IL PRIMO CAPITALE DELL’IMPRESA È LA PERSONA

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In collaborazione con Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà
Stefano Barrese, responsabile Divisione Banca dei Territori Intesa Sanpaolo; Elena Bonetti, deputata al Parlamento Italiano, Azione; Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze; Maurizio Lupi, presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Marco Osnato, presidente VI Commissione Finanze Camera dei Deputati, FdI. Introduce Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà

Mentre l’investimento in macchinari può essere ammortizzato, formare i lavoratori è un onere solo delle imprese. L’Intergruppo sta introducendo novità legislative che permettano di superare tale gap rendendo più attuale anche in Italia la formazione continua.

Con il sostegno di isybank, Ferrovie dello Stato, Invitalia, Confagricoltura, Philip Morris Italia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Veronese Sicurezza, Novomatic, Montello, APT Regione Emilia-Romagna

IL PRIMO CAPITALE DELL’IMPRESA È LA PERSONA

IL PRIMO CAPITALE DELL’IMPRESA È LA PERSONA

In collaborazione con Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà

Venerdì 23 agosto 2024 ore 13:00

Auditorium Isybank D3

Partecipano:

Stefano Barrese, responsabile Divisione Banca dei Territori Intesa Sanpaolo; Elena Bonetti, deputata al Parlamento Italiano, Azione; Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze; Maurizio Lupi, presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Marco Osnato, presidente VI Commissione Finanze Camera dei Deputati, FdI.

Introduce:

Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà

 

Vittadini. Buongiorno a questo dibattito promosso dall’intergruppo per la sussidiarietà, dal titolo “Il primo capitale dell’impresa è la persona”. Come ci stiamo abituando in questo Meeting, come in tutti i Meeting, l’obiettivo è imparare qualcosa, non per dirci qualcosa che sappiamo già. E in particolare, come spiegherò fra un attimo, ciò sarà valido proprio su questo tema.

Prima di tutto, però, introduco i relatori, che sono molto importanti. Il primo è un ospite gradito del Meeting praticamente ogni anno in tutte le sue cariche: Giancarlo Giorgetti, attualmente Ministro dell’Economia e delle Finanze. Poi, siccome a noi piace il mix tra impresa e politica, abbiamo Stefano Barrese, responsabile della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo. E infine, tre membri importanti dell’intergruppo: innanzitutto Elena Bonetti, deputata al Parlamento italiano per Azione, Maurizio Lupi, che è presidente dell’intergruppo per la sussidiarietà, e Marco Osnato, presidente della Sesta Commissione Finanze della Camera dei Deputati, dei Fratelli d’Italia.

Ho detto che sarà un incontro basato su domande, perché parte da una constatazione. Noi tutti abbiamo visto l’importanza che ha avuto per l’Italia l’Industria 4.0, il favorire l’investimento in capitali, perché l’investimento è ciò che permette poi l’incremento del PIL. Ma nella teoria economica, statistica, econometrica, di cui mi occupo anche un po’ professionalmente, c’è fin dall’inizio della scienza economica, ma anche con un Premio Nobel del ’62, Becker, l’idea che l’investimento in istruzione porta a un miglioramento della produzione e della produttività. Poi, questa idea è stata specificata ulteriormente da un altro grande studioso, Hanushek, che ha dimostrato che quando migliora la qualità dell’istruzione, migliora il PIL. Esiste un grafico interessantissimo che mostra una correlazione positiva, dove i paesi con un incremento della qualità dell’istruzione e un incremento del PIL più marcato sono i paesi del Far East, come Cina, Corea, Vietnam. Non solo trasferimento di produzione di basso livello, ma anche il miglioramento della qualità dell’istruzione.

Ora, cosa succede però? Noi in Italia abbiamo un’idea di istruzione che si ferma ai 24-25 anni, mentre oggi l’obsolescenza, che 40 anni fa era di 40 anni, cioè il ciclo produttivo delle macchine e delle organizzazioni durava 40 anni, adesso cambia ogni 5 anni, o meno di 5 anni. Allora, uno che impara qualcosa e non apprende più nulla dopo 5 anni diventa obsoleto. Pensate, quando mi sono laureato io non c’era il telefonino, non c’era il personal computer, non c’era internet, non c’erano i pacchetti statistici, non c’era tutto ciò che oggi permette di lavorare. Quindi il problema è la formazione continua, non fermarsi a 24-25 anni, ma proseguire con una formazione continua e personale. Solo che non è così facile, forse a causa delle regole generali di un mondo di economia finanziaria che ha dominato gli ultimi anni, pensate che, a livello internazionale, proprio preparando questo incontro, abbiamo verificato come la formazione non sia considerata un bene di investimento e quindi in qualche modo ammortizzabile. E non è quindi facile nemmeno pensare a come intervenire.

Primo problema. Secondo, le imprese italiane, che almeno in parte sono competitive, sono un po’ indietro su questo fronte. Infatti, secondo dati recenti, il 68,9% delle imprese italiane ha fornito formazione ai propri dipendenti, ma tra quelle con più di 250 dipendenti la percentuale sale al 95,5%, contro solo il 66,1% di quelle con meno di 50 dipendenti. Ora, la media dell’Unione Europea è simile, ma in Germania è del 77,2% e in Francia del 75%. La formazione continua è garantita per il 55,5% dei dipendenti, con un costo medio di 830 euro per impiegato, di cui 257 euro in costi diretti e 62 euro per costi di assenza del personale. È un po’ poco per favorire questo cambiamento.

In più, c’è un altro passaggio: come giustamente diceva Giancarlo, “capitale umano” è un’espressione che stona un po’. Infatti, negli ultimi anni la dizione è cambiata, che era un po’ contraddittoria, è l’idea di passare non da “capitale umano” quasi come un meccanismo che dà semplicemente nozioni, ma, dal  Premio Nobel Heckman, prima col termine di “non-cognitive skills” e, successivamente, di competenze socio-emozionali, come indicato dall’OCSE, e nel suo ultimo libro di Heckman, “character skills”, le qualità legate all’habitus della persona, come apertura alla realtà, capacità di lavorare insieme, stabilità emotiva, responsabilità, coscienziosità, motivazione, locus of control (che significa l’idea che la responsabilità è mia). Quindi capite che un’impresa deve costruire, deve far crescere queste qualità.

Allora, concludendo questa introduzione, la domanda è: possiamo intervenire per favorire che anche le imprese di piccole dimensioni facciano questo salto? Perché, l’ho detto alla fine, ma penso sia un tema comune a tutti, noi abbiamo un problema strutturale: l’aumento del PIL. Prendiamo le Olimpiadi: avevamo 20-30 anni fa in sport come il nuoto, l’atletica, la pallavolo, non eravamo competitivi. Gli investimenti di lungo periodo ci hanno resi tra i migliori del mondo. Allora non c’è solo il breve periodo, difficilissimo, che Giancarlo e i suoi colleghi di governo e gli onorevoli dovranno affrontare per il bilancio del prossimo anno, ma investimenti di lungo periodo che possano superare quello che è il vero grande problema strutturale degli ultimi 20 anni, ovvero questa crescita molto ridotta del PIL. Quindi la domanda è: come fare?

La prima domanda però la faccio a Stefano Barrese, perché è responsabile di una banca così importante che uno potrebbe dire: “Ma la banca pensa solo al finanziario, cosa le interessa di queste cose?” Allora domando a Stefano: ma secondo te, questo tema riguarda anche voi? E cosa fate su questo tipo di intervento?

Barrese. Sì, grazie Giorgio e buongiorno a tutti. Sicuramente il tema che poni, oggetto appunto di questa domanda, è assolutamente rilevante e si collega strettamente con la crescita. La crescita è funzionale alla qualità del capitale umano, cioè delle persone, e stiamo parlando dei livelli di istruzione, quindi di apprendimento, e nella fase lavorativa della formazione, ma è anche strettamente connesso con l’innovazione.

Seguendo questa sequenza e analizzando la realtà, da dove partiamo? Iniziamo a guardare i livelli di istruzione. Oggi, le persone impiegate tra i 25 e i 64 anni, e questi sono i numeri del 2023, per oltre il 35% hanno solo la licenza media. Noi partiamo da questo dato: la forza lavoro presente oggi nelle imprese ha la licenza media. La componente di istruzione qualificata, diciamo terziaria, quindi la laurea, è un numero importante, nel senso che pesa comunque il 20%, ma sconta un differenziale rispetto agli altri Paesi europei, alla media europea, di 14 punti. Il primo dato che ho detto rappresenta un dato che è doppio rispetto ai Paesi con cui dobbiamo confrontarci, come Francia e Germania. Partiamo da questo dato: la forza lavoro presente oggi, che peraltro ha il merito di assecondare la crescita che sta caratterizzando il Paese rispetto ai nostri concorrenti in Europa, ha bisogno di interventi importanti di aggiornamento.

Quindi il tema formativo per chi è oggi nel lavoro è cruciale. È fondamentale per le persone che oggi lavorano e hanno quel livello di istruzione. Immaginate come sia possibile assecondare cambiamenti strutturali come quelli che stiamo vivendo con la sola licenza media. È quantomeno urgente un intervento formativo che riconosca che la formazione è un capitale ammortizzabile, e quindi anche eventualmente soggetto a credito fiscale, come lo è peraltro in alcuni interventi rilevanti di politica economica, come l’Industria 5.0. Però non si esce da questo: è fondamentale e va innalzato.

Va innalzato anche perché, e mi ricollego di nuovo al tema dell’innovazione, prendiamo come spunto quello che è avvenuto con l’Industria 4.0, così possiamo già capire cosa potrebbe essere l’intervento del 5.0. Negli ultimi otto anni, il Paese è cresciuto molto, mediamente più degli altri, grazie a investimenti significativi. Un altro dato importante: dal 2016 in poi abbiamo investito il 35%, che rappresenta quasi dieci volte quello che ha fatto la Germania. Negli otto anni precedenti avevamo investito per il 22%. Questo spiega perché abbiamo avuto una maggiore resilienza durante la pandemia, durante la guerra e la crisi energetica. Ma per le transizioni tecnologiche servono competenze. Quindi è importante un intervento immediato sulla forza lavoro.

Prendo spunto da una cosa che ho sentito nei giorni scorsi dal governatore: nei prossimi 40 anni la forza lavoro è destinata a calare. Destinata a calare perché, fortunatamente, vivremo molto di più. Questo è il dato: mediamente, tra gli 8 e i 10 anni in più per le donne e gli uomini, dovremmo arrivare intorno ai 90 anni circa per entrambi, e questo porterà ad avere 7 milioni di persone in meno nell’ambito della forza lavoro. Quindi dobbiamo da un lato innalzarne la qualità dal punto di vista dell’istruzione e dall’altro lato allargare l’accesso.

Qui si pone un altro elemento importante su cui riflettevo, e su cui questo Paese ha un gap enorme, che colmerebbe in modo significativo quel gap di crescita di cui abbiamo bisogno: la partecipazione al lavoro delle donne. Scontiamo 20 punti percentuali di partecipazione femminile rispetto alla media europea. Poi, questo numero, come tutte le medie, cambia in modo significativo, ma c’è dietro una lezione importante. Questo numero diventa addirittura 35% tra le donne con la sola licenza media e 7% per le donne laureate. Quindi, di nuovo, l’istruzione, l’apprendimento di alto livello, è l’elemento che consente l’occupazione e, attraverso l’occupazione, la creazione di reddito. Il reddito è PIL, e l’occupazione qualificata associata agli investimenti in capitale sono crescita, ed è proprio la formula di cui abbiamo bisogno per consentire a questo Paese di affrontare il futuro in modo positivo.

L’ultimo dato è proprio quello legato all’istruzione. Poi dirò due cose su quello che la banca ha fatto e può fare. Il tema dell’istruzione è l’ultimo capitolo. Di nuovo, se ci confrontiamo con la media europea, noi abbiamo un gap significativo dal punto di vista dei laureati, di circa 14 punti percentuali. E c’è un dato molto interessante: i livelli di istruzione qualificati all’interno di una famiglia sono prodromici a far sì che non ci sia l’abbandono scolastico. Un dato molto interessante: in una famiglia dove entrambi i genitori hanno un livello di istruzione basso, intendo chiaramente neanche la scuola secondaria, i livelli di abbandono arrivano al 70%, mentre crollano al 2% quando anche solo uno dei genitori è laureato. Questo è un altro degli elementi significativi del perché dobbiamo spingere in questo Paese le persone a cercare un’istruzione qualificata che chiamiamo terziaria, cioè di alto livello, che può arrivare dalla laurea o anche dalla partecipazione agli ITS, che noi sappiamo oggi essere una delle grandi funzionalità non ancora pienamente realizzate. C’è un gap, ad esempio, con la Germania strutturale su questo.

Allora, cosa si può fare? Come banca, io dico sempre, una delle cose che abbiamo fatto, di cui sono fortemente orgoglioso e su cui possiamo cercare di dare ulteriore spinta, è “Per Merito”. Cioè “Per Merito” è la possibilità di poter dare a un giovane la possibilità di frequentare l’università a prescindere dal contesto familiare, perché la componente economica viene naturalmente erogata dalla banca, che gli consente un ritorno di questo capitale erogato fino a 40 anni, dove una delle modifiche recenti che abbiamo fatto è stata quella di fissare un cap al tasso al 3%, senza nessuna garanzia. Di fatto, è il tasso che oggi si potrebbe ottenere su un mutuo, dove c’è chiaramente la garanzia della casa. Qui la garanzia è il futuro, il fatto che questa persona decida di investire su sé stessa, trovare occupazione e quindi tutti quegli elementi positivi che abbiamo detto prima, e rimanere in questo Paese. Perché questo è l’altro elemento.

Negli ultimi dieci anni, 80.000 laureati sono andati all’estero. E qui è chiaro che non è colpa di nessuno, ma dobbiamo sapere che in questo Paese la retribuzione media per un neolaureato è fra il 30 e il 40% più bassa rispetto ai Paesi di riferimento. “Per Merito” c’è, noi lo spingiamo. Siamo fieri di poter dire che negli ultimi cinque anni ne abbiamo erogati 30.000, che coprono una parte di quei 80.000 che sono andati via. Quindi è un numero estremamente significativo.

Dall’altro lato, il tema dell’occupazione femminile è un altro aspetto importante. Dobbiamo dare la possibilità alle donne non solo di laurearsi e quindi “Per Merito”, ma poi anche la possibilità, una volta nel mondo del lavoro, di poterlo gestire con quella flessibilità dal punto di vista organizzativo che consenta loro di coniugare la vita lavorativa e familiare. Vogliamo che demograficamente il Paese non perda quei 5 milioni di cittadini di cui parlava anche il Governatore, e quindi dobbiamo far sì che le famiglie crescano. Modifiche significative dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro sono fondamentali: la settimana corta, che noi nei servizi applichiamo già da quasi due anni, e la stabilità del lavoro flessibile, con la possibilità di lavorare da casa. Questo, nei servizi, dovrebbe diventare la regola. Ma dall’altro lato è necessario uno sforzo nella manifattura per coniugare esigenze diverse.

Dal punto di vista finanziario, abbiamo inventato uno strumento chiamato “Prestito Woman at Work”, che permette di supportare nei primi anni di vita di un figlio con 5000 euro al mese per almeno sei anni, restituibili fino a 30-40 anni, con una serie di flessibilità come la possibilità di sospendere i pagamenti. Questo per consentire a una donna che vuole lavorare di far fronte alle spese, colmando quel gap di occupazione di cui parlavo prima. Siamo aperti a qualsiasi intervento che consenta la defiscalizzazione di questi oneri, interpretando la banca come una leva di valore per interventi sociali.

Infine, il tema del 5.0. Abbiamo detto quanto è stato fatto e le ricadute positive del 4.0. Il 5.0 è partito, ma è più complicato, chiaramente, perché gli interventi richiesti, come la certificazione energetica, sono più complessi. Noi abbiamo già messo a disposizione un processo strutturato per far sì che qualunque azienda, soprattutto quelle piccole, che possono avere più difficoltà a gestire questi processi, possa affrontarli con successo. La speranza è che si riesca ad allungare un po’ i tempi di applicazione e utilizzo del 5.0, perché il timore è che ci possa essere un ingolfamento della domanda, ma anche da parte di chi produce poi quei beni e le macchine necessarie a completare il processo.

E vado a concludere. È evidente dal mio punto di vista che c’è una formula oggettiva che alla fine mette insieme varie cose: mette insieme le generazioni, il genere, le culture e l’innovazione. E questo non può che passare attraverso l’istruzione, quindi l’apprendimento e la formazione. Ben venga tutto quello che abbiamo detto.

Vittadini. La grande impresa ha questo come punto centrale, e da qui nasce la domanda che ci stiamo ponendo come Intergruppo per la Sussidiarietà, come Fondazione per la Sussidiarietà, su come poter intervenire, se è possibile intervenire in questo ambito. Quindi, do la parola a Maurizio Lupi affinché apra il dibattito tra i politici presenti e il Ministro.

Lupi. Intanto, veramente buongiorno a tutti e, a nome dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, dei tanti colleghi che hanno tra i promotori oltre i 30 che hanno sottoscritto il manifesto pubblicato ieri dal Corriere della Sera, permettetemi di ringraziare ancora una volta il Meeting di Rimini, perché ormai è una tradizione che il lavoro dell’Intergruppo e questo tema non formale di dialogo tra maggioranza e opposizione in Parlamento trovino qui non solo ospitalità, ma anche la loro casa. È ormai una tradizione. Giancarlo, ricordavamo prima, partecipò semplicemente da parlamentare lanciando qualche provocazione qualche anno fa. Perché questo tema? E perché il lavoro che ci siamo posti in questi anni insieme alla Fondazione per la Sussidiarietà e come Intergruppo? Giorgio Vittadini lo ha spiegato bene, così come l’intervento di Barrese, ma mi preme, prima di dare la parola sia all’amica Bonetti che a Osnato e poi al Ministro, sottolineare una cosa che credo tutti noi abbiamo condiviso in questi anni. Normalmente ci aspettiamo, e parlo al Ministro del Bilancio e dell’Economia, che lo Stato abbia un solo compito, e quindi il Parlamento, ossia distribuire i soldi, pensando che la distribuzione delle risorse risolva tutto. In questo modo non abbiamo risolto nulla. Il compito della politica ed è la ragione per cui, in maniera un po’ testarda, ancora dopo tanti anni lavoriamo come Intergruppo insieme, è innanzitutto di avere un’unità non basata sulle stesse idee o sulla stessa visione, ma che lavori su una visione complessiva, dando una direzione. Mai come oggi ci siamo accorti che il tema che stiamo ponendo è di grande attualità, il pilastro da cui possiamo partire e ripartire per costruire una direzione del Paese che guardi al futuro. Rimettere al centro la persona, l’educazione, la formazione, come primo pilastro su cui riparte un Paese, perché su questo si ricostruisce. Non a caso i due incontri che facciamo al Meeting di Rimini sono quello di oggi, sul capitale dell’impresa e la persona e quello con il Ministro Valditara, domenica, legato alle competenze non cognitive ed il disegno di legge. Noi facciamo due esempi, uno che non appartiene al lavoro dell’Intergruppo. Se il problema non è solo economico, allora la prima sfida che anche la politica ha è una sfida culturale. Attraverso le leggi non si dà solo una risposta puntuale, si indica una direzione, si dà un modello. L’industria 4.0, il valore di industria 4.0, un provvedimento che non tutti noi abbiamo fatto, alcuni di noi l’hanno fatto, prima ancora che il valore puntuale dell’aver creato investimenti nelle aziende aveva un valore culturale, cioè diceva alle imprese: attenzione, se non investite in innovazione tecnologica in quel periodo saremo tutti morti e, se muore un’impresa, muore un tessuto sociale. All’inizio del lavoro dell’Intergruppo, lo ricordo perché lo abbiamo riportato anche nel manifesto pubblicato sul Corriere della Sera, ci siamo battuti per una legge che aveva la stessa radice e declinava il principio di sussidiarietà. Giancarlo credo fosse il Presidente della Commissione dei bilanci in quella legislatura, 2001-2006. La legge sul 5 per mille. Quella legge era una cosa piccolissima, addirittura non aveva copertura all’inizio, il ministro era Giulio Tremonti, ma aveva un grande valore: un valore che si era appena attuato e cambiato nella Costituzione, introducendo il principio di sussidiarietà. Ossia l’idea che un pezzo delle tue tasse, senza aumentare di nuovo le tasse, potesse essere scelto direttamente dal singolo cittadino per decidere a chi destinarlo: al terzo settore, al volontariato, eccetera, perché quell’iniziativa rispondeva al bisogno comune. Era una rivoluzione culturale. Oggi sfido chiunque, lo dico al Ministro, a togliere quel provvedimento del 5 per mille. È cambiato il mondo. Allora, perché questo tema? Perché il lavoro che noi vogliamo fare su un tema che è di prospettiva. Sappiamo, e lo sa bene il ministro Giorgetti, lo sappiamo noi perché in questo anno abbiamo incontrato insieme maggioranza e opposizione, il ministro Urso, il ministro Calderone, la ministra Bernini, abbiamo dialogato con Istat, abbiamo incontrato le università, la fondazione ha dato il suo supporto. Perché anche di fronte, questo è il secondo punto, alle sfide della transizione ecologica e della transizione digitale, parlavamo prima di intelligenza artificiale. Qui al Meeting si è affrontato con Padre Benanti questo tema. Ci siamo ricordati di una cosa che al G7 Papa Francesco ha sottolineato in maniera molto chiara: l’intelligenza non è mai artificiale. L’intelligenza appartiene alla persona, all’uomo. L’artificiale, la macchina, è lo strumento che la libertà e la creatività dell’uomo pone in essere al servizio del bene comune e della persona. Se noi ci dimentichiamo questo, saremo sommersi e dominati da ciò che stiamo costruendo. Allora è evidente che la sfida posta dalla rivoluzione tecnologica e dalle innovazioni è passare, ritornare con uno slogan che ci siamo dati, dall’IA (intelligenza artificiale) all’Io, cioè alla formazione permanente, alla sfida culturale nuova che anche le imprese hanno bisogno di affrontare. Da questo punto di vista, e concludo, l’ipotesi su cui stiamo lavorando, che è una sfida enorme, sappiamo, lo dico al ministro Giorgetti, che cambiare le leggi di bilancio è una cosa difficilissima, c’è quella europea, c’è la legge nazionale, eccetera eccetera. Ma qual è la ragione per cui nelle leggi di bilancio oggi la persona è considerata un costo? Investire in formazione viene considerato un costo e mai visto come un investimento, come la risorsa principale che l’impresa ha. Perché non possiamo iniziare anche culturalmente, trasversalmente, quindi in un Parlamento che si ritrova d’accordo, a vincere questo tipo di sfida, a considerare la formazione permanente nelle imprese, pensate alle piccole e medie imprese, non solo alle grandi, come punto fondamentale, come è stato l’industria 4.0 per costruire il futuro? In sintesi, l’idea è: più formi, meno paghi. Più hai la possibilità di investire in una formazione permanente che spetta al rapporto tra impresa e società, tra impresa e università, più questo garantirà e costruirà il futuro di tutti. C’è un elemento, e concludo, che abbiamo considerato, perché poi non c’è solo il tema diretto della formazione. Non pensiamo solo alle grandi imprese, ma se un’impresa scommette sulla formazione è evidente che deve togliere quella persona dal processo produttivo e la deve distaccare. Nel 2001 ci fu una legge che per la maternità, a proposito della conciliazione lavoro-famiglia, dava all’impresa la possibilità di avere tutti i costi coperti per la sostituzione di maternità, cioè per un intervento a tempo determinato. Quindi, la sfida che vogliamo porre insieme, lavorando insieme, è quella del “più formi, meno paghi”. Ripensiamo anche all’idea della legge di un bilancio in cui si riconosca questo valore, perché al di là della copertura delle risorse o dei soldi, questo indicherà una strada. Ecco, questo è il lavoro su cui ci stiamo confrontando e su queste cose ovviamente passo la parola intanto alla già ministra, nonché amica, Bonetti. Grazie di cuore.

Bonetti. Grazie, intanto anche da parte mia un buongiorno e un grazie. Sono onorata di poter essere di nuovo qui al Meeting e di poterlo fare in un dibattito che ritengo essere davvero al cuore delle sfide strategiche che il nostro Paese sta affrontando e deve assumersi il coraggio e la responsabilità di affrontare davvero fino in fondo. Il titolo di questo intervento, di questa tavola rotonda, credo colga il punto chiave. E dentro a questo titolo c’è la parola persona. Io confesso che, per mia estrazione culturale, quando sento parlare di capitale umano, un po’ di fastidio lo provo, perché ritengo più efficace parlare del valore della persona. Ecco però noi sappiamo bene, questa platea lo sa meglio di me, quando parliamo di persona noi parliamo non semplicemente dell’individuo, e questo io credo che lo dobbiamo cogliere soprattutto dal punto di vista dei politici, perché una persona è tale nella complessità del contesto relazionale che la definisce, che essa stessa definisce da protagonista, ma anche nel divenire temporale della storia di ciascuno di noi. Questo è uno, diciamoci chiaramente, dei grandi problemi che ha la politica oggi, perché invece spesso, per varie ragioni, il ministro Giorgetti lo sa bene, noi dobbiamo lavorare per leggi, competenze di bilancio e, in qualche modo, agiamo a silos e quindi definiamo azioni anche nell’ambito della formazione più per categorie, e quindi parliamo di lavoratori dipendenti, di donna, di uomo, ma a livello di categoria. E non cogliamo che quella stessa persona è una persona che ha un passato, un divenire davanti, un processo di formazione da cui proviene e un contesto relazionale nel quale si inserisce. Questo è uno dei grandi temi che abbiamo, perché anche nei percorsi di formazione ci sono delle prove. Collegandomi alla questione della discriminazione di genere, c’è uno studio della CISL che dice, per esempio, che le donne hanno una percentuale di partecipazione alla formazione aziendale molto più bassa dei colleghi uomini, ed è uno dei motivi per i quali dentro la prassi per la certificazione per la parità di genere è stato inserito esattamente un punto specifico in questa direzione. Allora, per fare questo dobbiamo però ragionare ovviamente su una politica che abbia uno sguardo di investimento ampio e che attivi dei processi di formazione e istruzione che escano dai canoni scuola, formazione aziendale, formazione universitaria. Ecco, perché oggi nel nostro Paese dobbiamo investire nell’ambito della formazione per aumentare la capacità produttiva del nostro Paese? Ci sono due temi che vorrei porre sul piatto. Uno, le sfide che in qualche modo stiamo affrontando sono sfide di una dimensione di cambiamento d’epoca storica che hanno una sproporzione anche rispetto a quelle del passato, e per permettere alle persone non solo di cogliere il senso delle transizioni che stanno vivendo, ma di esserne attivi protagonisti, dobbiamo dare alle persone, a ciascuno di noi, la capacità di saperne comprendere la portata ma anche di saper agire all’interno di queste sfide. E quando quindi parliamo di trasformazioni digitali, di innovazione tecnologica, e pensiamo per esempio al tessuto produttivo del nostro Paese, che è prevalentemente di piccole e medie imprese, con una parte di servizi qualificata e presente, ma altrettanto con una parte di manifattura, che è una delle specificità che il Paese porta anche nel contesto europeo. Pensiamo alla questione dell’agroalimentare. Ecco, in questi contesti, lavorare di transizione tecnologica, transizione digitale, su competenze che apparentemente sono da tutta altra parte, noi dobbiamo creare quel ponte di connessione che sappia permeare il tessuto produttivo italiano di competenze necessarie per poter qualificare anche meglio quella invece scarsa formazione scolastica con la quale noi oggi dobbiamo fare i conti e che dobbiamo risolvere non solo in prospettiva del futuro, ma anche nella dimensione dell’oggi. Secondo grande tema: in un Paese come il nostro, che vive il calo demografico che stiamo vivendo, o noi qualifichiamo in modo significativo la forza lavoro che abbiamo presente, o qualsiasi politica demografica sarà inefficace, perché anche se ci va bene (e non sarà così) che si possa con uno schiocco di un dito risolvere il problema, se anche noi avessimo da quest’anno un boom di nascita e un boom di ingresso nel nostro Paese, gli effetti di questo inserimento del personale nella coorte di cittadinanza italiana avranno effetti di medio e lungo periodo e noi non ci possiamo permettere di aspettare così tanto. E quindi noi oggi dobbiamo qualificare meglio la forza lavoro che è presente perché diventi più qualificata anche nella produttività del PIL. Questo lo descrive benissimo il professor Biller nel libro Domani è oggi, in cui cita, per esempio, l’esempio della Corea del Sud. Di fronte a un calo demografico straordinario fanno un input, un booster di formazione che qualifica la professionalità della popolazione presente. Per farlo, in che modo possiamo risolvere, arriviamo agli strumenti concreti. Io credo che, e uso un termine che ha usato il dottor Barrese, oggi alla politica le leggi competono il ruolo di leva, non solo modello, come è già stato citato, ma come attivatore di processo. È stato quello che è accaduto in Industria 4.0, era stata l’idea per esempio del Family Act, è l’idea della certificazione per la parità di genere con gli incentivi alle imprese nell’ambito della decontribuzione e degli appalti pubblici. Quindi una legge che attivi un processo i cui risultati saranno al di là da venire. Questo, mettiamoci però il cuore in pace nei politici, significa che dobbiamo smettere di pensare che una legge debba essere misurata nel consenso immediato che venga riconosciuto dai cittadini. Quando noi inizieremo a pensare che le leggi che facciamo verranno valutate alla prossima legislatura, cioè tengano la prossima legislatura, faremo un passo in avanti sulla maturità politica straordinaria, perché a forza di lavorare sull’oggi, noi abbiamo lasciato il nostro Paese condannato al passato. E su questo è chiaro che l’accordo deve essere fatto in modo trasversale, questa è una riforma grande e penso anche che debba cogliere, e qui chiudo, un elemento molto utile della questione della fiscalità. Entro nel terreno che non è mio, perché c’è il Presidente Osnato che mi potrà eventualmente tirare le orecchie o poi l’amico e il Ministro Giorgetti, ma se nel nostro DNA, la Costituzione, in fondo l’elemento della fiscalità è l’elemento della capacità di contribuire per ciascuno di noi al bene collettivo, richiama in modo fortemente collegato alla questione del lavoro, cioè all’articolo 4 della nostra Costituzione, che dice che siamo tutti chiamati a concorrere al bene, al progresso materiale e spirituale della nostra società. Allora, nel momento in cui un’azienda fa un investimento di formazione per i propri dipendenti, sta contribuendo in una sorta di tassa negativa che noi dobbiamo riconoscere. Gli va riconosciuto l’istituzione di questo lavoro, poi troviamo la forma più efficace. L’Industria 4.0 ha fatto la decontribuzione per le piccole e medie imprese, probabilmente oggi non è lo strumento più importante. La certificazione prevede uno sconto immediato. Inventiamoci quali strumenti, ma l’idea di fondo deve essere questa anche perché in questo modo si attiva quell’idea di sussidiarietà nel Paese per il quale c’è un’alleanza sul quale l’investimento di ciascuno è parte di un investimento collettivo. Se il nostro Paese, come ha detto il governatore Panetta, investe alla pari sul debito e sull’istruzione, eh beh, forse ci dobbiamo fare una domanda, perché nella parte della spesa sul debito stiamo pagando ciò che è passato, ma se l’idea chiave è che oggi noi dobbiamo spendere di più in investimenti per mantenere quella efficacia di resilienza e di crescita che il Paese deve avere, che deve avere anche con maggiore incisività, l’azione principale nell’ambito dell’investimento è quella della formazione, perché per ciascuno di noi apre lo sguardo in avanti al tempo del divenire e quindi riattiva la speranza di un Paese che torna a credere in se stesso. Penso che sia una sfida sulla quale noi oggi dobbiamo trovare uno slancio e una condivisione ancora più significativi e incisiva. Grazie.

Osnato. Grazie, buongiorno a tutti. Grazie a Giorgio Vintadini e alla Fondazione per la Socialità per questa opportunità, e un grazie a Stefano Barrese per le sollecitazioni che mi ha rivolto. Un ringraziamento particolare, se posso, va all’amico Maurizio Lupi, che, da maratoneta quale dice di essere, non l’ho ancora visto correre, incessantemente anima l’intergruppo per la sostenibilità, che è forse l’intergruppo che lavora di più e che produce di più anche a livello di norme e di opportunità per il bene comune.

Parto anche io da un ringraziamento al meeting. Credo che nel giorno in cui siamo qui a parlare del valore della persona, niente possa essere più appropriato che essere proprio al meeting. E lo dico non per una semplice captatio benevolentiae, ma perché stamattina ho avuto l’occasione di visitare un po’ gli stand, e le opere e le storie che si raccontano in questi stand dimostrano l’importanza della persona.

Margherita, una studentessa bravissima e entusiasta, ci ha guidato nella visita della mostra sulla guerra della Marna e sulla guerra di trincea della Prima Guerra Mondiale nelle Fiandre, l’IPR, raccontandoci di un episodio che, pur non essendo unico nella storia delle guerre, è significativo: la tregua natalizia, quando l’esercito inglese e quello tedesco hanno allentato la morsa del fuoco, si sono salutati e hanno celebrato una funzione religiosa per Natale. È importante, come spiegava la bravissima Margherita, perché non è stata un’indicazione dei comandi, ma una scelta di coloro che erano sul campo, una scelta delle persone. In quel caso, le persone hanno fatto la differenza. Ecco, questo è quello che oggi questa vicenda ci ha insegnato: le persone fanno la differenza. Le persone, come diceva Elena Bonetti, nella loro complessità, non sono semplici individui, ma la complessità relazionale. Dalle persone nasce la famiglia, dalla famiglia nasce la comunità, dalla comunità nasce la nazione e quindi nasce anche la responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti del prossimo, e che deve mettere a frutto nel rispetto del mondo e del contesto in cui vive.

Perché la formazione per lo sviluppo della persona diventa così importante oggi? Credo che se chiedessimo a Stefano Barrese cosa succedeva in Banca Intesa, che allora forse neanche si chiamava Banca Intesa, 50 anni fa, una persona preparata in ragioneria ed economia entrava in banca, lavorava allo sportello, era più o meno preparata e probabilmente, per i successivi 20-25 anni, tra virgolette, non aveva bisogno di altro. Immagino che già allora qualcosa ci fosse, ma sostanzialmente la legge era quella, gli strumenti erano quelli, il contesto in cui si operava era quello. Cambiavano solo alcuni indici e tassi, ma tutto il resto rimaneva stabile. Oggi è tutto diverso: in due anni può cambiare totalmente la normativa, in due anni cambia completamente lo scenario macroeconomico mondiale, in due anni cambia il tipo di crediti, e i sistemi operativi e le macchine utilizzate evolvono rapidamente. Quindi è chiaro che l’importanza della formazione è totalmente diversa e aumentata.

Parlo per la mia esperienza: una buona parte della mia vita l’ho trascorsa come direttore personale, oggi si usa il termine HR. La risorsa del collaboratore si aspetta inevitabilmente un aumento salariale per migliorare la propria condizione aziendale. Non facciamoci gli ipocriti: una delle basi per far stare meglio è la leva salariale. Oggi l’OCSE riconosce un potere d’acquisto aumentato in Italia di oltre il 3%, quindi superiori anche alla spinta inflazionistica. Gli imprenditori, grazie alla loro capacità e alle condizioni favorevoli, hanno profitti migliori rispetto a qualche tempo fa e quindi possono iniziare a considerare la possibilità di concedere qualcosa in più ai lavoratori. Certamente il salario è un tema importante, ma bisogna anche creare un benessere aziendale. In questo senso, avendo lavorato in un’azienda pubblica come direttore personale, quindi non avendo una grande capacità di intervenire sulla leva salariale, credo che la formazione e la valorizzazione della persona siano elementi fondamentali per migliorare le performance aziendali e la persona stessa.

Bisogna creare le condizioni necessarie: vi è un tema di produzione normativa e di creazione di condizioni opportune. Si è parlato tanto degli STEM e della filiera formativa integrata, del vero rapporto che deve esistere tra scuole e mondo delle aziende. Le scuole devono aprirsi di più e fare uno sforzo ulteriore; credo che il Ministro Valditara possa lavorare ancora di più rispetto a quanto già ottimamente ha fatto, e il mondo delle aziende e delle imprese spesso fa fatica a interagire, anche quando vuole, a causa della burocrazia.

C’è anche il tema, e su questo ho lavorato, cito la mia amica e collega Marta Schifone, sul favorire le donne nell’avvicinarsi alla formazione STEM, che è uno dei grandi temi. La formazione tecnica è spesso vista, chissà perché, poco femminile. Oggi non sono più lavori di fatica, come poteva sembrare un tempo. C’è qui il mio amico Pietro, la falegnameria in cui lui opera, dove, ai tempi di suo padre era probabilmente molto faticoso; oggi, anche se non è meno impegnativo, si utilizzano macchinari avanzatissimi che richiedono più una formazione tecnica che una capacità fisica. Anche su questo bisogna lavorare e bisogna lavorare su una valorizzazione di contesto della persona.

Noi stiamo affrontando in Commissione finanze, insieme alla Commissione Lavoro, per esempio, un dibattito sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa e agli utili, che considero fondamentale. Lo prevede la nostra Costituzione e non è mai stato applicato. Ci sono 5-6 progetti di legge trasversali in tutto l’arco parlamentare. Abbiamo scelto come base una proposta di iniziativa popolare della CISL, che considero molto completa. Quando si coinvolge il lavoratore nelle scelte fondamentali dell’azienda e magari anche nella gratificazione aziendale, si creano le condizioni per cui si può poi chiedere di più e incentivare la formazione e la consapevolezza su come evolve il mondo del lavoro. Questo ha un impatto anche sul tema dell’inverno demografico.

Così come nel mondo del lavoro, anche nello sviluppo della famiglia bisogna creare condizioni economiche. È inutile nascondersi: vari governi, incluso quello presieduto da Giorgia Meloni, hanno fatto molto negli ultimi anni rispetto a quanto si faceva fino a pochi anni fa. Ieri l’ISTAT ha comunicato che il famoso bonus mamme nei primi sei mesi ha avuto 627 mila adesioni, pari all’80% della platea possibile, quindi una grandissima partecipazione. Benissimo le condizioni economiche, ma è necessario anche un cambiamento culturale. Se non ritorniamo al concetto dell’importanza della vita e della famiglia, non solo in senso religioso ma anche rispetto al nostro ruolo all’interno della comunità, probabilmente non riusciremo a risolvere il problema, come ben illustrato dal governatore Panetta l’altro giorno. Grazie.

Lupi. Giancarlo, oggi ministro del Bilancio e dell’Economia, in passato hai ricoperto anche il ruolo di ministro dello Sviluppo Economico e presidente della Commissione Bilancio. Credo che le tue osservazioni possano essere molto utili per portare avanti la nostra riflessione.

Giorgetti. Grazie. Le mie provocazioni anche, perché Vittadini prima mi ha sollecitato… Allora dobbiamo stare molto attenti. Quando vieni al Meeting devi sempre provocare. Normalmente parto con la provocazione contestando il titolo della conferenza, giusto Vittadini? Assolutamente. Come posso contestare il titolo? Innanzitutto saluto tutti voi, grazie per essere rimasti qui e vabbè che è venerdì ma è l’ora di pranzo. Contestiamo il titolo: il primo capitale dell’impresa è la persona e io lo trasformerei così: il primo capitalista dell’impresa è l’imprenditore. Perché abbiamo parlato tantissimo del fattore persona e del fattore lavoro, immaginando sempre la figura del lavoratore collaboratore, ma c’è anche la persona imprenditore che è il fattore determinante dello sviluppo, che continua a essere la scintilla dell’imprenditore, quella che alimenta l’economia. E questo dovrebbe essere compreso da tutti, e siccome devo fare le provocazioni, richiamando la mia chiusura, l’intervento all’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, quindi faccio una stoccata a Barresi, siccome sono l’ultimo che parla, posso farlo, quindi se non pare. Io dissi allora che, diciamo così, la banca non può essere un algoritmo, ha di fronte una persona fatta di cuore e anche di anima, come diceva qualche economista di grande spessore, che è l’imprenditore. E quindi, se la banca non riesce a cogliere la dimensione che va oltre i numeri, freddi numeri nell’affidamento, si fa fatica a alimentare questa scia di iniziativa, di intrapresa che appunto poi si trasforma nell’impresa. Torniamo dopo questo, ma siccome Barresi sa che ho un’altra provocazione che ho lanciato privatamente su un altro tema, che forse dopo ci torno, è chiaro che questo termine apposta a un politico, Elena diceva prima, noi politici ragioniamo tutti nel breve termine per raccogliere consenso nel breve termine. E quindi questa cosa qui non si concilia con il concetto che Maurizio Lupi ha richiamato prima, attenzione: il lavoro non deve essere visto come costo ma come investimento e quindi come naturalmente un orizzonte pluriennale. E quindi per una politica che non ha pensiero lungo, ma ahimè pensiero breve e affannoso, questo è un grosso problema. E anche nella misura in cui la politica volesse avere il pensiero lungo, subentrano delle regole decise magari a livello europeo, come le ultime del patto di stabilità e crescita rinnovato, in cui il concetto di investimento, cioè il pensiero lungo, non è adeguatamente valutato e quindi costringe gli Stati nazionali nelle decisioni di politica di bilancio a fare valutazioni inevitabilmente di breve e di corto respiro. In questo contesto estremamente difficile, però emergono alcune verità che sono state richiamate nel dibattito, che sono assolutamente vere, e cioè che il fattore umano, la risorsa umana, il capitale umano nelle varie accezioni è il principale determinante di crescita e, tra virgolette, produttività. Crescita è molto più bello da usare, produttività un po’ meno bello. Però questa è la realtà che si vede sia con un approccio che chiamiamolo macroeconomico che microeconomico. Nella mia esperienza di Ministro dello Sviluppo Economico, quello che ho capito perfettamente, contraddicendo le mie ferree convinzioni, è che le decisioni di investimento da parte di soggetti stranieri in questo Paese, messe in competizione rispetto ad altre realtà, non dipendevano dal sistema fiscale, dipendevano anche un po’ dal sistema giudiziario, ma fondamentalmente la prima cosa che cerca un’impresa per localizzare è la disponibilità di capitale umano. Questo è il primo determinante per la decisione di una localizzazione di investimento in questo Paese. Questa cosa qui, a me, lo confesso, ha un po’ sconvolto la graduatoria delle cose su cui il politico deve intervenire per attrarre investimenti capitali in Italia. La seconda dimensione è inevitabilmente di tipo macro, perché da un lato c’è un aspetto negativo che è stato richiamato anche oggi, la fuga dei cervelli o comunque, purtroppo, l’esportazione di tante competenze che da questo Paese se ne vanno perché o non hanno prospettive di carriera oppure il lavoro non è adeguatamente retribuito, e sono entrambe purtroppo due tristi verità. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia rispetto a questa dimensione, che il nostro Paese, povero di tante altre cose, è invece tremendamente ricco di intelligenza e su questa risorsa va costruita una frontiera, un orizzonte di sviluppo futuro. Partendo da questa considerazione, che cosa si può fare concretamente rispetto all’esatta percezione che rispetto a quelle che erano le ricette tradizionali o le cose che imparavamo, almeno ai miei tempi, sui manuali di economia e politica economica? Normalmente la produttività come si raggiungeva? Riducendo i lavoratori e aumentando l’uso delle macchine. Questo è il principio basilare, basic, da cui si partiva. Quindi se tu automatizzi e porti le macchine che fanno il lavoro, riesci a essere produttivo. Questo è quello che ci ha insegnato la storia economica. Adesso è un po’ diversa la faccenda. Si è capito che probabilmente il capitale umano, la risorsa umana adeguatamente impiegata o messa a sistema nell’ambito dell’impresa, è quella che fa veramente la differenza. Anche se c’è una variazione sul tema, ahimè, seria, anche qui è stata richiamata l’intelligenza artificiale, e normalmente noi pensavamo che l’intelligenza facesse riferimento alla persona, ma qui l’intelligenza è applicata a una cosa che non è una macchina ma che svolge gli esercizi della macchina, e quindi è la nuova frontiera di sfida rispetto alla dimensione della persona nell’ambito dell’azienda e della dimensione economica. Però torniamo al tema che richiamava Maurizio. Come possiamo considerare il costo non come un fattore della produzione che si finisce nella dimensione dell’esercizio, ma come un investimento? E qui, a mio giudizio, dobbiamo riflettere rispetto agli strumenti che noi abbiamo utilizzato e che stiamo utilizzando in questi anni. Noi abbiamo messo, Elena lo sa perché si è occupata anche lei, nel mitico PNRR, noi abbiamo svariati miliardi messi per l’upskilling, reskilling, progetto Goal, il Piano Nazionale di Competenze, potrei riempirvi di titoli, di piani e progetti che ricordano i piani quinquennali dell’Unione Sovietica, adesso scusate la battuta, però il tema qual è? È capire se la formazione e l’apprendimento, la crescita di competenza, possono essere spinti dallo Stato o tirati dalle imprese. Questa è una grande scelta di fondo che noi dobbiamo cercare di immaginare, perché probabilmente, a mio punto di vista, è più efficiente l’apprendimento tirato dall’impresa e tarato a misura rispetto alla necessità dell’impresa, e rispetto a quello immaginato da qualche politico o da qualche burocrate che immagina che cali dall’alto quella realtà. Perché altrimenti, in quella dimensione, il rischio è di spendere di più rispetto all’obiettivo che riusciamo a ottenere, e questo è un grande tema, perché qui è stato richiamato l’Industria 4.0, l’Industria 5.0, e colgo l’occasione qua per parlare con gli imprenditori che si lamentano, come si è lamentato anche Barrese prima, della estrema complessità dell’Industria 5.0. Ma perché è così complessa? Perché noi abbiamo fatto una fatica terribile insieme ai colleghi del MIMINT a trovare delle formule che permettessero di estendere il più possibile anche i termini della formazione e l’utilizzo dell’Industria 5.0, perché in base ai diktat che arrivavano da Bruxelles sarebbe stata limitata ad alcuni settori legati alla transizione energetica e stop. E quindi anche questo è un tema. E i crediti d’imposta funzionano di più, funzionano sicuramente, sono più efficienti, ma rispondono a un altro tipo di criterio rispetto a quello dell’approccio top-down di cui vi dicevo prima. E l’altro elemento su cui, perché poi vado a chiudere, perché c’è un numero che è diventato improvvisamente rosso, non so perché, prima era già…

Lupi. È il piano quinquennale dell’Unione Sovietica che ti sta raggiungendo.

Osnato. Sono sette anni ed erano cinque.

Lupi. Magari ti danno un super bonus nel tempo.

Giorgetti. Allora, l’altra dimensione che vorrei toccare è quella relativa alla pubblica amministrazione, perché il ragionamento che abbiamo fatto fino ad adesso l’abbiamo sempre applicato alla dimensione dell’impresa del mondo privato. Ma non è semplicemente questo. Se io penso a quanto si può e si deve fare per migliorare l’efficienza e la produttività della pubblica amministrazione, grazie a delle politiche che qualifichino il personale pubblico, la risorsa umana che lavora nella pubblica amministrazione, che normalmente è stata vista come semplicemente un esecutore, invece noi abbiamo bisogno anche, se non soprattutto lì, di una dimensione che sfugge alla dinamica di mercato e quindi alla competizione che spinge comunque le imprese a essere estremamente reattive rispetto alle sollecitazioni degli eventi e dell’evoluzione. Ecco, noi abbiamo tremendamente bisogno di portare, chiamiamo, la formazione continua, l’aggiornamento permanente, per fare crescere la produttività della pubblica amministrazione come elemento di equilibrio del sistema. Il tasso di partecipazione femminile ha avuto un’incredibile performance negli ultimi due anni, una cosa di cui andiamo fieri. Alla fine, diciamoci la verità, caro Vittadini, tu dici che l’apprendimento non è un problema dei giovani e dei vecchi. Tutti dobbiamo, possiamo e dobbiamo apprendere. Però io e te facciamo tremendamente più fatica ad apprendere che un ragazzo di 10-15 anni. Quindi l’interconnessione con il tema della denatalità e l’inverno demografico, ahimè, è un tema che si impone e che si intreccia per immaginare il futuro del Paese. Grazie.

Vittadini. Allora, grazie Giorgio. Concludo l’incontro partendo di controbalzo con Giancarlo dicendo che questo è un punto del Meeting dove si investe in figli e quindi si risponde alla prima domanda che lui ha fatto. Cioè, nel senso che facendo nascere figli si fanno nascere giovani e quindi si ricomincia con l’aspetto fondamentale, perché è anche dicendo una cosa che far nascere figli non è questione economica, è questione di ideale. Se uno non ha un ideale non ci sono figli, ma non c’è neanche l’impresa. Il secondo aspetto fondamentale è che siamo al 45esimo Meeting e vedo in prima fila quelli che l’hanno fondato, i Coniugi di Smurro. Io penso che dal primo Meeting non si sia mai smesso di dire, riecheggiando Giussani, che la prima questione è l’educazione. Ma quando dicevamo queste cose, si dicevano qui, si dicevano come C.D.O., quando è nata la Fondazione Sussidiarietà, non ci ascoltava nessuno, perché il problema dell’impresa, proprio per dire così, era altro. L’egoismo dei singoli attraverso la mano invisibile porta al benessere collettivo. Ma dove? Ma quando noi dicevamo che c’era qualcos’altro, o come hai detto tu giustamente, il primo capitale è l’imprenditore, non ascoltava nessuno. Nel 2007 un famoso editorialista del Corriere disse, sulla prima pagina e poi non si pentono mai, il problema dell’Italia è che aveva pochi derivati. Allora, gutta cavat lapidem, dopo 45 anni diciamo che il problema è un’educazione che arrivi a formare, e sono d’accordo con te, innanzitutto una scuola e un’università di qualità. Ma qualità, perché io non so se qualità è semplicemente l’aumento delle telematiche, scusate, qualità è un aumento della qualità. Voglio dire, ma anche il fatto che avendo frequentato un po’ l’estero e andando a New York alle 5, la Columbia e la New York University si svuotano di studenti e si riempiono di gente che fino a mezzanotte studia ed è gente che già lavora. La mia università Bicocca, che pur ha un grandissimo rettore qui presente al Meeting che è il capo dei rettori, per legge alle otto chiude e se tu stai dentro fino alle otto e mezza arriva la polizia a buttarti fuori. Ma dico, ma perché i nostri manager e imprenditori non possono fare la stessa cosa che si fa all’estero? Di questo stiamo parlando proprio della formazione continua, sarà meno produttiva ma è fondamentale perché uno deve formarsi sempre fino alla terza età e anche tu e io, io ancora di più che sono ancora più vecchio, non vedo l’ora di continuare a imparare perché questo è l’umano e quindi di questo stiamo parlando. Terzo aspetto, io penso che ci sono dei temi che non devono essere divisivi. Ci devono essere delle questioni che riguardano le maggioranze e le opposizioni, ma delle questioni che sono fondamentali, e questo è il senso dell’intergruppo, che dovrebbero essere votate al 100% del Parlamento. Perché al di là dei modi non possiamo non essere d’accordo tutti, maggioranza e opposizione, che bisogna superare il fatto che abbiamo il 18% di laureati o abbiamo gente che ha le medie oppure che non si forma in questo. E quindi l’auspicio è che da oggi nasca questo lavoro di tutti i partiti per arrivare all’anno prossimo a dire cosa si è fatto, non, giustamente top-down, ma come incentivo a chi si muove, perché l’idea è, finisco con questo, forse non si sa, ma in California le grandi imprese sono nate private, ma poi ci hanno messo i soldi il pubblico, però distinguendo, perché vale la legge delle vergini stolte, quelle che non hanno niente bisogna levargli anche quello e darlo a quello che ha, così magari aiutano le altre, ma se si dà tutti poco non si combina niente. Grazie e buon lavoro. Ricordo la sottoscrizione del Meeting che sarà data in parte dal Cardinal Pizzaballa per Gaza. Buon lavoro.

 

Data

23 Agosto 2024

Ora

13:00

Edizione

2024

Luogo

Auditorium isybank D3
Categoria
Incontri

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