Il robot e i suoi antenati

 

‘Gli antichi applicarono il nome di automi a macchine prive di apparente utilità che rappresentavano uomini o animali e che per mezzo di leve, rotelle o funi compivano movimenti in apparenza spontanei. La preistoria di questi automatismi è rappresentata da statue articolate, con testa, braccia e gambe mobili, strumenti di magia, che venivano azionate da pesi, da getti d’acqua o dai vapori ottenuti dal mercurio surriscaldato. Anche la letteratura dell’antichità classica e del Medioevo abbonda nella descrizione di automi favolosi, di esseri meccanici, di statue parlanti. In fatto di realizzazioni effettive, non si può citare che un solo esempio certo, in cui vi fu una totale sostituzione di un lavoro svolto dall’uomo con una simile macchina: è il caso dello “Jacquemart”, l’uomo di bronzo che dal XIII secolo si sostituisce al campanaro. Poi la meccanica si perfeziona e si complica, l’automa diventa capace di movimenti estremamente complessi e precisi: siamo nel 1700, è il periodo di maggior splendore. Nascono gentili suonatrici di cembalo, diligenti scrivani, abili flautisti e tamburini, perfino un’anatra capace di beccare il cibo e di digerirlo! Il “programma” dello scrivano-disegnatore dei celebri Jacquet-Droz di Neuchatel è costituito da 36 dischi di 25 cm di circonferenza. Il costruttore ha potuto, cesellando rilievi dell’ordine di 1/10 di mm, disporre sulla circonferenza di un disco 25mila elementi di informazione che, moltiplicati per i 36 dischi, danno 900mila possibilità di movimento. Più di un secolo dopo, con l’avvento dell’elettronica, la creatività e la fantasia dell’uomo si spostano dall’imitazione del gesto all’imitazione del cervello. Nasce così la cibernetica e la storia degli automi si popola di strani e curiosi animali: tartarughe elettroniche, volpi capaci di “vedere” e “sentire”, che annusano tutt’intorno e sono in grado di orientarsi. E’ la fantasia dello scrittore cecoslovacco Karel Capéck a creare il termine “Robot”. Nel titolo di un suo dramma scritto nel 1921, “R.U.R.” (Rossum’s Universal Robots) venivano associate la parola ròbot (dallo slavo ròbota, lavoro) e la parola rozum (in slavo, intelletto, deformata nel nome proprio Rossum). Sono uomini artificiali costruiti da macchine ideate dal genio di Rossum, che, privi di sentimenti, finiranno, secondo un’idea ricorrente in molte storie di automi, con il distruggere il loro creatore. Il rapidissimo sviluppo dell’elettronica e il perfezionamento raggiunto nelle tecnologie del settore elettrico e meccanico hanno reso possibile la realizzazione di macchine che hanno notevoli capacità di manipolare utensili e oggetti, possono essere facilmente programmate in modo da compiere movimenti anche complessi, hanno una memoria in grado di contenere un numero molto elevato di istruzioni e sono in grado di reagire di fronte a particolari situazioni di emergenza che si verificano nell’ambiente circostante.’

Data

21 Agosto 1983 - 28 Agosto 1983

Edizione

1983
Categoria
Esposizioni Mostre Meeting