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IL NON PROFIT, MOTORE DELL’EUROPA
In collaborazione con Commissione Europea. Partecipano: Giuseppe Guerini, Presidente di Federsolidarietà e Membro del Comitato Economico Sociale Europeo (CESE); Marco Morganti, Amministratore Delegato di Banca Prossima e Membro del GECES – Gruppo di Esperti della Commissione Europea sull’Imprenditoria Sociale; Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione Europea, Commissario Responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria. Introduce Monica Poletto, Presidente della Compagnia delle Opere – Opere Sociali.
IL NON PROFIT, MOTORE DELL’EUROPA
Ore: 15.00 Sala Neri GE
MONICA POLETTO:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro dal titolo Non profit, motore dell’Europa. E’ un incontro che ha interlocutori molto autorevoli, che perciò fin d’ora ringraziamo moltissimo. Da cosa nasce il desiderio di fare questo incontro nel contesto del Meeting di Rimini? Innanzitutto, dal fatto che recentemente la Commissione Europea ha presentato un documento relativo all’iniziativa per l’imprenditoria sociale, tra l’altro abbiamo uno degli importanti firmatari alla mia destra. Si tratta di un importante riconoscimento di un’economicità, non finalizzata alla distribuzione di utili ma alla creazione di un valore sociale. In Italia, è ancora purtroppo presente una cultura che stenta a riconoscere questo valore, cioè il valore di un’azione sociale che sia attuata attraverso gli strumenti tipici dell’impresa, per cui l’organizzazione e la creazione di beni e di servizi che abbia scopi diversi, non lucrativi. Tant’è che, anche dal punto di vista fiscale, spesso è la singola azione scollegata dal suo scopo a dettare le regole di tassazione, arrivando all’assurdo per cui realtà che non distribuiscono utili e che si occupano di problemi sociali importanti hanno lo stesso trattamento fiscale delle società per azioni. La mancanza di riconoscimento dell’imprenditoria sociale ha portato anche a prese di posizione, in materia di concorrenza, che mal si adattano a realtà che, ad esempio, inseriscono lavorativamente disabili e persone in difficoltà. Oppure, le realtà non profit si trovano spesso di fronte a limitazioni nella possibilità di ricorrere a strumenti finanziari per lo sviluppo della propria azione. E oggi meno che mai, in Italia come in Europa, possiamo permetterci che la nostra rete di opere sociali si spezzi. Per cui, di questi temi importanti vogliamo discutere con i nostri interlocutori che adesso vado man mano a presentare. Innanzitutto darei la parola a Giuseppe Guerini, Presidente di Federsolidarietà, membro del CESE e anche membro del GECES, cioè il gruppo di esperti sulla economia sociale in Europa. A te farei questa domanda: quali sono i principali problemi che l’intrapresa sociale italiana – perché evidentemente stiamo parlando di qualcosa di più ampio della definizione normativa di impresa sociale italiana – ha, e come pensi che l’Europa possa aiutare o già stia aiutando il loro affronto? Grazie, Beppe.
GIUSEPPE GUERINI:
Devo dire di essere molto onorato e lieto di essere qui con voi questo pomeriggio. Sono grato per l’accoglienza che riservate a me e all’organizzazione che rappresento. E sono grato a Monica Poletto perché mi offre questa occasione importante di incontro con autorevolissimi ospiti e relatori che parleranno dopo di me. Nel rispondere alla domanda che pone Monica Poletto, si potrebbe dare una prima risposta molto semplice e banale. Di che cosa ha bisogno il Terzo Settore produttivo o l’impresa sociale in Italia e in Europa oggi? Delle stesse cose di cui ha bisogno l’imprenditoria ordinaria, soprattutto la piccola e la media impresa: quindi, di un contesto favorevole allo sviluppo della propria capacità e della propria propensione a realizzare e a creare il lavoro. Nel titolo che è stato proposto a questo incontro, ci sono poi alcune suggestioni molto importanti. Io farei il mio intervento prendendo anche due punti di riferimento che reputo importanti nel riflettere intorno a questo tema. Il primo lo traggo direttamente dal tema che è stato scelto per il Meeting di quest’anno cioè La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito, e poi nella spiegazione che viene data in poche parole di questa scelta: l’esperienza quotidiana dell’uomo ha bisogno di esperienze che siano più appaganti di quello che possono essere delle esperienze finite, quindi, il traguardare al di là di quello che è la finitezza delle esperienze. Ecco, io credo che qui ci sia una prima spiegazione di come e perché il non profit possa essere un motore per lo sviluppo, e quindi di che cosa possa poi avere bisogno nel costruire la propria attività. Perché mai, infatti, uomini e donne del terzo millennio dovrebbero decidere di dedicare parte delle loro energie, della loro intelligenza, del loro tempo, delle loro attività, senza avere un ritorno immediato in termini economici, in termini di profitto? Io credo che sia proprio nella natura il voler ricercare un rapporto con qualcosa che è più appagante. Il denaro, per sua stessa definizione, è finito, prima o poi finisce anche se è abbondante, e quindi ha una dimensione di appagamento molto limitata. Per quanto sia un potente motore di attività, in realtà non è altrettanto potente quanto la motivazione, quanto il desiderio, quanto la voglia di esprimere un percorso di reciprocità con le persone. E questo, peraltro, è molto legato all’esperienza culturale del nostro Paese. Per certi versi, l’economia sociale nasce nel contesto italiano, diciamo così: qualcuno la riconduce a un approccio di tipo francescano alla carità. Non è la carità della semplice erogazione caritatevole, ma un mettere le persone in condizioni di affrancarsi: e qui c’è una prima riflessione sulla funzione del non profit. La seconda considerazione che riguarda gli elementi di necessità per lo sviluppo del non profit, ma per lo sviluppo di qualsiasi attività di impresa, è la dimensione della fiducia. E’ stato ricordato in diversi interventi il tema della fiducia: lo ha richiamato con forza il Presidente del Consiglio Monti, ne ha parlato il Ministro Passera questa mattina, ne ha riparlato, per esempio, lo stesso Vicepresidente Tajani nel dibattito sull’Europa. Cosa è successo alla fiducia in questi anni? La fiducia è diventata un bene che si è smarrito. Abbiamo perso fiducia e quindi l’economia rimane bloccata. Allora, il Terzo Settore e l’economia non lucrativa può essere un potentissimo strumento per far rigenerare dimensioni di fiducia, di reciprocità, di disponibilità delle persone a mettersi in gioco, a partire dal fatto che quello che c’è in gioco non che domani io ho un guadagno per me da questa attività, ma che, nel momento stesso in cui noi siamo in relazione e condividiamo un’idea, un progetto, un’aspirazione, stiamo costruendo un elemento di fiducia. L’economia della finanza che ha caratterizzato lo sviluppo degli ultimi decenni in maniera molto forte ci ha illuso del fatto che in realtà la crescita, lo sviluppo, potessero essere alimentati da un supercarburante che era appunto quello della finanza. Il supercarburante, però, ad un certo punto, ha fatto grippare il motore, lo ha bloccato. Perché in realtà, siccome anche l’economia è un fenomeno umano, non è un processo astratto, il motore dello sviluppo non è un motore meccanico, è un motore biologico, quindi non ha bisogno di carburante, ha bisogno di alimentazione. E uno dei principali alimenti della possibilità di fare buona impresa, che sia impresa profit o impresa non profit, è la dimensione della fiducia. Quale imprenditore rischierebbe le sue attività profit nel contesto di una comunità di cui non ci si può fidare? Perché è così importante il tema della legalità, per esempio? Perché se non ci sono le condizioni di affidabilità e di fiducia, non si può lavorare. Ecco, io credo che uno dei ruoli più importanti che può giocare il Terzo Settore sia questo, di essere un alimentatore della dimensione di fiducia, muovendo una dimensione economica che metta al centro quella che è la dimensione del bene comune. L’Europa, da questo punto di vista, sta facendo degli importantissimi passi avanti. Io credo che vada dato merito alla Commissione Europea – e voglio in questa occasione rendere pubblicamente merito e ringraziare il Vicepresidente Tajani per il lavoro che è stato svolto in questi anni su questi temi -, perché, fino a pochi anni fa, nell’agenda delle attività delle istituzioni europee, in particolare della Commissione, tematiche come il volontariato (l’anno scorso è stato proprio l’anno del volontariato), come il tema dell’impresa sociale e dell’economia sociale, non erano presenti. C’erano le tematiche sociali ma si parlava di occupazione, di occupabilità, di sistemi di welfare, cose fondamentali a cui poi magari faccio un ulteriore cenno. La dimensione della capacità dei cittadini di auto organizzarsi e di essere protagonisti di un progetto, sociale, culturale, imprenditoriale, educativo, di salute, politico, anche, di comunità, deve essere riconosciuta come uno dei fattori competitivi dalla Commissione. Le dodici leve per lo sviluppo del mercato, che in realtà sono sotto la competenza del collega del Presidente Tajani, Barnier, sono un prodotto, un processo complessivo dell’attività della Commissione: e fra le dodici leve ci sta l’imprenditoria sociale, come una delle leve sulle quali ci si aspetta che, per l’Europa 2020, arrivino stimoli e opportunità di crescita e di sviluppo. Sentiremo poi, credo, Tajani parlare della comunicazione: non voglio parlarne perché lui ne parlerà in modo molto più competente, avendo ovviamente notizie di prima mano: ma c’è un aspetto che voglio sottolineare. Nell’Europa a 27, 11 milioni di persone lavorano nell’ambito dell’economia sociale: e questo è un elemento di grandissimo interesse. In Italia, in questo periodo in particolare – è un neo che sottolineiamo dell’azione di questo Governo, che è ovviamente pressato da urgenze e da avvenimenti importantissimi – c’è chi non è in grado di vedere questo fenomeno o non è sufficientemente in grado di vedere questo fenomeno. Lo ha visto la Commissione europea, lo sta valutando, lo sta facendo crescere di attenzione, mentre in realtà si fa più fatica in Italia che è la culla dell’imprenditoria sociale. L’esperienza delle cooperative sociali in Italia, istituzionalizzata con il riconoscimento della legge 381 del ’91, è una delle esperienze pilota nel mondo. Vengono da tutto il mondo a fare visite per capire come è nato e come funziona il modello della cooperazione sociale. Eppure, in questo frangente, in questo momento, si fa un po’ fatica a vedere cosa potrebbe essere la portata dell’imprenditoria sociale, del Terzo Settore, dentro le dinamiche evolutive del Paese. Basta fare un esempio: abbiamo rischiato, qualche settimana fa, con il provvedimento sulla spending review, di bloccare tutta una serie di relazioni fra le realtà del Terzo Settore e la pubblica amministrazione, perché si dice: qualsiasi acquisto faccia la pubblica amministrazione, deve essere assoggettato a emissione della gara. E va bene, per carità, è sacrosanta la trasparenza e i principi di acquisto con un principio di comparazione. Ma questo rischiava di fare in modo che le convenzioni fra associazioni di volontariato – pensiamo al tema della donazione di sangue, che viene conferito agli ospedali sulla scorta di una convenzione dai vari Avis, e così via – e quel tipo di attività rischiasse di fermarsi. Questa è la dimostrazione di come molte volte la vulgata vorrebbe il Terzo Settore, l’associazionismo, il volontariato, le cooperative sociali, tutte realtà che chiedono soldi alla pubblica amministrazione. Non è vero, non abbiamo la necessità di chiedere soldi. Quello che chiediamo, è la possibilità di fare ciò per cui siamo nati, cioè di poter svolgere il nostro lavoro, cioè di esprimere sussidiariamente tutte le nostre potenzialità nel costruire un modello di lavoro e di inserimento lavorativo per le persone svantaggiate, piuttosto che nell’educazione e nella formazione, nel credito, nella finanza etica, in tutte queste dimensioni.
In questo senso, il non profit ha la possibilità di portare un contributo dal punto di vista di un valore aggiunto sul piano economico, perché in ogni caso genera attività produttiva, perché genera un valore sociale, rappresenta uno dei collanti della coesione di una comunità locale, ma genera anche un valore culturale, predispone le persone alla cultura dell’impegno. Come faccio io a essere un imprenditore che si impegna se non ho un’esperienza, per esempio, di cosa significhi mettersi a disposizione nell’istruzione, nella cultura, nell’istituzione? Pensiamo anche al ruolo che ha il non profit nel costruire processi istituzionali. A me piace ricordare l’esperienza che ha portato alla legge 381 sulle cooperative sociali, un’esperienza che è nata in questo percorso. Le persone hanno ideato una modalità per intraprendere una attività e dare una risposta a bisogni emergenti; poi è stata istituzionalizzata anche in un progetto legislativo che è arrivato molti anni dopo le prime esperienze di cooperative di solidarietà sociale. Alle istituzioni, quindi, che cosa chiediamo? La possibilità di riconoscere questo ruolo di costruzione. Vado a chiudere con alcune ulteriori riflessioni. L’economia, le teorie economiche prevalenti, per molti anni hanno escluso dalla loro riflessione, dalla loro analisi, tutta la dimensione del bene comune o della fiducia, perché sono dimensioni immateriali, non quantificabili. E si è introdotto o sostituito, cercato di sostituire, il concetto di bene comune, cioè di bene che si può condividere, con quello di bene pubblico. Ma non è la stessa cosa. Questo ha determinato delle distorsioni anche ideologiche nella contrapposizione di cui tuttora noi paghiamo le conseguenze fra pubblico e privato. Cosa vuol dire pubblico e privato?
Faccio questo esempio, un po’ provocatorio, magari qualcuno potrebbe risentirsi: ma una scuola di infanzia gestita da una comunità, da un istituto religioso o da una cooperativa fatta dai genitori che sono soci e gestiscono l’attività di quella comunità, non è forse un bene comune? Io sono convinto di sì. Molto probabilmente è molto più comune, è molto più pubblica, di una scuola gestita da una corporazione di insegnanti sindacalizzati. Ho fatto l’esempio della scuola perché è molto calzante, si presta molto bene. Ma possiamo fare esempi analoghi nella gestione di altri beni comuni, nel sistema del welfare, per esempio. Le cooperative sociali nel nostro Paese hanno infrastrutturato un sistema di welfare, mettendo insieme delle persone che avevano dei bisogni e hanno incominciato a dargli una risposta. Dopodiché, per molti aspetti si è istituzionalizzato, è diventato un fenomeno molto grande ma la natura originaria delle cooperative sociali nasce lì, dal desiderio delle persone di darsi delle risposte. Ecco, queste sono le caratteristiche principali per le quali noi siamo convinti che il Terzo Settore possa essere un motore di sviluppo. Da questo punto di vista, i sistemi di welfare – ci sono ventisette sistemi di welfare diversi in Europa, ma hanno alcune radici identitarie comuni – sono da iscrivere fra il patrimonio dell’umanità, che è un patrimonio immateriale. Ma è uno dei patrimoni dell’umanità il sistema di protezione sociale che hanno sviluppato i ventisette Paesi europei con le loro diversità. Noi dobbiamo trovare un modo per rendere questo sistema di protezione sociale continuamente disponibile, perché non sia assoggettato alla dinamica di pubblico/privato di cui dicevo prima. Come facciamo a fare questa operazione? Cercando di far crescere il livello di sussidiarietà, il protagonismo delle persone che si mettono in gioco e si mettono a lavorare in questa direzione.
Ci sarebbero tante cose da dire ma non voglio portar via troppo tempo ai colleghi che mi devono seguire. Finisco con una battuta, una provocazione, se vogliamo. Io credo che in questi tempi abbiamo parlato molto della necessità del cambiamento: e questa mattina, il professore che ha fatto la relazione nel dibattito sull’Europa, ha mostrato lo spezzone di un film in cui c’era un gruppo che discuteva sulle cose che bisognava fare per contrastare l’Impero Romano, e si attardavano nella discussione. Ecco, io credo che il cambiamento e la crescita non vadano continuamente evocati: non si parla del cambiamento, il cambiamento va agito, va direzionato e intrapreso, appunto, attraverso un’attività che metta direttamente in gioco le persone. Il cambiamento non si chiede, il cambiamento si fa, e l’esperienza del Terzo Settore va in questa direzione. Qualche anno fa, forse quattro o cinque, in questo periodo era di moda la campagna per le presidenziali americane, con la famosa frase che aveva portato Obama alla Presidenza: “Yes, we can”, cioè, “sì, è possibile”. Io direi che noi dobbiamo cominciare a pensare a: “Yes, we do”, cioè, “sì, noi adesso facciamo”. Grazie.
MONICA POLETTO:
Ti ringrazio molto perché, dall’intervento che ha fatto il professore Vittadini sul welfare in poi, ci stiamo proprio accorgendo che il vero tema è capire se queste realtà che stanno facendo, hanno fatto e fanno veramente la storia, il tessuto sociale del nostro Paese, sono un costo o sono un fattore di sviluppo. Gli esempi che hai fatto tu sono bellissimi, e nel tuo racconto si vede quello che insieme noi quotidianamente vediamo, cioè quanto sviluppo, quanta potenzialità, quanta occupazione, quanto bene comune c’è in questo tessuto italiano, cosa di cui, paradossalmente, si sta rendendo conto quasi più l’Europa che l’Italia. Io ero sobbalzata quando avevo letto il famoso documento della Commissione di cui continuiamo a ringraziare, in cui si diceva che “per favorire una economia sociale di mercato altamente competitiva…”. Cioè, parlando di competizione, la Commissione ha posto l’economia sociale e l’innovazione sociale al centro delle proprie preoccupazioni, per favorire lo sviluppo. Questo, secondo me, è un tema interessantissimo di cui ti ringrazio, perché il cambiamento va agito ma va innanzitutto riconosciuto. Prontamente passo la parola a Marco Morganti, che noi conosciamo come Amministratore Delegato di Banca Prossima, il cui stand potete trovare – sempre molto vivace e pieno di incontri e dibattiti – nel nostro Meeting. Oltre a essere Amministratore Delegato della banca del non profit (nata proprio per questa ragione, poi magari ci dirai due parole), è anche membro, come Giuseppe Guerini, del GECES, questo gruppo di esperti per l’economia sociale. A te chiedo, innanzitutto, idee per lo sviluppo. Che cosa vedi, dal tuo punto di osservazione? Tu hai un punto di osservazione importante, sia in ambito europeo sia perché, con la tua banca, vi occupate di moltissime realtà sociali. Quali idee per lo sviluppo, quali realtà sociali? Dicci il tuo punto di vista che ci interessa molto.
MARCO MORGANTI:
Grazie a voi, invece, per l’opportunità che anche quest’anno mi date, che non è soltanto l’opportunità di parlare in un luogo che è al centro dell’attenzione, non solo italiana, ma è anche l’opportunità di parlare dei principi, delle finalità per le quali ci muoviamo, per cui ciascuno compie la propria strada. I cittadini, coloro che invece fanno parte del non profit a tutti i titoli, e anche le banche, tutto questo è un processo, è un insieme di soggetti in movimento. Ognuno, attraverso una sua metamorfosi, ha delle finalità che devono essere scoperte e, una volta che sono scoperte, determinano cambiamenti. E noi siamo qui a parlare di un cambiamento, un cambiamento che è reso più necessario da quello che ci circonda, da quello che succede intorno a noi: la crisi, la disaffezione totale rispetto alla politica. Questo mondo esige un cambiamento e questo cambiamento può muovere in una misura non piccola dal Terzo Settore, che in Italia è così forte, così strutturato, di così grande tradizione, che è mosso da finalità così alte. Avevo detto che sarei partito ragionando un secondo sui fini. La Banca Prossima, come sapete, è una banca che si occupa solo del Terzo Settore, cioè prende denaro da organizzazioni del Terzo Settore e presta denaro a organizzazioni del Terzo Settore. Un esperimento unico al mondo, non lo dico per avere una medaglia o per mostrare i muscoli ma perché fa parte, secondo me, di quella grande inventiva, di quella grande creatività italiana, che non è tale soltanto nel lusso, nella moda o nella cucina, ma è tale anche nell’ambito del Terzo Settore. Potrei fare infiniti esempi: dopo ne farò due, uno molto lontano nel tempo e uno molto vicino. Ma quello che volevo dire è: nel momento in cui nasceva una banca dedicata soltanto a questo, ci si chiedeva che cosa dovevamo andare a cercare dentro un’organizzazione per capire se quell’organizzazione era sostenibile o meno, e quindi se potevamo prestarle il denaro con la prospettiva ragionevole di ritrovare, nei tempi previsti, quel denaro e i relativi interessi. Come vedete, le cose è vero che volano molto alto ma sono anche fondate sulla concretezza. Noi cercavamo – lasciatemi usare un termine che spazia molto in alto, – l’anima della organizzazione, cercavamo sostanzialmente la risposta a quella domanda che prima Beppe Guerini ha sfiorato: “Perché fai impresa senza finalità di lucro?”. Guardate che è questa la vera domanda, questa che sta al centro di tutto. La tua è una forma di eroismo, è una specie di perversione, di santa perversione, sei un caso da mettere in formalina per mostrarlo nei momenti in cui bisogna farsi un po’ coraggio, oppure qualcos’altro? È tutto paradossale. Qui abbiamo un intero settore dell’economia, qualcosa che, in Italia, coinvolge circa 6 milioni di persone e che offre servizi a 37 milioni di persone. Quando si parla di sussidiarietà, teniamo sempre presente che il primo titolare di rapporti con i cittadini si chiama sistema pubblico, dallo Stato fino al Consiglio di Quartiere. E il secondo, in termini proprio di superficie, di contatto con la società, si chiama Terzo Settore: ha 37 milioni di persone servite per bisogni vitali o per bisogni apparentemente meno vitali, meno di sopravvivenza, ma in realtà tutti importanti. E’ importante, certo, aiutare un disabile, importante aiutare una persona anziana o sola, importante aiutare una persona che esce dal carcere, perché altrimenti – mettiamola proprio terra terra – domani i costi sociali saranno enormi. E’ importante tutto questo ma è importantissimo anche andare a visitare un museo. Ecco, di tutto questo si occupa il Terzo Settore e in tutto questo la domanda continua è: “Perché?”. E dov’è la forza di queste organizzazioni se non, evidentemente, nei dati classici che si vanno a guardare quando si decide se prestare soldi o meno a un’impresa qualunque, un’impresa for profit? Perché, ad una visione tradizionale, questa economia sembra sempre un’economia di serie B, un’economia riuscita male, una brutta copia di un’economia for profit? Perché?
Perché nessuno ha mai guardato ai veri elementi sui quali si basa la sua sostenibilità. Adesso vi faccio un esempio da fiorentino, l’ho fatto tante volte, qualcuno l’avrà anche sentito, ma ne sono talmente orgoglioso che bisogna che lo racconti anche a queste 500 persone. A Firenze c’è una cosa che si chiama mutatura: se c’è qualche fiorentino, lo sa cosa vuol dire, gli altri sono autorizzati a non saperlo. La mutatura è una pratica che le Misericordie svolgono a beneficio delle persone “allettate”, come si dice da noi, che non possono muoversi. Due volontari le vanno a visitare, le cambiano d’abito – e questo si dice a Firenze “mutare”, mutare d’abito, e poi fanno fare, nel caso siano molto malate, un giro di letto, nel caso che siano un po’ meno malate, il giro della casa, sorreggendo la persona uno per parte. Se la persona sta un po’ meglio, la portano fino alla strada e poi la rimettono a letto. Questa si chiama mutatura ed è una delle ragioni per le quali la Misericordia è degna di ricevere credito da una banca. Mi direte: “Qual è il nesso?”. Il nesso è evidente di per sé, visto che le Misericordie fanno questo esercizio ininterrottamente da 800 anni: passando attraverso pestilenze, guerre, terremoti, due guerre mondiali, la peste nera, non si sono mai interrotte. Il soggetto che ha praticato questa cosa ininterrottamente per 8 secoli, è solido perché ha un patrimonio immobiliare o è solido perché i fiorentini non possono nemmeno concepire la loro vita se non c’è la Misericordia alla quale si consegna il proprio parente malato, il proprio parente defunto, perché altrimenti sarebbe materia per sciacalli di vario tipo che in quel momento colpirebbero quella famiglia con una richiesta sproporzionata, sapendo che una famiglia che ha avuto un lutto non ragiona in termini di convenienza ma solo in termini di decoro, e non è in grado di scegliere? A quel punto, l’imprenditore privato – non tutti, ovviamente, alla larga dalle condanne di genere, non è così -, ma alcuni imprenditori lo fanno di mestiere di andare a cogliere la famiglia in quel momento di bisogno e di confusione. E invece c’è la Misericordia, che seppellisce i fiorentini non necessariamente i poveri, incluso mio padre, ed è questo il motivo per il quale io, da fiorentino, mi rifiuto di pensare che la Misericordia possa chiudere i battenti domani. E se una banca non è in grado di capire che sta lì la forza della Misericordia, e non nel fatto che abbia immobili o donazioni, che pure sono un segno irrazionale perché, chiediamoci: che razionalità c’è nel prendere la propria casa e nel donarla al Fatebenefratelli o alla Misericordia o al Pio Albergo Trivulzio, che razionalità c’è? C’è un vincolo, un vincolo di sentimento, c’è l’anima che, come non si può pesare nelle persone, è difficile da pesare nelle imprese.
Allora, la domanda che ci ponevamo è: “Come si va a pesare l’anima, in qualche modo? Qual è l’algoritmo per soppesare la sostenibilità?”. Da lì, sono venute fuori una serie di valutazioni che rendono l’accesso al credito in Banca Prossima un po’ più facile di quanto sarebbe con un sistema normale di credito. La contropartita di questo – secondo la vecchia idea del non profit, che del non profit hanno le banche – sarebbe un credito generoso, un credito dato alla bontà d’animo delle persone e purtroppo meno solido. Invece, guardate cosa vi dico: dopo cinque anni di lavoro in Banca Prossima, con 20mila organizzazioni di nostri clienti, la percentuale di deterioramento del credito, cioè il credito che non torna, è ferma. Sapete che l’Italia in questo momento è investita da un ciclone di deterioramento del credito: le banche fanno i conti ogni giorno con soggetti, persone, imprese, forse anche pubbliche amministrazioni, che hanno difficoltà a restituire denaro ed entrano nella spirale del ritardo, che può diventare poi, in termini tecnici, sofferenza, cioè perdita, non restituzione. Questo valore medio del Paese sta crescendo costantemente. In Banca Prossima è fermo dall’inizio della nostra attività, a meno dell’1%. Cioè, un dato infinitamente migliore del migliore segmento di economia osservabile in Italia e all’estero. Questo deve sorprenderci? Ci sorprende se siamo abituati a pesare l’anima col bilancino, perché non riusciremmo a farlo e quindi resterà il mistero dei misteri. Non ci sorprende se pensiamo a quella cosa un po’ semplice che ho detto prima, usando un augusto esempio, un esempio storico che è vecchio quanto la Divina Commedia e anche un po’ di più, ma che alla fine è molto pregnante. E se volete un esempio recente preso nel mucchio, preso tra i mille, anzi, i 20mila che vediamo ogni giorno, vi dico che – e qui vengo a un punto che forse può interessare anche il commissario Tajani, che ha fatto tantissimo in questa prospettiva del protagonismo italiano, dell’impresa italiana verso l’Europa, e che so che è molto attento verso tutta la componente del Terzo Settore -, magari non ve lo aspettereste, i soldati dell’esercito inglese che tornano dall’Iraq o che tornano dall’Afghanistan, e che sono ridotti in condizioni pessime – qualche volta hanno problemi fisici, ahimè, irrecuperabili, altre volte sono menomati nella loro resistenza psicologica, non possono certo più maneggiare un’arma – sono diventati oggetto, in Inghilterra, di un’attività che definirei pietosa, averli messi in strutture molto belle, vista mare, dove si evita che succeda il peggio: atti di autolesionismo, forme di violenza, disperazione. Queste strutture si chiamano “demential hospital”, ospedali di demenza, ovvero manicomi. Recentemente, l’Inghilterra, cioè la bandiera, la Regina d’Inghilterra, ciò che è l’Inghilterra nell’immaginario di ciascuno di noi, si è posta il problema di non condannare questi giovani – età media, 28 anni – a questa brutta fine, e allora è partita una ricerca di soluzioni che mirino al reinserimento di queste persone in attività lavorative, perché ritrovino la dignità, perché ritrovino un senso alla propria esistenza. Il progetto di reinserimento lavorativo di questi soldati disastrati è fatto da una cooperativa sociale di Perugia, perché gli italiani sono dannatamente bravi nel non profit, gli italiani sono dei fuoriclasse nel non profit, e non sono solo dei fuoriclasse perché riescono a tirare avanti in momenti nei quali tutto lavora conto, come i ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, fenomeno solo italiano. Perché provate a spiegare all’estero che lo Stato non paga perché non ha i soldi: e perché ha comperato se non aveva i soldi? O che la Regione non paga perché non c’è il capitolo di spesa, o perché il Comune non paga. O magari, perché il Comune si attacca ad una piccola irregolarità pur di non pagare la prestazione che ha ricevuto nell’ambito della protezione sociale da parte del Terzo Settore. Provate a spiegarlo all’estero, vediamo se trovate uno che sia in grado di porgervi ascolto. È un fenomeno italiano ed è devastante: a proposito di sussidiarietà, cominciamo a guardare i fondamentali. Poi potremo discutere all’infinito di che cos’è la sussidiarietà, se viene prima lo Stato o se viene prima il cittadino. Io penso che venga prima il cittadino ma trovo il discorso un pochino ideologico. Ma vediamo un po’ di mettere i soggetti organizzati della società civile in condizione di operare anche soltanto pari a quelli del resto dell’impresa, del resto dell’economia, che non è che abbia confermato così bene l’altra economia: non è per demerito, che il Terzo Settore subisce questo trattamento discriminatorio. Perché sapete che il ritardo complessivo di pagamento del sistema pubblico italiano è una cosa che si può valutare intorno ai 40 miliardi di euro, in questo momento, che non vengono pagati nei tempi dovuti. Qualcosa come 25 miliardi ce li ha sulle spalle il Terzo Settore, come fosse una specie di macigno che gli viene lanciato addosso semplicemente perché… Non funziona? E’ stato estratto a sorte? Non ha rappresentanza, non è capace di far valere le sue ragioni?
I cittadini, che siamo noi, devono pretendere che le cose succedano in un certo modo. Devono rifiutare che, per esempio, succeda la cosa che ho appena spiegato: che 25 miliardi di 40 sul ritardo di pagamento del sistema Italia, pesino sulle spalle del Terzo Settore. Questo è un problema di rappresentanza loro – mi fa sempre specie dire loro e noi, ma, insomma, loro che fanno parte del Terzo Settore, molti di voi ne faranno parte – ed è un problema di rappresentanza anche nostra, che siamo cittadini, anche se siamo clienti del Terzo Settore, siamo solo clienti, perché dovremo imparare a usare questo discrimine nel momento in cui andremo a mettere una scheda dentro un’urna. Io penso che, quando vota, il cittadino italiano debba pretendere che venga formulata una politica per il Terzo Settore e che faccia parte dei programmi degli schieramenti che si affronteranno. Che siano due, che siano quattro, che abbiano intenzione di utilizzare un sistema elettorale o un altro, quegli schieramenti politici non possono fare a meno di tenere conto di questa cosa che abbiamo descritto: 6 milioni di persone al servizio di 37 milioni di cittadini. 6 milioni di persone che lavorano, di cui 1 milione per il vincolo della retribuzione, per ricevere un pagamento: cooperative sociali e anche i loro dipendenti, non dimentichiamoli perché sono abbastanza. Le grandi associazioni hanno i loro dipendenti, le fondazioni hanno i loro dipendenti, anche loro sono parte del Terzo Settore e sono salariati, sono compensati per quello che fanno: 1 milione di persone. Ma gli altri 5 milioni lo fanno perché hanno scelto di fare così, senza porsi tanto la domanda del perché lo fanno. Questa economia esprime il meglio di questo Paese. E non lo esprime soltanto per un fatto morale, io non uso troppo spesso questo argomento, lo uso nelle mie scelte di vita personale, non in pubblico, non mi interessa discutere di etica e di banche con una maggiore o minore eticità, mi interessa dire che le banche devono tutte quante – ed è la seconda funzione che Banca Prossima vuole svolgere – prendere cognizione della ragione della sostenibilità del Terzo Settore. Non ho mai sognato una privativa di Banca Prossima nei confronti del Terzo Settore, mai sognato di rimanere da solo a fare questo mestiere, perché sarebbe suicida, non ci sono le risorse, sarebbe illogico. Nessuna voglia di essere gli specialisti e i fornitori unici, pessimo sempre fornirsi in un solo esercizio, che siano mele o soldi, è lo stesso. Vorrei che Banca Prossima diventasse – lo dico al Commissario Tajani, che so quanto sia sensibile su questo tema – uno strumento perché le banche acquistino la capacità di valutare, tutte, come sistema; prendano atto che esiste questa strana cosa che si chiama qualità del credito, che è così buona in Banca Prossima. E si chiedano: “Perché è così?”.
I nostri strumenti di valutazione, che sono diversi da quelli normali, sono a disposizione del sistema, non sono una cosa privata di Banca Prossima. Questo deve diventare uno strumento, una pietra di paragone per l’Italia ma anche per l’Europa, perché di banche fatte come Banca Prossima, a proposito di Made in Italy sociale, non ce n’è in nessuna parte del mondo. E credo che sia un piccolo merito, non nostro ma forse del sistema bancario italiano, attraverso la principale banca, Intesa Sanpaolo, d’aver creato questo piccolo mostro che sta dando questi risultati interessanti. Se ho qualche minuto ancora, ne approfitto per andare un attimo avanti in questo discorso cercando anche di scendere un po’ più per terra, se volete. Di cosa ha bisogno il Terzo Settore? Il Terzo Settore non ha bisogno di una sola cosa fornita da un solo soggetto, bancario o non bancario: ha bisogno di un convergere di volontà. La politica, l’amministrazione, la pubblica amministrazione devono imparare a non utilizzare il Terzo Settore come se fosse una specie di appendice clientelare. Ma questo, vedete, è un dovere per due soggetti, un patto che bisogna fare per due, perché è vero che fa comodo farsi sostenere dalla cooperativa sociale moribonda che non avrebbe ragione di stare in piedi, perché se la sostieni poi vota per te. Però è anche molto comodo, se sei una cooperativa sociale mal gestita, avere appoggio da un Assessore che ha bisogno dei tuoi voti. Non è così che si crea qualità. Allora, è un ingaggio per migliorare la qualità: questo vuol dire che il pubblico deve avere un criterio di selezione più forte e che il Terzo Settore, anche lui, deve acquisire la consapevolezza dei propri limiti, non solo i limiti di rappresentanza, anche i limiti del vivere nell’ombra e nelle nicchie protette, falsamente protette, del territorio, dove succede questo patto scellerato, questo abbraccio mortale tra l’uno e l’altro che, facendo male tutti e due la stessa cosa, riescono a mantenersi in vita in un modo apparentemente più efficace, efficiente. E poi, la parola efficienza: il Terzo Settore deve imparare a fare efficienza. Tra le cose che secondo me fanno parte della discussione ideologica sulla sussidiarietà – ed è un argomento usato male -, io vorrei gettare un sasso nello stagno e vorrei dire: chi l’ha detto che il Terzo Settore è per sua natura più efficiente del sistema pubblico? Non lo è affatto. È stato detto che può essere più efficiente una scuola mossa da motivi ideali che un insieme di insegnanti sindacalizzati: giustissimo. Ma la forza del discorso di Beppe – io so che lui su questo è dalla mia parte o io dalla sua – è che può essere più efficiente, non è detto che lo sia per forza. E il Terzo Settore è sottoposto a controlli che sono insufficienti o male utilizzati. Un esempio: se un amministratore di un’ASL, la cosa più pubblica che c’è e la peggio funzionante, nella nostra idea – poi fatevi un giretto all’estero e ditemi se è davvero così mal funzionante, il sistema sanitario italiano – vuole comperare un qualunque presidio terapeutico, mettiamo 1 kg e mezzo di garze, lo compra attraverso un processo che viene blindato giustamente, in modo tale che non possano esserci distorsioni, lo compra a un prezzo imposto. Poi, si riesce a essere disonesti comunque, dovunque, ma il principio è valido. Se 1 kg e mezzo di garze viene comperato dal capo di un’organizzazione del Terzo Settore sanitario, quel signore lo può pagare quanto vuole, e quel denaro è denaro che risulta in parte da fonte pubblica, che paga in parte i servizi che vengono resi dal Terzo Settore, in parte deriva da una fonte che siamo noi cittadini donatori, e secondo me è una fonte non meno sacra di quell’altra. Chi l’ha detto che quello è denaro privato? E come tale, essendo privato, può essere donato, sprecato? Fa rima ma non è vero. È privato, è donato e non va sprecato. Fa ancora rima ma stavolta è vero. Non va sprecato, questo è un grande tema: e se volete un frontiera sulla quale il Terzo Settore va invece messo in gioco, va coinvolto perché miri alla autoselezione, è quella: la selezione sulla base dell’efficienza.
La risorsa finanziaria è una risorsa costosa, è una risorsa in via – non dico d’estinzione, ma certo – di rarefazione. Che venga dal pubblico, che venga dal privato, che venga dalla banca, e cioè che sia un corrispettivo per una prestazione effettuata, che sia una donazione o sia prestito bancario, è sacro lo stesso. Non è più tempo di sprechi. E questo è un ingaggio molto forte per il Terzo Settore, perché nelle sue forme di collateralità, spesso e volentieri, si permette anche di essere inefficiente e in questa maniera disperde risorse pubbliche. Lo farà senza cattive intenzioni? Non importa: le risorse non ci sono più, né le pubbliche né le altre. Ho detto risorse: nel mio mestiere quotidiano di capo della banca, e in quello di tutti coloro che non ringrazierò mai abbastanza di essere così efficienti e bravi nel mestiere che fanno, c’è una cosa che ci avvelena tutte le volte che concediamo un prestito, anche se sappiamo che l’abbiamo concesso quando magari Intesa Sanpaolo non l’avrebbe concesso perché ha criteri di valutazione un po’ diversi dai nostri. Anche quando sappiamo, e lo sappiamo, che quei soldi torneranno indietro con i loro interessi e pure coi tempi giusti, nel Paese dei ritardi generalizzati, perché nell’esperienza di Banca Prossima – ve l’ho detto – c’è meno dell’1% di ritardo nelle restituzioni di denaro. C’è una cosa però che ci fa andare a letto col mal di pancia, e sapete qual è? Il fatto che il denaro che noi forniamo alle organizzazioni del Terzo Settore è denaro che costa tanto. Ma costa tanto a loro perché costa tanto a noi. E quando mettiamo del denaro a disposizione delle organizzazioni del Terzo Settore, quelle organizzazioni scontano un costo del denaro che è molto alto: questo dipende dallo spread e da mille cose più grandi di noi. Allora, guardate quanto è forte l’incontro col Terzo Settore. Dall’esperienza quotidiana della nostra vita col Terzo Settore, abbiamo imparato una cosa: quello è un argomento contro il quale andare, sul quale lavorare, cercare di ridurre il costo del denaro, cosa apparentemente impossibile, perché è una delle caratteristiche fisse del sistema. Non è fissa: è fissa secondo una visione vecchia, non è più fissa secondo una visione nuova. Abbiamo inventato un modello in base al quale il denaro viene prestato non solo dalla banca che continuerà a prestarlo ad alto costo, perché lo compra al 5% e lo vende mettendoci sopra il suo costo di trasformazione, come fa un falegname che compra le tavole e, se le tavole costano tanto, i mobili costeranno tanto. Invece di fare questo, la banca valuta che un’operazione, un finanziamento sia sostenibile, è pronta ad erogarlo, e a questo punto l’organizzazione non profit può cercare nei cittadini dei prestatori individuali sotto la garanzia della banca.
Vi faccio un esempio, associazione Cometa, che fa parte della Compagnia delle Opere: sono cari amici di Como che si occupano di recupero di ragazzi che stanno fuori dal percorso scolastico. Hanno iniziato con noi un rapporto da tanto tempo: a un certo punto, durante questo rapporto, si rende necessario un investimento. Quest’investimento cuba 900mila euro. La banca è pronta a fare questo prestito, il costo è di circa l’8,5% – vedete, sono partito altissimo e sono arrivato a parlare di interessi, ma è giusto così -. 8,5% vuol dire 75mila euro l’anno di interessi, ed è normale che un’organizzazione abbia il mal di pancia di fronte a un impegno del genere, vorrebbe occuparsi d’altro, vorrebbe occuparsi della sostenibilità di quello che sta facendo, non della sostenibilità del costo del denaro, che dipende solo in parte dalla banca. E allora, come si fa? Con questo nuovo schema si fa così: che in parte i soldi li presta la banca, in parte li prestano i cittadini. E siccome i cittadini a Cometa ci tengono, va a finire che questo denaro, invece che costare così tanto, costa molto di meno, perché è il cittadino che presta direttamente denaro a Cometa, lo presta a condizioni che non sono economiche, non hanno a che fare con la provvista, lo spread, tutte queste belle, giuste parole, ma hanno a che fare con il rapporto individuale tra quella persona e quella organizzazione. E una persona può trovare convenientissimo prestare denaro anche a tasso zero, se vuole, se crede in un’organizzazione. Insomma, per dirla in soldoni, invece che pagare 75mila euro, gli amici di Cometa ne spendono a malapena 25. E i cittadini che hanno prestato denaro hanno una garanzia da parte della banca per cui non lo perdono. Quindi, vedete che mentre si trascina un po’ penosamente il film della Borsa del sociale, in cui il cittadino potrà investire… Però il problema è: come farà ad avere un ritorno economico, se il soggetto sul quale investe non può dare dividendi? Perché questa è la regola del non profit. Proviamo a farlo così, nell’esperienza quotidiana si può fare. Ci può essere una persona che presta denaro a un’organizzazione, all’1%, se ritiene, e sa di non perdere il capitale perché glielo garantisce la banca. Questi sono schemi nuovi e anche la banca è stata portata a fare una cosa per la quale, apparentemente non c’è ragione. Perché, di nuovo, il confronto è non tra grandezze concrete ma tra i limiti di questa concretezza soffocante nella quale ci muoviamo ogni giorno, e i non limiti di tutto il resto. Grazie.
MONICA POLETTO:
Ringrazio il dottor Morganti perché ci ha dato effettivamente moltissimi spunti decisamente interessanti. Mi permetto di coglierne uno, anche per l’accoratezza con cui ce l’hai sottolineato. “I controlli non sono insufficienti, sono inefficaci” hai detto. Penso che tanti di noi che gestiscono, che operano in realtà sociali, in opere sociali, siamo pieni di controlli che non servono a niente. Noi vogliamo essere controllati sulla qualità sociale che viene prodotta. Neanche in Europa c’è un sistema di valutazione ex-post, l’unico sistema di valutazione veramente efficace, perché noi stessi ci rendiamo conto che tutta la nostra idealità è autentica ed è profondamente se stessa se riesce ad arrivare a produrre qualità sociale. Questo è realmente un punto su cui ci aspetta un importante cambiamento di rotta, anche dal punto di vista legislativo, perché su questo, io mi rendo conto che chi realmente opera desidera una valutazione. Ma se formo ragazzi, voglio essere valutata sul fatto che questi ragazzi trovino lavoro. Per cui, ti ringrazio molto, hai dato tantissimi altri spunti che sono interessanti e che avremo modo di dibattere e riprendere.
Do prontamente la parola al Vicepresidente della Commissione Europea, alla mia destra, al quale chiedo di portarci il punto di vista dell’Europa sul tema, perché ci rendiamo conto che si muovono tantissimi cose. Cosa si muove? Cosa è veramente interessante? Cosa pensa l’Europa? Come vede l’Europa il non profit? E quali opportunità si aprono per noi? Vicepresidente Tajani, grazie per il suo intervento e per la sua presenza tra di noi.
ANTONIO TAJANI:
Grazie a voi che mi date la possibilità di spiegare quello che stiamo facendo e perché lo stiamo facendo, a sostegno di un settore che svolge un ruolo sociale ma anche economico importante. Noi partiamo da un principio che è un po’ la nostra stella polare in economia, che è l’economia sociale di mercato, come ricordava Guerini nel corso del suo intervento. Per cui, il nostro compito, per creare benessere per i cittadini, è sviluppare il mercato con l’obiettivo di fare politica sociale. Non un mercato fine a se stesso, ma un mercato che ha come obiettivo ultimo il cittadino. Nell’ambito di questo mercato, il mondo del non profit rappresenta una fetta importante di una sussidiarietà orizzontale che a volte si sostituisce a carenze del pubblico per i servizi che diventano quindi servizi pubblici, anche se sono svolti da un privato. Pensiamo a chi esce da una dipendenza, pensiamo ad anziani, disabili: trovare una occupazione per queste persone significa svolgere un ruolo sociale. C’è una domanda crescente in una società dove c’è un invecchiamento costante, una forte presenza di immigrati – non sempre integrati – che, se vogliamo evitare che vadano a delinquere o finiscano nelle mani della camorra, è bene trovino occupazione. Da questo punto di vista, il non profit torna ad essere veramente utile alla società. Quindi, una doppia veste: economia sociale di mercato – creazione di occupazione -, ma anche svolgimento di un compito a livello di sussidiarietà orizzontale. Sussidiarietà che è un altro principio fondante della nostra Unione Europea. Noi abbiamo considerato queste attività, e quindi tutte le imprese che lavorano in questo settore, come imprese normali. Non è un caso che nello Small Business Act si dica in maniera molto chiara qual è il ruolo che ha questo tipo di impresa. Facendo riferimento allo SBA, voglio tranquillizzare Morganti per quanto riguarda il fenomeno vergognoso del ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Entro marzo del prossimo anno, deve essere obbligatoriamente recepita in tutta l’Unione Europea la direttiva sul ritardo dei pagamenti che impone il pagamento entro 30-60 giorni al massimo nel settore della sanità, con una sanzione che il giorno successivo perde l’incremento dell’8%. Il Ministro Passera mi ha garantito che entro novembre l’Italia recepirà anzitempo la normativa comunitaria, in modo che questo permetta a tante imprese – lo ricordavo stamattina nel corso del dibattito sull’Europa -, incluse quelle del non profit, di sopravvivere e non essere strangolate dal ritardo dei pagamenti da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni. Per noi, inquadrare tutta questa grande realtà del non profit nella strategia dell’Europa 2020, significa fare anche una scelta politica. Lo ricordava Guerini, c’è stato obiettivamente un cambiamento nella politica industriale, nella politica imprenditoriale, che abbiamo voluto imprimere perché siamo assolutamente convinti, per motivi culturali ma anche per motivi economici, dell’importanza di questo settore.
Voglio leggervi qualche dato: in Europa abbiamo circa 160.000 cooperative dove lavorano più o meno 5 milioni di persone. In Italia, l’occupazione nel settore è cresciuta del 3% nel 2010, in Francia il tasso di sopravvivenza delle cooperative di lavoro dopo 3 anni è del 74%, a fronte di una media generale nazionale del 66%. Anche in Germania è in costante espansione questo settore, quindi per noi diventa anche importante la possibilità di diversificare diversi settori di impresa. Nel Dna delle cooperative c’è anche molta innovazione, quindi un elemento importante per la crescita della nostra economia, per la competitività della nostra economia. Individuare possibilità di creazione di occupazione per alcune categorie significa apportare un elemento di novità. Anche il sostegno che diamo alle banche di credito cooperativo, che abbiamo sempre coinvolto in tutte le nostre iniziative per l’accesso al credito ma anche per la internazionalizzazione. Le banche di credito cooperativo italiane mi hanno accompagnato anche nei viaggi sulle internazionalizzazione delle nostre imprese. Anche qui, l’incremento del credito cooperativo dimostra la vivacità del settore, non soltanto da noi. Nel Regno Unito, il credito ha quadruplicato in un anno, tra il 2009 e il 2010, la quota di mercato, passando dall’1,2 al 5%. Non devo dirlo a Morganti ma lo dico a voi: da noi, negli ultimi cinque anni, il sistema delle banche di credito cooperativo ha avuto un incremento del 49% dei depositi e del 60% dei prestiti, addirittura del 17% dell’occupazione. Quindi, anche la parte accesso al credito del mondo non profit crea occupazione: è un circolo virtuoso, non vizioso. Noi dobbiamo continuare a lavorare per sostenere questo settore. L’abbiamo sottolineato nello Small Business Act, dando rilievo politico alle imprese non profit; poi, a fine ottobre dello scorso anno, abbiamo adottato questa iniziativa per l’imprenditoria sociale che porta la firma dei Commissari Barnier, Andor e mia, che ha una serie di misure che puntano proprio a sostenere il mondo dell’imprenditoria sociale. Sono tre, sostanzialmente, i settori che noi cerchiamo di coprire: le misure per migliorare l’accesso ai finanziamenti, le misure per migliorare la visibilità dell’imprenditoria sociale e le misure per migliorare il contesto giuridico. Per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti, il testo che noi abbiamo presentato prevede una proposta di regolamento che il Parlamento Europeo ha già discusso. Voi sapete com’è l’iter legislativo dell’Unione Europea: proposta della Commissione e approvazione del testo proposto dalla Commissione, che ha iniziativa legislativa, dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, cioè dagli Stati membri. Ecco: questa proposta di regolamento per restituire un quadro normativo europeo che consenta la creazione di fondi di investimento solidale, è già stata discussa dal Parlamento. Ancora, lo sviluppo del microcredito: le discussioni sono in corso, ma ci sono già tanti progetti che aiutano il microcredito. Vogliamo incrementarli e prevediamo, sempre nell’ambito di queste iniziative, uno strumento speciale europeo da circa 90 milioni di euro, nell’ambito del Fondo Sociale Europeo, per sostenere l’investimento nelle imprese sociali. E’ già stato discusso dal Parlamento e dal Consiglio, speriamo che possa essere approvato presto. Poi, l’introduzione di una disposizione ai regolamenti dei Fondi strutturali per il sostegno permanente alle imprese sociali. Abbiamo presentato la proposta contemporaneamente alla iniziativa madre. Le misure per migliorare la visibilità dell’imprenditoria sociale sono una serie di azioni. Una prevede l’elaborazione di una mappa completa delle imprese sociali in Europa, con statuto giuridico e fiscalità; un’altra, la creazione di una banca dati di reti kid, certificazioni applicabili alle imprese sociali – ci stanno lavorando gli esperti -, il rafforzamento delle competenze delle amministrazioni nazionali e regionali in tema di sostegno alle imprese sociali – anche su questo stiamo lavorando -, e la creazione di una piattaforma elettronica di informazione unica e multilingue, relativa all’accesso ai programmi dell’Unione (Erasmus, Erasmus per i giovani imprenditori, tempo, gioventù): anche per questo stiamo elaborando il testo.
Per quanto riguarda il contesto giuridico, abbiamo deciso di esaminare l’opportunità di una semplificazione del regolamento sullo statuto della società cooperativa europea per promuoverne una maggiore utilizzazione. Fino ad oggi ne abbiamo soltanto 24 casi, che sono veramente pochi, però ritengo che, avendo una normativa più conosciuta, più agile, si possa arrivare ad un incremento del numero. Poi, vorremmo proporre un regolamento che istituisca lo Statuto della fondazione europea, vogliamo avviare uno studio sulla fondazione delle mutue, e ci stiamo già lavorando: riformare le regole degli appalti pubblici per valorizzare maggiormente l’elemento sociale nelle aggiudicazioni dei contratti (la proposta su questo è stata già discussa dal Consiglio e dal Parlamento). Vogliamo semplificare l’applicazione delle regole in materia di aiuti di Stato ai servizi sociali e ai servizi locali. Voi sapete che il tema dell’aiuto degli Stati è sempre molto complicato e crea molti problemi alle imprese, ma la proposta è già stata presentata alla fine dello scorso anno. Vogliamo finanziare negli Stati membri azioni per la raccolta di elementi e di dati sulle imprese sociali, in modo da avere un quadro complessivo dell’impatto europeo. Poi vogliamo valutare la fattibilità di idee relative ai fondi dormienti, ai brevetti non utilizzati, alla fiscalità e alla tutela delle risorse indivisibili. In più, c’è tutto il lavoro che sta facendo il gruppo di esperti della nostra Commissione Europea sulle imprese sociali. Guerini ne sa più di me, perché ci lavora intensamente: credo che siamo riusciti già a dare un segnale, costituendo il gruppo dell’importanza che, per la Commissione Europea, per le istituzioni comunitarie, riveste un settore del quale si parla e si discute poco.
E’ vero che abbiamo organizzato anche una serie di eventi a Bruxelles per sottolineare l’importanza del settore, però dovremmo fare ancora di più in termini di comunicazione. Ben venga il dibattito di oggi al Meeting, perché non tutti sanno l’importanza sociale ma anche economica che riveste il settore. A volte, per molti, si tratta di un settore che riguarda soltanto la beneficenza, ma non è soltanto questo, anzi. Certo, l’aspetto umano è importantissimo: ricordiamo sempre che la persona è la prima cosa alla quale noi guardiamo, ma accanto all’aspetto umano e solidale c’è un aspetto economico importante, Non a caso, ho sottolineato tutti i dati che riguardano la nostra Unione Europea per quanto riguarda l’occupazione che dà questo settore, che non va sottovalutato perché, quando abbiamo un panorama di politica industriale, di politica imprenditoriale (cioè, sostenere l’economia reale), dobbiamo tenere presente, quando studiamo delle strategie di sostegno politico o anche di agevolazioni di tipo finanziario, qual è l’impatto che hanno per la creazione di occupazione e di risultati economici.
Aldilà dell’aspetto etico – o morale, per chi è credente – il non profit svolge un ruolo a favore della crescita economica, come ricordava la Poletto nel corso della sua presentazione. E a noi, da un punto di vista proprio statistico, non può passare inosservato quanto faccia questo settore per il benessere della nostra comunità. C’è tutto il discorso sulle cooperative, sulle mutue, sulle associazioni, sulle stesse banche: ecco, coinvolgere il mondo del non profit anche in alcune iniziative di internazionalizzazione, può essere certamente interessante. Io sto lavorando per fare in modo che non soltanto le grandi ma anche le piccole e medie imprese possano esplorare nuovi mercati, non soltanto dal punto di vista politico-commerciale ma anche di politica imprenditoriale. Credo che da questo punto di vista, anche il mondo del non profit possa seguire con attenzione l’aspetto dell’internazionalizzazione. C’è una comunicazione della Commissione Europea che va proprio in questa direzione. Ritengo che, parlando di Italia – proprio per la grande esperienza che c’è -, andare in realtà diverse da quella europea possa essere qualche cosa di positivo, si possa insegnare a creare anche lì delle realtà non profit che generino benessere, oltre a svolgere un’azione sociale. Penso a quello che si può fare in Africa, in Sudamerica, in altre realtà, dove abbinare l’aspetto sociale all’aspetto economico. Come sapete, per quanto riguarda l’accesso al credito, noi abbiamo lanciato questo S.M.E. Financial Forum dove anche il vostro mondo è rappresentato, c’è il grande tema dell’accesso al credito, quello dovuto ma anche quello sperato, e ritengo che l’aspetto delle buone idee debba essere anche da noi protetto, tutelato e incentivato.
Questo è il quadro generale, le cose che abbiamo fatto e che intendiamo fare. Operativamente, i nostri uffici della Commissione Europea a Roma, a Milano, la mia direzione generale e il mio gabinetto, sono a disposizione per fornire informazioni (ma avete Guerini, che potrebbe fare il direttore generale. per la conoscenza che ha, e anzi lo ringrazio per il contenuto di contributi che dà alla Commissione) e fornirvi tutte le possibilità di accesso al credito, che spesso magari sono nascoste. Ci sono anche altre opportunità che non riguardano il non profit – pensiamo al microcredito – ma che possono essere utilizzate dal non profit. Nella parte delle piccole-medie imprese, ci sono tante cose che non sono per il non profit. Ma il non profit, essendo stato inserito da noi a pieno titolo nello Small Business Act dalle istituzioni comunitarie, è tutelato per quanto riguarda la sua partecipazione ai bandi e ai finanziamenti non specifici. Le porte sono spalancate, perché c’è un doppio risultato, quello economico ma anche quello sociale: persone che erano vittime di dipendenza possono riscoprire la propria dignità, che nella vita è la cosa che conta di più. Vi ringrazio.
MONICA POLETTO:
Grazie veramente al vicepresidente Tajani, mi permetto di ringraziarlo soprattutto per il suo enorme pragmatismo. Questa apparentemente arida elencazione di interventi è di una utilità straordinaria per noi, per cui la perché, tra le righe, possiamo leggere tantissime possibilità di sviluppo del lavoro veramente importante che si sta facendo in ambito di Commissione Europea. A questo punto saluto tutti, mi segnalano un avviso per un cambiamento di programma: l’incontro Lavoro e crescita, che vede la partecipazione del Ministro Fornero, si terrà nella giornata di domani, alle 11.15 in sala A3. Ringrazio di nuovo tutti voi per la importante partecipazione e i nostri relatori. Grazie.