Chi siamo
IMPRESA E BENE COMUNE
In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Manuel Andrès, Presidente e Amministratore Delegato Nestlè Italiana; Emilio Petrone, Amministratore Delegato Sisal; Vincenzo Tassinari, Presidente Coop Italia. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.
BERNHARD SCHOLZ:
Questo incontro è stato pensato per diverse ragioni. Una ragione principale è stata quella di prendere consapevolezza del valore dell’impresa, perché noi abbiamo passato anni in cui un’impresa, qualunque essa fosse, piccola o grande, è stata sempre sospettata di fare i suoi interessi, di avere come unico scopo di massimizzare i suoi profitti, ma di essere fuori da qualsiasi logica di bene comune. Negli ultimi anni abbiamo preso coscienza del fatto che un’impresa, già per il fatto che esiste, che lavora bene, che segue le sue dinamiche originarie, è un contributo al bene comune, da una parte perché crea occupazione, perché arricchisce il territorio, la nazione nella quale opera, dall’ altra perché produce qualcosa di utile, normalmente, qualcosa che viene normalmente apprezzato, un bene, un servizio.
E questo è un pensiero, più che un pensiero un dato di fatto, che deve essere approfondito, perché oltre a essere di per sé un valore, un bene, l’impresa che non viene gestita solo nella miopia del tutto subito, ma con lungimiranza, a medio e lungo termine, crea un valore per tutti, come detto, di per sé. Ma oltre a questo, attraverso la cosiddetta responsabilità sociale, porta anche valore ulteriore. Ne vedremo alcuni esempi.
Le imprese che oggi presentiamo sono Nestlè, con il suo Amministratore delegato e presidente, Manuel Andrès, abbiamo Emilio Petrone come amministratore delegato di Sisal, poi spiegheremo bene di cosa si tratta, poi Vincenzo Tassinari, presidente di Coop Italia.
Sono tre aziende molto diverse tra di loro, un’azienda che è leader mondiale nel food and beverage, che ha 10.000 prodotti diversi, presente in 130 paesi; la Coop, molto conosciuta, per quello che noi possiamo conoscere, ma dietro evidentemente ci sono tanti lavori, tanti impegni organizzativi e logistici, è una cooperativa, anzi una holding di 130 cooperative, cooperative di consumatori, e poi la Sisal, che è l’azienda che ha introdotto in Italia il mercato moderno dei giochi e delle scommesse e poi chi di voi ha già dovuto pagare una multa, ha potuto approfittare anche di altri servizi di questa società.
Bene. Questo è un focus, vuol dire che è un incontro che permette il dialogo. Quindi noi abbiamo concordato che i tre ospiti, che ringrazio per la loro presenza tra di noi, sono anche pronti a rispondere dopo a domande che vengono dalla vostra parte; se da parte vostra non ci fossero domande, io ne ho qualcuna, però preferirei che voi coglieste l’occasione per porre le domande che vorreste porre, che vi stanno a cuore.
Abbiamo concordato di cominciare con Manuel Andrès sul gruppo Nestlè.
MANUEL ANDRÈS:
Bene. Si sente? Grazie. Buonasera.
La relazione fra il bene dell’impresa e il bene comune non solo è possibile, è essenziale per lo sviluppo di un’azienda e di un business duraturo nel lungo periodo, che duri nel tempo.
Per esprimere il modo in cui Nestlè concepisce il business, lasciatemi citare due dei principi fondamentali del Gruppo:
• Dal 1866 Nestlè opera per uno sviluppo sostenibile nel tempo, oltre le mode del momento o facili immediati guadagni, per ottenere risultati di lungo periodo,
• e ancora – “Mai sacrificare lo sviluppo a lungo termine in cambio di un guadagno a breve” …
Non fraintendetemi. Non sto dicendo che Nestlè non è interessata al profitto. Puntiamo anzi ad un costante miglioramento dei risultati annuali e degli utili (crescita organica tra il 5 e il 6%)… ma lo facciamo da sempre attraverso obiettivi di lungo periodo. Ad esempio Nestlè si è volontariamente astenuta dall’essere quotata in Borse che richiedevano il reporting di utili su base trimestrale per evitare il diffondersi di una mentalità di business eccessivamente focalizzata sul breve periodo.
Ma non basta. Per assicurare un successo a lungo termine un’azienda deve essere in grado di creare valore nel tempo non solo per i propri azionisti ma anche per la società in cui opera. Gli agricoltori nostri fornitori, i nostri dipendenti e tutti i settori della società in cui lavoriamo, devono poter beneficiare dei nostri investimenti in una relazione di “doppio futuro o doppio vantaggio”. È ciò che definiamo Creazione di Valore Condiviso e sintetizziamo nel motto “Good for the Company and for Society”
Sono principalmente tre le aree in cui Nestlè – Gruppo leader nel mondo e in Italia in Nutrizione, Salute e Benessere – concentra il proprio impegno a favore del bene comune: la nutrizione, la tutela dell’ambiente e in particolare dell’acqua, lo sviluppo rurale dei paesi emergenti. Sono tanti i progetti che ci vedono coinvolti in questi ambiti.
La tutela dell’ambiente è parte integrante del nostro business. Priorità assoluta per Nestlè è la salvaguardia e la tutela dell’acqua, per questo siamo impegnati a ridurre al minimo il volume di acqua utilizzata nelle nostre attività e a ridurre l’impatto ambientale dell’acqua utilizzata durante le nostre produzioni.
Investiamo costantemente per ridurre l’impatto ambientale di tutti i nostri 456 stabilimenti, ottimizzare il trasporto dei nostri prodotti (riducendo così non solo l’uso di carburante, rumore, traffico ma anche i costi aziendali) e rendere sempre più eco efficienti gli imballaggi utilizzati.
Il Gruppo Nestlè collabora con importanti NGO e partner per garantire pari opportunità nell’accesso all’acqua potabile. L’acqua è distribuita in modo non equilibrato sul pianeta, con enormi disparità tra popolazioni e risorse idriche e alcuni paesi, come quelli emergenti, che lottano quotidianamente contro la sua scarsità. Insieme all’IFRC (International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies) siamo orgogliosi di aver contribuito ad un importante progetto che ha permesso quest’anno a circa 50.000 persone in Costa d’Avorio di avere accesso all’acqua potabile.
Come Gruppo leader in Nutrizione, Salute e Benessere, siamo impegnati a garantire la disponibilità di alimenti sani, sicuri e nutrienti a persone appartenenti ad ogni fascia di reddito, a aiutare i consumatori a compiere scelte consapevoli per un’alimentazione corretta, migliorare la nutrizione nei paesi in via di sviluppo. I prodotti Nestlè PPP ad esempio (Popularly Positioned Products) sono stati studiati e ampiamente diffusi appositamente per rendere accessibili prodotti nutrienti a persone con un basso reddito, grazie all’impiego di nuove tecnologie e nuovi modelli distributivi (come ad esempio nella testimonianza della donna intervistata in Brasile che si occupa di vendite porta a porta, di cui potrete ascoltare la storia nel video presente nel nostro stand).
L’alimentazione rappresenta un aspetto fondamentale della vita umana. Come sappiamo una parte del mondo non ha di che nutrirsi e muore d’inedia; un’altra parte, invece, ha un eccesso di risorse alimentari, e le utilizza male: è ipernutrita, sovrappeso, obesa. La FAO stima che al giorno d’oggi sono più di 840 milioni le persone con una disponibilità di cibo insufficiente per le loro esigenze, mentre sono 1,6 miliardi gli adulti sovrappeso, di cui 400 milioni obesi.
Nestlè promuove nel mondo e in Italia programmi educativi che aiutano a comprendere meglio sin da piccoli l’importanza di una corretta alimentazione e di uno stile di vita attivo. Ad oggi sono state coinvolte 9,1 milioni di persone in tutto il mondo. Anche in Italia sviluppiamo progetti rivolti ai bambini:
– Grazie al progetto Nutrikid, destinato ai bambini della scuola primaria, promuoviamo salute, benessere, corretta nutrizione e uno stile di vita attivo. I bambini imparano a distinguere i sette gruppi di alimenti che compongono la piramide alimentare, le loro diverse funzioni, i loro benefici e la frequenza con cui è necessario assumerli
– Sanpellegrino promuove nelle scuole italiane il progetto WET – Water Education for Teacher, per sostenere i principi di corretta idratazione e consumo delle risorse idriche
– Purina promuove la campagna di educazione "A Scuola di PetCare" rivolta ai bambini delle scuole primarie italiane con l’obiettivo di educarli a una corretta relazione, conoscenza e cura degli animali da compagnia. Va ricordato inoltre che alcuni dati evidenziano come un bambino che ha in casa un cane ha il 50% in meno di possibilità di essere obeso rispetto ad un bambino che non lo ha.
Lavoriamo inoltre a sostegno dei principi del Global Compact e degli obiettivi di Sviluppo del Millennio dell’ ONU (di cui Nestlè è stata tra i primi firmatari), per ridurre la povertà e la fame
La qualità dei nostri prodotti può essere garantita solo attraverso una gestione attenta delle risorse e delle materie prime utilizzate. Circa due terzi delle materie prime agricole che utilizziamo proviene dai paesi emergenti. Grazie ad una squadra di 770 agronomi e circa 7800 tecnici agrari, il Gruppo Nestlè collabora con contadini e aziende rurali per garantire loro uno sviluppo rurale che consente all’azienda di avere delle materie prime sicure e di alta qualità e allo stesso tempo migliorare lo sviluppo economico locale, creare nuove opportunità di lavoro, migliorare i loro redditi e la loro qualità della vita.
Quest’anno Nestlè ha inaugurato un nuovo Centro di Ricerca e Sviluppo ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Grazie a questo nuovo centro sarà possibile migliorare la qualità delle materie prime locali come cacao, caffè. Raccolti di migliore qualità in Africa occidentale consentiranno a Nestlè di ottenere una maggiore quantità di materie prime locali di alta qualità e sicure e allo stesso tempo migliorare la qualità della vita degli agricoltori africani.
Vi invito con orgoglio a visitare il nostro stand, presente a questo Meeting dell’Amicizia tra i popoli, dedicato alla Creazione di Valore Condiviso, dove potrete conoscere meglio le numerose attività e iniziative che ogni giorno vengono sviluppate dalle persone della nostra azienda per promuovere il bene comune. Qualcuno ha detto che “Molte persone vedono l’impresa privata come una tigre feroce, da uccidere subito. Altre invece, come una mucca da mungere. Pochissime la vedono com’è in realtà: un robusto cavallo che, in silenzio, traina un pesante carro”.
Qual è la relazione tra la persona che guida un’azienda o che ci lavora, e il bene comune?”.
Il management ha certamente un ruolo fondamentale per diffondere la cultura rivolta al bene comune e alla creazione di valore condiviso.
In primis il manager deve dare l’esempio – tra i Principi di Leadership Nestlè promuoviamo il “walk the talk” – fai quello che dici… dai il buon esempio.
Il bene dell’impresa è strettamente legato al bene delle persone che vi lavorano e al territorio / alla comunità in cui opera. Per Nestlè (283.000 persone impiegate nel mondo!) le persone sono il patrimonio principale, il punto di forza, il fondamento delle realizzazioni di Nestlè. Nulla può essere raggiunto senza l’impegno e l’energia delle persone.
Dove è presente, Nestlè opera per incrementare le proprie vendita e ricavi, innalzando nel contempo la qualità della vita della comunità in cui opera. Grazie a questo approccio al business, Nestlè ha un rating molto elevato a livello mondiale per quanto riguarda “l’adempimento delle proprie responsabilità nei confronti della società”, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
Nestlè (il più grande gruppo alimentare del mondo) è consapevole della responsabilità verso i milioni di consumatori che ogni giorno acquistano i propri prodotti…
Rispettare i codici di condotta, i principi e le policy aziendali è sicuramente il primo passo da compiere, ma un’azienda come Nestlè deve fare di più/ andare oltre. Per assicurare un successo a lungo termine un’azienda deve essere in grado di creare valore nel tempo non solo per i propri azionisti ma anche per la società in cui opera, per assicurare all’azienda un successo di lungo periodo e contribuire/partecipare alla realizzazione del bene comune.
La creazione di valore condiviso è la filosofia di business che anima tutte le attività del Gruppo Nestlè, nel mondo come in Italia, parte integrante della nostra strategia aziendale, ed è il frutto del lungo percorso compiuto dall’azienda nei 142 anni della sua esistenza nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa.
Fin dalle origini Nestlè ha fondato il suo successo sui due pilastri della creazione di valore condiviso e della ricerca scientifica.
Infatti, se oggi Nestlè è leader nel campo della nutrizione, salute e benessere, lo deve ad un’intensa attività di ricerca e sviluppo che, sostenuta da investimenti superiori a quelli di qualunque altra azienda alimentare al mondo, vede impegnati in tutto il mondo oltre 5.000 dipendenti Nestlè.
Cuore delle attività di ricerca Nestlè è il Centro di Ricerca di Losanna, un polo universalmente riconosciuto per le scoperte e gli studi condotti in scienza della nutrizione e alimentazione. Nel Centro di Ricerca di Losanna lavorano in maniera permanente 700 persone, di cui oltre 300 scienziati di 48 nazionalità diverse e ogni anno il Centro stringe oltre 300 partnership in ambito scientifico e collaborazioni universitarie, costruendo una base di conoscenze fondamentale per lo sviluppo scientifico in ambito nutrizionale.
Ricerca e collaborazione con la comunità scientifica sono insomma strategici per Nestlè. Ma non è solo per questo che abbiamo accolto con grande entusiasmo l’idea di prendere parte al progetto Axìa; ciò che più ci convince è che Axìa, oltre ad essere innovativo, crea valore per la comunità. Il legame fra impresa e ricerca non è nuovo in sé, nuovo è, invece, il valore che tale legame vuole assumere nel progetto CRUI-Nestlè a sostegno della Ricerca Universitaria in Italia: il tradizionale rapporto tra “attività di ricerca scientifica e mondo produttivo”, generalmente considerato un investimento finalizzato al business, mira qui ad essere superato da una dimensione di natura sistemica e di responsabilità sociale, con un approccio decisamente innovativo per il nostro Paese.
L’obiettivo è avviare un processo d’impegno tangibile nei confronti della ricerca universitaria in Italia, di cui possa beneficiare l’intero sistema: non soltanto le aziende o enti sostenitori, ma anche la società e, soprattutto, le generazioni future.
In questa chiave vanno lette e valutate le 117 proposte di progetti di ricerca universitaria – provenienti da 31 Atenei con circa 500 i docenti coinvolti – che abbiamo raccolto nel volume “Alimentazione, Sostenibilità e Multiculturalità – Azioni, Riflessioni, Temi di Ricerca”.
In questa pubblicazione sono sintetizzati un anno di lavoro “dietro le quinte” e la minuziosa attività di analisi svolta da un team di esponenti del mondo accademico, allo scopo di mettere a disposizione della comunità intera i primi frutti del nostro impegno in questo progetto.
Questo è il primo contenuto e contributo concreto con cui iniziamo a restituire alla collettività – studiosi e ricercatori ma soprattutto Istituzioni e operatori della business community – il censimento dei progetti che, sui temi identificati, le Università italiane vorrebbero investigare.
Tra questi progetti, quattro sono quelli con cui Nestlè comincerà questo nuovo percorso di collaborazione. Si tratta di argomenti coerenti con le priorità strategiche del Gruppo in area scientifica e di creazione di valore condiviso, nelle aree tematiche di alimentazione e sostenibilità. Anche i risultati di queste ricerche sono destinati alla pubblicazione e diventeranno patrimonio collettivo nel prossimo biennio.
Il passaggio successivo che, insieme a CRUI, Nestlè auspica è che questa collaborazione si consolidi, cresca nel tempo, attiri nuove risorse economiche e di pensiero creando valore per l’uomo, l’ambiente in cui vive oggi e in cui vivrà domani.
BERNHARD SCHOLZ:
Andiamo al mondo delle cooperative, dei consumatori in questo caso.
VINCENZO TASSINARI:
Buonasera a tutti, grazie Presidente per l’invito.
L’argomento è uno di quelli che mi toccano più da vicino. Il Presidente ci ha lasciati liberi di fare un intervento non costruito uno sull’altro, per cui io proverò a fare delle riflessioni sulla responsabilità sociale delle imprese, un discorso un po’ più strutturale rispetto alle cose che Coop fa a riguardo e nel concreto.
Io vorrei partire dalla responsabilità delle imprese in questo particolare momento di crisi economica, e non solo economica.
Io penso che molto debbano fare le istituzioni e i governi, nazionali e internazionali.
Però io penso che le imprese non possano stare con le mani in mano e aspettare interventi legislativi di varia natura per agevolare azioni sul tema di come affrontare comunque una crisi complessiva dell’economia globale, ma anche dei valori che stanno dietro a questo modo di fare economia.
Quindi partendo proprio da questo presupposto, di non scaricare colpe e responsabilità e oneri su altri, io dico che le imprese eccellenti, le imprese protagoniste, Nestlè è sicuramente un’impresa eccellente e protagonista nel mondo, Coop in Italia ma in Europa lo è altrettanto, io credo che abbiano una responsabilità, e una responsabilità che è legata a una crisi del modello economico, a una crisi del capitalismo.
Noi siamo partiti nel 2008 e nel 2009 con una crisi finanziaria che ha rischiato di rovinare il mondo e questo è frutto di un modo di fare economia.
Però io non posso neanche non ricordare che nel 2007 c’è stata un’altra crisi, che poi si è ripercossa nel 2008, è una crisi del settore alimentare, dove abbiamo rischiato di affamare il mondo, i più poveri, perché il cibo era diventato materia e oggetto di speculazione finanziaria, i grandi fondi-pensione americani investivano e speculavano sui cereali e sappiamo tutti i problemi che ne sono derivati.
Allora io, questo sistema che ha rischiato di rovinare il mondo, non voglio, da cooperatore, dire che questo modello è fallito, che non se ne parli più, adesso sì, noi cooperatori abbiamo un modello vincente. Luigi Einaudi, un grande presidente della Repubblica italiana, liberale, diceva che un sistema economico che ha in sé, oltre alle imprese private, capitalistiche, quindi il capitalismo, anche la cooperazione, è un sistema più democratico, che permette un protagonismo, un pluralismo dei modelli, che permette anche in situazioni di crisi di reagire in un modo importante. Non è un caso che in questa crisi che io tratteggiavo, non ne voglio assolutamente trattare in profondità, non ci sarebbe il tempo, non è sicuramente la serata pertinente, un elemento importante anche di difesa e di mantenimento di determinati equilibri stia proprio nel mondo cooperativo. In Italia, il mondo cooperativo è una parte importante dell’economia, rappresentiamo come cooperazione nel nostro complesso circa il 7% del prodotto interno lordo. Quindi il fatto che nel nostro mondo cooperativo, complessivamente inteso, c’è stata una difesa, ma anche una capacità di proposizione rispetto a questa crisi, io credo che sia un aspetto molto importante, dovuto alla nostra natura, perché prima di tutti noi siamo imprese di persone e non impresa di capitali, quindi le imprese di persone prima di tutto devono mettere al centro la persona. Potrei citare la Dichiarazione d’identità cooperativa internazionale, dove noi dobbiamo essere un’impresa aperta, secondo il principio della porta aperta: tutte le persone che hanno i minimi di requisiti di età, possono far parte delle nostre imprese, una testa un voto, non un’azione un voto.
Credo che sia un aspetto importante, che poi se andiamo a vedere nelle regole statutarie delle imprese cooperative, non certamente delle imprese private, troviamo il principio di tutelare il potere d’acquisto dei consumatori, la loro salute, la sicurezza, l’ambiente, sviluppare la cooperazione, fare interventi strutturali a favore di paesi poveri, paesi del sud del mondo. Quindi per venire al tema della responsabilità sociale: guarda caso il tema della responsabilità sociale torna in emergenza quando scoppiano degli scandali. Io ricordo nel 2002 lo scandalo della Enron e ricordo anche, allora ero presidente di ICR Italia, quindi dell’organismo di collaborazione industria e distribuzione, che facemmo un bellissimo convegno internazionale a Barcellona proprio sul tema della responsabilità sociale. Poi finito l’eco dello scandalo non se ne è parlato più. E oggi torniamo a riparlarne, perché siamo in una situazione di emergenza. Io credo che la responsabilità sociale e delle imprese non può essere un’operazione di marketing, deve essere nella identità dell’impresa, nei processi dell’impresa. Noi dobbiamo sicuramente operare con coerenza su quella che è stata definita la tripla bottom line, cioè avere chiaro l’aspetto dell’economia, come diceva il mio collega della Nestlè, della socialità della nostra azione imprenditoriale e avere chiaro, terza colonna importante, come in un’emergenza globale che sta intervenendo, quella dell’ambiente, le imprese possono fare concretamente qualche cosa di preciso. Quindi non una operazione di marketing, non un’operazione per catturare contingenze emergenti, ma avere nel processo dell’impresa questi connotati fondamentali che ti permettono di rispettarli. Vedete, non è proprio che sia normale che questo tema sia condiviso. Io ricordo che il teorico della finanza capitalistica, Milton Friedman, diceva che la responsabilità sociale era quella di incrementare i profitti delle imprese. Nelle ultime settimane, credo che abbiamo letto tutti nella cronaca degli Stati Uniti d’America, nel corso di questa crisi, dire invece che bisogna fare molta attenzione al fatto che quello che si guadagna come impresa sia qualche cosa che si ripercuota nel lungo periodo, che abbia una possibilità di sviluppo nel lungo periodo. E questo non lo dice un cooperatore, lo dice l’economia del paese capitalistico per definizione. Io credo che il capitalismo, pure in crisi, non sia finito; come dice qualcuno, dovrebbe solo rispolverare i sacri principi del 1752 di Adam Smith, che parlava già, per la prima volta, di regole e di coscienza della capacità di fare economia e poi nel ’76 parlò del benessere delle nazioni. Quindi io credo che le imprese abbiano questo ruolo fondamentale. In questo momento qual è l’emergenza? A mio parere, in questo momento, la nostra gente, i nostri concittadini, i nostri consumatori, in Italia come nel mondo, sono nel profondo di una crisi economica, nel profondo di una crisi del potere di acquisto. Questo è oggi il punto centrale. Io posso dire solo un flash: abbiamo sentito più volte dire “la crisi non c’è” oppure “abbiate fiducia che passerà”; però il termometro che mi viene dalla linea diretta dei nostri mercati, dai nostri punti di vendita, purtroppo mi dice che questi ultimi due mesi sono due mesi di crollo dei consumi in Italia. E questo fa prevedere che comunque la crisi, nella quale noi siamo entrati meno velocemente che in altri paesi, che fino a oggi è stata pagata dal welfare piuttosto che dalle imprese che hanno retto con i denti l’occupazione, sarà ancora più forte nel prossimo autunno. I segnali purtroppo, non per fare del pessimismo, ci sono. Io voglio bene al mio paese, voglio bene ai consumatori e ai cittadini italiani, quindi io dico, proprio partendo da questa emergenza: il problema numero uno di noi imprese è di stare dalla parte dei cittadini, dei consumatori. E se hanno questa emergenza, le imprese eccellenti devono mettere in atto delle azioni che permettano la difesa della propria spesa di prima necessità. Ma attenzione: quando dico questo, non lo dico con “facciamo il prezzo più basso a tutti i costi dei nostri prodotti e cerchiamo le fonti produttive, i modi di lavorare meno costosi, così ci salviamo l’anima”. No, non è così. Io dico che il cittadino italiano, il consumatore italiano dice che è in difficoltà dal punto di vista della spesa, ma vuole mantenere elementi di garanzia di sicurezza, di qualità e quindi da questo punto di vista scatta di nuovo la capacità delle imprese, delle imprese eccellenti di fare delle azioni molto concrete al riguardo. Nel concreto io penso che per un cooperatore dire che siamo socialmente responsabili è dire un fatto naturale. Lo dicevo prima, è scritto nei nostri statuti. Noi come Coop abbiamo 7.000.000 di persone, soci consumatori, dobbiamo agire in coerenza con le loro necessità, con i loro bisogni, con le loro aspettative, soprattutto quelle dei più giovani. Ma è troppo facile per me dire: sono socialmente responsabile. Io devo provare a far sì che, e credo che questo sia un concetto che a te presidente può interessare, le imprese non siano sole e uniche ad essere socialmente responsabili. Le imprese debbono provare a costruire intorno a questi principi e a questi valori delle collaborazioni che siano importanti. La Coop è la quarta industria alimentare; noi siamo i primi nella distribuzione ma siamo con il nostro marchio la quarta industria alimentare; facciamo oltre 3.000.000.000 di fatturato con il nostro marchio. Il nostro marchio vuol dire essere buono e conveniente ma essere anche eticamente corretto, quindi andiamo a vedere come è prodotto, se è prodotto nel rispetto dei diritti umani, della persona, senza sfruttamento del lavoro minorile. Il nostro prodotto deve garantire la solubilità, deve garantire l’ambiente e solamente quando ha questi requisiti mettiamo il nostro timbro. Ma questo noi lo facciamo in collaborazione con le nostre imprese produttrici. Non vogliamo essere noi i proprietari delle industrie produttrici, tanto meno delle imprese agricole. La nostra responsabilità, quindi, è fare in modo che, posto che oggi c’è il problema della convenienza, la convenienza non sia a scapito di questi valori, che debbono essere rispettati da Coop in primis, ma debbono anche essere rispettati dai nostri interlocutori, che sono i nostri fornitori. Abbiamo oltre 400 industrie che sono fornitrici del nostro marchio; abbiamo 10.000 imprese agricole italiane. Allora vedete, e finisco, io credo che questo paese sia oggi un paese in crisi. Una delle vie attraverso le quali io credo si possa uscire è quella del dialogo, del confronto, della cooperazione. Mettiamoci intorno a un tavolo, capiamo i veri problemi, non mettiamoci l’un contro l’altro. Quante volte ho sentito il mondo dell’agricoltura dire che il mondo della distribuzione è quello che specula. Non è così. Noi abbiamo un rapporto assolutamente produttivo con 10.000 imprese agricole italiane. Mettiamoci intorno a un tavolo. Capiamo i veri problemi: agricoltura, industria, distribuzione, istituzioni. Proviamo a capire che cosa insieme possiamo fare, cooperando per fare uscire la persona, il cittadino, il consumatore, il nostro paese dalla situazione di crisi nella quale siamo. Credo che questa sia una via che noi per primi siamo responsabili nel portare avanti.
BERNHARD SCHOLZ:
Emilio Petrone SISAL.
EMILIO PETRONE:
Grazie, grazie presidente per l’invito, grazie a tutti per la partecipazione numerosa. Io volevo oggi parlarvi un pochino di come ci stiamo muovendo noi, in Sisal, però partendo da quello che diceva il presidente sul ruolo dell’azienda, dell’impresa in Italia e sul fatto in particolare che l’impresa non solo non è il diavolo ma l’impresa è lo sviluppo, è un elemento chiave per il benessere e la prosperità di un paese. Quindi quanto più il tessuto dell’industria dell’impresa è sviluppato in un paese, tanto più questa nazione sarà una nazione ricca anch’essa sviluppata, che quindi avrà meno povertà, meno disoccupazione. Quindi occuparsi di sviluppare l’impresa, l’industria è un modo per far bene il bene del paese e devo anche dire però, per essere chiaro e sincero, che noi in Italia non siamo messi benissimo in quest’area, nel senso che siamo un paese che non è ai primi posti al mondo per lo sviluppo industriale. Non siamo in grado di attrarre capitali e investimenti dall’estero, siamo anzi uno degli ultimi paesi da questo punto di vista, a livello europeo siamo nelle ultime posizioni insieme alla Grecia e non abbiamo le nostre imprese nelle posizioni di eccellenza a livello mondiale. Io non voglio sembrare negativo, però credo che si debbano guardare anche le aree in cui c’è la possibilità di migliorare quello che facciamo, per fare meglio, per andare avanti e quindi credo che ci si debba impegnare per fare meglio quello che facciamo, cioè il nostro lavoro. Questa è una cosa che dico innanzitutto a me stesso, quindi, venendo alla responsabilità sociale, il modo in cui noi la stiamo interpretando in Sisal è in due modi: il primo si collega proprio a questo. Cercare di fare molto meglio il nostro lavoro, significa andare a misurarci non soltanto con le industrie, le imprese vicine a noi del nostro settore ma andare a misurare quello che noi facciamo, i risultati che otteniamo, con le aziende meglio gestite al mondo. Quindi ad esempio la Nestlè, azienda che è gestita da Manuel Andrès in Italia, ed è una delle più grandi aziende al mondo, credo che debba essere uno dei punti di riferimento per chi, come me, gestisce un’azienda italiana, per quanto grande e importante come la Sisal. Fare meglio il proprio lavoro ha poi due aree al suo interno, da una parte la parte etica e dall’altra la parte dei risultati, delle performance, delle vendite, dei profitti. Io credo sia indispensabile, fondamentale fare molto bene il proprio lavoro, misurandosi con altre realtà più avanzate della nostra, della mia almeno, sia dal punto di vista etico che dal punto di vista della qualità del proprio lavoro, di quello che si fa. Oggi noi in Sisal non siamo a livello della Nestlè o di altre grandi multinazionali, delle più grandi aziende del mondo, però con questo approccio, con questo modo di lavorare, io credo che lo diventeremo, miglioreremo nel tempo e penso che faremo il nostro lavoro meglio da un punto di vita etico e sicuramente anche da un punto di vista dei risultati e dello sviluppo dell’azienda. Oltre che fare meglio quello che facciamo, il secondo blocco che noi stiamo portando avanti è quello di approcciare, di avvicinarsi alle responsabilità sociali in maniera professionale e strategica e quindi di guardare la responsabilità sociale non come un qualcosa in più, qualcosa che se la faccio bene se non la faccio pazienza e se la faccio così così va bene lo stesso, ma cercando di dare alla responsabilità sociale e quindi a quello che si fa per restituire alla società una parte di quello che le aziende guadagnano, la stessa importanza in azienda di quello che si fa per il business. Io sono in azienda da poco più di un anno, però ho ritenuto e ho voluto, sin dal primo giorno in cui sono arrivato, che in azienda ci dovessero essere due programmi paralleli e quindi un programma strategico per l’azienda, per lo sviluppo del business dell’azienda, quindi le quote di mercato, le vendite, i risultati, i profitti, e parallelamente che i migliori manager dell’azienda si occupassero anche di sviluppare, insieme a me, un piano strategico per la responsabilità sociale, un piano che a un anno di distanza abbiamo creato e che in future occasioni vi presenterò, oggi non ce n’è il tempo. Adesso, per chiudere, volevo darvi un paio di esempi, un paio di esempi. Questo piano ha quattro divisioni principali, occupandosi di progetti come la formazione per i più giovani, lo sport, il restauro di monumenti e opere d’arte nazionali.
BERNHARD SCHOLZ:
Se c’è qualcuno che ha delle domande da porre
DOMANDA:
Quale il vostro rapporto con la CdO?
MANUEL ANDRÈS:
Io sono qui in Italia da tre anni e quindi la mia esperienza con voi è un po’ più limitata ma devo dire che seguo molto da vicino un progetto che avevo con voi, che è il Banco Alimentare. Fate un mestiere che è molto difficile ma lo fate con un’energia e lo fate con una conoscenza molto forte, ammirabile e devo dire che stiamo discutendo come continuare questa relazione e come farla più forte ancora. Vincenzo parlava un po’ delle prospettive in Italia che io condivido e questo può arrivare ad una situazione dove vi dovrete impegnare ancora molto di più.
BERNHARD SCHOLZ:
Io vorrei porre una domanda sulla motivazione che dà quel quid in più, perché io sono straconvinto che un’impresa di per sé è già un bene e il fatto che esista, presupponendo che venga gestita bene evidentemente, è già un bene di per sé. Ma, adesso non ripeto perché gli esempi li avete fatti, quel quid in più è un optional o è in qualche modo intrinseco nella logica di fare impresa oggi?
MANUEL ANDRÈS:
Posso dire che per noi nasce da un convincimento che fa parte del business, fa parte del business. Io sono convinto che non è un moda, è parte intrinseca di come fare business.
VINCENZO TASSINARI:
E’ corretto quello che dice Manuel, però come cooperazione io penso che non è solo un modo di fare business o di aggiungere al business anche questi contenuti valoriali, per noi è un elemento strutturale dell’essere impresa cooperativa. Quindi è diverso, cioè noi siamo nati nel 1854 a Torino, abbiamo cercato di evolvere, di modernizzare il nostro modo di essere impresa, non il nostro modo di fare business. E’’ chiaro che dobbiamo essere impresa, quindi dobbiamo essere efficienti, dobbiamo dare dei buoni servizi, prezzi competitivi assolutamente. Però per noi c’è un onere in più, che è quello di rispettare la nostra storia, la nostra origine e quindi di evolvere la nostra presenza in un mercato più difficile, competitivo, più sfidante. E’ chiaro che noi pensiamo che se non siamo cooperazione, non siamo impresa cooperativa, non siamo. Quindi questo è un elemento fondante della nostra personalità, della nostra distintività, della nostra anima di impresa. Questo è un fatto molto importante. E voglio dire anch’io un mio giudizio, la mia valutazione del rapporto con la compagnia delle opere, con il Meeting di Rimini e dell’amicizia. Credo che siano ormai quindici anni che veniamo qua. Ma veniamo e credo che siamo invitati non perché qualcuno ci battezza e ci etichetta con un colore che, fra l’altro, anche da un punto di vista religioso è molto importante e molto significativo. Noi siamo qua perché riconosciamo che la Compagnia delle opere è l’organizzazione che ha gli stessi nostri valori, gli stessi valori non solo predicati ma praticati. Quindi questo immenso patrimonio che voi rappresentate, di una gioventù piena di valori che può costituire una colonna fondante della nuova società, noi la ritroviamo molto connessa con la nostra missione e credo che collaborare e continuare a collaborare per altri trent’anni con voi, sarà un aspetto che ci aiuterà molto, anche come cooperazione, nelle sfide del futuro.
EMILIO PETRONE:
C’è una grande competizione per attrarre nuovi talenti cioè è molto importante in un’azienda avere le persone migliori, le persone più serie, più etiche, più capaci e quello che io ho visto è che le persone migliori vogliono lavorare in aziende etiche, in aziende che si impegnano a restituire alla società una parte di quello che hanno. E’ un grande discrimine che sta aumentando con le nuove generazioni, con i giovani. E quindi credo che un’azienda che restituisce, che s’impegna, avrà la possibilità di assumere
le persone migliori. E credo che nel tempo si avrà anche la preferenza dei consumatori, perché sempre più chi compra, chi spende, soprattutto in momenti difficili come questi, va a guardare cosa c’è dietro un prodotto, dietro un marchio, lo diceva il dott. Tassinari, come si comportano le persone, le aziende che producono, che vendono un prodotto. Se le aziende si comportano bene, in maniera corretta, credo che questo garantirà, andando avanti, anche il successo dell’impresa e dei prodotti o dei servizi che l’impresa vende.
BERNHARD SCHOLZ:
Bene, prima di tutto ringrazio per questa inaspettata dimostrazione di affetto e di riconoscimento nei confronti del Meeting e della Compagnia delle Opere. Io vorrei chiudere con alcune considerazioni. Io penso che sia stata interessante la riflessione sul fatto che esiste una pluralità di forme nelle quali l’uomo cerca, attraverso l’economia, di creare un bene per sé e per la società nella quale vive. Abbiamo persone che cominciano ad investire un capitale normalmente insieme a un talento che si dilata, che diventa un’azienda, un’azienda grande, addirittura un’azienda multinazionale, che coinvolge altri paesi, che condivide know how anche con paesi lontani. Il mondo delle cooperazioni, dove persone si mettono insieme e poi investono insieme per creare un’azienda che parte sempre dall’intento di cooperare, dalle persone e non dal capitale. La cosa che stupisce però, è che alla fine dai diversi approcci alcune cose rimangono comuni e un fattore comune, che penso sia emerso, è che il bene comune non possiamo definirlo staticamente, perché il bene comune è qualcosa che sempre è in creazione, è in divenire, perché non è predefinito: è definito il criterio di ciò che è bene e di ciò che non è bene, però esso viene creato dalla società civile, da chi opera dentro la società. Penso che questo sia importante perché lo stato difficilmente, le istituzioni statali difficilmente sono in grado di creare questo. Perché? Non perché è un presupposto che uno va bene e l’altro non va bene. Perché si tratta di mettere in gioco le persone e la persona che si mette in gioco dentro una cooperativa, dentro una società, un’impresa, una company, è comunque una possibilità in più, perché non c’è un comando ma c’è la libera iniziativa che viene spronata, che viene sostenuta anche attraverso un benchmark, come è stato detto, perché se la Sisal adesso vuole migliorare, è perché c’è dentro di noi questa voglia di fare di più, di fare qualcosa di meglio, di fare qualcosa di più interessante, di più conveniente, di più adatto alle nostre esigenze. Questa libera iniziativa, che poi nelle forme deve essere evidentemente regolamentata, con il minimo delle regole necessarie evidentemente, è qualcosa che crea il bene comune. La pluralità, secondo me, anche dell’esperienza nostra, perché, come sapete bene, dentro la Compagnia delle Opere ci sono anche tantissime cooperative, grandi e piccole, abbiamo tante imprese grandi e medie, grandi no, medie, piccole, alcune grandi anche, ma soprattutto medie e piccole, questa pluralità di forme è comunque una ricchezza. L’esperienza delle cooperative può essere interessante come benchmark, come paragone per chi fa un‘impresa in un altro modo e viceversa. Questa è la ricchezza di una società civile che valorizza tutte le iniziative che provengono dall’esperienza delle persone che ci vivono. Infatti noi pensiamo che proprio in questo momento di crisi, in questo momento di crisi, tutto dipenderà da come le persone che vivono nella società si assumono le responsabilità, non solo dentro la società, perché anche lo stato, i politici hanno il loro compito da fare, ma soprattutto le persone che vivono responsabilmente nel mondo economico. E l’economia, non è per aggiungere adesso un cappello, ma penso che sia emerso anche questa sera che l’economia di per sé si basa prima di tutto su una relazionalità fra persone, che sono intenzionate a scambiarsi dei beni. Sulle forme, sulle modalità poi ci sono tante differenze, ma la relazionalità all’interno della società dove uno produce un bene, lo scambia con altri, questa dinamicità di fondo è riemersa e penso che non si possa parlare a questo punto di un prevalere di interessi privatistici e personalistici, ma di uno scambio, perché uno che crea un bene capisce che quel bene che crea è un bene per sé e per gli altri e che l’economia fatta bene ha dentro di sé questa natura di scambio originale. Questo tra l’altro è il grande tema della nuova enciclica di Benedetto XVI che afferma che dentro l’economia, dentro la natura dell’economia, c’è uno scambio di beni e di servizi, che non è per sé in conflitto ma che è di per sé già un positivo, perché troppo spesso, quando si parla di economia, si parla subito di un controllo necessario, di un regolamento necessario, di una negatività possibile, invece di partire dal positivo, che si esprime attraverso lo scambio di beni e di servizi, sostenuto anche da scambi finanziari. Secondo me questa crisi non dimostra che l’economia non può funzionare, ma che deve funzionare tornando all’originalità che è inscritta in ogni persona, cioè quella di voler contribuire, creando un bene per sé e per tutti. Questa è la grande ricchezza dello scambio fra persone della società civile, che è possibile facendo un bene per sé, facendo anche il bene per gli altri. E questo è originale, non è una cosa che dobbiamo costringere le persone a fare attraverso ulteriori regolamenti. Paradossalmente penso che questa crisi ci inviti, e questa sera sono contento perché lo si è dimostrato, a essere più fedeli a noi stessi, a ciò che umanamente desideriamo, perché altrimenti questa crisi diventerà un invito ulteriore a un nuovo statalismo, a nuovi limiti.
Bisogna invece spronare ulteriormente il desiderio originale della persona e delle comunità a creare del bene evidentemente per sé, nella coscienza però che questo bene diventa anche un bene per tutti. E così il bene comune diventa una costruzione comune, perché io sinceramente mi rifiuto di pensare che qualcuno possa definire che cosa sia il bene per tutti. Questo è qualcosa che la società stessa, attraverso le imprese, chi ci lavora, anche i professionisti, deve creare, facendo però riferimento a criteri che ognuno di noi si porta dentro, non a criteri di qualcuno che ci organizza la vita e definisce addirittura chi siamo e cosa ci va bene e cosa ci fa male. Questo non vuol dire che dobbiamo arrivare a una concorrenza darwiniana, ma vuol dire che guardiamo intelligentemente e apertamente ciò che gli altri fanno per migliorare, perché anche il principio di concorrenza è stato ridotto a una lotta, quasi una guerra, che invece non è tale, perché il paragone e la libertà di scelta è per far venir fuori il meglio. L’uomo ha dentro la voglia di questo paragone ma non è un paragone per forza guerrigliero, agonistico. E’ il paragone che ognuno di noi ha dentro, perché per diventare migliore lui guarda gli altri, perché per sprigionare il potenziale che ha dentro, addirittura per scoprirlo, spesso se ne rende solo conto perché vede qualcuno è arrivato più avanti di lui. E quindi questi sono principi sani, se vengono vissuti in questa originalità fanno in modo che ognuno possa contribuire alla crescita di questo bene comune, che, ripeto, è una creazione di tutti, non è qualcosa di predefinito da raggiungere. Quindi vi ringrazio e penso che questi tre interventi, così diversi fra di loro ma così paradossalmente uniti in questo criterio, possano aver aiutato tutti noi a lavorare meglio, per affrontare anche le difficoltà che purtroppo sempre ci sono. Grazie, arrivederci.
(Trascrizione non rivista dai relatori)