piccolo gruppo di marketing italiano diceva di poter fare. È stato anche lì un procedere per prove ed errori e tutt’ora è un procedere per prove ed errori. Io, da cittadina italiana che vuole scommettere sul suo Paese, se c’è qualcosa che trovo minaccioso, è l’ingessamento del made in Italy, e ho sentito voi, invece, fare degli esempi bellissimi di controingessamento. Quindi grande azienda / piccola azienda credo che alla fine in termini creativi e di sviluppo creativo cambi poco. Mi piace molto lo stimolo che hai dato, che tra l’altro è esattamente quello del titolo del Meeting. Sei un bene perché uno può avere un’intuizione, ma poi c’è una squadra che lo deve realizzare. Ci devono essere l’ecosistema e anche quello delle persone. E non sono d’accordo su un unico punto di quello che diceva prima Lotito sul dire che uno nasce innovatore. Io non sono affatto nata innovatore, ho avuto una serie di punti che mi hanno fatto vedere che potevo sempre reinventare qualcosa di nuovo, bastava che non pensassi di aver trovato la soluzione finale. E credo che questo nelle aziende debba essere il bene maggiore da incentivare: cercare di selezionare le intuizioni che, per una serie di ragioni, sembrano più interessanti e mettere in atto i gruppi di lavoro che cercano poi di svilupparla, tenendo presente che a volte prendono delle strade completamente diverse. L’esempio di Facebook è grandioso, il concetto di “ragazzo vuole incontrare ragazza” che diventa un’enorme macchina.

BERNHARD SCHOLZ:
È diventato anche implicitamente chiaro, forse lo puoi approfondire, che l’innovazione non riguarda solo un prodotto, ma tutto quello che veicola e può trasformare un prodotto, perché alcuni dei prodotti che voi avete innovato, li avete innovati in altre forme.

MANUELA KRON:
Il Bacio perugina ha una bellissima scatola, enorme, da regalo, in un mercato che poi è andato scendendo. E poi qualcuno, che non era Nestlé, perché non erano ancora di Nestlé, si è inventato i tubi coi Baci, quindi una vendita diversa, ma sempre Baci erano. E quindi questo ha permesso un certo tipo di trasformazione. Sono d’accordo che non bisogna mai avere paura, c’è da dire però che a volte diventiamo più creativi quando il terreno ci viene agitato sotto i piedi, quando vediamo il tappeto che ci viene tolto da sotto i piedi, e lì è il momento di dire: non ho paura, accompagno la caduta, come fanno i pallavolisti. I pallavolisti mica hanno paura di cadere! Ecco, ogni tanto penso che dalla pallavolo potremmo per esempio trarre il fatto di dire: non importa che cada, l’importante è che impari a cascare, tanto poi mi rialzo, non mi rompo niente, mi rialzo e ricomincio. E poi una cosa che non abbiamo ancora mai detto: l’innovazione in realtà, la mente che cerca di trovare innovazione, soprattutto è divertente. Se cerchi di uscire ogni tanto dagli schemi e ti metti a guardare le cose da un’angolazione diversa, fondamentalmente è divertente. Io quando ho compreso che mi divertivo ho detto bene, basta, questa sensazione non la voglio perdere più, mi devo divertire. E sentendo loro, loro sono persone che si divertono, lo si sente subito.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Adesso semplifico un po’, però, guardando la tua impresa, e torno un po’ alla domanda di prima, si capisce che più che la quantità di lavoro, più che le ore di lavoro, più che la forza muscolare nel lavoro, ti interessa la qualità, la modalità. Puoi tornare su questo punto?

BRUNELLO CUCINELLI:
La creatività avviene quando l’essere umano vive e lavora in condizioni ottimali, sia di rapporto sia estetici. Lavorare per mille euro al mese, in un luogo poi non tanto bello, alla fine non è poi così tanto facile o tanto divertente. Quindi io che cosa volevo fare? Ispirandomi al contrario di quello che era stato fatto al mio babbo, volevo che le persone lavorassero in condizioni migliori, che ci fosse un rapporto umano leggermente diverso, che guadagnassero forse qualche euro in più. E poi non siete d’accordo che lavoriamo troppo? Si, lavoriamo troppo, i nostri genitori non lavoravano come noi. Siamo connessi dalle 6 del mattino a mezzanotte. Allora nell’azienda io volevo che uno entrasse al mattino, che all’ una ci fosse una pausa pranzo importantissima, e smettesse di lavorare 17.30. E’ anche vero che non si timbra il cartellino, che tutto è fatto sulla responsabilità. Mi chiamano il tedesco, però dopo le cinque e trenta tu devi andare a curare l’anima e il corpo come raccomanda Benedetto. San Benedetto dice una cosa bella: cura ogni giorno la mente con lo studio, l’anima con la preghiera e il lavoro. Ma tu, quando hai lavorato tredici o quattordici ore al giorno, come sta il tuo partner, come stanno i tuoi figli, come sta la tua anima? E guardate che l’innovazione sta nella serenità dell’anima, è un’innovazione umana. L’80% delle persone nella nostra azienda, siamo 1500, sono classici operai che io non voglio chiamare operai, però guadagnano 1500 euro al mese. Allora dobbiamo parlare di dignità, non si può lavorare per esempio in una fabbrica senza finestre. Nel 2016 possiamo lavorare nove ore al giorno senza finestre?
Dobbiamo ripartire dalla base, non è vero che il lavoro è un divertimento, non è vero. Innanzitutto noi siamo stati educati al fatto che vanno a lavorare coloro che non vanno bene a scuola. Quindi al lavoro abbiamo tolto tutta quella dignità morale ed economica che aveva. La scuola no. Mio babbo anche a me diceva se non studi, pazienza, lavorerai. Adesso no, è un processo inverso, perché tu devi lavorare e studiare, mentre lavori devi studiare per essere contemporaneo. Non ci sono tanti bellissimi mestieri ai quali noi abbiamo tolto dignità morale ed economica? Possiamo tornare ad investire su questi? Sì. Non possiamo vivere solo di innovazione intesa come start-up. La start-up a volte non vanno a buon fine, ma perché la start-up deve essere solo di innovazione, non può essere una start-up di manufatto? Noi abbiamo bisogno di manufatti speciali, perché il mondo da noi vuole manufatti speciali e la start-up manifatturiera può anche vivere 20 o 30 anni. Quando andavamo a scuola noi, nel 1972, il 76% dei diplomati avrebbe fatto l’operaio e il 24% il manager o l’imprenditore, adesso per forza tutti devono fare qualche cosa e i nostri figli sono delusi. Cerchiamo di ridare dignità morale e economica al lavoro.
Il mio grande lavoro sapete qual è, quello di cercare di non essere rompi stivale. Voltaire dice una cosa bellissima: “Se tu del tuo tempo non accetti i cambiamenti, forse prenderai la parte peggiore”. Adesso non parlo più, se no mi toglie la parola, ma io mi sono divertito.

BERNHARD SCHOLZ:
Comunque ci vorrebbe anche l’innovazione per toglierti la parola, perché sei talmente appassionato…
Allora Giampiero, torniamo un attimo sul tuo motore di ricerca, perché mi sembra che lì dentro ci sia qualcosa di tipicamente italiano. E’ molto importante, infatti, considerare che l’innovazione non nasce dal nulla, ma nasce proprio da un certo tipo di esperienza. Per questo l’Italia è il Paese più creativo al mondo, indubbiamente perché la cultura di questo Paese, per la bellezza naturale e la bellezza dell’artefatto, stimola l’innovazione. Il bello, infatti, è il motore più importante per l’innovazione, su questo non c’è dubbio, però adesso non voglio io parlare troppo, quindi qual è la specificità di questo motore di ricerca?

GIAMPIERO LOTITO:
Allora, viene intanto, come dicevo prima, da una lunga esperienza, quasi 25 anni di lavoro con grandi editori, e a un certo punto ci siamo resi conto, io e Mariuccia, che ci sentivamo stupidi di fronte ai motori di ricerca imperanti per le risposte che ci davano. Perché alla fine ci siamo abituati, negli ultimi 20 anni, a interagire con le macchine in un modo nel quale due umani si sentirebbero due cretini a ottenere certi tipi di risposta. Allora abbiamo detto: non c’è un modo di creare qualcosa che permetta di dare risposte precise a domande semplici, senza dover articolare domande complesse o dover imparare una sintassi per farlo? E da lì è partita l’idea. Noi ci stiamo abituando a far decidere a una macchina qual è la migliore vacanza, il miglior libro, il miglior viaggio, la miglior musica, la miglior trasmissione televisiva, una macchina che ragiona in modo statistico. Questo ci stiamo abituando a fare, stiamo perdendo una delle caratteristiche della cultura europea, che non è una cultura di indirizzo, è una cultura di scelta. Noi siamo abituati a scegliere, siamo abituati ad andar a fondo delle cose che vogliamo avere, e questa cosa noi la stiamo trasferendo in tecnologia ed è il motivo degli interessi internazionali che sta raccogliendo, perché stiamo cercando di rovesciare il rapporto tra l’uomo e la macchina, riportando finalmente l’uomo al centro delle cose. 40 anni di computazione massiva, che è nata per fare più biglietti, per fare più fatture, per fare più cose sostituendo l’uomo ai lavori ripetitivi, sta diventando lo strumento di scelta della nostra quotidianità e noi siamo completamente succubi di algoritmi. Non vi è mai capitato di prenotare una vacanza da una parte e di trovare dieci minuti dopo lo stesso hotel della vostra pagina Facebook? Che cosa vuol dire una cosa del genere? Al di là di tutte le altre implicazioni legate alla privacy e a tutto il resto? Vuol dire comunque che stiamo andando in un mondo dove la macchina decide che cosa è buono per noi. E questa cosa qui, che è molto europea, è molto legata alla nostra cultura, sta riuscendo ad avvicinarci a grandissime situazioni istituzionali europee e internazionali e sta facendo sì che in questo momento noi siamo anche oggetto di studi da parte di grandi università internazionali, sia per il modello di sviluppo atipico, perché dall’Italia la start-up a livello globale è un percorso veramente atipico, sia perché stiamo lavorando, siamo una di quelle tecnologie di frontiera che sta cercando di ribaltare il rapporto di sudditanza quasi totale che oggi gli utenti della maggior parte delle tecnologie hanno nei confronti delle macchine. Stiamo costruendo una tecnologia di ricerca che nei prossimi anni sarà disponibile dal cloud, per esempio, per realizzare le vostre informazioni. Quello che sta per succedere è molto più devastante dal punto di vista delle nostre vite di quello che è successo fino ad ora, perché nei prossimi dieci anni, nei prossimi dieci quindici anni, noi cominceremo ad interagire con le città, interagiremo con la nostra casa, interagiremo con l’automobile nello stesso modo con cui abbiamo imparato ad interagire con questi oggetti. Ma la quantità d’informazioni che riguarderanno me, perché oggi noi siamo abituati da internet a cercare informazioni che mi interessano ma non che riguardano me, ma domani per la salute, per il fisco, per il mio parcheggio, per la spesa per tantissime cose internet veicolerà informazioni che riguardano me, la mia vita quotidiana, le cose che faccio durante la giornata, e se non ci saranno tecnologie capaci di mettere me al centro e di decidere quali sono le informazioni che mi riguardano, che debbo gestire, invece di farle gestire alla macchina completamente, noi ci ritroveremo in un mondo un po’ preoccupante dal punto di vista della gestione della nostra quotidianità. E lo dico da tecnologo, non lo dico da persona che ha paura della tecnologia, lo dico con chiarezza, perché chi crea tecnologia ha anche il dovere poi di indirizzare nel modo migliore possibile l’uso che le persone faranno della tecnologia, altrimenti succedono cose che nella storia abbiamo già visto. Le armi sono nate per difendere l’uomo dalle bestie feroci, non sono nate per offendere altri uomini E c’è una cosa da ribadire, il concetto che non bisogna avere paura della tecnologia. C’è una prediction di Garden, che è la più grande azienda di analisi tecnologica del mondo, che dice che nei prossimi dieci anni le aziende manifatturiere che adotteranno robot per creare gli oggetti, perderanno fino al 50% di posti di lavoro. Questa è una visione, detta così, terribile, ma se non si completa il discorso dicendo che poi quelli che invece produrranno le macchine e i robot creeranno cinque volte di più posti di lavoro, non si dice qual è la realtà. Si toglieranno lavori usuranti per creare lavori di qualità. Qual è il problema? Il problema è che se noi non abbiamo chiaro tutto questo scenario, i robot li produrranno altrove, in America e in Estremo Oriente e noi in Europa perderemo i posti di lavoro. Questo è uno scenario onestamente raccapricciante. I tedeschi sono quelli che hanno capito meglio la cosa. A me è stata fatta una intervista a Bruxelles, 10 giorni fa, sulla German domination del digital single market, perché il giornalista era preoccupato perché i tedeschi in questo momento stanno assumendo una posizione predominante in Europa nel mondo manifatturiero, nel mondo digitale. Io ho detto “guardate che non è così, i tedeschi lo hanno capito e ci hanno creduto prima degli altri e stanno correndo, il problema è andar dietro a loro”. La google car che per tanti è la macchina dei sogni, perché si guida da sola non è sperimentata per questo da Google. La google car serve a due cose, a sviluppare l’intelligenza artificiale per altre tecnologie e a creare una piattaforma per le industrie automobilistiche. Se le industrie automobilistiche adotteranno la google car, succederà all’industrie automobilistiche probabilmente quello che è successo al mondo editoriale, cioè verranno disintermediati, perché l’intelligenza delle macchine starà lì. I tedeschi hanno detto “noi abbiamo Volkswagen, Audi, Mercedes, BMV, produciamoci noi la nostra piattaforma per l’auto che si guida da sola”, e sono andati avanti. Lo scenario che c’è in questo momento nell’innovazione, nel mondo digitale, nell’industria è uno scenario convergente, dove questo Paese che è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, può giocare un ruolo straordinario, se però si abbattono velocemente i muri della diffidenza, si lavora molto di più in collaborazione tra aziende innovative e aziende tradizionali e se magari anche il capitalismo italiano fa un salto in avanti per diventare più internazionale, capendo che, senza una equity strategy, diventa abbastanza difficile reggere l’urto di quello che verrà. Però è una occasione straordinaria quella che abbiamo davanti, straordinaria.

BERNHARD SCHOLZ:
A parte che bisogna anche sottolineare che non esiste una automobile tedesca che non abbia una componentistica italiana decisiva al suo interno, quindi… Dico questo non adesso per complimentarmi, ma lo dico proprio perché bisogna uscire dalla logica nazionale anche nei rapporti industriali, perché ogni Paese ha le sue specificità e se non ci fosse la creatività italiana l’Europa non andrebbe da nessuna parte. Questo bisogna dirlo chiaramente, perché poi altri assemblano, organizzano, ma bisogna aver molto chiaro che nessuno può far tutto né all’interno di un’azienda né all’interno di una Nazione né fra Nazioni. Per questo il titolo di questo Meeting è così importante, perché non vuol dire che io lavoro con te perché mi sei simpatico, ma perché io oggettivamente dipendo da te e se io riconosco questa dipendenza, stranamente alla fine mi diventi anche simpatico.

GIAMPIERO LOTITO:
Posso aggiungere una cosa, Bernhard, perché è significativo che ce lo venga a dire tu, da tedesco, questo. Infatti, bisogna recuperare l’orgoglio di vivere qui, di fare le cose da qui, perché quello che si legge quotidianamente sui giornali e si sente nei Media è sempre predominante nell’aspetto negativo della paura del “non ce la faremo”, e questo non è vero. Non è vero per la considerazione che abbiamo fuori da qui. Noi siamo la prima azienda della storia che è stata messa nell’élite program della borsa di Londra, non essendo britannica, due anni e mezzo fa. La prima della storia non è stata un’azienda tedesca, spagnola, francese, tant’è che li abbiamo colti di sorpresa. Allora recuperare l’orgoglio ed essere convinti di poter essere protagonisti di questo mondo che arriva, senza paura, è fondamentale.

BERNHARD SCHOLZ:
Infatti il Papa ha detto nel messaggio al Meeting, una cosa molto importante, ha detto che le paure dell’altro nascono da una insicurezza esistenziale. Se tu non sei certo di te non vai da nessuna parte, crei barriere, ma questo non vale solo in un mondo culturale, politico, ma vale anche per l’economia. Per innovare abbiamo bisogno di certezza, perché innovazione vuol dire mettersi in gioco, confrontarsi, dialogare.

GIAMPIERO LOTITO:
E di talento e di talento. L’altro grande problema che abbiamo in questa fase storica è che stiamo facendo scappare il talento, perché non siamo capaci di tenerlo. In Europa non ci sono 150 chilometri di deserto per ricreare una Silicon Valley, non è possibile creare un’unica struttura che garantisca il progresso digitale in questo modo. Che cosa abbiamo di specifico in Europa e in particolare in Italia? Le piccole città con grandi università, Pavia, Oxford, Coimbra, Utrecht e tante altre centinaia di ecosistemi potenziali straordinari, con una cultura, con una capacità di ricerca scientifica, di sviluppo, di idee incredibile, concentrate in città di 50, 60, 70, 100 mila abitanti, dove magari ci sono 20.00 giovani, 20.000 studenti, dove il tessuto imprenditoriale è dentro la città, non è separato dalla città e dove c’è la possibilità di coltivare e mantenere i talenti. Io sono stato intervistato dal Süddeutsche Zeit, è stata una soddisfazione devo dire, perché parlavano quel giorno del disastro della Volkswagen e portavano come esempio positivo una start-up italiana, non capita molto spesso ed ero contento della cosa, ma la cosa importante è che quell’articolo parlava dell’idea di poter creare in Europa delle small valleis, cioè delle piccole valley, per usare l’analogia con la Silicon Valley, dove questo mix, melange di caratteristiche strutturali dell’Europa. La cultura secolare, la grande capacità di innovazione, tanti giovani, il tessuto industriale dentro la città, possono diventare dei mix straordinari. Noi stiamo cercando di farlo a Pavia e sta riuscendo come esperimento, tanto è vero che ne stanno parlando anche giornali non italiani e stiamo cercando di farlo anche nella mia terra, che è la Basilicata, perché credo che – non mi hai chiesto quale è stata la molla più forte per rimanere – che a una certa età, il senso di restituzione, il give it back che ci hanno insegnato gli anglosassoni, incomincia a prevalere, perché ti senti fortunato ad aver avuto una vita che ti ha permesso di coltivare e di realizzare i tuoi sogni e trovi giusto ad incominciare a restituire alla tua terra, a quella dove sei nato, a quella che ti ha accolto, una parte della fortuna, non necessariamente economica, che hai realizzato e credo che questo sia un motore straordinario anche della storia che ha raccontato Brunello.

BERNHARD SCHOLZ:
Non posso chiudere, non posso concludere, posso solo dire che sono emersi così tanti spunti, così tante riflessioni in questo incontro, che ognuno di noi sarà sicuramente arricchito per quanto riguarda il suo lavoro, la sua azienda. La grande speranza che ho è che questo incontro abbia dato speranza, anzi la certezza che è possibile lanciarsi nell’avventura di questo mondo, che per certi versi è sempre molto confuso, ma che al contempo chiede a ognuno di noi di dare il meglio di sé e di far emergere il proprio talento con coraggio. Grazie.

Data

22 Agosto 2016

Ora

11:15

Edizione

2016
Categoria
Incontri