Chi siamo
IL VOLONTARIATO, UNA REALTÀ GIOVANE
In diretta su Corriere della Sera
Organizzato da Compagnia delle Opere (sociale)
Franco Bagnarol, MoVi; Lorenzo Carnovale, CEO e Founder di JoBobo; Vanessa Pallucchi, vicepresidente di Lega Ambiente e portavoce Forum Terzo Settore; Elisabetta Soglio, giornalista del Corriere della Sera, responsabile dell’inserto Buone Notizie-L’impresa del bene. Modera Marco Emilitri, Portofranco
Il volontariato è un fenomeno profondamente radicato nel nostro paese. Nonostante tutte le trasformazioni in atto, fare un’esperienza concreta di carità continua ad attirare migliaia di persone. Vogliamo in questo nostro incontro dialogare con vecchi e nuovi volontari di questa esperienza di gratuità con uno sguardo al futuro, perché cambiano le generazioni, le circostanze di vita e le caratteristiche personali, ma il cuore dell’uomo rimane lo stesso.
IL VOLONTARIATO, UNA REALTÀ GIOVANE
IL VOLONTARIATO, UNA REALTÀ GIOVANE
Organizzato da Compagnia delle Opere (sociale)
Sabato 24 agosto 2024 ore 14:00
Arena Cdo C1
Partecipano:
Franco Bagnaroli, MoVi; Lorenzo Carnovale, CEO e Founder di JoBobo; Vanessa Pallucchi, vicepresidente di Lega Ambiente e portavoce Forum Terzo Settore; Elisabetta Soglio, giornalista del Corriere della Sera, responsabile dell’inserto Buone Notizie-L’impresa del bene.
Modera:
Marco Emilitri, Portofranco
Emilitri. – 0:06:33 – Buongiorno a tutti e grazie di essere qui a questo incontro organizzato dal Meeting e dalla Compagnia delle Opere Sociali, intitolato “Il volontariato, una realtà giovanile: pensare alla caritativa”. Il volontariato è un fenomeno profondamente radicato nel nostro Paese. Nonostante tutte le trasformazioni in atto, fare un’esperienza concreta di carità continua ad attirare migliaia di persone. In questo incontro vogliamo dialogare con vecchi e nuovi volontari su questa esperienza di gratuità, con uno sguardo al futuro, perché, sebbene cambino le generazioni, le circostanze di vita e le caratteristiche personali, il cuore dell’uomo rimane lo stesso.
Prima di presentare gli illustri relatori, vorrei leggervi un breve brano che noi a Porto Franco riprendiamo tutti i giorni con i volontari, prima di iniziare le nostre attività di aiuto allo studio. Don Giussani scrive nel testo “Il senso della caritativa”: “Quando c’è qualcosa di bello in noi, noi ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri. Quando vediamo altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli con qualcosa di nostro. Tale esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti, e noi la chiamiamo giustamente legge dell’esistenza. La legge suprema, cioè, del nostro essere è condividere l’essere degli altri, mettere in comune se stessi. Tutta la parola ‘carità’ riesco a spiegarmela quando penso che il Figlio di Dio, amandoci, non ci ha mandato le sue ricchezze, come avrebbe potuto fare rivoluzionando la nostra situazione, ma si è fatto misero come noi, ha condiviso la nostra nullità.”
E allora, visto che il cuore dell’uomo grida naturalmente questo, ci troviamo qui oggi a parlarne con degli amici. Elisabetta Soglio, laureata in Lettere all’Università Statale, mamma di due figli, giornalista prima ad “Avvenire” e dal ’94 al “Corriere della Sera”, dove si è occupata di cronaca milanese e di politica. Da sempre ha seguito i temi sociali ed è responsabile del progetto “Buone Notizie”, un settimanale del Corriere dedicato al terzo settore. È un’amica storica del Meeting e di solito siede al mio posto.
Soglio. – 0:09:21 – Un po’ stranita, infatti, da questa cosa che non me ne devo occupare io, ma presenti tu. È bellissimo però.
Emilitri. – 0:09:33 – Continuo con la presentazione dei relatori, scusatemi. Vanessa Pallucchi, anche lei già ospite, già conosciuta al Meeting, laureata in filosofia all’Università di Perugia, dal 2018 vicepresidente nazionale di Legambiente e dal 2007 presidente di Legambiente Scuola e Formazione, oltre che rappresentante del Forum nel comitato di sorveglianza del Ministero dell’Istruzione.
Soglio. – 0:10:02 – Ed è portavoce del Forum.
Emilitri. – 0:10:09 – Presidente emerito del MOVI, quando parlavamo di “vecchi”, ma si fa per dire, giovani di cuore. Il MOVI è il Movimento del Volontariato Italiano. È una rete di associazioni e gruppi di volontariato con una struttura che, partendo dalla realtà dei gruppi presenti nelle comunità territoriali, si aggregano in reti a livello territoriale, regionale e nazionale. Abbiamo poi il mio amico Stefano Geno, presidente della Compagnia delle Opere Sociali, già relatore e moderatore in altri nostri incontri. E infine, ma non meno importante, Lorenzo Carnavale, laureato in giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano, che è un CEO e fondatore di Gio Bobo, un’applicazione di cui capiremo meglio strada facendo. È stato alunno di mia moglie, che fa la maestra elementare, quindi l’ho visto fin da piccolino e così via.
Quindi, dopo le presentazioni, direi che chiederei innanzitutto di iniziare con Elisabetta Soglio, chiedendole qual è, dal suo osservatorio di “Buone Notizie”, lo stato di salute del volontariato, ciò che stiamo osservando e quello che riesce a vedere, raccontando sempre in maniera veramente impressionante su “Buone Notizie”.
Soglio. – 0:11:53 – Grazie mille. Innanzitutto direi che dall’osservatorio esterno di chi fa giornalismo e racconta le persone che si mettono gratuitamente a servizio, emerge sicuramente il fatto che molte più persone si mettono a disposizione, sviluppando un’idea di gratuità, di senso civico, di cittadinanza attiva e responsabile. Ci dicevamo prima anche a tavola: i numeri, anche i nuovi dati dell’ISTAT, lasciano un po’ a desiderare per due motivi. Intanto, perché sono dati magari non precisi, “spannometrici”; alle associazioni viene chiesto: “Quanti iscritti avete?”, e uno dice 500, poi magari sono 350 o 600. L’altro tema emerso dall’ultima indagine ISTAT è che ci sono meno giovani; cioè, è calato il numero dei giovani, ma questo dato ha avuto subito una contro-chiave di lettura. È vero che ci sono meno giovani che aderiscono formalmente alle realtà del terzo settore, ma è altrettanto vero che ci sono molti più giovani che scelgono di fare esperienze di servizio gratuito. Sono i giovani che durante il Covid andavano a consegnare i pasti alle persone sole, i giovani che quando c’è l’alluvione, il terremoto, un’emergenza, si mettono a disposizione. Sono i giovani che vengono al Meeting. Qualche giorno fa sul Corriere ho pubblicato un breve commento in cui dicevo che, per me, di questa esperienza del Meeting tutti gli anni stupisce proprio la generosità di tanti giovani che, tra l’altro, vengono a interrogarsi su una domanda di senso, e questo richiama noi adulti a un occhio meno giudicante, meno sbagliato verso i ragazzi. I nostri giovani si fanno domande, si pongono domande di senso. Io non credo che siano diventati la generazione della superficialità solo perché traviati dai social e da tutta la finzione che i social comportano. Questo rende i giovani più fragili, e infatti spesso ci troviamo ad affrontare il tema del disagio giovanile, ma anche questo disagio nasconde una domanda di senso, di valore, che forse neanche la mia generazione aveva.
Quindi, per restare breve (poi magari facciamo un altro giro), direi che lo stato del volontariato oggi è un volontariato che deve sicuramente cambiare perché stanno cambiando i temi e le situazioni. Deve cambiare perché l’ingresso del RUNZ, iniziato nel 2017 insieme a “Buone Notizie”, ha cambiato proprio anche le strutture delle associazioni, ma rimane, per citare Mattarella, la spina dorsale del Paese, una linfa che va continuamente nutrita.
Emilitri. – 0:15:39 – Grazie, Elisabetta, di averci appunto dato questa visione, cioè questo colpo d’occhio. Secondo me si capisce benissimo, appunto, per chi ha la possibilità e la fortuna, tra virgolette, di venire qua al Meeting, di vedere effettivamente un popolo, giovani o meno giovani, che è qui tutti i giorni esattamente per questo. Ma io, Vanessa, volevo chiederti perché il gesto di solidarietà, normalmente, appunto come diceva, sottende qualcosa d’altro. Perché faccio questo? In nome di che? E volevo chiedere a te, dentro questa esperienza, appunto, Forum Legambiente, con un accento particolare anche alla politica, come ci raccontavi prima: per te che cos’è questa esperienza qua?
Pallucchi. – 0:16:40 – Buon pomeriggio innanzitutto, e insomma sono domande abbastanza impegnative, nel senso che cercherò di dare una risposta che incroci un po’ la mia esperienza personale con quello un po’ che vedo e che osservo anche dal ruolo che adesso ricopro. Da cosa nasce? Secondo me, noi abbiamo fatto, come Forum del Terzo Settore, un’indagine che si chiama “Noi Più” sulle competenze dei volontari. È uno dei temi che ricorrono, una lettura, è che mentre sono molto consapevoli del ruolo che fanno in quel momento, sono molto meno consapevoli di essere quella spina dorsale, quell’autoconsapevolezza, di essere spina dorsale del Paese. Quindi c’è una dimensione, secondo me, individuale che è legata a un cambiamento, a un senso di giustizia, perché se pensiamo, il volontariato esprime solidarietà verso situazioni dove ci sono, esprimono dei bisogni sia di carattere ambientale, culturale, sociosanitario, e quindi il volontario sta dietro a questo divario di disuguaglianza, cerca di riequilibrare quello che non è equilibrato. Da una parte c’è anche un senso di vedersi rispecchiati in una società migliore e più solidale, che oggi vede me protagonista di stendere una mano e domani io vedrò qualcuno che la stende a me quando ne avrò necessità. Quindi quella solidarietà e quella reciprocità, e poi non è mai un atto di chi esprime una gratuità e chi la riceve, ma questo interscambio alla fine si riequilibra proprio per i valori, i vantaggi e il senso, come diceva Elisabetta, che anche chi fa volontariato riscontra. Quindi è una relazione sociale di base, a proposito di cuore, che è molto anche innata. Però oggi noi siamo anche nell’era dell’individualismo e io quello che osservo, quei motivi che ti ho detto prima sono un po’ quelli che hanno spinto me a diventare ambientalista, ovviamente poi i temi nel passare dei decenni cambiano, oggi la questione ambientale non solo sta diventando centrale ma anche al mondo del terzo settore è trasversale, credo che siano dei temi che attraversano tutte le organizzazioni, non solo quelle ambientaliste. E poi però c’è un tema un po’ più di lettura politica generale, cosa spinge? Oggi sicuramente c’è una necessità di ricerca di un senso, di un’aggregazione, di un collettore. Ho visto che anche al Meeting si parla e si discute sul ruolo dei corpi intermedi. I corpi intermedi vivono una crisi, a iniziare dai partiti politici, ma anche le nostre organizzazioni. Stiamo tutti in una fase di profonda transizione. Che cos’è che dà senso a queste organizzazioni? Che comunque sono delle costruzioni di collettività e di comunità. Quindi credo che chi fa volontariato oggi ricerchi, oltre a un motivo di ricaduta sociale, anche un senso fortemente di appartenenza, che lo era anche ieri, ma ieri noi c’avevamo molte più appartenenze, la famiglia che era molto più definita. Avevamo appunto i partiti politici, ma anche la Chiesa stessa, no? Dava molti, come dire, punti di riferimento anche di comunità. Oggi manteniamo a fatica questi legami comunitari e sicuramente quando si fa volontariato si ricostruiscono, è come se fosse una modalità base per ristabilire delle relazioni che è sempre più difficile trovare in maniera, diciamo, come bene comune dato per scontato, implicito. Ecco, è come se oggi quello che ieri era implicito bisogna esplicitarlo. Il volontariato è un modo di esplicitare, è un modo anche di ricostruire comunità. Questo spetta anche al ruolo delle organizzazioni. Molto si parla del volontariato fluido e del volontariato liquido; è sicuramente una lettura oggi della società vera, ma la domanda che io lancio un po’ a tutti è: si può stare in una liquidità se poi non c’è un collettore che costruisce quel senso di comunità e che fa una meta-riflessione nel dire chi siamo e dove andiamo? E questo credo che sia un po’ una sfida, soprattutto nella transizione che stiamo vivendo, nelle pluritransizioni che stiamo vivendo.
Emilitri. – 0:21:50 – Grazie, Vanessa, mi sembrano due cose che tu ci hai messo lì, due cose veramente interessanti. Una è la questione della distruzione dei legami. L’altro giorno sentivo un incontro sulla famiglia e questa psicologa diceva che c’è stata proprio una rottura del legame. Quindi questa società favorisce una rottura di legami, per cui questa mancanza di trasmissione, che in qualche modo tu dicevi, è quella che poi fa far fatica di più alle generazioni, a questi giovani ma anche alle persone. E la seconda cosa, appunto, è questa dei corpi un po’ intermedi e della fluidità, perché questo è un tema che, in qualche maniera, bisogna tenere presente, che vedremo anche sull’idea proprio del volontariato. Franco, come decano sulla parte proprio del volontariato, dei volontari, un po’ la domanda che ho fatto a Vanessa: la tua storia, quello che puoi raccontare a noi e a questi giovani.
Bagnaroli. – 0:23:06 – Buon pomeriggio, grazie dell’invito. Il tempo è tiranno, per la verità, per potersi raccontare. La mia sicuramente è un’esperienza che nasce a 22 anni, quando incontro per caso un gruppo scout che mi chiede di aiutarli. Ecco, di questa esperienza dello scoutismo ho percorso tutta la struttura formativa ed educativa, trovandomi nel ’76 responsabile regionale degli scout, in cui arriva il terremoto in Friuli. Ecco, per me questa tappa, questo essere volontario e responsabile di una situazione molto, molto grossa, l’impegno è stato quello di organizzare oltre 10.000 capi educatori, eccetera, nell’aiutare le persone che aveva disastrato. Evidentemente, questo mi ha insegnato molte cose, questa esperienza diretta del terremoto. Ad esempio, la prima, che va in contrasto con quanto detto prima: all’inizio, anche nel terremoto del ’76, c’è stata una pletora di giovani che sono arrivati assolutamente generosi. Quindi, è un dato storico quello che vediamo oggi. Quello che abbiamo dovuto di fatto organizzare era dire “andate pure a casa” perché arrivavano non attrezzati, non autonomi, tanto che il nostro sistema scout, che era quello di squadre autonome con tutto sulle spalle, autonomia del mangiare e del dormire, è stato preso a modello dallo stesso Zamberletti, il quale dice “questo è il modello di protezione civile, quella che è in grado di intervenire nei luoghi e quindi da risposte molto concrete”. Quindi, adesso Vanessa dice che ci deve essere un collettore, certamente questa generosità non può essere assolutamente buttata via o non apprezzata perché è davvero fresca, assolutamente. Però, con tutto il rispetto per chi ha avuto figli in Emilia-Romagna, dopo qualche giorno le pale sono state mandate a casa perché servivano ruspe, serviva organizzazione, serviva fare cose molto impegnative, capite? Questo per me è stato molto importante in termini umani perché incontrare tutta una serie di oltre 10.000 giovani che vanno ad aiutare altri e tornano dicendo “abbiamo imparato più di quello che abbiamo dato”. Dove la relazione umana è stata in grado di raccontarsi, di poter decidere l’intensità, la ripresa del racconto, ancora oggi sento molte persone che mi dicono “benedetta quella gente che è arrivata”, perché effettivamente ci hanno condiviso. Questo è il mio pezzo di prima storia. La seconda storia è quella che io ho incontrato nella mia vita Monsignor Nervo e Tavazza. Chi sono? Li chiamano i due fondatori del volontariato in Italia. Evidentemente avevano una loro matrice, una loro cultura. Ecco, e vi leggo quali erano le tre cose, quattro, che dicevano: un volontariato come testimonianza di solidarietà, come soggetto di cambiamento, come struttura progettuale che opera in rete. Volontariato come pratiche di prevenzione e di promozione sociale, volontariato che si impegna per la giustizia anziché per l’assistenza, svolge funzioni anticipatorie, costruisce alleanze, promuove cultura della solidarietà e della partecipazione nello spirito di gratuità per gli altri. Questa somma, detta molto velocemente, mi ha molto affascinato perché mettere in piedi realtà dal basso come oggi il Movi vuol dire credere che tanti giovani e tante persone sono in grado di prendere atto che non c’è più il grande capo che decide, non c’è Tavazza più, per capirsi, ma ci sono invece le reti che sono in grado di muoversi e di fare relazioni molto intense. La novità del Movi qual è? Lo slogan del Movi è “i legami che fanno bene”. Partiamo dalla capacità di questi giovani che hanno una necessità estrema di relazioni, di conoscersi, di vivere queste dimensioni di esperienze limite. Ecco, allora, se questo dà un valore aggiunto al nostro fare volontariato, la seconda cosa che io ritengo di mettere qui sul tavolo questa sera è il tema del dono, che è un tema vecchio, ripetuto se volete, c’è stato dibattiti a non finire. Ecco, allora, secondo me, un signore dice: “Tutto quello che non abbiamo donato è stato perso”, capite? Il paradosso, perché evidentemente poi non lo lasciavano nessuno. Allora, la mia forza di persona già adulta, io ho 83 anni, per capirsi, si lega in questa capacità di vedere che il dono, la relazione gratuita, è l’elemento nuovo del volontariato italiano, perché quando si dice che diamo qualche piccola ricompensa, soprattutto a un’esperienza che vi racconto dopo nel secondo giro, non paga, qualsiasi cosa che si dà al volontario non lo fa, perché si lede l’intensità di quello che lui pensa e della capacità di comunicare il bene per l’altro. Quindi, tra parentesi, per noi, in termini culturali, c’è più gioia a dare che a ricevere. Abbiamo ricevuto gratuitamente ed è opportuno restituire. È tutto dovuto in una società come questa. Tutti questi elementi, a me pare, abbiano sia il tema del dono che delle relazioni interpersonali, calde, affettuose, dove lavorare per terzi che tiene dentro un processo di conoscenza, di esplorazione di sé, di evoluzione. Senza pensare che diventino gruppi intimistici o modalità di dove stiamo bene e buonanotte, no. Proprio perché queste forze sono in grado di poter intervenire, operare e decidere cose molto interessanti. Nel secondo turno dirò un’altra cosa.
Emilitri. – 0:30:56 – Grazie, Franco, bellissima la tua immagine della gratuità: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, raccontata da te, dalla tua esperienza. È impressionante, ma sono curioso di capire nella seconda parte quello che ci racconterai. Stefano, ora tocca a te. Quando mi hai invitato a questo panel, a questa iniziativa, mi hai mandato un messaggio sibilino: “Il volontariato fluido.” Io, già sul “fluido”, mi ero preoccupato. Ho pensato: “Dio mio, forse non sono ancora preparato per questa cosa.” Però mi hai detto: “No, no, non ti preoccupare, è un’altra cosa che ho in mente.” E mi interessa questo, perché, appunto, Elisabetta ci ha raccontato dei giovani, del fatto che ci sono e si vedono anche qui. Dall’altra parte, però, abbiamo testimonianze di realtà, di opere di volontariato, di carità, che soffrono del gap generazionale. Ci sono persone che escono dal mondo del lavoro, hanno un po’ di tempo, poi diventano nonni; abbiamo esempi di persone di 83 anni, quindi si spera di arrivare a questo livello. Ma molti dicono che, per le energie, per gli impegni, e per vari motivi, quando ci guardiamo indietro facciamo fatica a vedere un impegno costante. E la paura è che queste opere o organizzazioni non vadano più avanti proprio a causa di questo salto generazionale. Tu come vedi la questione? È proprio così o cosa si può fare? Cos’è questa idea di “volontariato fluido” che ci hai introdotto?
Geno. – 0:32:59 – Allora, innanzitutto, non me la sono inventata io, questo vorrei precisarlo. Provo a rispondere in modo molto veloce, ma cerco di dire tre cose rispetto alla questione che poni. La prima è che stavo riflettendo, mentre ascoltavo Vanessa e Franco, sul fatto che oggi ho 60 anni ed è almeno da quando ne avevo 16 che faccio qualche attività di volontariato. Devo dire, però, che per la gran parte di questo tempo, in realtà, non avevo la coscienza di fare volontariato. Facevo l’educatore in oratorio, ma perché? Perché ero un ragazzo dell’oratorio e, quando si diventava più grandi, si iniziava a fare qualcosa. Poi ho iniziato ad andare all’università, c’era la politica universitaria che mi appassionava e mi sono coinvolto. Dopo mi sono laureato, e sono sempre stato appassionato di temi del lavoro. È lì che ci siamo conosciuti con Marco: io sono uno psicologo del lavoro. Mi hanno detto: “Ma perché non ci dai una mano sui centri di solidarietà?” E io mi sono messo in questa iniziativa. Non è che ho detto: “Adesso vado a fare volontariato.” Poi è chiaro che uno cresce e, siccome non ho mai smesso, ci si fanno delle domande: “Ma cosa sto facendo?” Voglio dire questo perché, secondo me, è un primo aspetto di fluidità. Nella mia attività di volontario, non mi sono mai sentito veramente appartenente, ma, almeno io, non sono partito da lì. Sono partito da una circostanza di rapporto e di legame con qualcuno. Non è che ho detto: “Adesso mi candido.” Era più una chiamata al “Mi dai una mano?”. Non si parlava di volontariato fluido, non era così, ma nei fatti c’era questa questione.
Secondo punto: meno male che poi ci sono state persone come Franco, che probabilmente questa domanda se la sono posta prima di quanto me la sia fatta io. E hanno iniziato a mettere le basi di qualcosa che poi, nel nostro Paese, è diventato un movimento: il movimento del volontariato. Voi vi chiamate addirittura “movimento del volontariato”, ma al di là del MOVI, che è una sigla, il volontariato è stato per molti anni, direi decenni, un movimento. Elisabetta, correggimi se sbaglio. Era proprio un movimento, un movimento che, secondo la mia prospettiva, affonda le sue radici addirittura nel Medioevo, in una mutualità diffusa.
Terzo passaggio, che poi arriva al punto della tua domanda: oggi non c’è più questa cosa qua? Ma non è vero, non è vero. C’è ancora. Anche Franco lo citava prima: tanti miei amici, compagni di università, sono andati quando c’è stato il terremoto in Friuli; sono stati tra quelli che sono partiti, e che magari avete rimandato a casa perché erano un po’ troppo “garibaldini”, ok? Ma prima ancora, io conosco delle persone che hanno fatto la stessa cosa con l’alluvione di Firenze. E adesso c’è stata la Romagna. Questa volta c’era mio figlio di mezzo. Come è che è andato mio figlio? Non è che mio figlio faccia parte di un movimento di spalatori di fango. No, è che mio figlio studiava all’università, c’era un suo amico che si è trovato la casa di famiglia sepolta dal fango, l’ha raccontato ai suoi amici, e questi hanno preso le macchine e sono andati a spalare. Poi è successa la stessa cosa: hanno spalato per una settimana e, a un certo punto, i vigili del fuoco gli hanno detto “Grazie”. Però glielo hanno detto. E questo è interessante, secondo me, perché lui non si è sentito mandato via. Ha detto: “Beh, io questo potevo fare e ho fatto.” È la restituzione di cui parlavi, no?
Ecco, allora io dico questo: forse oggi bisogna diventare più coscienti di questo moto del cuore prima che delle esigenze organizzative. Non che non ci siano, per carità, o che sia sbagliato occuparsene; meno male che c’è qualcuno che se ne occupa. Però mi pare che l’organizzazione discenda dalla spinta: è qualcosa che serve a dare ordine a una spinta che, se non ci fosse, non sarebbe un ordine; sarebbe l’Unione Sovietica. Volontariato fluido, cosa vuol dire? Vuol dire che oggi, onestamente, la vita dei ventenni è molto più complicata di quanto lo fosse la mia, quarant’anni fa, quando ero ventenne. Non parliamo della vita di mio padre, che era ventenne in un contesto ordinato, scandito da tempi e orari. Banalmente, il lavoro aveva degli orari. Finito il lavoro, avevi tempo libero. E molte persone decidevano di spendere il proprio tempo libero per dare qualcosa. Ma adesso il tempo libero non esiste più. Il tempo è frammentato, non è libero. Eppure, il desiderio di cui ci ha parlato Franco, a me sembra che sia tale e quale. E allora forse oggi ci serve, da un lato, coscienza e compagnia a questo desiderio; dall’altro, forse, dobbiamo inventarci nuove forme che permettano di valorizzare questo desiderio, così come negli anni ’70 sono state inventate forme che permettevano, nel contesto di allora, di valorizzare questo desiderio.
Vedo qui davanti a me il grande amico Casto, che poco fa ha fatto un incontro, un piccolo dialogo su un’esperienza eccezionale. Porto Franco, con altri amici, l’anno scorso ha presentato al Meeting una mostra che si chiamava “Da Solo Non Basta”. È stata una delle mostre più viste del Meeting, realizzata da tre opere sociali che hanno rapporti sistematici con i ragazzi in modi diversi. Questa mostra è stata portata in tutta Italia. Che cos’è successo, Casto? Casto è abruzzese. In Abruzzo è successa una cosa meravigliosa: i ragazzi delle scuole hanno gestito la mostra in giro. I ragazzi delle scuole! E per me questo è volontariato. Però non è che i ragazzi delle scuole fossero associati a un’organizzazione di volontariato, con tessere, facenti parte dei consigli direttivi. No! Ma vogliamo pensare che sia una cosa bella che ci siano centinaia di ragazzi in Abruzzo che si danno da fare per far vedere una cosa di cui qualcuno aveva parlato al Meeting di Rimini un anno prima? Caspita, io dico che è una cosa grande!
Allora, dico che oggi la sfida è sicuramente una sfida di coscienza e dobbiamo ascoltare i testimoni, perché la coscienza ci viene dal racconto di storie. Elisabetta fa un lavoro preziosissimo, secondo me, perché tu, guardando l’altro, dici: “Però, che cosa straordinaria.” Poi, però, ci vogliono anche delle forme adeguate ai tempi. E allora ho incontrato Lorenzo, a cui ora daremo la parola. Lorenzo, fai volontariato tu? Lorenzo fa anche volontariato, va bene. Però, non è solo per questo. Lorenzo si è inventato una cosa che non è la soluzione del problema di cui parla l’Istat, eccetera, ma può essere uno strumento.
Emilitri. – 0:41:45 – Non so se ho risposto alla tua domanda… Perfetto, perfetto, mi sono tranquillizzato anche sul concetto di “fluido”, quindi siamo tranquilli. Lorenzo, ora raccontaci: cos’è, come ti è venuto in mente, da dove viene questo progetto? Penso che la prima release di questa applicazione fosse forse un’applicazione business. Come sta andando adesso? Qual è il prossimo passo?
Carnovale. – 0:42:19 – Grazie, sono Lorenzo Carnovale e vi ringrazio dell’invito. Noi stiamo lavorando a una piattaforma tecnologica per il volontariato. Perché lo stiamo facendo? Per tre ragioni. La prima è che si lega molto alla nostra idea di business, di cui ora vi darò un accenno. Secondo, perché nell’ambito della nostra esperienza lavorativa, e anche personale, abbiamo capito che il volontariato aiuta a comprendere il motivo per cui si fanno le cose; ora vi spiegherò meglio. Terzo, perché tramite uno strumento digitale vogliamo offrire proposte concrete per opportunità di volontariato.
Cos’è Jobobo, la nostra piattaforma business con cui operiamo? Da un lato, ci sono le aziende che hanno picchi di lavoro e problematiche, tipicamente quelle legate a eventi di catering che non hanno abbastanza personale, agli hotel durante la stagione, oppure chi deve fare gli inventari a fine anno, i negozi durante i saldi, e così via. Dall’altro lato, ci sono ragazzi che iniziano ad approcciarsi al mondo del lavoro, facendo le loro prime esperienze, e altre persone che hanno bisogno di coprire piccole spese o arrotondare lo stipendio e quindi utilizzano il nostro servizio.
Perché? Perché il nostro servizio è focalizzato sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro occasionale. Quindi, Jobobo, oltre a mettere in contatto domanda e offerta, regolarizza e velocizza la burocrazia per l’instaurazione dei rapporti di lavoro. Noi attiviamo principalmente contratti di somministrazione, regolando sia il contratto che i flussi di pagamento, fornendo sicurezza sia a chi lavora sia alle aziende che pagano per il servizio. A volte, questo servizio può essere competitivo, anche se non sarà mai un’alternativa al lavoro nero. È così veloce e facile attivare un contratto di lavoro che, anche per poche ore, si può assumere un ragazzo per fare quattro ore di servizio al bar, magari a causa di un’assenza o un aumento delle prenotazioni.
Quindi, tutto ciò che muove questa iniziativa è il fatto che abbiamo sperimentato che, con queste piccole opportunità di lavoro, chi durante l’università non ha fatto delle piccole esperienze lavorative scopre in qualche modo qual è il suo posto nel mondo del lavoro. Facendo delle piccole esperienze, uno confronta la propria idea di cosa gli piacerebbe fare in futuro. E quindi il nostro sistema è basato sull’offrire questa possibilità.
Ora, arrivando al secondo punto, ossia che il volontariato aiuta a capire il perché si fanno le cose, abbiamo capito, sempre dalla nostra esperienza, che il lavoro educa: lavorare in certe condizioni insegna a trattare meglio le cose. Ma il volontariato, ossia dedicare tempo agli altri, ti fa capire il motivo per cui fai le cose. Per esempio, io lavoravo ai parcheggi, e dopo 2-3 ore a guardare una sbarra che si alza e si abbassa, ti chiedi: “Ma perché sono qui?”. Non hai nemmeno l’alibi dello stipendio, in quanto non guadagni nulla. Non puoi dire “sto lavorando perché mi servono i crediti per la laurea”, quindi ti chiedi: “Perché lo sto facendo?”.
Non pretendo di fornire una risposta o di creare uno strumento che risponda a questa domanda, ma sono convinto che offrendo possibilità concrete di volontariato, come quelle al Meeting, si possa cominciare a porsi questa domanda. Quindi, è una piattaforma che, in qualche modo, media tra domanda e offerta di lavoro e, con proposte chiare, aiuta a iniziare a proporsi.
Ad esempio, citavo prima la Romagna: ho molti amici che hanno fatto questa esperienza. Non solo sono andati giù, ma hanno scoperto che, cinque isolati più in là, c’era qualcuno che aveva bisogno di loro mentre loro stavano già tornando indietro. Quindi, immagino che, proprio come sta accadendo nel mondo del lavoro, dove alcune località mancano di personale mentre altre ne hanno in eccesso, questo possa essere un aiuto per coordinare le risorse.
Crediamo che offrendo queste possibilità concrete, uno possa scoprire di più su sé stesso, mettendosi continuamente a confronto con il tempo e con la domanda: “Ma perché do il mio tempo gratuitamente? Cosa ho da restituire?”. Un po’ come diceva Franco, in questa gratuità, uno si chiede: “Dove sono? Cosa faccio?”. E non si sa mai; ed è qui che ritorna la nostra esperienza con l’applicazione Jobobo, che in qualche modo può motivare a iniziare un lavoro, non solo per guadagnare uno stipendio, ma perché il tuo contributo diventa significativo anche a livello lavorativo.
Emilitri. – 0:48:00 – Bene, grazie Lorenzo. Credo che questa sia davvero un’ipotesi interessante di percorso, perché Vanessa prima ci ha richiamato a tutta una serie di norme da tenere in considerazione per una cosa del genere. Secondo me, comunque, è un tentativo, anche se ironico, che merita di essere esplorato. Dato che il tempo è tiranno, in cinque minuti farò delle domande al volo. Abbiamo una storia, una testimonianza per Franco, questa è sicura. Elisabetta, una domanda: dal tuo punto di vista, dal tuo osservatorio, quanto è importante fare rete tra le opere di volontariato? L’Istat dice che ci sono circa 360.000 organizzazioni di volontariato. Quanto ritieni sia importante creare una rete tra queste opere? Stefano ha ricordato prima la mostra dell’anno scorso che è nata mettendo insieme Portofranco, Kairos e Piazza dei Mestieri per qualcosa che ha portato alla scoperta di diverse questioni e alla crescita personale degli altri. Tu che hai una visione più ampia della nostra, cosa ne pensi?
Soglio. – 0:49:25 – Sicuramente è fondamentale. Il rischio principale di tutto il mondo del terzo settore è che ogni ente parli solo a sé stesso, diventando autoreferenziale. Perché è un rischio? Perché indebolisce la voce complessiva del terzo settore. Come sa bene Vanessa, che svolge un pazientissimo lavoro per tenere insieme tutti, la voce del terzo settore è più forte se parla con una sola voce. Se invece ci si presenta ai tavoli istituzionali ognuno con la propria realtà, si diventa meno incisivi.
Un altro motivo per fare rete è che, soprattutto in fasi di difficoltà, come durante il COVID, la crisi del ricambio generazionale, il volontariato fluido, o i cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie, lavorare insieme permette di mettere insieme diverse competenze che completano le lacune degli altri. Quindi, è una strada obbligata. Tuttavia, il mondo del terzo settore a volte pecca di presenzialismo e, quindi, rischia di inciampare nell’autoreferenzialità.
Emilitri. – 0:51:13 – Grazie, Elisabetta. Hai già introdotto la domanda per te, Vanessa. Prima parlavi della questione della “spina dorsale” e Mattarella ricordava certi aspetti. Tu, che sei profondamente coinvolta nel terzo settore, cosa si può fare? Cosa si sta facendo? Come si lavora all’interno di un contesto così complesso?
Pallucchi. – 0:51:37 – Si lavora innanzitutto culturalmente, cercando di trovare una risposta comune a sfide che oggi, se non ci vedono uniti, non riusciamo ad affrontare e superare. Quindi, credo che oggi ci sia una nuova parola d’ordine dello stare insieme. Però è come se fossero due forze che convivono simultaneamente: una che tende a dividere e isolare le persone, e una che invece ha una forte richiesta di coagulare. Secondo me, anche rispetto a tante realtà virtuali, all’intelligenza artificiale, alla costruzione di comunità virtuali, è sempre più importante che le nostre organizzazioni costruiscano dei punti di ricaduta veri e reali. Tant’è vero che oggi si parla di identità di territorio. Questi soggetti poi dove si incontrano? Ci incontriamo in grandissime situazioni come queste, ma noi siamo gli apici delle nostre organizzazioni. Poi ci sono le migliaia, centinaia e milioni di persone: questi devono, attraverso le nostre organizzazioni, trovare dei cantieri concreti dentro i quali esprimersi, costruire prossimità, relazione, cambiamento, senso. Credo che la famosa “messa a terra”, che sembra più una definizione elettronica piuttosto che politica (però adesso va così, tanto per capirci), sia un nostro compito: concretizzare e ricostruire quell’identità che ci fa stare insieme. Magari il nome poi non è più quello che davamo in passato, ma quella esigenza, come ci sottolinea sempre Stefano, è un’esigenza che nella natura umana, nelle persone, nella società, rimane sempre viva. Grazie Vanessa. Franco, adesso la curiosità è sovrana, quindi…
Bagnaroli. – 0:53:33 – Allora, in questi ultimi giorni, verso giugno, ho fatto due esperienze significative, due assemblee di istituto: una al magistrale e una in un tecnico. Cosa succedeva? Succedeva che questi ragazzi, quindi dai 16 anni, raccontavano le esperienze maturate in un progetto che noi chiamiamo “Prove tecniche di volontariato”, dove degli adulti, dei volontari, vanno nelle scuole, ottengono delle ore per capire di che cosa stiamo parlando e nel pomeriggio costruiscono percorsi di servizio in una realtà. In una di queste assemblee, 30 esperienze, una meglio dell’altra, con un entusiasmo folle che non era l’idea di recitare per il pubblico, ma era l’entusiasmo di ragazzi preadolescenti che dicono: “Ma perché ci avete fatto scoprire così tardi il valore del volontariato?” Tutta la dimensione della loro relazionalità emerge in una manifestazione di comunicare valori, ad esempio il riconoscimento delle competenze. Adesso cosa facciamo? Adesso che abbiamo capito, abbiamo fatto esperienza con anziani, con bambini, con i vari servizi. Io gli ho risposto, a nome di Vanessa, che stiamo lavorando per riconoscere le competenze, però la cosa che mi ha colpito moltissimo è l’entusiasmo di ragazzi e di ragazze che riescono a fare nel pomeriggio delle esperienze significative e comunicarle a 600 altri ragazzi, in cui la dimensione del volontariato è una dimensione esplosiva. Questo è in 40 scuole, in Friuli avviene, dal 2006, per dire, queste esperienze. E le cose più interessanti sono la bellezza della gratuità, la valorizzazione delle belle cose che fanno, il piacere delle relazioni. Quindi direi che non è vero, no? Quello che ha detto anche Fia Isabetta, che non c’è approccio a questa dimensione del volontariato gratuito che apre alle relazioni. È assolutamente, invece, un mondo tutto da esplorare. Se mai, se c’è un problema, è il problema delle grandi organizzazioni che hanno bisogno di strutturare i giovani all’interno, in logiche che hanno poco a che fare con i giovani e quindi è inutile dire “ci mancano”, bisogna che ripensiamo assolutamente. Cosa c’è da dire ancora rispetto a queste cose? Una delle cose che abbiamo imparato è l’ingaggio. Non è facile, “vieni qua, fai”, ma preparare i ragazzi a fidarsi, a comunicare tra di loro, a dire “che bello che è, andiamo insieme, facciamo”. Un’altra cosa sono le logistiche raggiungibili. Non si può caricare sui genitori ancora altre ulteriori organizzazioni. Costruzione di eventi formali e informali con il quartiere, con la parrocchia, e dicono: “Ma che bello che è, no?” Vanno dagli assessori a dire: “Ma perché non facciamo la consulta del volontario?” Ci sono delle manifestazioni così ricche da parte di questi preadolescenti in maniera significativa, quindi mi pare che seminando poi si raccoglie. L’ultima cosa che vi dico, che mi pare abbiamo il tempo, non è tiranno tantissimo, più che tiranno, c’è il regista che sta facendo segno così, no? Volevo solo dire una battuta anche per Vanessa e per gli altri: il Movi è una delle case comuni del volontariato, perché chi vuole i solitari, i solinghi, le persone liquide, devono trovare un punto di riferimento. Ecco allora se il Movi diventa la casa dove i legami ci sono, i legami di comunità, i legami relazionali ci sono, io credo che quattro sono le cose che noi apprezziamo dire in giro. Il tema della gratuità e il radicamento nella vita comune in cui si opera, la cura delle relazioni e la dimensione politica dell’agire per il cambiamento verso una società più giusta e sostenibile. Ho detto questo anche perché ero arrivato qui con l’emerito del MOVI. Il MOVI è una realtà in cambiamento che non accoglie. Chi vuole pensare, vuole stare dentro a livelli di nuove relazioni, ma anche di progettualità nuove, questo è il cammino.
Emilitri. – 0:59:20 – Grazie Franco per averci testimoniato una strada, cioè quindi una realtà concreta. 15 secondi voi, perché?
Geno. – 0:59:30 – Io faccio solo una battuta, anche perché il valore ce l’hanno detto, ce l’ha detto adesso, francamente, Franco, francamente Franco. È impossibile non essere d’accordo. Io voglio aggiungere semplicemente un pezzo. Questo pezzo si chiama Ascolto. Noi siamo tutti convinti, e secondo me a ragione, della bontà di ciò che portiamo, delle nostre esperienze, della storia che viviamo e che abbiamo vissuto, altrimenti non ci dedicheremmo tutta questa fatica. Ecco, io però chiedo sempre per me la capacità di ascoltare quello che è il desiderio degli altri, perché il mio lo conosco. E non voglio proiettare il mio desiderio sugli altri, ma voglio invece capire che cosa muove loro e credo che ci siano degli strumenti che ci possono aiutare. Grazie.
Emilitri. – 1:00:29 – Ciano, allora, cosa ne dici alla fine di questo giro? Conviene appunto fare una cosa di questo tipo, buttarsi in un’avventura di questo tipo?
Carnovale. – 1:00:44 – No, se posso fare una brevissima riflessione, pensavo a questo tema che lei suggeriva, Franco, della questione della gratitudine. La gratitudine, anche un po’ da definizione, è questa volontà di restituzione di qualcosa che si è ricevuto. Io, anche guardando me, ma anche tanti giovani con cui lavoro, non è vero che loro non hanno ricevuto niente. Al massimo, e non è vero neanche che non ascoltano, che sono sempre su questi telefonini, ma che in qualche modo, forse nella dimensione dell’ascolto, mancano loro i rapporti dentro i quali giocarsi veramente e quindi instaurare dei veri rapporti poi di lavoro che possono partire dal volontariato. Io penso poi che la questione tecnologica sia in qualche modo una via, una via ma che non toglie l’umanità della questione, tanto che se lo strumento non è imposto ma in qualche modo plasmato su questa esigenza, allora potrebbe essere più funzionale. E qua diventa fondamentale che siano un po’ tutti d’accordo, nel senso che il mio strumento lato lavorativo sta cercando di unire tutte le proposte di lavoro delle agenzie per il lavoro su un unico strumento, perché mette in contatto anche le agenzie per il lavoro. Se tutti un po’ lavorano al proprio strumento, diventa poi difficile. Invece, qualcosa che coordini, che aiuti una bacheca comune ordinata con tutti i criteri, possa essere strumento per agevolare questa restituzione.
Emilitri. – 1:02:29 – Bene, grazie. Siamo stati esattamente otto secondi, sette secondi nel limite. Ringrazio tutti voi, eh, e ringrazio chi ci sta ascoltando e chi è stato qua ad ascoltarci. Buona giornata, buona continuazione al Meeting.