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IL MITO DELLA VIOLENZA RELIGIOSA
Partecipano: William Cavanaugh, Professor of Catholic Studies at DePaul University, Chicago; Ibrahim M. M. Shamseddine, Fondatore dell’Imam Shamseddine Foundation for Dialogue di Beirut; Paola Vismara, Docente di Storia della Chiesa all’Università degli Studi di Milano. Introduce Emanuele Colombo, Assistant Professor of Catholic Studies at DePaul University, Chicago
IL MITO DELLA VIOLENZA RELIGIOSA
Data:
Giovedì, 23 Agosto 2012
Ora:
Ore 15.05
Partecipano:
William Cavanaugh, Professor of Catholic Studies at DePaul University, Chicago; Ibrahim M.M. Sahmseddine, Fondatore dell’Imam Sahlmseddine Foundation for Dialogue di Beirut; Paola Vismara, Docente di Storia della Chiesa all’Università degli Studi di Milano.
Moderatore:
E. Colombo (non è indicato il moderatore sul libretto del programma)
MODERATORE
Buon pomeriggio a tutti, benvenuti. L’incontro di oggi connesso con il titolo del meeting: la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito o, come a ricordato un bell’incontro di qualche giorno fa qui a Rimini, l’uomo è per sua natura religioso, “homo religiosus”.
Oggi vorremmo analizzare, attraverso 3 diverse prospettive un’idea diffusa, soprattutto in occidente, secondo cui le religioni sarebbero per natura fonti di violenza. Si tratta di una idea che viene spesso utilizzata direi come un postulato, un’idea che non ha bisogno di dimostrazioni, un’idea auto evidente, da cui il titolo dell’incontro: il mito della violenza religiosa. Il mito è una affermazione che non si sottomette al vaglio delle prove, del dibattito, della discussione, ma che si propone come vera. Prima di dare la parola ai nostri illustri ospiti vorrei fare piazza pulita da possibili equivoci. Lo scopo dell’incontro non è affermare che la religione non può essere usata come strumento di violenza, che non sia mai stata usata come strumento di violenza. Quello che vogliamo mettere in discussione è l’dea secondo cui la religione avrebbe nel DNA, nella sua natura, la tendenza alla violenza. Nel mondo anglosassone, e cominceremo proprio col mondo anglosassone questo percorso, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, sono stati pubblicati una serie di libri dei cosiddetti nuovi atei. Sono veri e propri best seller, pubblicati all’inizio in inglese ma poi tradotti in varie lingue anche in italiano, magari ricordate qualche titolo: “L’orologiaio cieco”, “L’illusione di Dio”, “La fine della fede”, “Dio non è grande”, “Rompere l’incantesimo”, sono libri che hanno venduto moltissimo. Partendo da diverse prospettive, la prospettiva scientifica, sociologica, storica, filosofica, l’idea di fondo di questi libri è: un mondo senza religione sarebbe un mondo più bello e meno violento. Recentemente Oxford University Press ha pubblicato un libro da cui abbiamo rubato il titolo di questo incontro: The mith of religious Violence, il mito della violenza religiosa. Questo libro fa una sorta di radiografia del mito, come è stato creato, chi l’ha creato, perchè è stato creato. Abbiamo la fortuna di avere con noi l’autore di questo libro che accogliamo al meeting, il professor William Cavanaugh, grazie di essere qui….il professor Cavanaugh è specializzato in teologia politica, ha insegnato in varie università degli stati uniti, attualmente insegna in una splendida università, la DePaul University di Chicago. Gli chiederei nel suo intervento che cosa è secondo lui il mito della violenza religiosa, come è nato, chi l’ha voluto e quale è il suo scopo.
WILLIAM CAVANAUGH
Tante grazie per questa gentile introduzione di Emanuele e grazie a tutti quanti voi per essere intervenuti. È la prima volta che partecipo al meeting e sono stato veramente impressionato dalla profondità degli argomenti. Quindi grazie per l’invito. Mi scuso fin dall’inizio per il fatto che non parlo italiano, lo stò ancora imparando, lo conosco abbastanza per riuscire ad ordinare al ristorante e questo è già importante. Recentemente ho fatto una presentazione dal tiolo “la religione causa violenza?” in una università del nostro paese e praticamente ho visto un poster lì in università che annunciava la presentazione dove qualcuno aveva scarabocchiato le parole: che scoperta! Che volpe! E questo ci dice tanto secondo me relativamente a come questa idea viene concepita e accettata nel mondo occidentale. Tutti quanti sanno che la religione ha una tendenza pericolosa a promuovere la violenza e questa storia fa parte della saggezza convenzionale delle società occidentali, se ne sente parlare ovunque, dai politici ai giornalisti, fino ai teenager e vorrei oggi darvi una panoramica breve delle argomentazioni del mio libro dove sfido la saggezza convenzionale. Vorrei essere chiaro fin dall’inizio cioè la mia argomentazione non può essere utilizzata per scusare il cristianesimo o l’islam o altre fedi da una analisi attenta date certe condizioni possono fare e contribuire alla violenza ma quello che è implicato nella saggezza convenzionale è che il cristianesimo, l’islam e altre fedi sono più inclinate verso la violenza rispetto ad ideologie ed istituzioni che vengono identificate come secolari. Perché l’accusa alla religione regga, la religione deve essere contrastata con qualche cosa meno prono alla violenza cioè secolare. Quindi la tesi che sosterrò è questa: non c’è buon motivo per pensare che le ideologie religiose e le istituzioni religiose sono più intrinsecamente inclini alla violenza delle cosiddette ideologie e istituzioni secolari. E poi dirò che questo avviene perché non c’è una differenza essenziale tra religioso e secolare. Le persone trattano tutte le cose secolari come le loro religioni, la distinzione religioso-secolare è una distinzione inventata, non fa parte di come le cose sono, vedremo alcuni motivi politici per cui queste categorie sono state inventate nell’occidente moderno, e mostrerò che l’idea che qualcosa chiamata religione sia essenzialmente portatrice di violenza è una giustificazione ideologica volta a giustificare la violenza dei cosiddetti ordini secolari. Cominciamo quindi con uno dei più famosi atei di oggi, lo scomparso Christopher Hitchens. Il suo best seller “Dio non è grande” è sottotiloato, con un tipico understatement britannico, “come la religione avvelena ogni cosa”. Qui l’autore fa riferimento a storie di abusi da parte di cristiani, ebrei, confucianisti e così via però affronta anche il fatto che regimi rigidamente atei come quelli di Josef Stalin sono responsabili di decine di milioni di morti e Hitchens affronta questo piccolo problema dicendo che i regimi atei come quello di Stalin sono pure religiosi. Il totalitarismo è essenzialmente un impulso religioso, secondo Hitchens, la religione avvelena tutto perché tutto quello che è avvelenato o velenoso viene identificato come religione. Contemporaneamente tutto quello che è buono va a finire dall’altra parte del divario religioso-secolare. Hitchens dice per esempio di Martin Luther King Junior per nessun verso reale o simbolico era un cristiano. Hitchens ha basato questa notevole conclusione sul concetto che King era non violento, quello che non è violento non può essere religioso perché la religione viene definita come violenta. Hitchens è utile perché mostra che quello che conta come religione e quello che non conta come religione è molto fluido e molto spesso dipende dall’agenda politica che si persegue. Hitchens non è assolutamente da solo in questo, se si esaminano le argomentazioni secondo cui la religione promuove la violenza si trova che quello che conta come religione e quello che non conta è abbastanza incoerente. Considerate il caso dell’eminente storico Martin Marty. In un libro sulla religione pubblica Marty dice che la religione ha una tendenza particolare a creare divisione e quindi ha essere violenta ma Marty elenca 17 diverse definizioni di religione e poi si scusa della propria definizione visto che come dice gli studiosi non saranno mai d’accordo sulla definizione di religione. Invece Marty indica un elenco di 5 caratteristiche che caratterizzano la religione e poi procede a far vedere che la politica ha tutte e cinque queste caratteristiche. La religione si concentra sulla nostra ultima preoccupazione, così anche la politica, la religione costruisce una comunità e anche la politica. Marty cerca di dimostrare che religione e politica sono strettamente intercorrelate ma alla fine demolisce qualsiasi base teorica per separare le due cose. Atro esempio, il sociologo Mark Jurgensmeyer, il cui libro “terroristi in nome di Dio” forse è il libro accademico più influente sulla religione e violenza, ecco, questo autore, Jurgensmeyer dice che la religione esacerba la tendenza a dividere la gente tra amici e nemici facendo crescere le divisioni a livello cosmico, però scrive anche che il nazionalismo secolare,come la religione, abbraccia quello che uno studioso chiama la dottrina del destino. Si può guardare in questo modo il nazionalismo secolare facendo un passo avanti e dire in modo piatto che il nazionalismo secolare è di fatto una religione.
Questa è una concessione in quanto la sua asserzione è che il secolare è una sorta di forma avanzata di religione. Se è vero tuttavia, questo sovverte l’intera base della sua argomentazione che è l’ampia divisione tra violenza religiosa e secolare. Per alcuni teorici di religione e violenza la confusione attorno al divario religioso-secolare si risolve espandendo la definizione di religione, includendo ideologie e pratiche in genere denominate secolari. Nel libro “perché le persone fanno cattive cose nel nome della religione”, Richard Wentz include la fede nella tecnologia, l’umanesimo secolare, il consumismo, il fanatismo scientifico e tutta una serie di altre cose come religioni. Wentz è costretto a dire: forse tutti quanti noi facciamo cose cattive nel nome della religione.
La parola religione nel titolo di questo libro va connotare qualsiasi cosa che le persone fanno e che dà alle loro vite un ordine e un significato.
Wentz, Hitchens, Jurgensmeyer e altri, non necessariamente sbagliano a includere le cose cosiddette secolari nella categoria di religione, Cè una vasta letteratura sul marxismo come religione, per esempio,c’è questo confronto tra cristianesimo e marxismo, vediamo certe analogie con il cristianesimo. C’è un ampio corpo o gruppo di studiosi che esplora la prevalenza della religione civile negli Stati Uniti. Qui abbiamo il modo in cui i bambini americani mostravano fedeltà alla bandiera americana prima che questo gesto fosse reso impopolare da Hitler. Questa è l’immagine che io volevo per la copertina del mio libro però la Oxford University Press ha pensato che sarebbe stata un po’ troppo provocatoria. Altre immagini abbastanza simili…sentite la sua mancanza no? Altri esempi di religione civile…qui abbiamo quello che è dipinto nella cupola del Campidoglio negli Stati Uniti, a Washington, è l’apoteosi di Washington praticamente il modo in cui Washington viene resa divina, vediamo l’ascesa al cielo tra tutte queste figure mitologiche. Carolyn Marvin sostiene che il nazionalismo è la religione più potente degli Stati Uniti e forse anche in tantissimi altri paesi. Uno studio della letteratura religiosa permette di trovare quanto segue sotto la voce “Religione”: totem, stregoneria, diritti dell’uomo, marxismo, liberalismo, freudianismo, cerimonia del tè giapponese, nazionalismo, fanatismo sportivo, ideologia del mercato libero, alcoolisti anonimi e tutta una serie di altri istituzioni e pratiche. Se si obbietta che la religione riguarda il credere in Dio, allora bisognerebbe eliminare certi sistemi di credenza che in genere prendono il nome di religione tipo Taoismo, confucianesimo, tante forme di buddismo che non hanno un concetto centrale di Dio o di divinità. Se la definizione di religione si espande e va ad includere questi sistemi di credenza alla voce trascendenza o un termine molto più ampio, allora tutte le pratiche tra cui tante che in genere vengono etichettate come secolari rientrerebbero nella definizione di religione. Tante istituzioni ed ideologie che non esplicitamente fanno riferimento a Dio o divinità, funzionano allo stesso modo in cui funzionano quelle che invece vi fanno riferimento. Espandendo il concetto della religione a includere il buddismo che non ha un Dio, rende difficile escludere il marxismo che pure non lo ha. Questa idea non è un abile esercizio accademico post moderno, è semplicemente l’idea biblica che le persone siano naturalmente predisposte alla donazione e il culto rientra in tutta una serie di cose tipo i vitelli dorati e il dio denaro che non sono Dio. Quello che sostengo è semplicemente la critica biblica dell’idolatria. Persone trattano tutte le cose come i propri dei o le proprie religioni come dice Paolo ai Filippesi: per alcuni il ventre è come il proprio dio.
Questo è particolarmente importante per quanto riguarda la questione della violenza. C’è qualche buon motivo per supporre che le persone hanno una maggiore probabilità di uccidere per un dio che per una nazione? Oppure facciamoci altre due domande più specifiche: che percentuale di americani che si identificano come cristiani sarebbero disposti ad uccidere per la loro fede cristiana? Che percentuale sarebbe disposta ad uccidere per il proprio paese? Sembra chiaro che almeno, tra i cristiani americani, lo
stato-nazione è oggetto di molto più fervore assolutista rispetto al cristianesimo. Dobbiamo concludere che non c’è modo coerente di isolare le ideologie religiose con una tendenza specifica verso la violenza dalle più deboli parti secolari. Le cosiddette ideologie secolari e istituzioni secolari come il nazionalismo e il capitalismo, possono ispirare tanta violenza quanta la cosiddetta religione. Il problema di Hitchens non è che lui pensa che lo stalinismo sia una religione, il problema è che se vuole utilizzare una definizione così espansa e funzionalista della religione lo deve fare in maniera coerente, ma non lo fa.
La religione civile americana è secolare per Hitchens, la distinzione tra secolare e religioso non è nulla di più che la distinzione tra le cose che a Hitchens piacciono e quelle che gli piacciono. Ora il problema non è che il concetto di religione abbia dei limiti confusi, il problema è che le definizioni implicite della religione, usate nelle argomentazioni religione-violenza sono ingiustificatamente chiare relativamente a che cosa o che cosa non si qualifica come religione. Certi sistemi di credenze tipo l’islam, vengono condannate mentre altre, tipo il nazionalismo sono ignorate. La divisione religioso-secolare è come un bersaglio che si sposta, invece le argomentazioni religione-violenza fanno finta che non lo sia. Il mio punto è che la religione è una categoria costruita in diverse modalità in diversi luoghi e tempi a seconda degli interesse di chi fa questa costruzione. Per capire perché c’è così tanta confusione nella categoria della religione dobbiamo esaminarne la storia.
Non c’è stata religione considerata come qualcosa separabile dalla politica fino all’era moderna, soprattutto nell’occidente. I romani avevano il termine “religio” però non c’era distinzione tra religione e politica, e come poteva esserci questa distinzione se Cesare stesso era considerato un dio? Il termine “religio” copriva tutti i doveri civili e le azioni di rispetto che avremmo considerato secolari. Come dice Sant’Agostino non abbiamo il diritto di affermare con sicurezza che la religione sia confinata al culto divino dato che sembra che questa parola sia stata staccata dal suo normale significato in cui fa riferimento a un atteggiamento di rispetto nelle relazioni tra un uomo e il suo prossimo. Nell’era medievale la distinzione religioso-secolare è stata utilizzata esclusivamente per distinguere tra il clero appartenente ad un certo ordine e il clero diocesano. Non vi era ambito di ricerca secolare a cui Dio fosse indifferente anche se c’era distinzione tra autorità civili ed ecclesiastiche, non c’era distinzione tra politica e religione così come la intendiamo noi. La distinzione religioso-secolare così come la conosciamo oggi, è stata una creazione delle lotte moderne di potere tra le autorità ecclesiali e civili. Nella creazione dello stato sovrano moderno tra il XVI e XVII secolo la religione è stata inventata come un impulso universale interiore e privato essenzialmente separato dalla politica e altre preoccupazioni secolari. Quindi l’area di preoccupazione propria della chiesa era essenzialmente estranea alla politica. La distinzione religioso-secolare è stata successivamente esportata a culture non occidentali durante il processo di colonizzazione. Wilfred Cantwell Smith scrive che non c’è un concetto equivalente alla religione in nessuna cultura che non sia stato influenzato dall’occidente moderno. Non c’è un concetto di questo genere nella Grecia antica, in Egitto, in Cina, in India, o in qualsiasi altra parte del mondo antico. Nei loro primi incontri con il mondo non occidentale gli esploratori europei hanno riferito con una coerenza notevole, che i nativi non avevano religione. Una volta colonizzati tuttavia, la categoria religione è diventato uno strumento potente per la classificazione delle culture native, come essenzialmente distinte dal business del governo. L’induismo per esempio, un termine per la prima volta utilizzato nel 1829 è diventato una religione nel corso del XIX secolo malgrado il fatto che includeva tutto il modo di vivere indiano, tutto quello che avremmo incluso in cultura, politica, religione ed economia. Se sotto il dominio britannico l’induismo era una religione, allora essere indiano era qualcosa di privato ed essere britannico voleva dire essere qualcosa di pubblico. Ecco perché i sostenitori contemporanei del nazionalismo indù respingono la classificazione dell’induismo come religione. Come scrive Richard Cohen, i sostenitori dell’ Hindut bah (?)(non sono certa del termine) si rifiutano di chiamare religione l’induismo, proprio perché vogliono enfatizzare il fatto che l’induismo è più di credenze interiorizzate, è qualcosa di politico, sociale, economico e familiare. Per analoghe ragioni il governo cinese esclude il confucianesimo dal suo elenco ufficiale delle religioni cinesi. Nel suo libro “L’invenzione delle religioni nel mondo” Tomoko Masuzawa conclude: questo concetto di religione come fenomeno generale transculturale è palesemente infondato. Non viene da nulla e non ci sono modalità credibili per dimostrare la sua sostanzialità fattuale ed empirica. In altre parole la distinzione religioso-secolare non è scolpita nella natura delle cose, è piuttosto una distinzione utilizzata nelle società occidentali o occidentalizzate per emarginare certi tipi di credenza e di pratiche e autorizzarne altre. Per concludere, se la saggezza convenzionale secondo cui la religione causa violenza è così incoerente perché è così prevalente? Credo che sia perché noi nell’occidente troviamo utile, sia nella politica interna che estera, avere questo atteggiamento. Nella vita interna degli Stati Uniti il mito della violenza religiosa ha svolto un ruolo importante nell’emarginare il cristianesimo dalla piazza pubblica. Fino agli anni ’40 la religione è stata accettata nelle cause della corte suprema come avente un effetto sociale unificante. A partire dagli anni ’40 invece la religione ha cominciato ad essere vista come una forza sociale che causava divisione e pericolosa e il mito della violenza religiosa era accettato causa dopo causa e sono state vietate per esempio le preghiere a scuola, gli aiuti statali alle chiese cattoliche eccetera. La prima sentenza della corte suprema americana che ha fatto riferimento a questo mito e stata la causa “Minersville School district” contro “Gobitis” che ha confermato l’obbligo di giurare fedeltà alla bandiera americana. La corte sentenziò che i testimoni di Geova, che consideravano giurare fedeltà alla bandiera una idolatria potevano essere obbligati a farlo perché altrimenti minacciavano l’unità nazionale che era necessaria per salvare il paese dalla disgregazione e dai conflitti religiosi. Martin Marty discute questo caso e cita tanti esempi di testimoni di Geova che sono stati attaccati, messi alla gogna, castrati, imprigionati negli Stati Uniti negli anni ’40 proprio perché pensavano che i seguaci di Cristo non potevano rendere onore alla bandiera. Si potrebbe pensare che lui abbia tratto la conclusione ovvia, cioè che un nazionalismo con troppo zelo può causare violenza. Invece sorprendentemente Marty conclude: “divenne chiaro che la religione che ci può porre gli uni contro gli altri comporta rischi e può essere percepita come pericolosa. La religione può causare problemi nell’arena pubblica”. In questo modo il mito della violenza religiosa viene utilizzato per distogliere l’attenzione dalla violenza nazionalista e portarla invece sulla violenza religiosa anche se in questo caso i testimoni di Geova sono stati vittima della violenza piuttosto che autori. Un esempio dalla politica estera. La saggezza convenzionale ci aiuta a rinforzare e giustificare l’atteggiamento occidentale, le politiche occidentali, rispetto al mondo non occidentale, soprattutto i musulmani il cui punto di differenza principale rispetto all’ovest è il loro rifiuto ostinato di domare le passioni religiose nella sfera pubblica. Ironicamente il mito della violenza religiosa viene utilizzato per giustificare la violenza secolare tipo la guerra dell’Iraq. L’ateo Sam Harris per esempio dice: “alcune asserzioni sono così pericolose che potrebbe essere anche etico per uccidere delle persone perché ci si crede. Certe credenze mettono i loro fautori oltre il ricorso a qualsiasi mezzo pacifico di persuasione, ispirandoli invece a commettere atti di violenza straordinaria contro gli altri. In effetti in alcuni casi questo succede. Se non possono essere catturati, e spesso non vengono catturati, le persone altrimenti tolleranti possono essere giustificate nell’uccidere questi soggetti per autodifesa. Questo è quello che gli Stati Uniti hanno tentato in Afghanistan e questo è quello che noi e altre potenze occidentali devono cercare di fare a costo di mettere a repentaglio la vita nostra e di tanti innocenti. Continueremo a versare sangue in quello che è in ultima analisi una guerra di idee”. La logica di Harris è chiara, se persone religiose sostengono credenze irrazionali in maniera così fervente da fare violenza nel sostenerle allora non c’è nessuna utilità nel cercare di ragionare con loro, certe cose possono essere affrontate soltanto con la forza. Il libro di Harris è una versione particolarmente smussata di questo tipo di giustificazione dell’ intervento neo coloniale, ma non è isolato in questo. Il suo libro è stato un best seller per il New York Times, ha vinto il premio letterario “Pen” (PEN Award) nel 2005 per la non narrativa ed è sostenuto anche da delle super star accademiche tipo Alan Derschowitz (?), Richard Dokins (?) e Peter Singer (?). Di fatto la logica di Harris è un pochettino diversa in pratica rispetto alla dottrina di Bush secondo cui l’America ha accesso a valori liberal che sono giusti e veri per ogni persona in ogni società e che dobbiamo usare il nostro potere per promuovere questi valori in tutti i continenti e che l’America adotterà azioni militari preventive se necessario per promuovere questi valori. Non voglio nemmeno negare le virtù del liberalismo e nemmeno giustificare i difetti di altri tipi di ordini sociali. Quel che cerco di fare è mettere un po’ tutti alla pari in modo da esaminare la violenza che può essere generata dal concetto della Jihad ma anche la violenza che può essere generata dalle ideologie dei mercati liberi e dalle elezioni libere. Vorrei sfidare la dicotomia religioso-secolare che ci fa chiudere un occhio sulle forme liberal di imperialismo e violenza. Naturalmente la fedeltà a Dio o alle divinità può promuovere la divisione e la violenza però il modesto contributo del mio libro è semplicemente quello di dire che le cosiddette ideologie e pratiche religiose non sono essenzialmente diverse da quelle presumibilmente secolari quando si arriva alla questione di violenza e pace. La violenza secondo me si alimenta della necessità di corrispondenze binarie cioè noi rispetto a loro. Eliminare il mito della violenza religiosa significa eliminare una di queste corrispondenze e forse, magari far si che alcuni nemici diventino amici. Grazie.
MODERATORE:
Grazie. Ci sarebbe molto da discutere, magari dopo l’incontro, in un ambiente più fresco, potremmo farlo, mentre adesso, immediatamente, ci spostiamo in Europa per la seconda tappa. Vorrei ricordare che il caso italiano è un caso peculiare, il popolo italiano ha un rapporto speciale con la religione per la presenza della Chiesa di Roma e questo ha favorito la nascita di una corrente storiografica tutta italiana che ha sviluppato lo studio della storia della Chiesa, in particolare l’età moderna, il periodo del Concilio di Trento, il periodo immediatamente successivo al concilio di Trento, considerando questo periodo centrale per lo sviluppo della nostra storia, per lo sviluppo della nostra tradizione. Il tema della violenza religiosa in questo caso torna molto spesso, basti ricordare la parola inquisizione, ci sono studi ricchissimi sul tribunale dell’inquisizione, la censura libraria, il controllo delle coscienze e quello che ci interessa capire oggi è qual è stato il ruolo della violenza religiosa, come si è sviluppata la violenza religiosa o la violenza religiosa è l’unica cosa che possiamo dire della Chiesa Cattolica di età moderna? Poniamo questa domanda al secondo relatore che accogliamo al meeting, Paola Vismara. Paola Vismara è Professore Ordinario di storia della Chiesa all’Università degli Studi di Milano. L’importanza della storia della Chiesa è documentata anche dal fatto che in Italia, a differenza di molti altri paesi europei, nelle facoltà di storia esistono cattedre di storia della Chiesa. Paola Vismara ha studiato Religione e Cultura, ha pubblicato una serie numerosissima di saggi e libri su religione e cultura in età moderna e negli ultimi anni si è occupata del rapporto tra Chiesa Cattolica e il denaro, usura e prestito interesse. Chiediamo dunque uno sguardo d’insieme, una sua interpretazione sulla Chiesa Cattolica in età moderna e la violenza religiosa.
PAOLA VISMARA
Inizierò con una breve premessa, poi articolerò il mio discorso in due punti per arrivare infine, non troppo lungamente, alla conclusione. Innanzitutto come promessa vorrei rilevare questo. Quando noi diciamo violenza religiosa, abbiamo essenzialmente questi due termini: violenze e religione. Prima ancora di guardare a come possono intrecciarsi, a come si possono essere intrecciati nella storia, vorrei dire che entrambi questi elementi sono costitutivi dell’uomo, perché il desiderio dell’infinito, l’aspirazione a legarsi a un altro pur quando il nome ne fosse ignoto, è un dato essenziale, definito spesso con l’espressione di sacro, di senso del sacro, pensiamo anche agli scritti, alle idee del cardinale Julien Ries, che quest’anno ha partecipato al meeting da lontano, ma che tante volte abbiamo visto fra noi. Quindi un desiderio che è inscritto nella natura stessa dell’uomo e qui ben funziona il discorso con la frase di Giussani che dà il titolo a questo meeting “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito” e direi è un titolo particolarmente affascinante fra i molti che si sono susseguiti in questi anni. Anziché il termine sacro, preferisco utilizzare il termine religione, perché è storicamente più definibile nel senso che la religione indica lo strutturarsi e l’incarnarsi del desiderio dell’infinito. Dunque un elemento all’aspirazione all’infinito inserita nel cuore stesso dell’uomo e dall’altra parte la violenza, cioè l’inclinazione al male che permane nell’uomo, lo porta a dimenticare la verità di sé stesso e a prevaricare. Sant’Agostino parlava di due città, la città del bene e la città del male. Non le identificava come noi potremmo pensare, supponiamo con lo Stato e la Chiesa, cioè con due entità storiche effettive, definibili, ma piuttosto constatava che il bene e il male sono intrecciati nel cuore di ogni uomo. Ciò dunque, violenza e religione, due termini fondamentali per descrivere l’uomo e la realtà umana, se parliamo di cristianesimo, si può dire che il vangelo chiaramente attesta il rifiuto della violenza nel nome della religione e rifiuto delle violenze in genere. Si potrebbero evocare molti passi, cito soltanto la parabola della zizzania, ma molto altro si potrebbe dire. Cristo dà anche degli esempi concreti di azione proprio in questo orizzonte. Si può pensare qui alla samaritana oppure all’adultera, una pratica quella della lapidazione per adulterio allora assolutamente comune per ragioni religiose e sia l’ebraismo, sia il cristianesimo hanno perso questa convinzione, questa tradizione che vediamo talora invece permanere, poi il cristianesimo non ha dato sempre esempi di tolleranza nelle sue realizzazioni concrete. I fenomeni certamente vanno colti storicamente non in riferimento astratto alla nostra sensibilità attuale e questa è una condizione indispensabile per non precludersi la comprensione del passato, l’orizzonte di pensiero degli uomini di altri tempi era diverso dal nostro e con il nostro metro va storicamente giudicato. Comunque si può dire, la fede cristiana non ha alcun tasso di immunità dal male, dalla violenza, perché è la fede di uomini che vivono nella storia e in un dato momento storico. Una prestigiosa rivista italiana porta il titolo di “Cristianesimo nella storia”. Io trovo il titolo un po’ assurdo, come dire, il cristianesimo nella storia, ma allora c’è anche un cristianesimo fuori della storia, questo evidentemente non è pensabile. Ci interroghiamo qui sul legame tra violenza e religione dal punto di vista storico. Bisogna tenere conto della complessità dei fattori in gioco, non si può certamente isolarne uno solo e come già ha ricordato il Prof. Colombo, alcuni storici pur prestigiosi tendono a farlo, soprattutto appunto nell’ambito della storiografia italiana, più condizionata di altre sono antiche storie, il peso di una certa eredità risorgimentale, l’insofferenza dei confronti del papato e via dicendo e per questi la violenza strettamente abbinata alla religione diventa la chiave di lettura della storia e questo serve come strumento di interpretazione su infiniti argomenti che non sempre a prima vista poi potrebbero rientrare in questo ambito, per esempio l’affermazione del cristianesimo dell’Impero, abbiamo sentito ieri parlare di 313 e di Costantino, l’anno 313 poi l’anno 380 segnerebbe per molti studiosi un ribaltamento di ruoli e dunque i perseguitati, non solo i cristiani avrebbero avuto cittadinanza dal punto di vista della libertà religiosa, ma sarebbero divenuti feroci persecutori. Il medioevo presentato come un mondo scuro, irrazionale, ecc, l’età moderna in cui tutto è controllo delle coscienze, repressione perfino per quanto riguarda la musica o le devozioni e io mi soffermo qui sull’età moderna, ma primo punto vi dico una premessa fondamentale per capire l’età moderna e cioè Agostino. Sant’Agostino è un punto di riferimento continuo, ineludibile, se ne trovano le tracce in tutta la storia cristiana con le interpretazioni più varie e disparate. Per molti è un campione d’intolleranza e di fanatismo. Autori sei-settecenteschi lo definivano il patrono dei persecutori cristiani o il grande patriarca dei persecutori cristiani …….. . L’opinione non era unanime, perché per esempio Denis Diderot nella voce intolleranza dell’enciclopedia diceva esattamente il contrario, lo definiva un epigono della tolleranza. Comunque, per quello che riguarda Agostino e il problema della violenza, alla ribalta è la questione donatista che è una sorta di un filo rosso in tutte le discussioni moderne sulla tolleranza. Donatismo era uno scisma nato in Africa al tempo delle persecuzioni, quindi aveva all’origine una valenza essenzialmente religiosa, aveva una forte consistenza, mai uscito dai confini dell’Africa, ma era nato a Cartagine come movimento religioso, ma ha una prevalenza alla fine del IV secolo in quest’area e certamente creava molti problemi. Ma i problemi che creava non erano problemi sostanzialmente religiosi. Dunque a Ippona c’erano due Vescovi, il Vescovo cattolico Agostino e il Vescovo donatista Faustino. Il Vescovo donatista vietava ai donatisti di fare pane per i cattolici, ma i donatisti erano l’assoluta maggioranza, quindi i cattolici rischiavano di non potersi sostentare e poi avevano a disposizione una sorta di braccio armato, i così detti “circoncellioni”, noi diremmo oggi delle bande terroristiche con questo sfondo religioso ormai non così rilevante, bande religiose legate al proletariato agricolo. Agostino mostra subito una grande disponibilità al dialogo. Esistevano delle leggi imperiali che avrebbero potuto essere applicate contro i donatisti e Agostino stesso chiede, sono parole sue, di lasciar dormire la legge, dunque di non applicarla. Un atteggiamento che rispondeva al suo pensiero nel senso che l’idea di Agostino era quello che l’uomo deve essere convinto e non condotto a forza alla verità proprio perché dotato di libero arbitrio, di capacità di scegliere tra il bene e il male. In un secondo momento invece chiede che leggi imperiali siano applicate, questo per salvaguardare i diritti dei cattolici, tra l’altro teniamo conto del fatto che Agostino stesso era casualmente sfuggito a un attentato nel quale avrebbe dovuto trovare la morte, per puro caso, nel senso che era stata decisa di percorrere un’altra strada rispetto a quella preventivata, però chiede anche che si applichino con moderazione escludendo ciò che le leggi romane prevedevano, cioè la tortura e la pena di morte, ci sono molti passi delle sue lettere significativi in questa direzione. Quindi per Agostino l’applicazione della legge, non è strettamente violenza religiosa in ogni caso, non è una teoria generale, ma è un caso di fattispecie. Di fronte a certe violenze particolarmente forti e continue era utile e necessario risolvere il problema, chiedeva comunque di non rispondere alla violenza con la violenza. D’altra parte si può constatare che Agostino non ha mai chiesto un intervento del braccio secolare contro i pagani o contro gli ebrei o contro i manichei, nemmeno contro altri eretici cristiani come i pelagiani. Dunque per lui il donatismo non era una questione religiosa, ma era in quel particolare momento storico una questione di ordine pubblico e di sopravvivenza dei cristiani non donatisti. Quindi, invocare Agostino come patrono della violenza è certamente una falsificazione e veniamo al secondo punto: l’età moderna, vista spesso come l’età dell’inquisizione, della repressione delle coscienze, delle guerre di religione, insomma da qualsiasi punto la si guardi come quello della violenza nel nome della fede. Aspetti di violenza ci sono senza dubbio, sia da parte cattolica, sia da parte protestante, ma per esempio la religione nelle guerre di religione ha un ruolo parziale e qui conta molto il contesto, cioè, lo stato moderno si fonda su un’unità non solo politica, ma anche religiosa, cioè la religione garantisce la coesione dello Stato. La pace di Augusta del 1555 si ispira a questi principi, cioè dove c’è un sovrano ci deve essere una religione, la religione del principe è quella dei sudditi e i confini politici segnano anche l’appartenenza religiosa. Principe, lo Stato impone ai sudditi la propria fede, quindi un primato del politico sul religioso che riflette le ambizioni totalizzanti del potere politico in quest’epoca. Se consideriamo in effetti l’Europa, si può constatare facilmente, era molto indurita sulle barriere confessionali. E’ un’impostazione comune ai cattolici e ai riformati, la troviamo a Ginevra o in Inghilterra come negli stati cattolici. E il problema del pluralismo religioso è normalmente risolto in senso negativo proprio perché l’appartenenza confessionale collettiva è una garanzia per lo Stato e per la società. I casi di violenza legati alla religione dunque esistevano in società nelle quali la religione era elemento fondante anche del politico, ma ci possiamo domandare: c’è stata successivamente una progressiva deteologizzazione, una progressiva secolarizzazione, questi fenomeni hanno fatto scomparire la violenza? La risposta è no, anzi talora la violenza emerge in forme anche più radicali, possiamo pensare per esempio ciò che viene immediatamente in mente a alcuni momenti o aspetti della rivoluzione francese con il terrore, pensiamo naturalmente ai totalitarismi e a questo proposito possiamo vedere che abbiamo parlato dei due secoli più violenti, quelli che hanno fatto il maggior numero di martiri, in primo luogo il 900 in secondo luogo il 700, contrariamente a quanto si pensa il XVIII secolo è un secolo di martiri. La violenza in età moderna è una parte minore esistente e nessuno vuole negarlo, ma è una parte minore di un quadro molto ricco, è un diverso complesso carico di dati positivi, capace di straordinaria creatività di cui alcuni aspetti giungono sino a noi, facile pensare all’arte, alla musica e via dicendo. Allora in base a qualche episodio di violenza, è possibile dimenticare tutto il resto e etichettare un’intera epoca sotto questo segno? A partire dal Concilio di Trento si consolidano degli spunti di rinnovamento che percorrevano da vario tempo il mondo cristiano, sin dal tardo medioevo, che avevano avuto origine spesso non dall’alto, ma dal basso, con il Concilio di Trento si consolidano alcuni elementi: uno, la definizione chiara della propria identità e l’altro l’insistenza sulla cura delle anime, sulla necessità di condurre le anime alla salvezza e tra i maggiori impegni della Chiesa post-tridentina, vi sono quelli di inserire il rinnovamento religioso attraverso la persona all’interno della società, di sottolineare il carattere popolare della fede, non una fede di élite, non una fede per gli intellettuali, ma una fede per tutti e poi la ricerca di una comunicazione efficace e corretta del messaggio cristiano. Nella vecchia Europa cattolica in larga parte ancora da evangelizzare e anche il desiderio di raggiungere gli estremi confini della terra e prendo come esempio proprio le missioni, non quelle all’interno del vecchio Europa, ma quello che noi siamo abituati a chiamare missioni che attestano molto bene il desiderio di comunicare la propria fede. Nel 622 viene fondata la congregazione di Propaganda Fide, teniamo conto che il termine propaganda non significa affatto quello che noi intendiamo oggi, ma è la propagazione, cioè la comunicazione, il passaggio di conoscenza di un messaggio che non è solo teorico, ma è anche molto concreto. E la fondazione di propaganda documenta molto bene la necessità di adire non tanto la via della costrizione quanto quella della persuasione. Adriano Prosperi studioso non certo sospetto di filo cattolicesimo, ha dovuto riconoscere che c’è una via della dolcezza che di qui in avanti viene affermata sempre con maggior forza e che guardava al futuro, mentre la via della repressione che si attenua guardava al passato. Nel 1659 c’è un’importante istruzione vicaria apostolici e tra l’altro, si dice, bisogna sganciare l’evangelizzazione dalla politica, sia da quella degli stati europei presenti in paesi lontani, sia dalla politica locale. Nel nuovo mondo ci sono stati degli errori iniziali con un’evangelizzazione attuata attraverso la forza sulle orme dei conquistadores, ma anche quasi subito c’è stato da politica più attenta e progressiva con una sempre crescente capacità di incarnazione di chi veniva dalla terra dei conquistadores. Faccio solo un esempio rapido, il Vescovo di Quito, Alonso de la Pena Montenegro, nel 600 pubblica un “Itinerario para parrocos de Indios” e il termine che ricorre con maggiore frequenza è quello si suavidad, cioè di dolcezza, è continuamente ripetuto, ma fondamentale chiave di lettura. La volontà essenziale è portare alla salvezza, per questo occorre conoscere la lingua, i costumi, la cultura, la mentalità delle persone e occorrono pazienza e dedizione, occorre persino un’applicazione solo parziale dei decreti del Concilio di Trento attuando quella che è la virtù delle pechegna e poi bisognava anche sollevare socialmente, ecc. In oriente c’erano culture anche molto raffinate e quindi sistemi diversi di evangelizzazione. Si può constatare la capacità di penetrare, sia a livello alto, sia a livello popolare, ci sono forme di incontro tra culture molto interessanti. Come esempio faccio quello di Matteo Ricci, perché è ultra noto, faccio un altro caso, quello del gesuita Alexandre de Rhodes che operava in Concincina e in Tonchino, poi divenuti Vietnam e per esempio quando si trattava di arrivare al Capodanno erano previsti dei riti locali che consistevano nel porre un tronco di legno davanti alla casa per scongiurare le malattie, i disastri, ecc. e Alexandre de Rhodes non si oppone, ma trasforma questo rito, il legno non va messo davanti casa, ma sul tetto della casa ed è una croce, il che significa da un lato accettare la tradizione e dall’altra riempirla di un significato nuovo, perché quel legno era salvifico a differenza dell’altro e capace di sconfiggere per sempre le forze del male. C’è un grandissimo numero di missionari, moltissimi paesi sono toccati, ci sono molti fallimenti, c’è un elevato numero di martiri spesso locali con cause di beatificazione talora giunti al termine che comprendono gruppi anche di una certa imponenza numerica, anche risultati insperati, per esempio nella zona di Nagasaki il cattolicesimo era stato portato agli inizi del 600, poi il Giappone si era chiuso all’esterno, nell’800 dopo più di due secoli di abbandono, quando dei missionari francesi riescono a tornare in quelle terre, trovano dei cattolici che non avevano preti, ma che conservavano tutto il possibile del cattolicesimo e che erano in grado di verificare attraverso domande se quelli davanti a loro fossero dei preti cattolici o dei pastori protestanti. Bisogna dire che ciò che la persecuzione del 600 non era riuscita a cancellare, in parte l’ha fatto l’atomica. Dunque, per concludere siamo di fronte ad un cattolicesimo estremamente mobile ed estremamente attivo, si potrebbe parlare per ore, perché gli argomenti che lo dimostrano sono quasi infiniti, un cattolicesimo che mostra una coscienza di sé molto chiara e al tempo stesso una disponibilità al confronto e all’incontro con l’altro e in un certo senso è proprio la coscienza di sé che permette di attuare un incontro con l’altro aperto e positivo. Mi pare che una delle migliori definizioni del cattolicesimo sia stata data da uno studioso francese Jean Louis Cantin che parla, soprattutto a proposito del cattolicesimo moderno, di una religione dell’incarnazione. Questo concetto di religione dell’incarnazione è un concetto essenziale, l’ha ricordato ieri anche Gianmaria Vian in un incontro, è un concetto che determina un cattolicesimo che non è un cattolicesimo della violenza, ma un cattolicesimo della presenza. Grazie.
MODERATORE
Grazie. Terza e ultima tappa di questo percorso, ci spostiamo ancora geograficamente verso il Medioriente e in particolare il nostro ospite, il terzo relatore viene dal Libano, una terra come ben sapete colpita dalla violenza, ma nello stesso tempo una terra dove religioni diverse convivono, una terra che Giovanni Paolo II aveva chiamato simbolo di pluralismo e tolleranza. Chiediamo…innanzitutto accogliamo il nostro terzo ospite Ibrahim Shamseddine…grazie di essere qui. Ibrahim Shamseddine è stato Ministro per lo Sviluppo amministrativo in Libano ed è Presidente di un’importante associazione non governativa che sta promuovendo opere straordinarie per il dialogo e per l’educazione. Gli chiediamo come secondo la sua esperienza, secondo il suo punto di vista la religione può contribuire allo sviluppo, all’educazione, al dialogo.
IBRAHIM M.M.SHAMSEDDINE
Grazie tante, buon pomeriggio a tutti, vi ringrazio per l’interesse e la pazienza per essere rimasti qui e ringrazio Dio e gli organizzatori per avermi dato questa opportunità di essere con voi e tra di voi in modo da poter comunicare insieme e anche in modo da poter parlare e pensare ad alta voce con voi e davanti a voi.
Due osservazioni prima di cominciare, effettivamente non è un inizio comunque; prima osservazione: io uso una lingua che non è ne la mia ne la vostra, la mia lingua madre è l’arabo e voi per la maggior parte parlate italiano e sto parlando in inglese, questo è il terzo mezzo di comunicazione tra noi. Da questo capisco che possiamo sempre comunicare, possiamo sempre riuscire ad entrare in un dialogo, possiamo sempre trovare il modo o uno strumento per il dialogo, non dobbiamo consentire a nessuno di convincerci che non ci sono modi di parlare o ragionare o discutere con una persona, con un’altra persona con un altro gruppo. Altra osservazione: è veramente un bel Meeting pacifico questo, sarebbe brutto parlare di violenza in un consesso di pace però ne parliamo per imparare a non utilizzare la violenza o più precisamente come evitarla. La violenza è ovunque nella vita del uomo e dove è presente l’uomo, questo dal inizio del umanità da quando Dio ha creato l’uomo sulla terra, è violenza degli individui più o meno a ragione, ci sono gruppi che fanno ricorso alla violenza, le società, i governi e anche gli Stati. La presenza della violenza non è limitata a un gruppo specifico o a un identità specifica o a una professione specifica o a una regione, si fa ricorso alla violenza da parte di uomini e donne, giovani e maturi, civili e militari, persone istruite e meno istruite, religiosi, secolari atei ci sono 3 categorie appunto di persone, neri e bianchi, sposati e non sposati, occupati, non occupati, tutti quanti. La violenza non è limitata ad un area storica e ad un era storica nemmeno, è stata utilizzata dal inizio della creazione come ho già detto; i due figli di Adamo: Abele e Caino erano in lotta tra di loro, l’uno era geloso del altro e davanti a Dio uno ha ucciso il fratello, appunto la vittima si è rifiutata di utilizzare la violenza per difendersi, la vittima era più religiosa rispetto al altro fratello, questo appunto per ritornare a quella dicotomia che è stata presentata dal dottor Cavanaugh, il più religioso si è rifiutato di utilizzare la violenza e allora non c’era Stato moderno, era appunto soltanto, c’era soltanto Adamo, il padre, e Dio. cosi fino adesso attraverso appunto la Grecia, Atene Sparta, tutte le guerre tribali le guerre della vecchia Europa, del mondo Arabo, prima del cristianesimo, prima del islam, l’impero romano che è stato l’impero più moderno dei tempi ha ucciso cristiani, ha crocifisso lui che è il loro agente locale fino appunto al colonialismo al uso della violenza più disparata attualmente appunto in questo o quel altro paese, Siria o Myanmar. Noi non possiamo eliminare la violenza, fa parte della presenza del uomo e della società umana, anche la religione include la violenza, l’ebraismo il cristianesimo e l’islam, non voglio dire che le religioni istighino alla violenza dico però che la religione riconosce come parte della natura umana, la riconosce come parte della natura umana, la disciplina non fa parte della fede la violenza ma fa parte del comportamento dei fedeli, non fa parte del credo ma fa parte del comportamento dei fedeli. Dio ha mandato profeti in terra perché appunto l’uomo potesse sviluppare meglio il rapporto tra gli uomini e con la natura e qui cito sempre dal libro del dottor Cavanaugh “ la religione viene studiata come comportamento dei fedeli più che come studio dei fedeli dei credenti” Dio ha veramente bisogno della violenza? No non ha bisogno della violenza per essere adorato adeguatamente, non ha bisogno della violenza per uccidere, non è avido in modo appunto da voler prendere delle cose con violenza, non è ignorante, Dio non ha paura, non ha bisogno di una guerra preventiva, Dio non ha bisogno di niente e di nessuno ma tutti noi, tutti quanti noi abbiamo bisogno di Dio perché è il nostro creatore, Dio è grande, è onnipotente, è colui che tutto sa ed è il creatore di tutti quanti e dopo tutto, prima di tutto è giusto ed equo. Un Dio ingiusto non è degno assolutamente di culto. Da quando l’uomo e appunto in relazione con Dio che è creatore, l’uomo ha teso a dimenticare questa cosa perché ha una disposizione naturale verso questo, c’è il tema del Meeting che è La natura del uomo è rapporto con l’Infinito mi fa capire che l’infinito in questo caso sia Dio, questo concetto Al-Futta (??? 1°08’44”) in arabo cioè disposizione naturale è un concetto profondo, un concetto autentico sia nella fede islamica, sia nella fede cristiana ed è stato espresso da Edward Lord Herbert of Cherbury un sacerdote cattolico e teologo che è vissuto nel XVI-XVII secolo. Il dottor Cavanaugh lo cita proprio nel suo libro e la citazione è questa “Herbert of Cherbury ha scoperto nella mente una facoltà che chiama istinto naturale la cui funzione è quella di darci una comprensione immediata del divino, questo è scolpito nella mente umana ed è stato scolpito da Dio” io credo e adesso parlo io, non è Herbert of Cherbury, credo che la religione e la fede non siano la fonte di violenza, non spingono le persone al uso di violenza perché una vera e propria fede non ha bisogno di violenza per propagarsi, i profeti inviati in terra da Dio non hanno mai usato la violenza per predicare, non perché non possano o non vogliano usarla come esseri umani ma perché Dio gli ha ordinato di non fare ricorso alla violenza. Io ritengo che i grandi 5 profeti della storia i profeti che appunto hanno questo dono dal (incomprensibile 1°10’36”) appunto Mosè, Abramo, Isaia, Maometto, non hanno mai utilizzato la violenza, mai e appunto sarebbero stati pazienti per anni ed anni. Abramo era sempre disposto a ragionare con la sua gente, la stessa cosa Noè, Gesù è stato paziente con i sacerdoti del tempio ed appunto certe cose non sarebbero successe, Gesù non sarebbe mai stato crocifisso, non avrebbe mai detto “perdonali perché non sanno cosa fanno” Maometto non sarebbe stato accusato di certe cose. Nel islam ci sono delle restrizioni per l’uso della violenza, non è che non ci sia violenza nel islam, abbiamo l’utilizzo della violenza per autodifesa nel islam e anche per difendere un paese dal occupazione, ci sono tanti dettagli, tanti particolari a questo riguardo. L’uso della violenza come strumento politico, come modalità per spingere gli altri o attaccarli semplicemente perché non sono mussulmani è una cosa proibita, non accettata, alcuni possono dire ci sono dei mussulmani che non si comportano in questo modo ed è anche vero, che cosa ci possiamo fare? Per favore però, per favore, soprattutto il governo americano deve smettere di fare l’esempio di Osama Bin Laden, Osama Bin Laden era mussulmano, nessuno lo può negare, i suoi genitori erano mussulmani però rappresenta l’islam, è lui lo specchio la manifestazione di questa religione? Sicuramente no. Non possiamo essere giudicati, non possiamo giudicare secondo il comportamento di una persona sola. Il problema in genere anzi sempre non è al livello di fede o di religione, è un problema politico, quando ci sono delle ambizioni politiche quando ci sono della esigenze delle avidità in genere i politici fanno riferimento ad altri mezzi, in genere la religione perché è facile fare riferimento alla religione perché va al cuore, va al sangue diciamo delle persone molto più rapidamente di qualsiasi altra cosa e questo è quello a cui ha fatto ricorso il governo degli Stati Uniti per esempio in Afghanistan, ha creato un poter che appunto non è riuscito a controllarsi, Osama e il suo gruppo come esempio del intervento politico o l’abuso della religione rappresentano proprio un caso in questo senso, gli Stati Uniti hanno creato un problema per se stessi, il governo Statunitense ha creato per se e per il suo popolo ma cosa ancor più importante, hanno creato un problema per noi mussulmani perché secondo la dottrina di Osama noi siamo mussulmani di quanto lo sia lui, siamo meno fedeli noi di quanto non sia lui, tutti quanti e noi, anche noi siamo diventati un bersaglio legittimo da uccidere eppure noi siamo fedeli, siamo mussulmani però lui ha sostenuto altre cose e noi siamo diventati le nuove vittime del governo americano tramite Bin Laden. Perché il Presidente continuava perché ci odiano, beh noi non li odiamo, noi non odiamo la gente, forse possiamo odiare il governo degli Stati Uniti e più specificatamente le politiche che sono dirette nei confronti del nostro paese o della nostra regione; noi non odiamo mai la gente, noi siamo contro certe affermazioni, non le persone che le fanno. Io non vedo problemi tra il cristianesimo e l’islam, assolutamente no, nella misura in cui non ci siano delle interferenze tra politica e religione, perché nella religione, diciamo, le cose possono essere sempre sicure, viene sempre raccontata una storia sul ex ministro inglese Winston Churchill, questa storia dice che una volta è andato a visitare un cimitero era in una tomba e ha visto che sulla lapide c’era scritto “qui giace l’onesto politico xy” e ha commentato questo dicendo “è strana questa cosa, non sono a conoscenza del fatto che in Gran Bretagna sia consentito seppellire due persone al interno della stessa tomba” dico che bisogna veramente raggiungere un epoca in cui possiamo seppellire un onesto politico in una sola tomba, non in 3 tombe. Ecco per quanto riguarda lo sviluppo dello stato moderno, appunto dire che la ragione deve essere divisa dalla religione non ha senso, devono andare sempre mano nella mano, non voglio dire che la religione debba sempre governare tutto, io dico che la fede, una fede candida deve essere sempre li sul tavolo e non deve essere un inviato del governo, io voglio che tutti i politici continuino le proprie funzioni, il politico negozia e la fede fa un dialogo, il politico in genere prende, non da, invece la fede da; quando il politico da è perché è obbligato a dare invece la fede da perché vuole dare. Tra cristianesimo e l’islam, facciamo adesso qualche osservazione su questo argomento, beh cari amici credetemi gli spazi comuni sono veramente molto ampi, le differenze sono veramente molto piccole, il dialogo dovrebbe essere sempre il mezzo per scoprire questi spazi comuni e raggiungerli. Ci sono state guerre, differenze in passato, non voglio dire che bisogna dimenticare tutto ciò ma dobbiamo apprendere anche da tutto questo, c’è stato dialogo tra mussulmani e cristiani prevalentemente, tre tipologie di dialogo: prima di tutto il dialogo della spada, i mussulmani hanno praticamente ucciso i cristiani e viceversa, nessuna delle due parti però ha avuto fine siamo cresciuti da entrambe le parti, mussulmani e cristiani quindi questo dialogo della spada non ha portato a nulla, poi abbiamo avuto il dialogo della teologia, i cristiani hanno cercato di convertire i mussulmani al cristianesimo, alcuni hanno pensato che questa fosse l’unica via verso la salvezza e i mussulmani hanno cercato di convertire i cristiani al islam beh ogni gruppo ha i proprio matti i propri pazzi, credetemi. Questo tipo di dialogo non è arrivato da nessuna parte, siamo cresciuti di numero come cristiani e anche come mussulmani ci sono casi specifici, sporadici qua e la di queste conversioni ma non sono cosi importanti. Il dialogo necessario e richiesto è il dialogo della vita perché viviamo insieme, occupiamo più del 52% della terra, siamo davanti alle stesso sfide, abbiamo da affrontare gli stessi problemi, malattie, povertà non sono cose davanti alle quali il mussulmano è da solo, il cristiano è da solo, devono essere affrontate solo al nord o al sud ad esempio uno tsunami non fa differenza tra cristiani indù e mussulmani insieme abbiamo tutti gli stessi problemi di sviluppo, di distribuzione della ricchezza pubblica, di ecosistema di ambiente, di povertà e definizione della famiglia perché che cos’è la famiglia dopo tutto e anche la nostra fede, la nostra fede comune, qualsiasi fede divina quando viene associata alla ragione raggiunge risposte e soluzioni davanti a queste sfide. Il mio ultimo commento ed esempio, proprio perché non ho più tanto tempo a disposizione, io sono particolarmente ottimista per quanto riguarda il futuro tra mussulmani e cristiani in particolar modo in Libano, è veramente una collaborazione piena, è un dialogo quotidiano. Il dialogo non vuol dire convincere l’altro a diventare come se stessi, no, il dialogo vuol dire accettare l’altro come è altrimenti se si vuole convertire qualcuno e farlo diventare a propria immagine e somiglianza significa clonare, se ad esempio ho un clone, tra me e il clone sono io che prevalgo, sono sempre migliore, non c’è storia. Il Libano, io vedo la collaborazione tra cristiani e mussulmani come del acqua, sapete che in chimica l’acqua è H2O, 2 molecole di Idrogeno e 1 di Ossigeno, i mussulmani sono sempre più numerosi di numero rispetto i cristiani quindi sono la parte idrogeno del acqua ma indipendentemente da quanti mussulmani ci sono nel paese da soli non riescono a formare l’acqua della vita, occorre solo una molecola di ossigeno per ottenere quest’acqua, questa formula del acqua; l’ossigeno è la collaborazione cristiana, la presenza dei cristiani, vogliamo vivere assieme e quindi assieme dobbiamo generare produrre quest’acqua della vita, grazie.
MODERATORE
Grazie, una parola soltanto per concludere tre prospettive molto diverse per un unico problema. Il tema del Meeting “La natura del uomo è rapporto con l’Infinito” la domanda ma i tentativi di questo rapporto con l’Infinito, le religioni sono destinati ad essere fonte di violenza? Il professore Cavanaugh ha mostrato come il mito della violenza religiosa abbia molti punti deboli e il suo libro, che non aveva tempo, ma il suo libro è pieno di esempi ed è molto interessante. L’ultimo intervento che abbiamo appena ascoltato di Ibrahim Shamseddine ci ha mostrato come la religione dal suo punto di vista per l’esperienza che vive sia fonte di dialogo, la politica crea negoziazione, la religione crea dialogo e quest’ultima battuta finale straordinaria non è tanto per dire perché tutta la sua opera educativa, tutta la sua opera di creazione, la sua creazione di opere; il Libano ha questa idea, bisogna contribuire, bisogna collaborare insieme, è qualcosa che lui fa e che lui sta realizzando. E infine da storica la professoressa Vismara ha mostrato come usando le categorie storiche occorre parlare del cattolicesimo di età moderna che tanta influenza ha avuto sul nostro popolo italiano e sul Europa come una religione del incarnazione e della presenza, attraverso i dati storici si arriva a dire questo. Si tratta la proposta e l’inizio di un dibattito quindi abbiamo cominciato su un tema centrale, la religiosità vissuta è fonte di oppressione, di controllo, di violenza e quindi è meglio allontanarla dalla vita pubblica o la religiosità vissuta è fonte di liberta e di dialogo? noi abbiamo cercato di rispondere e ognuno sarà libero di rispondere. Grazie ai nostri relatori e grazie a tutti.
Trascrizione non rivista dai relatori