Chi siamo
IL VERO SEGRETO DELL’EVOLUZIONE: DALLA COMPETIZIONE ALLA COLLABORAZIONE
Evandro Agazzi, filosofo e logico italiano; Carlo Bellieni, docente di Pediatria, Università di Siena; Pier Francesco Ferrari, direttore Institut des Sciences Cognitives Marc Jeannerod, CNRS, Lione; Lourdes Velazquez, professoressa di Filosofia e Bioetica, Università Panamericana (Messico). Introduce Letizia Bardazzi, presidente Associazione Italiana Centri Culturali
L’ambiente può interferire con il DNA? C’è un adattamento all’ambiente che agisce sul genoma? E quali sono le conseguenze nell’insorgenza di tumori e di altre patologie? Tanti fenomeni in natura mostrano che le mutazioni non avvengono solo per casualità, lotta e selezione ma per adattabilità, accoglienza e altruismo.
IL VERO SEGRETO DELL’EVOLUZIONE: DALLA COMPETIZIONE ALLA COLLABORAZIONE
IL VERO SEGRETO DELL’EVOLUZIONE: DALLA COMPETIZIONE ALLA COLLABORAZIONE
Giovedì 22 Agosto 2024 ore 17:00
Sala Conai A2
Partecipano:
Evandro Agazzi, filosofo e logico italiano; Carlo Bellieni, docente di Pediatria, Università di Siena; Pier Francesco Ferrari, direttore Institut des Sciences Cognitives Marc Jeannerod, CNRS, Lione; Lourdes Velazquez, professoressa di Filosofia e Bioetica, Università Panamericana (Messico).
Introduce:
Letizia Bardazzi, presidente Associazione Italiana Centri Culturali
Bardazzi. Buonasera a tutti, benvenuti a questo incontro dal titolo “Il vero segreto dell’evoluzione: dalla competizione alla collaborazione”. Oggi parliamo dell’affascinante tema dell’evoluzione della vita sulla Terra nel cammino della storia. Partendo da alcuni dati ed evidenze scientifiche, scopriremo che la vita sulla Terra non si è sviluppata solo tramite la lotta per la sopravvivenza, ma anche tramite una collaborazione reciproca e un dialogo costruttivo con l’ambiente, sfatando così i tanti pregiudizi che ancora i libri su cui ci formiamo contengono. Le tesi che presentiamo oggi sono raccolte nel libro “Il vero segreto dell’evoluzione: dal conflitto alla collaborazione” di Cantagalli, a cura di due dei nostri ospiti, che sono Carlo Bellieni e Lourdes Velasquez, che fra poco vi presenterò. Anche un pubblico non scientifico conosce sicuramente l’evoluzione di La Marche, il collo della giraffa che si allunga per afferrare il cibo dagli alberi e che, di generazione in generazione, assume la lunghezza definitiva. Sappiamo tutti chi è Charles Darwin: dopo La Marche, 50 anni dopo, nel 1859, lo conosciamo con “L’origine delle specie”, ed è proprio Darwin a introdurre l’idea della selezione naturale, la sopravvivenza del più adatto, la lotta per sopravvivere e le mutazioni casuali che permettono a qualcuno di sopravvivere a scapito di altri. Bene, le basi dell’evoluzione tradizionale devono fare i conti con il principio della collaborazione. Grandi novità in campo scientifico sul fronte della biologia e dell’epigenetica, che poi il professor Bellieni ci spiegherà bene che cos’è, ci mostrano come il DNA di una specie riesca ad adattarsi all’ambiente e a convivere con specie diverse, senza aggredirle, ma accogliendole e proliferando insieme. Vedremo grazie ai nostri ospiti le conseguenze di un certo superamento del darwinismo sociale sulla vita dell’uomo, sulla società, sia da un punto di vista economico e filosofico, sia nei vari ambiti delle attività umane, in cui hanno luogo forme più o meno forti di competizione, che negli anni hanno acceso veri dibattiti circa i diritti umani, la dignità del singolo individuo e il dibattito etico e bioetico. La prospettiva che vogliamo offrirvi oggi, alla luce delle conquiste della scienza e in base a quanto i nostri relatori ci consegneranno, è l’idea della creazione che guarda stupita a se stessa. È la meraviglia di quel movimento irregolare ma tuttavia armonico, di cui cerca di rendersi conto, che è il suo proprio evolversi. Allora diamo il benvenuto ai nostri ospiti. Le loro biografie sono ricchissime e vado per sintesi. Vi presento il professor Carlo Bellieni, docente di pediatria all’Università di Siena, membro del comitato di bioetica della Regione Toscana, esperto bioeticista. È stato valutato tra i primi 20 ricercatori al mondo nel campo degli studi sul dolore nella classifica 2022, sul sito userexpertscape.com. Pier Francesco Ferrari è un neuroscienziato ed etologo, docente presso l’Università di Parma e direttore dell’Istituto delle Scienze Cognitive Marc Jeannerod con sede a Lione, uno dei più importanti centri di neuroscienze cognitive europei. Lourdes Velasquez, che è in collegamento e che fra poco vedremo collegata dal Messico, è una filosofa e bioeticista messicana specializzata nelle culture pre-ispaniche, docente di filosofia e bioetica all’Università Panamericana del Messico, Presidente della Commissione di Bioetica ed Etica della Scienza della Federazione Internazionale delle Società di Filosofia. Evandro Agazzi, anche lui in collegamento dal Messico, è filosofo presso l’Università Panamericana del Messico, è ordinario di Filosofia della Scienza a Genova e a Friburgo, e ha presieduto numerose associazioni filosofiche nazionali e internazionali. Quindi, un grande applauso a questi prestigiosi ospiti, benvenuti e grazie. Iniziamo dal professor Bellieni che ci proietterà anche delle immagini per poter seguire meglio la sua presentazione. A lui chiediamo di documentarci, di descrivere quali sono le novità in campo scientifico proprio sul fronte della biologia e dell’epigenetica che conducono all’evidenza di questa collaborazione, di questa solidarietà in natura. Grazie professore, a te la parola.
Bellieni. Bene, grazie, grazie tantissimo per questo invito. Volevo mostrare la prima diapositiva, non so se si vede, se non si vede qualcuno può aiutarmi. No? Allora torniamo indietro. Ecco, perfetto. Faremo un viaggio, cerchiamo di fare un viaggio semplice insieme dentro qualcosa che apparentemente è complicato e qualcuno probabilmente sobbalzerà perché tutti siamo cresciuti con dei mantra. “Mantra” significa che siamo cresciuti con delle nozioni che diamo per scontate, che quasi adoriamo nel senso che se qualcuno ci dice “questo non è vero”, prima di rifletterci e dire che potrebbe anche essere non vero o vero, storciamo molto la bocca, abbiamo paura delle novità. E il mantra a cui mi riferisco è il mantra non darwiniano, perché noi siamo debitori al Darwin scienziato, al Darwin esploratore, al Darwin genio, che ha aperto delle porte incredibili a tutto quello di cui stiamo dicendo adesso. Il mantra di cui parliamo è quello che ancora viene insegnato nelle scuole, che ancora viene raccontato sui giornali, cioè l’evoluzione della vita che nessuno conosce, anzi che ci sembra la cosa più bella del mondo, ma che viene relegata a due semplici fenomeni: la lotta e la casualità. Ci sono anche questi, ci mancherebbe altro, chi è che ignora la lotta e chi è che ignora anche il caso nella vita? Ma quello che la ricerca scientifica oggi ci dice è che questo non è tutto, non è tutto. Per capire questi passaggi, gettiamo un primo riflettore su quello che voglio dire. Si parla di evoluzione, di cambiamento della natura, del cambiamento delle specie secondo fenomeni casuali e secondo fenomeni legati alla competizione. Oggi la scienza ci dice sì, questo è vero, ma oltre alla competizione c’è anche tanta, tanta, tanta collaborazione. Il primo invito a riflettere su questo è la collaborazione che c’è nello stesso genoma. “Genoma” è una parola difficile, significa il DNA, questo forse è un termine che molti avranno più familiare. A noi ci dicono che il genoma muta casualmente, e invece non sempre i cambiamenti nella natura sono dovuti a una mutazione casuale del genoma. Tanti cambiamenti della natura sono dovuti, pensate voi, al fatto che dei pezzetti di genoma, cioè pezzetti di DNA, entrano da una cellula all’altra. I virus fanno questo, i plasmidi fanno questo, addirittura dei batteri, come è stato scoperto pochi anni fa, passano la loro capacità di essere resistenti agli antibiotici trasmettendo il pezzettino di DNA che li rende capaci di sopravvivere agli antibiotici agli altri batteri che stanno lì vicini. Non è una forma di solidarietà, perché ci mancherebbe che i batteri fossero solidali. Però è una collaborazione. Cominciamo a vedere che nella natura c’è la collaborazione. Così come un’altra grande forma di collaborazione siamo noi stessi. Dentro tutte le nostre cellule, adesso vi dirò una cosa che lascerà qualcuno perplesso: dentro le nostre cellule ci sono batteri. Questi batteri, dall’inizio della storia dell’uomo e della vita, sono entrati dentro le nostre cellule, hanno preso vita e possesso di queste cellule, e adesso noi viviamo con questi ex batteri, che non sono più batteri, che si chiamano mitocondri. Li avrete sentiti nominare tutti, e tutti sapete che questi mitocondri portano pezzettini di DNA e quindi sono un’altra forma di collaborazione: un batterio che ha portato la sua informazione di DNA alla cellula, non perché la cellula è mutata, ma semplicemente perché il batterio è entrato dentro con il suo DNA. Ora vi invito a un altro sforzo, a un passaggio in più, a un secondo riflettore, perché abbiamo visto questa collaborazione in un senso unico: il DNA che entra dentro un’altra cellula. Adesso c’è un altro tipo di collaborazione interessante, che è una collaborazione a doppio senso. Quando due esseri viventi, quando due individui, sopravvivono, l’uno non a spese dell’altro, ma l’uno a vantaggio dell’altro, anzi, l’uno non può vivere senza l’altro. Guardate questo fiore: è un fiore enorme, si chiama Nepenthes, è una pianta carnivora. Questa divora gli insetti, che scivolano dentro, trovano dell’acido e muoiono. Ma questa pianta ha avuto una mutazione perché uccide tutti gli insetti tranne uno: la formica lavoratrice, la formica operaia, la quale formica operaia vive lì dentro. Ci vive bene perché si mangia gli scarti di questa Nepenthes e aiuta la Nepenthes a non morire togliendole gli scarti. Ma pensate a questo che conoscete tutti: il pesce pagliaccio, Nemo. Nemo, il pesce pagliaccio, vive dentro l’anemone. L’anemone, che è quella pianta che vedete intorno al pesce, è una pianta urticante, cioè fa male, brucia, ustiona tutti tranne il pesce pagliaccio, che serve all’anemone a ripulirla dalle sue impurità. Quindi il pesce pagliaccio aiuta l’anemone e l’anemone, per una sua mutazione, aiuta il pesce pagliaccio. Ma se guardate in basso a destra vedete anche un’altra immagine, l’immagine del coccodrillo. Che cosa ha in bocca? Un uccellino che si chiama piviere. Anche qui un’altra mutazione doppia. E capite bene, già ve lo anticipo, le mutazioni doppie cozzano con l’idea di casualità. Perché, facendo l’esempio del pesce pagliaccio, può esserci il pesce pagliaccio che resta immune al pizzico dell’anemone, ma poi non serve a niente. Serve che anche l’anemone venga aiutata dal pesce pagliaccio, cioè che ci siano due mutazioni che avvengono contemporaneamente, e questo realmente cozza con l’idea del caso. Invece non cozza con l’idea della plasticità, che è un altro criterio biologico, cioè che le mutazioni e i cambiamenti nella natura, poi vedremo meglio perché, si aiutano fra di loro. Se c’è un cambiamento che serve, l’organismo aiuta quel cambiamento ad emergere nell’altra specie. E così il piviere, che è quell’uccellino che sta nella bocca del coccodrillo, scappa da tutti i predatori, tranne che dal coccodrillo, perché sa che il coccodrillo non lo mangia. E perché il coccodrillo non lo mangia? Perché il piviere va a ripulire i denti del coccodrillo dalle sostanze anomale che danneggerebbero i denti del coccodrillo. Anche qui, il piviere ha avuto una mutazione che lo rende insensibile alla paura del coccodrillo, e il coccodrillo ha avuto una mutazione che lo rende amico del piviere. Ma questo accade anche, andiamo avanti, in un’altra cosa forse ancora più semplice: nel nostro organismo ci sono delle parti, delle cose che da sole sarebbero inutili. Pensate ai denti del serpente: i denti acuminati del serpente, a cosa servirebbero se non avessero dietro le ghiandole del veleno? Danno un pizzico e che fanno col pizzico? Niente. E le ghiandole del veleno, a cosa servirebbero se non ci fossero i denti del serpente che inoculano il veleno nella preda? Due mutazioni che devono essere avvenute insieme, quindi poco casuali e molto collaboranti. Ma la cosa più divertente di tutte è questa: lo scarabeo bombardiere. Lo scarabeo bombardiere è un animale meraviglioso che per difendersi dai nemici cosa fa? Spara dal suo apparato posteriore delle palle incandescenti a una velocità e a una temperatura terribile. Per fare questo deve avere due bolle di gas dentro. Come si sono sviluppate queste due bolle di gas? L’una senza l’altra non serviva a niente. Se noi pensiamo a delle mutazioni casuali, penseremmo che gli si è formato dentro del perossido di idrogeno, ma che ci fa con il perossido di idrogeno? Niente. Se gli manca l’altro gas. E col gas B che ci fa se gli manca il perossido di idrogeno? Niente. Quindi una collaborazione anche all’interno dell’organismo. Ma noi cominciamo a vedere queste cose e cominciamo a capire che da trent’anni ormai si parla di una nuova branca, no, non si parla, ormai è in auge, è insegnata in tutte le scuole, in tutte le università: una nuova branca della biologia, che è l’epigenetica, una parolaccia che non vi invito a ricordare ma vi invito a ricordare il concetto. Il concetto è che l’ambiente influisce sul DNA. Fino a vent’anni fa c’era un dogma, e quando in scienza sentite parlare di dogmi torcete sempre la bocca, c’era un dogma che lo chiamavano “central dogma”, il dogma centrale della biologia, che diceva “il DNA influisce sull’ambiente, l’ambiente non influisce sul DNA”. Non è vero. Oggi sappiamo che l’ambiente influisce sul DNA, non influisce provocando delle mutazioni, influisce provocando il silenziamento o l’attivazione di alcuni geni, e poi questi geni producono delle proteine che poi producono delle sostanze che servono all’organismo. E allora noi sappiamo che lo smog, l’ossigeno, la luce, le carezze della mamma attivano dei geni o li silenziano a seconda di quello che serve. Quindi queste mutazioni di cui abbiamo parlato fino ad adesso hanno una loro base, e questa loro base è l’interazione con l’ambiente, che è una grande rivoluzione, perché l’ambiente collabora con la cellula e ogni cellula può collaborare con quella vicina proprio perché le sta vicina e le manda dei segnali. Ma allora, come si deve insegnare l’evoluzione oggi? Intanto, ringraziamo Darwin. Ma, in secondo luogo, io darei due messaggi. Il primo è un messaggio di ringraziamento negativo. Ringraziamento negativo che è questo: noi, nelle immagini sull’evoluzione, troviamo sempre questa raffigurazione. La scimmietta che diventa uno scimmione, che poi diventa un uomo. La prima parte non mi importa niente, nel senso che la scimmietta diventi uno scimmione, che poi diventi un uomo, bene, perfetto, anzi, almeno siamo pure in grado di abbassare la testa e non sentirci poi così importanti come crediamo. La cosa strana è l’ultima immagine che vedete, l’ho messa in tre versioni, ma ne potete mettere centomila: l’ultima immagine che vedete sulla destra, l’uomo, l’essere umano. Ma che cos’è questo essere umano? Ha quattro caratteristiche: l’essere umano che ritrovate sempre in queste immagini ha quattro caratteristiche. Maschio, bianco, adulto e sano. Ora, sul fatto che sia maschio e che sia bianco, tralascio, perché qui si aprirebbe un discorso lunghissimo di “woke”, di femminismo e di cose che mi trovano d’accordo, ma sul quale, essendo così ovvio, tralascio il discorso. Quello che è meno ovvio è che il maschio sia sano. Non trovate mai un maschio su una sedia a rotelle in fondo. Dice grazie. No, grazie no. In questi giorni fanno le Paralimpiadi, che sono delle cose meravigliose, ma che vengono ignorate. E non trovate mai un bambino in fondo a questa scala. Dice grazie. No, il bambino è l’essere umano perfetto, come l’adulto è l’essere umano perfetto, come il vecchio è l’essere umano perfetto. Perché dobbiamo pensare che l’essere umano perfetto, e queste scale ce lo danno a pensare, è una istillazione subliminale che ci danno. L’essere umano perfetto sia soltanto il maschio bianco sano adulto. No, non è così. Prima cosa, quindi rivediamo questa cosa. La seconda cosa, sempre su come insegnare questa scuola, ecco, mi permetto di entrare, e finisco, nel mio campo, nel campo della pediatria. Nel campo della pediatria vediamo due cose meravigliose: la mamma determina l’evoluzione del figlio. L’evoluzione: le carezze della mamma o, al contrario purtroppo, la violenza dei genitori altera lo sviluppo dei geni del bambino, altera lo sviluppo dei geni del bambino, chiaramente le carezze in maniera positiva, lo rende più capace di resistere allo stress quando sarà grande o lo rende più capace di sviluppare il suo cervello, le carezze della mamma, pensate voi. E seconda cosa, come la mamma determina l’evoluzione, così l’evoluzione determina la mamma. L’evoluzione, che significa? L’evoluzione determina la mamma? Esiste una cosa che l’evoluzione ha fatto meravigliosa, una stupenda ma incredibile: è l’unico caso in tutta la storia della biologia in cui un essere estraneo entra dentro un altro essere e non viene distrutto. E questo essere estraneo è l’embrione. L’embrione entra dentro il corpo della mamma ed è estraneo, ha un DNA che non è quello della mamma, non è la mamma, e la mamma non lo distrugge, per una serie di scambi, di ormoni, di cose che vi tralascio, non lo distrugge. Questo è merito dell’evoluzione, ma è merito dell’evoluzione anche che questo embrione e il feto mandino dentro il corpo della mamma delle loro cellule che entrano nel sangue della mamma e non vengono distrutte, ma arrivano dentro certi organi della mamma, per esempio il cervello, in particolare l’amigdala, e la rendono più resistente, la rendono più forte, la rendono più capace di risolvere tutti gli stress e i dolori della gravidanza, della perinatalità. E quindi finisco con, mi permetto di citare me stesso, ma semplicemente per questa frase finale che vi voglio leggere, che è la frase finale di un articolo che ho scritto qualche tempo fa sull’inserto di Repubblica, che dice questo: “Tutto questo ci apre un mondo affascinante ed è l’evidenza che la vita sulla Terra non si è sviluppata tramite la lotta per sopravvivere, ma anche tramite collaborazione reciproca. È la storia della collaborazione dei virus con le cellule, dei batteri con altri batteri, delle specie più deboli con quelle più forti e viceversa. La narrazione dell’evoluzione deve essere rivista almeno in parte e almeno per come si insegna nelle scuole, anche perché l’idea della supremazia del più adatto strizzava l’occhio all’idea dei popoli superiori, che sarebbero più adatti a prevalere sugli altri”. Era il cosiddetto darwinismo sociale, che Darwin si era ben guardato dal pensare. E finisco. L’epigenetica e tutta la biologia mostrano invece un percorso diverso. Ci raccontano come il DNA di una specie sa adattarsi all’ambiente e convivere con specie diverse senza aggredirle, anzi accogliendole e proliferando insieme. E che quando si pensa che nella vita qualcosa sia spazzatura, sia inutile, come le persone di cui parlavamo prima, come il DNA di cui parlavamo prima, forse non l’abbiamo studiato abbastanza bene. Grazie.
Bardazzi. Grazie professore per questa immersione nelle meraviglie e anche nelle sorprese della natura. Passiamo al professor Ferrari, a cui chiedo, in base al suo grande campo di indagine, sui neuroni specchio nella codifica delle emozioni e delle intenzioni altrui, quali conseguenze e quale vantaggio nasca dal tipo di collaborazione che abbiamo messo a tema oggi sull’apprendimento dei comportamenti umani e anche sulla crescita dell’individuo. Grazie professore.
Ferrari. Grazie anche per l’invito, grazie a Carlo per aver organizzato questo incontro. La mia riflessione, se posso partire subito dalla domanda, la prendo un po’ alla larga chiaramente. Se mi fate partire la mia presentazione, parto subito con una domanda, una domanda un po’ forte, cioè qual è la vera natura dell’uomo? Ce lo chiediamo, ed è un dibattito che va avanti da secoli, un’idea che è stata al centro del pensiero filosofico e del dibattito filosofico e biologico del Novecento, con un’alternanza di vedute: da una parte una visione alla Hobbes, “Homo homini lupus”, che vede la natura umana come intrinsecamente cattiva e brutale, salvata e migliorata dalla civiltà. Viceversa, ci sono correnti diverse che hanno una visione esattamente opposta, quella di una natura primitiva, nobile, selvaggia, che per quanto selvaggia è nobile e buona, ma che è stata poi corrotta dalla civilizzazione. È interessante perché questa è un’oscillazione, è un dibattito che continua a rimanere aperto sia nel campo della biologia che in quello della filosofia. È quello che viene chiamato in inglese il “peace-violence paradox”, un paradosso della nostra natura. Se noi guardiamo gli ultimi cento anni, l’ultimo secolo ma anche la storia recente, ci dimostra che abbiamo sicuramente una tendenza alla violenza, a essere totalmente distaccati dai sentimenti degli altri, una tendenza a fare la guerra, e continuiamo, nonostante siamo tutti contrari alla guerra. Tuttavia, abbiamo anche questa natura: siamo in grado di aiutare gli altri, anche quelli che non conosciamo. Abbiamo una capacità empatica estremamente spiccata. Questo ci colpisce perché chiaramente non dobbiamo negare la nostra biologia. Gli studi degli ultimi 50 anni, forse anche di più, che riguardano sia la genetica che le neuroscienze, ci dimostrano che esistono dei geni, ad esempio, dell’aggressività, legati alla serotonina, ai neurotrasmettitori, e ben codificati circuiti. Lo vediamo in tutti gli animali, lo vediamo nell’uomo, quindi esiste questo, esistono dei geni, ma i geni non vuol dire che non abbiamo via di scampo, che noi siamo i nostri geni. Parlavo di epigenetica, di ambiente, dell’effetto dell’ambiente. Noi sappiamo che esiste un’influenza dell’ambiente sullo sviluppo della nostra socialità e quindi forse dobbiamo un po’ ripercorrere le nostre radici per comprendere meglio questo aspetto. E se guardiamo le nostre radici, voglio fare un percorso evolutivo insieme a voi. Facciamo un salto di 5 milioni di anni fa, quando ci siamo separati, evolutivamente, dalla linea evolutiva che oggi ha portato a questi animali, gli scimpanzé e i bonobo. Vedete? I bonobo sono degli scimpanzé… Pardon. Vediamo se riesco a tornare indietro. Posso tornare indietro? Allora, indicherò col mio dito, funziona meglio forse. A sinistra vedete un maschio e una femmina di bonobo, che sembrano degli scimpanzé per voi, che magari non avete esperienza nel campo primatologico. A destra invece c’è lo scimpanzé, quello che si vede tipicamente nei documentari. Vivono in aree distinte dell’Africa, eppure si sono separate, sono specie diverse. Se noi andiamo a vedere la socialità di queste due specie, quindi di quelle più vicine a noi da un punto di vista evolutivo, vediamo che gli scimpanzé, ad esempio, vivono in grandi comunità, comunità estremamente collaborative, molto sociali. Hanno dimostrato di avere delle culture, utilizzano strumenti, e anche gli studi nei laboratori, gli studi cognitivi, dimostrano che hanno delle competenze cognitive estremamente spiccate, incredibili. Non sono molto diversi da noi sotto certi aspetti, e hanno delle capacità empatiche. Questo aspetto delle emozioni è estremamente interessante per la nostra specie. Inoltre, gli studi degli ultimi vent’anni dimostrano che sono estremamente cooperativi, ad esempio quando cacciano: la caccia di gruppo ha molto più successo. Quindi la cooperazione si è sviluppata molto precocemente nella nostra evoluzione con diverse funzioni. Una di queste funzioni è accedere e gestire meglio le risorse. La cooperazione rinforza i legami e rende più coesa la comunità. L’individuo è meno forte se agisce da solo. Tuttavia, c’è un lato oscuro della loro natura che Jane Goodall, la primatologa che forse molti di voi conoscono dai documentari sul National Geographic, scoprì negli anni ’60-’70 in Tanzania, a Gombe. Fu turbata da una scoperta che ebbe un’eco incredibile e ancora oggi viene ampiamente studiata e dibattuta. Le comunità competono chiaramente, ma non solo competono, si uccidono e cannibalizzano i propri avversari. È la nascita della guerra e questo è stato il dibattito che ne è seguito. Quindi, da una parte abbiamo una società che sembra violenta, cooperativa ma violenta allo stesso tempo. Se guardiamo una società molto più tollerante come i bonobo, vediamo che non esistono queste violenze. I loro conflitti li risolvono in modo molto semplice, con la sessualità, con il sesso. Sono molto più tolleranti tra loro, le femmine dominano, e non apro un dibattito su questo perché poi entriamo in un’altra sfera, ma mi fanno sempre moltissime domande su queste cose, in particolare dal mondo femminile. Però questo è un esempio che anche questa fa parte della nostra evoluzione, non è solo quell’altro. Vi faccio vedere un esempio di cooperazione. Questo è preso dall’archivio di Emory University, un grande centro primatologico americano ad Atlanta. Si vede la cooperazione proprio negli anni ’30, nei primi studi di cognizione, e si vedono questi due piccoli giovani scimpanzé che devono tirare la fune per prendere il cibo insieme. Se vedete, se possiamo far partire il film, vedrete come si sincronizzano, come sono attenti uno all’altro. Si aspettano e poi tirano insieme. Ora, questo non gli viene insegnato con il rinforzo, viene naturale, lo imparano subito da soli. Non solo, quando uno si distrae, adesso vedrete forse un’altra parte del filmato, questi sono due scimpanzé, avranno circa 4-5 anni, sono giovanissimi quindi, e imparano subito questa cosa. Non è scritto nel loro DNA, è imparato. E poi, quando uno è un po’ riluttante, si distrae, non è interessato a partecipare, l’altro lo incoraggia. Questa idea, in realtà, è stata poi ripresa dagli scienziati e primatologi moderni. Vedete che si distrae, quindi non ha molta voglia. Eppure, anche se non ha fame, collabora lo stesso. Non è il cibo la motivazione. Va bene? Non è il cibo. È qualcosa di più sociale. Poi i primatologi moderni hanno fatto una comparazione tra i bonobo e gli scimpanzé, e le specie più tolleranti, i bonobo, risultano più cooperativi e mangiano di più, hanno più successo. Quindi, la tolleranza promuove comportamenti sociali, è più facile. Far parte di una società implica il concetto di interdipendenza, e avere dei legami stabili e forti, come nelle nostre società umane e nelle società degli scimpanzé e degli altri primati, implica degli obblighi e delle regole che devono essere rispettate, e bisogna conoscerle. E tutti le conoscono, anche se non hanno una comunicazione verbale come la nostra, eppure lo sanno. I nuovi modelli dell’evoluzione della socialità dimostrano che la selezione naturale potrebbe aver favorito questi comportamenti, anche quando ci sono dei costi imposti dall’aiutare gli altri, a scapito della propria fitness, della propria riproduzione. Non è solo la riproduzione la forza dell’evoluzione. Questo è per farvi vedere come gli obblighi e le regole valgono per tutti. E se vediamo che l’altro riceve un trattamento iniquo rispetto al nostro, l’animale ci rimane male. Fermiamo un attimo il filmato e lo faccio ripartire. In questo filmato che vi faccio vedere si vede a sinistra un cebo cappuccino a cui viene dato un piccolo token, lui lo deve restituire all’esperimentatore e riceve un cetriolo, che non è proprio un grande premio, mentre a destra il suo compagno riceve l’uvetta, che è molto più buona. Quindi, all’inizio vedrete che, vediamo se parte, ridà indietro il token, si prende il cetriolo e se lo mangia. Non c’è nessun problema. Però all’altro, per lo stesso lavoro, viene data l’uvetta. Adesso, di nuovo, il compito: “Dammelo e ti do il cetriolo.” Non funziona. “Io voglio quello dell’altro. È iniquo questo trattamento.” Quindi vedete, c’è una sensibilità rispetto al trattamento e alle regole. Per concludere questa prima parte, nei primati, incluso l’uomo, le specie più tolleranti mostrano migliori capacità empatiche e cooperative. Ho parlato di empatia, ma cosa intendiamo per empatia? Dal termine cognato dall’IP all’inizio del Novecento, “hand feeling”, “feeling into”, sentire dentro, la capacità di capire e condividere le emozioni di un altro individuo. In generale, gli scienziati sono d’accordo, stranamente su questo punto sono d’accordo. C’è un canale affettivo corporeo. Quando io imito un altro, quando io mi metto nei panni dell’altro e sono contagiato dall’espressione, dall’emozione dell’altro, ecco, questa è una forma di empatia. Poi c’è un’empatia più cognitiva: io non necessariamente sento quello che sente l’altro, però lo posso capire, no? Noi studiamo questi fenomeni anche da un punto di vista cerebrale, basandoci su meccanismi in cui la percezione dell’emozione dell’altro attiva dentro di me la stessa reazione e risposta motoria quando io stesso esperisco la stessa emozione. Ad esempio, questo lo vediamo durante il contagio del sorriso. Avevo qua un video che è stato preso anni fa, durante una conferenza tra Eltsin e Bill Clinton, dove Bill Clinton scoppia a ridere. Vediamo se parte il filmato. Scusate questi ritardi, però non so come… Cioè, in questo momento Eltsin accusa la stampa che gli aveva detto che sarebbe stato un fallimento questo. Possiamo aumentare il volume? In realtà Eltsin dice: “Siete voi un fallimento.” Bill Clinton non si ferma. Questa reazione che voi avete è una reazione empatica, va bene? Esattamente sentite e attivate la stessa componente neurovegetativa ed espressiva motoria, e questa è una forma di empatia. Cioè, quello che si chiama in inglese “you like me”, tu sei come me. E quindi noi siamo uguali rispetto a una condizione, all’essere umani, e non solo, anche se siamo specie diverse ci riconosciamo, c’è qualcosa di simile. Il cervello empatico: in realtà queste reazioni sono state studiate, le abbiamo studiate in una scoperta puramente italiana nel laboratorio a Parma sotto la direzione di Giacomo Rizzolatti. Sono stati studiati prima nella scimmia e poi nell’uomo, e si è scoperto che esistono neuroni che si attivano sia quando noi osserviamo un comportamento o un’emozione dell’altro, sia quando noi stessi sentiamo e sperimentiamo la stessa emozione. Quindi è un meccanismo di azione-percezione. Ad esempio, questa ipotesi non è solo un’ipotesi, è un modello teorico che è stato ampiamente dimostrato in tantissime specie. Sembra un meccanismo universale, si chiama “the shared brain network hypothesis”, cioè il network cerebrale condiviso tra noi e l’altro. Queste sono aree del cervello che vedete in diversi esperimenti durante la risonanza magnetica che si attivano sia quando noi esperiamo un’emozione sia quando vediamo l’emozione nel viso dell’altro. Quindi noi rispecchiamo l’emozione dell’altro nel nostro cervello tramite questo meccanismo. Non solo, però, possiamo modularlo, cioè l’esperienza modula, probabilmente esiste tutta una biologia sulla costruzione di questi network. Non esistono dei geni per i neuroni specchio, però noi sappiamo che questo meccanismo può essere modulato. Se, ad esempio, noi giochiamo con un giocatore, come se io, Carlo, giocassi con te a carte e mi accorgessi che tu mi stai ingannando, poi vado a fare una risonanza magnetica e vedo il tuo viso di dolore, la mia empatia nei tuoi confronti si abbassa un pochettino. Non sono così empatico, non sento bene il tuo dolore. Viceversa, se tu ti comporti in maniera leale, la mia empatia si alza, e si vede qua. “The fair player” e “unfair player”, cioè se il giocatore è stato leale o disonesto. L’attivazione cerebrale dell’osservatore si abbassa se il giocatore è disonesto. Infine, ultimissimi cinque minuti sullo sviluppo, sull’ambiente. L’ambiente è importante. Abbiamo parlato delle prime relazioni. Questo è un tema centrale in tutto lo sviluppo e nella nostra evoluzione. Perché? Perché esiste un periodo sensibile durante lo sviluppo. Se succede qualcosa nei primi anni di vita, da un punto di vista dell’ambiente, delle cure parentali, il nostro cervello è più sensibile in questo periodo dello sviluppo rispetto al periodo successivo, e le avversità che avvengono in questa fase dello sviluppo nei primi anni di vita possono avere degli effetti sulle traiettorie di sviluppo cerebrale e sulle nostre competenze sociali successive. Alcuni studi ci dimostrano che questo avviene attraverso, qui mi partono le slide in continuazione, attraverso una rimodulazione all’interno del cervello, nell’espressione dei geni che, in mancanza di cure adeguate, possono portare a una neuroarchitettura modificata del cervello con rischi di psicopatologie durante il periodo dell’adolescenza che possono permanere per tutta la vita. Vi finisco con un esempio sull’ambiente. Questo è uno studio recente, proprio dell’anno scorso, che ha suscitato grande dibattito. È stato uno studio sui macachi che vivono nell’isola di Cayo Santiago a Portorico. È un’isola caraibica, stanno bene, gli danno da mangiare, non hanno problemi, formano comunità, ci sono solo loro e i ricercatori che li studiano. Cosa è successo? Nel 2017 un uragano ha colpito l’isola, l’ha devastata e tutta la vegetazione è scomparsa. I macachi sono noti per non essere particolarmente simpatici. Formano gruppi molto intolleranti, con forti coalizioni all’interno e sono molto dispotici nelle loro gerarchie. Quello che è successo in seguito all’uragano è che sono cambiate totalmente le dinamiche. Questa specie, in quest’isola, è diventata molto più tollerante. Nonostante siano mancate delle risorse alimentari, è aumentata la natura affiliativa e sociale tra gli individui, come vedete a sinistra in questa slide che mostra le connessioni tra i vari individui della comunità prima e dopo l’uragano. Come vedete, aumentano i contatti di natura affiliativa e sociale tra gli individui. Qualcosa è cambiato. Si sta studiando cosa è cambiato e quali sono i meccanismi, perché sicuramente l’ambiente modifica la società. Non esiste una società di macachi cattivi o di uomini cattivi, di uomini buoni. L’ambiente interagisce con la società, e questo è il messaggio con cui vorrei concludere. Sono tre punti che vorrei lasciarvi. Il primo è che la nostra evoluzione mostra che esistono diverse motivazioni nella nostra natura che ci spingono ad essere egoisti o cooperativi. Non esiste per sé una natura buona o malvagia dell’uomo. L’empatia è una componente intrinseca potente e naturale, tuttavia abbiamo la capacità di sopprimerla da un punto di vista cognitivo. Questo dipende dalla nostra esperienza. Le nostre esperienze precoci sono importanti. Ultimo punto, l’ambiente può influenzare l’emergere di una società più tollerante o cooperativa. Questo è molto importante. Con questo concludo e vi ringrazio.
Bardazzi. Grazie tantissimo e grazie per averci condotto in questa avventura affascinante che è l’evoluzione della socialità. Staremmo qui ad ascoltarla per ore, veramente grazie. Adesso è il momento di dare la parola ai nostri ospiti in Messico, che ringraziamo per il collegamento. Siamo dispiaciuti di non avervi con noi. Vedo il professor Agazzi e non vedo ancora la professoressa Velasquez. Professore, buonasera, ci sente? Allora, do prima la parola a lei. Ci sente bene? Quello che volevamo chiederle è di parlarci della storia dell’evoluzione, di fare qualche accenno a La Mark, Darwin, l’evoluzionismo moderno, il creazionismo, le teorie del disegno intelligente. Quale cambiamento di visione introduce tutto questo tema della collaborazione, della cooperazione, della solidarietà? Quale novità introduce questa evidenza scientifica che il professor Bellieni e il professor
Ferrari ci hanno descritto su questo scambio fra l’ambiente e il vivente? A lei la parola, professore.
Agazzi. Moltissime cose sono state semplicemente accennate nella sua domanda, dalle quali ovviamente non è possibile rispondere in poche battute. Ovviamente quella dell’evoluzione è una presa di posizione fondamentale che si è prodotta in epoca recente. Perché? Perché è sempre stata presente negli uomini l’idea che ci sia stata una storia, perlomeno della Terra, e allora nascono immediatamente delle conseguenze: se è cambiata la storia della Terra, necessariamente questo implica che sono cambiate le condizioni ambientali di chi viveva sulla Terra. Allora c’è tutta una connessione che richiede la presenza di analisi fattuali e anche una riconcettualizzazione. Se noi proviamo a sintetizzare in poche parole il concetto di evoluzione, possiamo dire così: chiamiamo evoluzione la posizione secondo cui le specie viventi attuali discendono, per generazione, da specie anteriori meno numerose e meno complesse. Questa è una semplice definizione che però taglia la testa al toro di dibattiti che sono durati secoli. Perché nella maniera di pensare, soprattutto degli scienziati, esisteva la convinzione di un ordine logico? Questo è molto importante. Perché era alla base, niente meno, della classificazione di Linneo. La classificazione di Linneo seguiva praticamente uno schema assolutamente rigoroso ed elementare, partiva dalla convinzione, diciamo pure religiosa, che il mondo sia stato creato da Dio, che è un essere estremamente intelligente, anzi, è per così dire l’intelligenza allo stato puro. Quindi è ordinato logicamente. E allora, se è ordinato logicamente, possiamo cercare di ricostruire questo ordine. Ricostruire questo ordine significa prendere in mano i dati e cercare di inquadrarli in modo che appaia uno schema coerente nel quale, a quel punto, ci sono qua e là alcune finestrelle vuote. Ma perché sono vuote? Perché, per il momento, noi non siamo ancora riusciti a trovare il tassello da metterci dentro, ma deve esserci, deve esserci. Questo è un principio che ha governato moltissimo la scienza. Pensate alla tavola degli elementi, no? Prima che venisse fuori la tavola di Mendeleev, eccetera, c’erano dei buchi, per così dire, che però apparivano come provvisori. Cioè, a un certo momento, sono venuti gli aspetti integrativi che hanno permesso di colmarli. Ecco allora la grande scoperta, per così dire, di Linneo, il quale cominciò a costruire quello che chiamò lui stesso il sistema della natura, il sistema della natura. Basta? Devo finire? In questo momento segnalo che la professoressa Lourdes Velasquez non è collegata perché non le hanno dato l’accesso. E quindi adesso c’è un po’ un problema, quello di darle accesso perché possa anche lei collegarsi. Allora, riprendo il discorso. Il discorso della classificazione è importantissimo. Perché? Perché grazie alla classificazione si riesce a introdurre un ordine logico in una miriade di fatti che prima erano tutti affastellati. Basta pensare a una cosa di questo genere. Prendiamo La Mark. La Mark, nel 1810, nella sua opera “La Philosophie Zoologique”, aveva annunciato alcuni dei principi fondamentali della teoria dell’evoluzione, fin da allora. Perché? Perché era nello stesso tempo un ricercatore impegnatissimo a ordinare una materia informe. Basta pensare che tutti gli invertebrati venivano affastellati in una sola classe, che portava il titolo “insetti e vermi”. Tutti gli invertebrati venivano buttati in questo grande calderone. È chiaro che un ricercatore come lui era impiegato nel costruire attraverso anni e anni di ricerche una descrizione del mondo degli invertebrati. La fatica per collegare direttamente, pazientemente, e sta pervenendo a fare una storia naturale degli animali invertebrati.
Bardazzi. Professore, possiamo dare la parola anche alla professoressa Velasquez dopo che ha terminato il suo intervento? Quanto tempo ancora posso dedicare al mio intervento? Posso chiudere rapidamente, più o meno.
Siamo un po’ in ritardo, non abbiamo tanto tempo.
Agazzi. Allora, veniamo alla presentazione del libro?
Bardazzi. Non ho capito bene.
Agazzi. Veniamo alla presentazione del libro.
Bardazzi. Ok, però può finire il pensiero che stava esprimendo?
Agazzi. Quindi il pensiero che stavo esprimendo è quello di una collaborazione tra un’esigenza di ordinamento concettuale e la ricerca empirica che ricostruzione. Ecco, se io voglio riassumere in poche battute la grande impresa a cui si era dedicato La Mark. Allora, vogliamo vedere un momento la questione di presentare o non presentare un libro?
Bardazzi. Sì, grazie professore, grazie tantissimo. La domanda che vorremmo rivolgere alla professoressa è di parlarci delle implicazioni filosofiche di quanto lei ha appena ribadito e quindi di questo principio collaborativo che la natura ci mostra. In queste nuove ricerche, soprattutto sul fronte del superamento del darwinismo sociale, quali sono gli impatti sul dibattito etico sui diritti umani e, più in generale, sulla dignità del singolo individuo? Può rispondere benissimo anche lei se non c’è la professoressa.
Agazzi. La professoressa Velasquez in questo momento non è presente, quindi risponderò io. Vediamo un momento se riesco a…
Velazquez. Guardi, proprio sui diritti, il mio contributo in questo volume, e ringrazio tanto per l’invito del carissimo professor Bellieni, penso che sia stato voluto per dare un contributo quanto filosofa e bioeticista, ma soprattutto per dare un parere su questo tema dei diritti umani, della questione sociale, delle donne. Allora, questo è quello che ho cercato di fare nel mio intervento: esprimere il mio punto di vista come donna. Ricordiamo che Darwin aveva certi pregiudizi molto forti, che erano forse il frutto della sua epoca, ma che i suoi seguaci hanno portato avanti. La posizione della donna, rispetto alla quale oggi c’è la tendenza a diluirla in una specie di frutto dell’evoluzione culturale, in realtà è inscritta nell’evoluzione naturale la differenza tra i due sessi. È qualcosa che non è eliminabile, ma non è neppure una giustificazione per cercare di eliminarla. Si tratta, e questa è una questione sociale molto forte, di non trasformarla in una discriminazione negativa, come per esempio succede con le pratiche dell’utero in affitto. Questa è una questione che ho cercato di sottolineare in questo volume, prendendo sempre in considerazione che Darwin riteneva che le femmine stessero bene a cucinare, a fare i bimbi, diceva, ma no… Quando poi gli venne chiesto direttamente, nello stesso anno in cui Darwin morì, da Carolina Guskenar, che era un’imprenditrice di Boston, di spiegare meglio le sue teorie, lui disse, diciamo praticamente così, o diciamolo testualmente: “Se le donne sono generalmente superiori all’uomo per qualità morale, sono inferiori riguardo all’intelletto, e mi pare molto difficile, per le leggi dell’eredità, che esse possano uguagliare l’intelletto dell’uomo. L’unica speranza per le donne di misurare la loro inferiorità sarebbe lavorare, ma questo scombinerebbe l’educazione dei nostri figli e la felicità delle nostre case.” Va bene, lasciamo qui la citazione, ma insomma, per lo scienziato Darwin, le donne sono l’architrave della società, a patto che stiano a casa a badare ai figli. Questo non mi sembra ovviamente giusto da nessun punto di vista, e per questo il mio contributo ha voluto sottolineare questo punto, perché ritengo che le cose non possano continuare con quella mentalità, anche se, diciamo, anche quell’idea è evoluta ben poco, perché sono pochi quelli che hanno alzato la voce su queste cose. Allora, se dobbiamo parlare di diritti umani, io credo che il vero problema sia invece quello di includere l’idea della difesa delle donne in un quadro molto più ampio di difesa e promozione dei diritti umani, che competono a ogni essere umano in ragione della sua pura e semplice umanità, non in quanto femmina o maschio, ma semplicemente in virtù della propria appartenenza al genere umano. Non uguale, bensì secondo me pari in dignità con qualsiasi altra persona della nostra specie. Non so se con questo sono riuscita a rispondere alla sua domanda.
Bardazzi. Ha parlato del libro e invito i nostri ascoltatori a prendere una copia del libro, dove lei approfondisce veramente i concetti che ci ha appena presentato. Vi ringrazio tantissimo entrambi, speriamo di avervi al Meeting in presenza il prossimo anno e grazie per il sacrificio del collegamento. Buona giornata. Concludendo, voglio dirvi che abbiamo imparato tantissimo oggi, e che sarebbero tantissime le cose da trattenere. Sicuramente la scoperta della non casualità dell’evoluzione non ci stupisce: non è casuale, ma c’è una forza dentro questa casualità che si colora di ordine. Lo abbiamo visto andando alla radice, come ci ha mostrato il professor Ferrari. Quindi, si colora di un ordine, direi di quella bella armonia come la chiamava Joseph Ratzinger. C’è una cooperazione e una solidarietà, come ci ha spiegato il professor Bellieni, e grazie ai nostri ospiti abbiamo partecipato a quel pensiero sull’evoluzione che magistralmente Papa Benedetto XVI nel suo messaggio ai partecipanti della Pontificia Accademia del 2008 disse: “Evolvere significa letteralmente srotolare un rotolo di pergamena.” L’immagine che era già di Galileo, già stata consegnata da lui, l’immagine della natura come libro, è un libro la cui storia, la cui scrittura, il cui significato e oggi diciamo la cui evoluzione noi leggiamo, possiamo leggere, secondo i diversi approcci delle scienze, scoprendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell’autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall’essere stato originato dal caos, assomiglia proprio a un libro ordinato, possiede proprio una matematica innata. Ringraziamo tantissimo i nostri relatori per lo stupore che ci hanno invitato a provare guardando la natura e per l’intelligenza con cui ci hanno proposto temi affascinantissimi. Li ringraziamo tantissimo con un applauso. Vi invitiamo a sostenere il Meeting, vi invitiamo a sostenerlo per il proprio futuro, per i prossimi anni. Un nuovo avviso importante è che in questo particolare momento storico, dove sempre più incognite ci fanno chiedere come sia possibile costruire un dialogo e costruire la pace, non potevamo non sentirci provocati e riaccesi da quanto il Cardinale Pizzaballa, nel suo intervento all’incontro inaugurale, ci ha detto. Per questa ragione, il Meeting devolverà parte delle donazioni raccolte nel corso di questa settimana per l’emergenza in Terra Santa. Grazie a tutti e buona serata.