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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI: RINNOVATE OPPORTUNITÀ PER USCIRE DALLA CRISI. Problemi, soluzioni, prospettive presenti e future
Infrastrutture e trasporti: rinnovate opportunità per uscire dalla crisi
In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti; Salvatore Rossi, Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – IVASS. Intervengono: Massimo Garbini, Amministratore Unico di ENAV e Marina Monassi, Presidente dell’Autorità Portuale di Trieste. Introduce Ugo Bertone, Giornalista economico.
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI: RINNOVATE OPPORTUNITÀ PER USCIRE DALLA CRISI. Problemi, soluzioni, prospettive presenti e future
Ore: 19.00 Sala D3
In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti; Salvatore Rossi, Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – IVASS. Intervengono: Massimo Garbini, Amministratore Unico di ENAV e Marina Monassi, Presidente dell’Autorità Portuale di Trieste. Introduce Ugo Bertone, Giornalista economico.
UGO BERTONE:
Buonasera. Vi ringrazio per essere intervenuti così numerosi in questo incontro che riguarda un tema, “Infrastrutture e trasporti”, sottotitolo: “Rinnovate opportunità per uscire dalla crisi”, che già merita un commento, perché bene o male le infrastrutture sono, sì, un volano per lo sviluppo, ma sono anche un costo; e qui bisogna saper conciliare. Sono lieto di poter moderare questo incontro, vorrei cominciarlo con un piccolo ricordo storico, perché quest’anno cadono cinquant’anni dal primo Eurobond; e il primo Eurobond venne promosso alla City dalle autostrade, dall’IRI in particolare. Fu un’innovazione che stranamente è stata ricordata con molta enfasi dai giornali della City, dal Financial Times, perché per loro fu il decollo di un mondo. Mentre bene o male è passata trascurata dalle parti nostre, forse perché le infrastrutture sono un ricordo di una Italia dove le infrastrutture si facevano. Qualcosa, però, si sta muovendo e ne sentiremo parlare dal Ministro, perché a questa tavola rotonda, ai miei fianchi, ci sono un responsabile politico, Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Direttore Generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, cui dal primo gennaio tocca anche il ruolo, il compito di Presidente dell’Ivass, l’Istituto di Vigilanza delle Assicurazioni, che possono avere un compito molto importante nella promozione dello sviluppo e delle infrastrutture. Ma per evitare toni formali e troppo accademici, cominciamo con due testimonianze, due testimonianze sul campo, di due esperienze positive dal mondo delle infrastrutture e dal mondo del pubblico, così spesso accusato di immobilismo. Comincerei con Massimo Garbini, che è l’amministratore unico di Enav, che ha la caratteristica di essere uno dei pochi esempi di ente pubblico italiano che ha superato le frontiere. La parola al Dottor Garbini.
MASSIMO GARBINI:
Grazie per la presentazione, non meritiamo così tanto. Grazie a tutti per essere qui così numerosi, grazie al signor Ministro, grazie al Direttore Generale della Banca d’Italia. Per noi è un onore come Enav, per me personalmente anche essere qua oggi a fare questa brevissima testimonianza, che concluderò con tre osservazioni o domande o commenti o comunque riflessioni che porgerò poi al Ministro e al Direttore Generale. Come è stato detto, le infrastrutture e i trasporti rappresentano certamente un volano essenziale per lo sviluppo economico e sociale del Paese e dell’intera Europa. Il bello di questo Meeting è vedere tanta Europa e tanta volontà di parlare di europeismo. E dobbiamo esserlo veramente europeisti. Specialmente in un momento come questo, le infrastrutture rappresentano in effetti strumenti vitali per uscire dalla crisi e per sviluppare l’economia nel medio e nel lungo periodo. Enav può e desidera con impegno rappresentare un esempio in questo contesto così complesso. È una società pubblica che è riuscita a modificare il proprio approccio industriale raggiungendo un livello di produttività, di efficienza economica e livelli di servizio che sono riconosciuti all’eccellenza a livello europeo e mondiale. Non lo diciamo noi, non ce lo diciamo da noi. Esiste una agenzia europea che si chiama Eurocontrol che misura quotidianamente le nostre performance, lo dicono loro e c’è da crederci. Abbiamo implementato un robusto processo di internazionalizzazione che ci ha portato ad essere riconosciuti dalla Commissione europea come un partner importante e credibile per la realizzazione del famoso cielo unico europeo, che tante volte viene citato in questi ultimi dieci anni. Siamo credibili sia dal punto di vista operativo, – ricordo che per i circa un milione e seicentomila movimenti che sono stati registrati nel 2012 nello spazio italiano, non abbiamo assegnato un secondo di ritardo -, ma lo siamo anche per gli aspetti tecnici, per la ricerca e lo sviluppo applicati alle nuove tecnologie per il futuro del controllo del traffico aereo e nella realizzazione degli investimenti in tecnologia necessaria per la infrastruttura, che non è visibile ma è un’infrastruttura del controllo del traffico aereo. Gli aeroplani non volano a vista, volano attraverso dei segnali radio elettrici compressissimi, che sono frutto di una infrastruttura tecnologica di altissimo livello, di cui anche l’Italia ha un’eccellenza da questo punto di vista. Ed è un’infrastruttura che costa milioni di euro. Per la prima volta, quattro anni fa, grazie ad Enav, questo è stato riconosciuto a livello della Commissione europea, e siamo quindi riconosciuti abili ed idonei a ricevere degli importanti finanziamenti dalla parte europea. Possiamo dire di essere stati virtuosi anche dal punto di vista del conto economico. Secondo i dati di bilancio, il 2012 è di assoluto rilievo e sollievo per l’azionista, in termini di dividendi. Nonostante il periodo di crisi, i movimenti registrati del traffico aereo negli ultimi due anni ci hanno riportato a un livello di movimenti che è pari a quello del 2005. Secondo le prime stime europee del 2004, avremmo dovuto raddoppiare nel 2020, invece questo raddoppio del numero dei movimenti oggi è previsto nel 2030. Ebbene, nonostante questo tipo di abbattimento del numero dei movimenti, Enav ha fatturato 800 milioni di euro, portando 46 milioni di utile. Questo grazie alla grande efficienza sui costi che l’azienda ha messo in campo. E ora ci stiamo anche confrontando – qui sì stiamo andando oltre le frontiere ma di molto, molto lontano – ci stiamo confrontando sul mercato mondiale, per esportare il nostro nome. Lo facciamo soprattutto nei Paesi emergenti, che hanno bisogno di un sistema di gestione e di controllo del traffico aereo che sia moderno, efficiente ed efficace come appunto quello italiano e così per esempio stiamo realizzando col Governo malese lo sviluppo dell’aeroporto di Kuala Lumpur. Abbiamo aperto una nostra società controllata al 100 % da Enav proprio a Kuala Lumpur e per questo noi siamo orgogliosi. Ma questo evidentemente da solo non può bastare e infatti non basta. La difficoltà che il sistema del trasporto aereo sta infatti vivendo, mette in chiara evidenza la necessità di un forte ruolo di coordinamento e di indirizzo nazionale da parte del Ministero, allo scopo, finalmente e realmente, di fare sistema, e di sviluppare da protagonisti una politica europea e globale integrata. E di tutta evidenza che i prossimi step per il settore dei trasporti /infrastrutture si caratterizzeranno su due piani principali e fondamentali. Da una parte una robusta integrazione tra le diverse modalità di trasporto e dall’altra un forte sviluppo internazionale, soprattutto europeo. Quindi una cabina di regia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di indirizzo soprattutto di supporto alle aziende che operano nel settore quanto mai necessario. Per quanto riguarda il mondo del trasporto aeronazionale, potrei citare ad esempio il nuovo piano nazionale degli aeroporti come strumento di rilancio del settore, del territorio e quindi dell’economia del trasporto aereo in generale. Un piano in cui per esempio, Ministro, potremmo definire la vocazione di ogni singolo aeroporto che consenta di fatto di fare sistema, eliminare controproducenti competizioni tra aeroporti, di attrarre capitali privati, far riprendere la domanda domestica, e perché no, migliorare la pianificazione degli investimenti sia a livello nazionale che a livello regionale e a livello delle singole aziende che lavorano in queste realtà. Per quanto invece attiene l’aspetto internazionale, i livelli decisionali si sono oramai spostati e si sposteranno sempre di più verso l’Europa e verso il contesto globale. Il supporto forte delle istituzioni nazionali è perciò fondamentale per poter valorizzare al meglio gli sforzi che le aziende stanno sviluppando, anche soprattutto all’estero. Signor Ministro, siamo sicuri che il tempo per assumere questa leadership ci sia ancora? Nel quadro appena evidenziato, credo sia anche opportuno interrogarsi ora e senza indugio, se forse sia il caso di dotarsi di modelli organizzativi di governance più avanzati, a più alto livello di efficienza e con maggiore prontezza a rispondere alle sfide europee e globali di cui abbiamo parlato, per competere sempre meglio sul mercato, con livelli di produttività, efficienza economica ed efficacia, richieste necessarie per raggiungere questi sfidanti obbiettivi. Sicuramente servono sforzo per rendere più flessibili e veloci i processi decisionali nelle aziende, che operano oramai di fatto in un modello competitivo internazionale e perché no, per motivare, sviluppare una maggiore partecipazione dei dipendenti, professionisti e tecnici, che nell’azienda dei trasporti, e delle infrastrutture in particolare, sono un asset fondamentale per il patrimonio di competenze che rappresentano e che producono quotidianamente. Questo permetterebbe al sistema paese di posizionare le aziende con un ruolo di leadership a livelli internazionale, con importanti ritorni economici ed occupazionali, e di sviluppo per le industrie del settore, rafforzando il nostro ruolo politico e internazionale. Credo che il sistema dei trasporti e delle infrastrutture, integrato, efficiente, sicuro ed economico, sia un volano fondamentale per l’uscita dalla crisi, perché di fatto è uno strumento fondamentale a supporto di tutti gli altri settori produttivi, contribuisce alla modernizzazione del nostro Paese, è un biglietto da visita importante, crea posti di lavoro, contribuisce alla riduzione dell’impatto ambientale – altro argomento a cui siamo molto sensibili – e sviluppa processi di crescita culturali in generale del Paese. Volendo riassumere i temi che ho così rapidamente accennato, potrei sintetizzare ponendo queste domande o piuttosto delle considerazioni alla sapiente valutazione del Ministro Lupi e del Direttore Generale Rossi: potete condividere l’esigenza di un ruolo di forte coordinamento per fare finalmente il sistema del mondo delle infrastrutture e trasporti in generale, puntando fortemente alla intermodalità, nel trasporto aereo in particolare? Vivete anche voi la consapevolezza della capacità e possibilità che l’Italia ha di assumere un ruolo di leadership nel contesto europeo? E poi è il momento di approfondire il tema di nuovi modelli organizzativi e di governante, anche per le società pubbliche e dei servizi? Vi ringrazio per l’attenzione.
UGO BERTONE:
Grazie al Dottor Garbini. Adesso affrontiamo un’altra casehistory originale, quella dell’autorità portuale di Trieste, autorità che potrebbe meritare una buona pagella visto che i coefficienti di crescita sono elevati e infatti è stata premiata con un aumento della fiscalità.
MARINA MONASSI:
Buona sera a tutti. Ringrazio gli organizzatori che mi hanno concesso questa possibilità di venire a parlare in qualità di Presidente del porto di Trieste, dando la mia testimonianza anche in qualità di Vicepresidente di Assoporti. Sono due anni e mezzo che lavoriamo con un gruppo intorno alla autorità portuale stessa senza esterni, sfruttando le capacità dei managers che avevamo. E abbiamo avuto in questi due anni e mezzo dei numeri, che dire incredibile è poco. E ci danno testimonianza anche alcuni giornali. Sui container in due anni abbiamo aumentato il 45%, sul petrolio il 35%, riforniamo il 100% dell’Austria, il 30% della Germania e il 40% della Cecoslovacchia. 500 petroliere l’anno. Abbiamo un incremento sull’intermodale e la reale autostrada del mare con la Turchia del 35% dei vettori. Abbiamo homeport della Costacrocere, è tornata la Grimaldi e si sono aperte veramente tantissime possibilità. Il porto di Trieste linearmente è un po’ più lungo di quello di Genova. È un porto di confine. Ha 800 metri in linea d’aria. Abbiamo Capodistria con dei costi di manodopera che sono ancora incredibilmente inferiori ai nostri. Quindi la competitività è veramente difficile. La scelta nostra è stata di abbattere le tasse dal primo giorno. Ridurre al minimo consentito per legge i canoni demaniali e abbattere le tasse portuali, anche quelle al minimo consentito, quasi allo 0. Noi siamo un ente pubblico, non economico, quindi non una S.p.a., la nostra mission è fare equilibrio di bilancio e creare posti di lavoro, far andare la macchina, non fare utili. Rinunciando a queste entrate fittizie, che sono le tasse, abbiamo creato un volano, un indotto incredibile di imprese che stanno aprendo nuove concessioni. Abbiamo cinque compagnie oceaniche, abbiamo un fondale naturale di 18 metri. Quindi la prima cosa è abbattere la fiscalità, altrimenti non se ne esce vivi. Questo ha portato anche ad avere un avanzo di bilancio importante per 13 milioni di euro. E la proiezione per quest’anno, Direttore, è maggiore. Parlo col Direttore perché il Direttore della Banca di Trieste ci ha detto che siamo l’unica azienda in attivo nel Friuli Venezia Giulia. E noi siamo contenti di dire che l’altro trucco è adeguarsi alle imprese. Noi non abbiamo un piano operativo, noi abbiamo fatto un piano industriale che prende a modello tutti i piani industriali dei nostri terminalisti, delle nostre imprese e facciamo in modo che tutto quello di cui loro hanno bisogno, anche investimenti, trovino risposte, se non in 10, in 20, in 30 giorni. Questo ha generato affidabilità. Quindi le imprese hanno assunto. Abbiamo una quantità di gruisti, una quantità di gente sul molo settimo, il più grande molo contenitori del Mediterraneo alto. 350 persone lavoravano tra sabato e domenica. Avevamo addirittura un ingorgo di porta contenitori. Quindi siamo qui per dire che c’è la speranza. Bisogna lavorare con ottimismo, però bisogna non diventare noi imprenditori. Ognuno di noi deve fare il suo lavoro. Quindi dobbiamo tradurre in atti quello di cui le imprese hanno bisogno. La mia domanda l’ho mutuata da quello che ha detto il Ministro in questi giorni: i soldi spesi in infrastrutture non vanno considerati tanto una spesa, quanto un investimento che può permettere, se non di far ripartire l’economia, quanto meno di non essere presi impreparati quando la ripresa arriverà. Le ultime banchine sono state fatte naturalmente dallo Stato, perché nessun privato può permettersi il lusso di costruire una banchina al giorno d’oggi. Però c’è un’altra domanda che riguarda la visione del Ministro su quello che saranno le altre autorità portuali. Oggi ne abbiamo 25, con specificità molto diverse l’una dall’altra. Ma tutte con grandissime potenzialità. Io vi ringrazio e buon lavoro.
UGO BERTONE:
Grazie. I primi stimoli sono già arrivati e sono in sé e per sé degli stimoli già potenti. Proviamo a organizzarli in un discorso più vasto. Diciamo che in questo momento la responsabilità di chi fa politiche economiche e che deve tenere la barra di una politica fiscale monetaria, ha una esigenza immediata: far passare l’Italia dal segno meno al segno più. E le infrastrutture sono la prima naturale risposta. A quel punto però si manifestano anche i primi rischi. Il rischio che corre il politico da sempre è la sindrome del taglio del nastro: dare avvio a delle opere, avere una certa risonanza, dopo di che queste opere, questi cantieri si perdono, restano interrotti. Ne abbiamo esempi a iosa. Contemporaneamente c’è una esigenza politica, che è quella di trovare le risorse, le risorse possono essere trovate in Italia, possono essere trovate fuori, possono essere trovate in un mix di pubblico e privato, si possono attivare anche nuovi strumenti internazionali o mobilitare soggetti nuovi, oppure si può aprire un tavolo, serio, ragionato, non citiamo quella parola già citatissima che è eurobond, comunque di cooperazione europea. A questo punto vorrei domandare sia al tecnico della Banca di Italia, sia al Ministro: qual è in questo momento la priorità? La priorità numero uno è passare dal segno meno al segno più oppure evitare la sindrome del taglio del nastro? Per completare la domanda mi rifaccio a uno studio della Banca di Italia del 2011, da cui si rileva che bene o male la spesa italiana per investimenti in infrastrutture non è stata poi particolarmente inferiore a quella media dell’area euro. Però la selezione delle priorità soffre della mancanza di un quadro finanziario chiaro e di criteri di valutazione trasparenti. Lo firmava Daniele Franco che, nel frattempo, secondo un uso ormai invalso, ha preso la strada da via Nazionale a via XX Settembre, ma l’obbiezione forse è ancora valida oppure siamo in via di superamento?
SALVATORE ROSSI:
Per rispondere alla sua domanda, io partirei proprio dal titolo di questa serata, che ridico con parole mie: le infrastrutture possono e come possono essere una opportunità per uscire dalla crisi? Per uscire dalla crisi, la priorità di passare dal segno meno al più è la priorità somma. Si può anche chiedere se non stia già succedendo, in che modo stia succedendo e che cosa possa fare la politica economica per facilitare l’uscita dalla recessione dalla crisi. Se diamo uno sguardo al mondo e in generale, non c’è dubbio che la ripresa stia acquistando forza. Ci sono due problemi però: il primo è che la ripresa mondiale conserva degli elementi di fragilità sul piano finanziario; il secondo è che la ripresa è molto dipendente dall’ economia americana, l’unica che sta accelerando in modo consistente. Infatti i Paesi emergenti, che pure conservano tassi di crescita molto alti, i più alti che si trovano nel mondo, stanno diversamente decelerando, l’India in particolare. Il Brasile, la Cina, hanno delle crisi di crescenza, hanno un problema di credito eccessivo, poi c’è il travaglio europeo all’interno delle vicende mondiali. Sul numero di venerdì scorso dell’Economist, c’era una vignetta un po’ ingenerosa nei nostri confronti. Questa vignetta rappresenta un treno, il convoglio dei Paesi europei, che viene da un terreno pianeggiante e felice e poi deve attraversare un ponte che si rompe, la crisi globale. Il treno sprofonda in acque tempestose, e poi riemerge con due locomotive, una più grossa la Germania, una più piccola la Francia e poi dei vagoncini tutti uguali. Per questo è ingenerosa la vignetta con noi. Ma in fin dei conti solo la locomotiva grossa è del tutto fuori dall’acqua, la locomotiva francese è mezzo dentro e mezzo fuori, tutti gli altri sono ancora in apnea, attaccati a delle cannucce. Per di più il terreno verso il quale il treno si sta dirigendo è un bosco fitto, dove c’è scritto “crescita lenta”. È ingenerosa perché non è vero che ci sono solo due locomotive, tutti i Paesi possono essere locomotive, anche noi possiamo esserlo, però rende bene l’idea di un problema specifico dell’area dell’euro, dentro la quale l’Italia ha le sue peculiarità. Noi siamo entrati dentro questa crisi globale non portando nessuna responsabilità per il suo scoppio, siamo stati contagiati dagli altri, ci siamo entrati portandoci dietro anni di stagnazione e di affanno crescente del nostro sistema produttivo a reggere la competizione degli altri Paesi, in particolar modo dei Paesi emergenti e soprattutto ad accrescere la sua efficienza, come gli altri stavano facendo, sfruttando le nuove tecnologie per esempio. Questo fardello che ci ha accompagnati dentro la crisi, ha fatto sì che i danni della crisi siano stati, nel nostro caso, molto maggiori che nel caso di Paesi che portavano delle gravi responsabilità, come gli Stati Uniti o l’Inghilterra, per lo scoppio della crisi finanziaria. Adesso siamo anche quelli che fanno più fatica ad uscire, ciononostante i segni almeno di un arresto della caduta o di una ripresa lenta ci sono e sono un po’ diffusi tra tutti gli indicatori congiunturali e si può essere ragionevolmente fiduciosi verso il fatto che, nei conti nazionali, la statistica del Pil possa riflettere questa modificazione della direzione di marcia. In tutto questo gli investimenti sono fondamentali, sono fondamentali gli investimenti privati. Quando c’è una recessione, scatenata da una crisi finanziaria che dà incertezza e in qualche caso panico, la prima reazione è degli imprenditori. Gli imprenditori sono i soggetti economici più reattivi, reagiscono paralizzandosi, cioè sospendendo i piani di investimento. Anche imprenditori che hanno imprese che vanno bene, lo fanno per prudenza, è anche vero che quando la nebbia comincia un po’ a diradarsi, e questo potrebbe essere il momento presente, di nuovo gli imprenditori sono i più reattivi, questa volta in positivo. Gli investimenti di sostituzione dei macchinari obsoleti, quelli non possono essere sospesi per un tempo troppo lungo, se no si mette a repentaglio la sopravvivenza stessa dell’impresa. Quindi devono riprendere. Se c’è massa critica riprendono tutti quanti insieme, questo dà una spinta, questa spinta può essere però uno spasmo di sopravvivenza oppure può essere l’inizio di un processo più lungo e duraturo. Qui ci sono due considerazioni da fare: la prima che bisogna rendere più facile fare impresa in Italia. Questo ce lo diciamo spesso, noi dobbiamo rendere di nuovo l’Italia attraente agli occhi di investitori di qualunque provenienza, italiani innanzitutto, ma anche stranieri, come luogo di produzione, come luogo in cui è conveniente produrre. Ce ne sono tante di ragioni: la qualità della forza lavoro, la stessa piacevolezza dei luoghi, dell’ambiente. Ci vuole però una terza condizione: deve essere facile fare impresa. Così non è in questo momento, non lo è per il gravame fiscale, per un impianto normativo macchinoso e spesso oscuro, non lo è per una burocrazia a volte ostile, ostile non per cattiveria soggettiva ma perché le modalità di organizzazione della nostra burocrazia sono tali da renderle ostili alle ragioni del mercato e all’efficienza.
Veniamo al ruolo degli investimenti pubblici. E’ molto importante questo ruolo, non tanto per ragioni macroeconomiche, perché poi in fin dei conti gli investimenti pubblici sono un decimo del totale degli investimenti, quindi non è tanto quella la ragione, ma perché investimenti pubblici ben fatti possono rinforzare il processo di cambiamento dell’intera struttura produttiva italiana, penso in particolare alle infrastrutture. Qui vi devo confessare che per gli economisti e gli statistici trovare un nesso e misurarlo tra infrastrutture e crescita economica è un po’ un’araba fenice, non hanno mai avuto molto successo i tentativi di trovare una misura di tutto questo. Ci sono delle circostanze in cui io mi ritrovo a dire ai mie colleghi economisti “forse il buon senso basta, non c’è bisogno di una misura precisissima”. Se noi ci facciamo la domanda “è più probabile che si sviluppi un territorio facilmente accessibile al resto del mondo attraverso strade, porti, aeroporti o un territorio isolato?”, anche una bambino sa dare la risposta. E qui vengo alla sua domanda, perché fare delle infrastrutture, fare degli investimenti pubblici, pone un problema di qualità della infrastruttura che deve essere utile a innalzare la produttività dell’intero sistema economico, per esempio abbattendo i costi dell’imprese. Pensiamo al fatto che le imprese italiane non hanno mai veramente completato il processo di digitalizzazione. Ci sono ruoli importanti che le infrastrutture pubbliche possono giocare. Quindi l’obbiettivo numero uno è innalzare il benessere dei cittadini, l’obbiettivo intermedio è innalzare la produttività del sistema. Questa è l’ infrastruttura di buona qualità. C’è un problema di qualità del processo che porta all’infrastruttura, di progettazione e realizzazione e anche qui in Italia abbiamo dei problemi abbastanza seri.
UGO BERTONE:
Ministro, le lascio la parola aggiungendo una piccola precisazione. Lei non credo possa essere accusato di sindrome del nastro, però presumo che abbia trovato nel cassetto molte opere avviate che andavano riavviate. Il vero problema è economico, finanziario oppure innalzare la qualità del processo decisionale, dei regolamenti della governante?
MAURIZIO LUPI:
Buonasera a tutti e ringrazio ovviamente gli amici del Meeting di Rimini per avermi invitato anche quest’anno, ringrazio il direttore della Banca d’Italia, lo ringrazio di aver accettato il mio invito personale a riflettere insieme su un tema che, da quest’anno, mi vede anche protagonista, non solo dalla parte del Parlamento ma anche dalla parte del Governo, nel compito di una responsabilità che mi obbliga a passare dalle parole ai fatti. Permettetemi di salutare Monsignor Leuzzi, cappellano di noi parlamentari, lo ringrazio di cuore per quello che fa con noi durante tutto l’anno. Le testimonianze che abbiamo ascoltato, le domande che mi sono state poste e anche l’intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia pongono la questione centrale. E’ evidente che sin da quando ci siamo insediati al Governo, avevamo ben chiaro lo scopo per cui il Governo nasceva. Era un Governo eccezionale in un momento eccezionale. Da questo, con il sano principio del realismo, bisogna sempre partire: dallo scopo che ti è dato, dalla responsabilità che hai e dal contesto in cui sei. Da questo punto di vista, la priorità assoluta che questo Governo e qualsiasi Ministero all’interno di questo Governo si è data, è quella di fare il possibile per dare un contributo alla crescita nel nostro Paese, per far tornare il segno più nel nostro Paese. Nessuno di noi si sarebbe immaginato di fare un Governo siffatto, avrebbe immaginato di poter far parte di un Governo della sua coalizione. Ora, data la sfida eccezionale della realtà, di fronte a questa sfida eccezionale si poteva e si deve rispondere con un sano realismo, cercando di domandarsi come ognuno di noi, per il settore che rappresenta, possa dare quel contributo. Cosa significa la crescita? E’ una parola non astratta, è molto concreta: dal meno dobbiamo arrivare al più, dobbiamo aiutare le imprese a fare le imprese, a dare lavoro, dobbiamo permettere di investire le risorse buone e non quelle cattive, tagliare gli sprechi, aiutare le imprese, le famiglie, i giovani, i lavoratori che perdono il lavoro e anche i meno giovani che perdono il lavoro. In tutto questo, la domanda che da Ministro delle Infrastrutture mi sono posto è: quale contributo possiamo dare? E quale contributo possiamo dare nel breve periodo, così come in un’ottica di medio e lungo periodo? Se non partiamo dal breve periodo, però, dall’immediato, non potremo neanche ragionare sul medio e sul lungo periodo. Uno dei difetti fondamentali che noi politici abbiamo, è che siamo tutti molto bravi a fare analisi, partecipiamo a decine e centinaia di tavole rotonde in cui non c’è nessuno che non sappia l’analisi, non sappia dire le cose che non vanno bene e anche le ricette. La sfida che abbiamo oggi davanti, la sfida ormai irreversibile è passare dalle parole ai fatti. L’unica possibilità di recuperare una vicinanza tra la politica e i cittadini, tra le istituzione e i cittadini, non è la politica del taglio del nastro, neanche la politica di chi dice “farò questo”, è piuttosto iniziare a dare segnali concreti che in una direzione si può andare. Dobbiamo smettere di piangerci addosso, l’Italia è un grande Paese, stiamo facendo fatica, abbiamo in questi cinque anni fatto sacrifici, e chi sa che è un grande Paese sono le imprese più di tutti gli altri, sono i lavoratori, le persone, le famiglie, che sono disponibili a sopportare il peso di una crisi perché hanno ben chiaro il compito che hanno davanti, chiaro non solo per se stessi ma per l’intera comunità. Allora quale contributo il Ministero delle Infrastrutture potrebbe dare, ripartendo dal proprio scopo? Primo, se le infrastrutture sono una spesa buona, dobbiamo cercare di capire, prendendo da quello che c’è, come possiamo immediatamente portare e mettere a reddito questa spesa buona, non cercando altre risorse, ma partendo innanzitutto dalle risorse che ci sono. Uno dei problemi che esiste nel nostro settore è che si destinano risorse, vengono allocate tante risorse per quell’opera, quell’altra opera, quell’altra opera, per i progetti. Ma non si va da nessuna parte se non sappiamo dove andare, e quindi dobbiamo dotarci di un piano strategico delle infrastrutture, realizzare la rete nel nostro Paese. La prima sfida per la pubblica amministrazione, per lo Stato e per il nostro Ministero è quella di passare dalla competenza, cioè dalla destinazione di risorse a quell’opera, alla realizzazione di quella risorsa, cioè alla cassa, a pagare passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, la realizzazione di quell’opera. Quanti di noi tornano nel proprio Comune dicendo abbiamo ottenuto quel finanziamento, pensando che quell’opera si sia realizzata. Abbiamo dovuto capire in questi tre mesi perché, se c’è uno stanziamento, quello stanziamento non viene attuato, perché, se c’è una priorità, quella priorità non viene realizzata, cosa non permette la cantierizzazione. Nel “Decreto del fare”, che delinea anche un programma, voleremo basso, ma a noi ci piace fare, poi penseremo a tutto il resto. Nel “Decreto del fare”, trovate per la prima volta una sfida vera nella realizzazione delle infrastrutture. Innanzitutto vediamo come i cantieri che sono aperti possono proseguire e i soldi che possono essere spesi entro il 31 dicembre del 2013. Se i soldi non vengono spesi entro quella data, si possono anche ritirare, perché è inutile continuare a destinarli ad un’amministrazione che non funziona. Vorrà dire che quell’opera rimarrà strategica, se qualcun’altro è pronto a realizzarla, diamo le risorse a quello che è pronto a realizzarla e successivamente, sempre per competenze, rifinanzieremo. Abbiamo identificato delle priorità, abbiamo cercato di capire immediatamente quali cantieri potevano essere riaperti o potevano proseguire. Abbiamo stanziato due miliardi di euro. E’ tanto? E’ poco? E’ un inizio. È un inizio fondamentale, e il Decreto è già stato firmato da me e da Saccomanni, e nel Decreto trovate questo piccolo particolare e cioè entro il 31 dicembre verificheremo se quei soldi che abbiamo dato, immediatamente disponibili, vengono spesi o non vengono spesi. Secondo elemento. Ci saranno ovviamente le grandi opere ma ci sono anche le piccole e medie opere. Ogni Comune appalterà nel proprio territorio quella piccola media opera. L’Anas ha avuto uno stanziamento straordinario di 300 milioni di euro e per legge, entro la metà di ottobre, deve aver appaltato tutti questi 300milioni di euro, con bandi da due, tre milioni sparsi nel territorio, per riqualificare ponti e viadotti, perché le emergenze non accadano più. E’ un piccolo segnale, ma è un segnale di dove si vuole andare. Le scuole, lo sappiamo tutte qual è la situazione delle scuole nel nostro Paese, allora destinare 450 milioni di euro è un doppio segnale che si fa in quella direzione. Ho voluto fare questi esempi piccoli, per dire che le infrastrutture sono una cosa buona, generano lavoro, generano crescita, generano occasione, generano competitività. Dobbiamo come primo compito rimettere a sistema il Paese. Per fare questo dobbiamo togliere le storture, dobbiamo creare un sistema che abbia pari competitività con gli altri Paesi. Se il costo della logistica del trasporto nel nostro Paese incide per il 22% e in Europa per il 16%, vuol dire che le imprese italiane, per concorrere con le imprese europee, hanno già uno svantaggio di 6 punti, se poi ci aggiungiamo che il credito delle nostre imprese in Italia lo paghiamo molto di più che in Germania, pur essendo in Europa tutte e due… – questa è una cosa incomprensibile, perché se stiamo facendo l’Europa, la stiamo facendo
insieme -, se poi aggiungiamo che il costo dell’energia l’impresa italiana la paga di più delle altre imprese, è evidente che ognuno di noi deve ritornare a fare la sua parte, perché questi elementi non accadano. Piccolo, medio e grande. Questo è il tema che abbiano davanti con la cooperazioni di tutti. Siccome ci sono state due testimonianze, si è parlato di porti, di aeroporti, di infrastrutture di eccellenza nel nostro Paese, io ricordo che nel “Decreto del fare” abbiamo detto: A, che i porti sono risorse strategiche del Paese; B, se i porti sono una risorsa strategica del Paese, ovviamente a questo punto bisogna agevolare che i porti diventino una risorsa strategica del Paese, con una razionalizzazione, perché noi siamo il Paese degli ottomila Comuni, di cui oltre cinquemila sono sotto i cinquemila abitanti. Abbiamo oltre 28 autorità portuali, oltre 90 aeroporti. Non è più possibile una situazione come questa, bisogna chiedere agli Enti locali, alle Regioni e al Governo di assumersi la responsabilità, che si faccia sistema in una regione, si faccia sistema dei porti e degli aeroporti e ad ognuno si attribuisca una vocazione, non una competitività. Troviamo regioni in cui a distanza di 100 chilometri ci sono due, tre aeroporti che si fanno concorrenza e le risorse sono quelle pubbliche. E’ inaccettabile questo, la politica deve assumersi la responsabilità di dire, anche al proprio elettore, che questo è inaccettabile, perché dobbiamo avere il coraggio di fare sistema. Facciamo un altro esempio perché vedo qui gli amici delle Ferrovie dello Stato. Noi pensiamo, a proposito di questo tema, che con la legge si risolva tutto. Ho fatto anche l’amministratore a Milano, l’Assessore all’Urbanistica e ai Trasporti. Per tanti anni la discussione era, (e Moretti se lo ricorderà): dobbiamo convincere i cittadini italiani a non usare la macchina ma ad usare il treno. L’ideologia di una concezione politica astratta dice: come facciamo? Obblighiamo il cittadino ad usare il treno. Non esiste, non esiste! La legge è uno strumento educativo che indica una strada. Quando non prendo più la macchina per andare a Bologna e invece inizio a prendere il treno? Quando finalmente si è realizzata l’alta velocità e abbiamo potuto constatare che l’alta velocità è un sistema che ci permette di andare da Milano a Bologna in un’ora invece di due e di essere più sicuri. Pensate cosa vuol dire oggi l’alta velocità per uno che vive a Milano e deve andare a Torino. Cambia completamente, perché se io da Milano a Torino ci impiego 40 minuti, 45 minuti, posso permettermi di abitare nella periferia di Torino e lavorare a Milano e viceversa. Una infrastruttura buona che si realizza, cambia completamente anche la qualità della vita, altro che la demagogia di quelli della Val di Susa che dicono che l’alta velocità fa male. Ma cosa fa male?! Aiuta a realizzare finalmente che un Paese alzi la testa e ritorni ad essere eccellente e competitivo. Vi dico solo un dato e concludo. Nel 1967 – la data non è a caso perché è l’ultima data in cui abbiamo realizzato un valico, un traforo -, il trasporto di merci nell’arco alpino era di 19 milioni di tonnellate. Nel 2008, e noi da allora non abbiamo fatto più niente, nel 2008 il trasporto di merci nell’arco alpino italiano è diventato di 150 milioni di tonnellate. Ecco, io credo che queste sono le cose che dobbiamo dare come segnale concreto, aiutandoci insieme lo Stato a fare lo Stato, il pubblico a fare il pubblico e a non avere paura del privato. Siamo tutti insieme, e se il pubblico fa il pubblico, vi garantisco che non ha paura del privato, anzi considera, come deve essere, il privato come grande risorsa. Questo momento che stiamo attraversando, io mi auguro sia un momento che ci possa far passare dalla fase dell’ideologia dello scontro continuo alla fase del “tiriamoci su le maniche”. Collaboriamo tutti insieme, poi torneremo a ridividerci anche nel settore delle infrastrutture, ma dimostriamo che questo Paese è grande e che può fare le cose, le può fare anche nel settore delle infrastrutture.
UGO BERTONE:
Non è facile interpretare il ruolo del piccolo provocatore invece che del moderatore in un contesto come questo, però mi permetto una domanda, qualche domanda un attimino più polemica. Abbiamo accennato alla qualità del processo, ma, tutto sommato, c’è la sensazione che, da una parte, e l’avete detto entrambi, sia stato necessario e sia necessaria un’operazione sciocca, per passare dal meno al più. Ma le infrastrutture si producono nel tempo, richiedono investimenti di lungo termine e questi a loro volta richiedono pubblico-privato, soprattutto privato a questo punto, italiano e internazionale, e poi stabilità e fiducia, fiducia che quello che si è deciso non verrà cambiato dieci volte, 100 volte e via dicendo. Dal punto di vista della Banca d’Italia, ma direi a questo punto anche dal punto di vista del direttore dell’IVAS, del responsabile delle assicurazioni, degli investitori a lungo termine e anche dei fondi pensione, di quelli che devono andare a dire ai giapponesi piuttosto che agli americani perché investire in una infrastruttura italiana che avrà un ritorno a 30 anni, che cosa manca e oggi è meglio di dieci anni fa?
SALVATORE ROSSI:
Io vorrei fare intanto tre brevissimi commenti sulle cose dette dal Ministro Lupi, che però mi consentono anche di rispondere alle sue domande. Il primo commento è che lui dispone di un volume di voce da politico di razza…
MAURIZIO LUPI:
Grazie, pensavo altro…
SALVATORE ROSSI:
…mentre io ho la tipica afonia dei tecnici e quindi vi chiedo scusa ma dovrete sopportarla. Secondo commento: mi ha fatto particolarmente piacere ascoltare da lui la citazione, la menzione delle piccole opere e del completamento delle opere esistenti, perché questa è una cosa che anche noi tecnici, noi economisti – lo studio della Banca d’Italia, che prima citava Ugo Bertone, lo ha provato per tabulas, dati alla mano – giudichiamo positiva. Se uno va cercando un impatto di tipo macroeconomico da una spesa per investimenti pubblici, la può trovare molto probabilmente più nelle piccole opere e nel completamento delle opere esistenti. Le grandi opere, che sono naturalmente fondamentali, utili, per tutte le ragioni che abbiam detto, hanno tempi di realizzazione molto lunghi. Hanno anche un’alta intensità di capitale e quindi in fin dei conti impiegano relativamente più capitale che lavoro e dunque servono meno da un punto di vista congiunturale di stimolo delle riprese, quindi sono molto d’accordo su questo. Terzo commento – e questo davvero mi consente di rispondere alla domanda di Bertone -, questione pubblico-privato, partenariato pubblico-privato: è fondamentale. In Italia ne abbiamo visto poco fino a questo momento di partenariato pubblico-privato, quella cosa che va sotto il nome di PPP, in gergo, ne abbiamo visto poco e circoscritto a piccole cose. Viviamo oggi in tutta Europa un momento molto difficile per il finanziamento degli investimenti a lungo termine, tutti gli investimenti, anche quelli privati, non solo quelli pubblici. Questo è il riflesso della crisi finanziaria globale e il riflesso della crisi dei debiti sovrani che ha colpito in particolare l’Europa. Quindi c’è stata un’accentuazione dell’avversione al rischio di tutti i risparmiatori e anche degli intermediari che fa sì che si è molto meno disposti a finanziare un investimento con un orizzonte temporale decennale, ventennale, trentennale. E questo è un tema in questo momento assai dibattuto in Europa: torno a dire, non è un problema solo italiano, è un problema europeo, la Commissione europea ha preso delle iniziative di analisi, di proposta, addirittura il G20 se n’è occupato, sono allo studio una serie di strumenti innovativi anche strumenti finanziari che consentano, a chi intende progettare e realizzare un investimento di lungo termine, di accedere direttamente al mercato dei capitali, saltando l’intermediazioni di banche che, in questo momento – e di nuovo non parlo solo delle banche italiane, ma di tutte le banche europee -, hanno più difficoltà ad accomodare questo tipo di domanda di credito, perché la percepiscono come molto rischiosa. Ci sono una serie di questioni aperte, bisogna capire qual è il ruolo dello Stato, per esempio, in tutto questo, se è soltanto di tipo regolatorio o anche di offerta di garanzie. Il tema delle garanzie pubbliche è un tema molto importante, lo è anche in Italia, su molti fronti tra l’altro, non soltanto su questo. Se parliamo di infrastrutture, se parliamo di investimenti pubblici, è attraverso forme di partenariato pubblico privato che meglio si può intercettare questa ondata di riflessioni per il momento, ma che fra un po’ si tradurranno anche in proposte concrete di predisposizione, di modalità e di strumenti per il finanziamento degli investimenti a lungo termine. Certo, se rivado un po’ adesso all’insieme delle cose che abbiamo messo sul tavolo, le due testimonianze che abbiamo prima ascoltato, poi l’intervento del Ministro Lupi, anche le cose che ho detto io prima, ricorre un problema di norme e di regole, di prassi amministrativa, di cultura giuridica, di cultura amministrativa. Questo forse è il nodo più ingarbugliato e centrale che noi ci troviamo in questo momento a dover sciogliere. Mi viene in mente un esempio fra tanti perché è stato un problema, un tema posto dal Ministro Lupi con molta enfasi: quello dei diversi livelli decisionali ai diversi livelli di governo, della difficoltà dei meccanismi di coordinamento, per esempio fra Stato e Regione. Quello è un problema di norme che sono evidentemente mal disegnate, prima ancora che di cattiva volontà, forse anche quella in qualche caso. Ma non è quello, pare a me, il problema principale: c’è un problema di impianto normativo e di prassi amministrativa. Se non andiamo alla radice di questo problema mi pare difficile che si riesca a fare.
UGO BERTONE:
Lasciamo al Ministro l’onore e l’onere della sintesi finale, e nel frattempo due punzecchiature: la prima riguarda l’istituzione dell’Autorità dei trasporti, che è un processo che è durato dal ’94 e adesso è entrato in cantierabilità finale, definitiva. Cambierà qualcosa? Servirà a ridurre il numero dei porti, il numero degli aeroporti, il numero delle istituzioni, delle infrastrutture pletoriche o viceversa a risolvere o avviare la soluzione del problema per cui le altre opere invece non si fanno? Seconda cosa, mi andavo a rivedere il discorso di inizio maggio di insediamento del Ministero e c’erano due obiettivi che venivano posti da lei, signor Ministro: il primo riguardava il trasporto locale – e lei ha sollecitato pubblicamente adesso l’ingegner Moretti a accelerare oppure a proseguire quello che state facendo – e secondo c’era un preciso riferimento all’housing sociale, che non è un’infrastruttura in senso stretto, però diciamo che è il Leit-motiv di questi mesi – io credo di aver letto ogni giorno almeno 10/12 titoli sulla casa concentrati sull’IMU, e spesso il refrain era IMU-IVA, IVA-IMU etc. Di housing sociale, dopo quell’accenno iniziale, qua e là se n’è parlato, c’è una cantierabilità della CDP, ci sono iniziative varie etc. Ma a che punto siamo?
MAURIZIO LUPI:
Allora, rispondo volentieri alla domanda riprendendo l’ultima osservazione del Direttore Rossi, sempre con l’impostazione che mi voglio dare di raccontare e di dire cose concrete, perché se no, non ce la facciamo più. Vediamo cosa facciamo, vediamo cosa possiamo fare e misuriamoci e facciamoci giudicare da quello che possiamo fare. Tema delle regole ovvero “burocrazia”, che è uno dei temi dell’inefficienza, della non competitività. Banca d’Italia, tra l’altro, su questo ha fatto tantissime ricerche. Mi ricordo anche una ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà sulle piccole e medie imprese, e mi ricordo che c’era la domanda: “Che cosa chiede in un momento di crisi la piccola e media impresa allo stato?”. Ora, la cosa che mi aveva colpito era che la prima risposta non erano soldi, non erano risorse, ma meno burocrazia, meno lacci. Dateci la possibilità di fare. Sulle regole noi dobbiamo non solo cambiare, ma cambiare radicalmente. Abbiamo troppe regole, molto confuse e male applicate, con un difetto, che è quello che, quando poi le facciamo, abbiamo anche il coraggio di cambiarle e quindi di renderle retroattive, per cui è un disastro, è un disastro. E sapete qual è la ragione? Io lo dico e mi assumo la responsabilità: è profondamente una ragione educativa. È la debolezza di chi fa politica ed è la debolezza di chi applica la regola. Perché tu pensi che sia la regola a sostituirti nella capacità di assumerti la responsabilità di far rispettare quella regola, per cui aggiungi una regola alla regola. E non ce la facciamo più! Guardate io ho fatto una cosa banalissima – sono stato preso in giro da alcuni – ma è una cosa che riguarda tutti. Nel Codice della strada, nelle multe, noi pensiamo che il problema lo si risolva sempre e solo attraverso la punizione e la sanzione, e mai innanzitutto attraverso l’educazione e la prevenzione. Tu prima devi educare e formare, perché tu hai un uomo davanti, e la punizione è l’elemento finale del percorso, non l’elemento iniziale, come se l’aver detto che hai aumentato la punizione, ti avesse salvato dall’errore. Ma non salva nessuno! Noi facciamo politica nel senso buono del termine, e dobbiamo ricordarci che da questo deriva una responsabilità e allora bisogna dare un segnale che la multa non è vessatoria, che la multa è un elemento che ti fa accorgere di avere sbagliato e che ti può rimettere immediatamente in moto. Per cui, un segnale piccolo è dire: paga, per due anni non hai perso punti della patente, hai ricevuto la tua multa, ti sei accorto che hai sbagliato, pagala in cinque giorni e avrai lo sconto del 30%. Sarà banale, ma è un segno diverso nel rapporto tra il cittadino e lo Stato! Bisogna iniziare da questo. Io, quando ho fatto l’Assessore all’Urbanistica, a Milano, la città era in ginocchio. Potevamo cambiare il mondo, potevamo andare dai nostri cittadini a dire cambieremo tutto, ma c’erano le buche nelle strade e tu devi riniziare dal tappare la buca nella strada per recuperare la fiducia dei cittadini e per poi realizzare la grande opera. Questo è il punto. E allora le leggi devono essere poche, chiare, precise e mai retroattive, e indicare una prospettiva. Stiamo tentando di far questo, il tempo è poco, nel “Decreto del fare” delle prime cose iniziali ci sono, secondo me molto importanti, sono dei piccoli passi, andiamo nella direzione giusta. Seconda osservazione: anche qui, l’Autorità dei trasporti: compito di qualcuno, mio, di Enrico Letta e di altri, di assumerci la responsabilità. Io ho detto, quando me lo domandavano i giornalisti, i miei amici giornalisti a Roma: entro il 30 luglio si sarà insediata l’Autorità dei trasporti. Se si vuole, si fa. Il Parlamento ha fatto, nel senso che abbiamo usato un criterio, abbiamo cercato di scegliere persone giuste, il valore dell’autorità dei trasporti è un valore fondamentale, perché è l’elemento che ci può permettere finalmente di avere un terzo soggetto nella gestione complessiva della rete infrastrutturale, la liberalizzazione del mercato, le tariffe: è un punto importante, se si ha il coraggio di fare, se si ha il coraggio di dire che quella è la strada, anche i tempi possono essere rispettati. Funzionerà? Io credo che sarà molto utile, ma come sempre dipenderà da chi c’è, nel senso che noi non possiamo sostituirci alla responsabilità di chi c’è, ma intanto diamo il segnale: adesso c’è l’Autorità dei trasporti! Bene! È un punto di riferimento fondamentale, ci permetterà di dialogare meglio e di aiutare meglio il rapporto tra cittadino e gestori delle reti, tra gestori delle reti e mercato, insomma affronteremo questi elementi. Terzo punto: la questione della casa che io ritengo fondamentale anche perché – e su questo possiamo avere idee diverse – io ribadisco con forza che l’Italia è diversa dagli altri Paesi. Noi siamo in Europa e vogliamo essere convintamente in Europa per la ragione per cui l’Europa è nata, ma l’Europa è nata proprio per il contributo delle diversità in una coscienza unica. L’Italia sul tema della casa ha una caratteristica diversa: non c’è nessun altro Paese in Europa che vede l’80%, il 78% delle famiglie possedere una casa. Vorremmo partire da questo dato della realtà, perché la Germania non ce l’ha, perché la Francia non ce l’ha, perché la Svezia non ce l’ha. Partiamo dalla realtà che c’è e individuiamo perché, la ragione per cui abbiamo questa caratteristica che sta totalmente nella identità culturale di questo Paese, nell’idea che la casa è il luogo dove la famiglia si sente tranquilla, si sente sicura, si sente accolta. L’operaio, come il mio papà, fa sacrifici per comprarsi la casa o per comprarla al proprio figlio. Su questo tema dobbiamo mettere da parte gli aspetti ideologici e vedere gli effetti che ci sono stati di un provvedimento. Allora, qual è il tema che dobbiamo affrontare e lo affronteremo nella settimana prossima? Guardando la realtà, non guardando quello che potevamo pensare della realtà, è evidente che questa tassa che si chiama IMU dobbiamo superarla, perché ha avuto un effetto totalmente recessivo. E’ un dato oggettivo, poteva avere degli scopi diversi ma abbiamo di fronte una realtà che è una realtà; cerchiamo di correggerla, di superarla e di dare dei segnali importanti che vanno nella direzione opposta. Questa è l’impostazione che noi vogliamo dare: la leva fiscale è una leva importante, il mercato e il settore dell’edilizia è un mercato fondamentale, d’altra parte dobbiamo decidere se l’Italia vuole continuare ad essere un grande Paese industriale o vuole diventare un altro Paese, di un altro genere, di servizi eccetera. Noi non siamo Londra, siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa. Sono convinto che la struttura di piccole e medie imprese sia l’asse dorsale, la spina dorsale del nostro Paese. Dobbiamo continuare a far sì che l’Italia continui ad essere un Paese industriale, manifatturiero; se vogliamo questo, il settore trainante di un Paese è sempre quello che gira attorno al settore dell’edilizia, delle infrastrutture, del manifatturiero, cioè di tutto quello che è la filiera, non il singolo. L’altro errore che si fa nell’affrontare il problema della casa è che non lo considera come filiera. E’ solo il problema di chi compra la casa. E’ solo il problema dell’immobiliarista che deve costruire la casa. E’ solo il problema del mutuo. Dietro il tema della casa c’è la filiera che parte dall’inizio e arriva alla famiglia, alla persona e all’accoglienza. Allora, aver fatto un provvedimento come quello del 65% del bonus energia, aver introdotto per la prima volta un elemento che nella ristrutturazione non c’è solo la ristrutturazione delle mura, c’è anche la famiglia che si deve comprare il divano, la cucina, ecc., è importante. Allora se tu vuoi aiutarla, aiutala in questa direzione, se hai voglia e se pensi che possa essere un elemento di rilancio. Sto cercando di fare degli esempi solo per far capire come poi alla fine la politica con delle idee si traduce in piccoli o grandi fatti che vanno in questa direzione. Però, per rispondere alla domanda, io credo che la settimana prossima non possiamo solo affrontare il tema dell’IMU e il tema dell’IVA in quel Decreto, dobbiamo dare anche un segnale forte sul tema casa, completando anche qui la filiera con i punti che sono sotto gli occhi di tutti. Quali sono i problemi della casa che le nostre famiglie e gli imprenditori hanno? Primo: l’accesso al credito che è ormai quasi impossibile. Chiudete gli occhi e pensate che cosa c’era nel 2008, nel 2007: se andavi in banca e chiedevi un mutuo, tu chiedevi 80 e te ne davano 120. Ditemi se non era così. Oggi, giustamente, dato che la situazione è totalmente cambiata, la famiglia, il giovane che si sposa, la persona di 35 anni che ha un lavoro precario e che ha un lavoro a tempo determinato va in banca e non gli danno niente. All’immobiliarista che vuole fare un investimento, prima gli finanziavano l’80%, il 60%, oggi non gli danno niente. Allora dobbiamo affrontare con le risorse che abbiamo a disposizione questo tema, ridare accesso al credito, garantendolo ovviamente, facendo sì che le banche permettano di ridare credito in un momento di difficoltà come questo ai due soggetti, imprese e famiglie. Questo è il provvedimento che dobbiamo fare, molto semplice. Abbiamo uno strumento a disposizione che si chiama Cassa Deposito e Prestiti. Quindi mi auguro che su questo tema, nel provvedimento della settimana prossima, il Decreto, ci sia questo primo grande segnale, poi dobbiamo proseguire anche con altri segnali che vanno su che cosa? Il problema dei mutui. Dobbiamo, anche qui con un fondo che va assolutamente rinnovato, aiutare le famiglie che non ce la fanno, garantendo le banche, pagando gli interessi, cercando di trovare un sistema che aiuti ovviamente nell’emergenza. I punti di riferimento deboli non sono solo ovviamente le famiglie, non sono solo le giovani famiglie, dobbiamo definire un criterio, potrebbe essere quello delle persone sotto i 35 anni che hanno un lavoro a tempo determinato e che proprio per questa loro caratteristica vogliono acquistare la casa. Allora devono essere garantiti anche loro, cioè aiutati anche loro ad avere accesso al credito. L’housing sociale e tutto il tema complessivo è la chiusura di questa catena. Se noi riuscissimo la settimana prossima a dare un segnale importante sull’IMU, con il superamento dell’IMU, la Service tax, l’abolizione dell’IMU sulla prima casa, sarebbe importante. Ma è possibile far pagare l’IMU sull’invenduto? E’ una cosa dell’altro mondo. Noi siamo riusciti a far pagare l’IMU agli imprenditori che avevano una casa, come seconda casa tra l’altro, che non hanno venduto. E’ come se un concessionario ha lì cento auto e non le vende e deve pagare il bollo della circolazione! Queste sono le storture che poi allontanano il Paese, la politica dai cittadini e poi hanno ragione i cittadini a non credere più in noi. Queste cose ovviamente dovremmo risolverle, perché non basta solo denunciarle e mi auguro che la settimana prossima questo tipo di provvedimenti che ho descritto possano essere approvati. Sono stato un po’ lungo, vi chiedo scusa, ma questo era un po’ il segnale. Potevamo parlare di tantissime cose ma iniziamo da qui, iniziamo da un percorso di responsabilità, iniziamo da una possibilità di dire che ce la possiamo fare se tutti fanno la loro parte. Se ripartiamo da qui, possiamo tornare ad avere speranza, perché è la speranza la vera parola del futuro. Tante volte siamo stati presi in giro quando dicevamo che mancava l’ottimismo, che bisognava avere speranza, poi alla fine siamo ancora, a proposito di emergenza uomo, tornati al punto di partenza. Senza fiducia e senza speranza nell’uomo non si va da nessuna parte, la realtà è sempre una sfida positiva per ognuno di noi. Permettetemi di ringraziare alla fine gli amici della Capitaneria di porto. Sono stato a Lampedusa e ho visto quanto grande è la nostra capacità di intervenire, di accogliere, di recuperare, anche dove non ci compete, l’uomo nel suo dramma. Grazie.
Trascrizione non rivista dai relatori