Chi siamo
Il filo della memoria e il fiore della speranza
Natal’ja Davtjan, Psicoterapeuta, direttrice del centro di sviluppo personale e di sostegno psicologico “Vita Nova”, Charkiv, Ucraina; Irina Scerbakova, Membro fondatore Memorial; Ol’ga Sedakova, Poetessa e traduttrice russa; Elena Zhemkova, Direttore Esecutivo Memorial. Introduce Giovanna Parravicini, Fondazione Russia Cristiana.
Riannodare il filo della memoria significa restituire un volto, una storia, una dignità a uomini e donne che sembravano inghiottiti per sempre dalla spirale di violenza del passato, ma soprattutto, ripercorrendone le vicende, constatare con stupore che l’umano rifiorisce anche nelle situazioni più disumane. A questo tenace filo possiamo aggrapparci anche oggi, in situazioni in cui abbiamo bisogno di imparare di nuovo, balbettando, parole come libertà, responsabilità, sacrificio, e poi amore, perdono, misericordia. Abbiamo bisogno di imparare a condividere il dolore senza lasciarci offuscare il cuore da sentimenti di rancore e di vendetta, di lasciar spazio alla possibilità di un miracolo quotidiano.
Con il sostegno di Tracce.
Il filo della memoria e il fiore della speranza
Giovanna Parravicini: Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro “Il filo della memoria e il fiore della speranza”, e questo incontro, che è l’ultimo dei grandi incontri in questa quarantatreesima edizione del Meeting, vuole insegnarci una cosa. Riannodare il filo della memoria significa restituire un volto, una storia, una dignità a uomini e donne che sembravano inghiottiti per sempre dalla spirale di violenza del passato, ma soprattutto, oggi, ripercorrendone le vicende, constatare con stupore che l’umano anche oggi e non solo ieri può rifiorire anche nelle situazioni più disumane. E a questo tenue filo della memoria possiamo aggrapparci anche oggi in situazioni in cui abbiamo bisogno di nuovo di imparare, balbettando se volete, parole come libertà, responsabilità, sacrificio e poi amore, perdono, misericordia. Abbiamo bisogno di imparare a condividere il dolore senza lasciarci offuscare il cuore da sentimenti di rancore, di lasciare spazio cioè alla possibilità di un miracolo quotidiano. E per aiutarci a comprendere tutto questo, abbiamo invitato qui queste nostre tre amiche che vedete di presenza, più un’altra grande nostra amica che dalla Russia non ha potuto venire ma si collegherà via zoom. Io sono molto grata a queste persone e vi voglio però avvisare fin d’ora che non sarà un discorso semplice, facile, non aspettatevi dei discorsi edulcorati, dell’happy end così facili, proprio come nella mostra che abbiamo organizzato al Meeting quest’anno “Uomini nonostante tutto”, bisogna proprio andare fino in fondo al dolore, alla terribile realtà in cui il mondo, e in particolare l’Ucraina, si trova, per arrivare a capire insieme quale può essere la nostra speranza. Ma io non voglio occupare più tempo e lascio subito spazio alla prima delle nostre relatrici Elena Zhemkova, che è il direttore di Memorial, Elena lavora da trentacinque anni, ci spiegherà che cos’è Memorial, è di Odessa e quindi lei stessa, oltre al lavoro che fa, sta vivendo una situazione tale per cui la sua famiglia è dispersa oggi tra il Belgio, la Polonia, il Portogallo, l’Ucraina, e lei si trova in Russia. Ebbene a Elena io vorrei chiedere che cos’è Memorial, qual è la sua vocazione, esiste all’interno della società un movimento che lo sostiene, e oggi, noi sappiamo che Memorial è stato chiuso nel dicembre scorso dalla procura di Mosca e questo è stato un po’ l’antefatto se volete, quello che ci ha fatto anche presentire che qualcosa di brutto poteva succedere e poi è successo, Memorial dunque è stato chiuso e oggi continua il suo lavoro? e se sì come continua.
Elena Zhemkova: Innanzitutto vorrei ringraziare tutti voi per essere venuti qui ad ascoltarci e io vedo molta solidarietà in questo, solidarietà con quello che facciamo e che con quello che faremo. Memorial e è un’organizzazione che è nata 35 anni fa è un ampio movimento sociale per la verità, e si tratta di raggiungere la verità e lottare per la verità passata, storica. Contemporaneamente però si tratta di condannare i crimini e ricostruire la verità storica, rendere dunque giustizia alle vittime, secondo me è importante ricordare le cifre e stiamo parlando adesso solo delle vittime dirette che la legge sulla riabilitazione riconosce. Solo queste persone sono circa 11milioni, e tra queste persone più di 1.250.000 sono state fucilate, se a questo poi aggiungiamo le vittime della carestia in Ucraina, in Kazakistan, in Russia, se aggiungiamo tutti i membri della loro famiglia, ci rendiamo conto di che incredibile quantità di persone stiamo parlando. Sembra che ci occupiamo di un passato ormai lontano, però sotto questa cenere arde un fuoco, il fuoco del dolore umano, dell’offesa, dell’ingiustizia, e di crimini che non sono stati puniti. Abbiamo fatto molto, sì abbiamo fatto molto, abbiamo costruito un archivio, dei musei, e abbiamo preparato e pubblicato anche dei libri, delle mostre. Nella banca dati delle vittime delle persecuzioni politiche ci sono più di tre milioni di nomi, tre milioni di destini umani ricostruiti, stiamo però parlando solo di tre milioni però, tre milioni su undici, e se ci rendiamo conto di questo, capiamo anche quanto pochi siano ancora. È fondamentale chiedersi questo: come è possibile vedere una persona concreta dietro a queste cifre, come ci si fa a rendere conto della portata di ciò che è successo. Bisogna ricordare che per noi, per Memorial, la storia viene misurata nell’unità delle persone, le persone sono la nostra unità di misura. Secondo me la nostra mostra, la mostra che abbiamo organizzato, che immagino molti di voi abbiano avuto modo di vedere, ecco questa mostra è uno splendido esempio, come una piccola storia personale umana, ma neanche storia direi, si parla di piccoli frammenti di un destino umano, ecco questa mostra ci mostra come questi frammenti ci possano spiegare che cos’è successo e ci pongono una domanda fondamentale. In questa mostra c’è una piccola scatoletta che era stata fatta da una donna che aveva perso suo figlio in prigione, questa donna poi è morta e questa scatoletta è stata poi custodita dalle sue amiche nel lager e questa era stata costruita per rendere giustizia alla memoria di suo figlio morto. Di queste persone è rimasto praticamente niente, ma questi piccoli oggetti ci costringono a pensare a cosa è successo e a pensare che cos’è una famiglia che viene distrutta, che cosa significa perdere delle persone care, vicine, cosa significa perdere un figlio o una figlia. E è possibile raggiungere la giustizia in questa situazione, ottenere giustizia, ed è questo però il compito di Memorial, secondo noi il nostro compito collettivo quindi non dimenticare le singole persone pur rendendosi conto della portata di questi eventi. Abbiamo fatto molto, sì abbiamo fatto molto e al contempo anche molto poco però, io direi anzi molto poco. E ci sono delle persone che ci sostengono, che sostengono il nostro lavoro, assolutamente sì, ci sono delle persone che pensano che non sia servito a nulla, che non sia servito a nulla quello che facciamo, perché noi abbiamo lavorato tantissimo e le persone intorno a noi non hanno capito, non si rendono conto del valore della vita umana, hanno ricominciato a uccidere, e io capisco questo terrore, mi rendo conto però ho un approccio diverso. Sì è possibile continuare con questo lavoro, sì è possibile, e la cosa fondamentale è che è davvero necessario continuare, noi tutti insieme dobbiamo fare uno sforzo e capire, e capire che la verità verrà alla luce e che le vittime devono ottenere giustizia, i responsabili devono pagare le conseguenze e bisogna rendere giustizia alle vittime, mi sembra che questo oggi sia più importante rispetto a ieri. E secondo me un’altra cosa molto importante, abbiamo visto questa mostra ai nostri incontri e lo confermano, sto parlando della tragica memoria, la memoria delle repressioni sovietiche è una memoria comune, la nostra memoria comune questa, ed è una tragedia quindi che ci unisce e qui si parla dunque di una memoria europea.
Giovanna Parravicini: Grazie Elena. Io ora vorrei presentare un’altra nostra ospite qui Irina Scerbakova, è anche lei di Memorial e è una germanista, suo padre è stato uno dei più grandi studiosi di Vasilij Grossman, uno scrittore che a tutti noi è molto caro e che molti di voi hanno letto e conosciuto, e Irina ha per anni lavorato a molti progetti di Memorial, ne voglio ricordare due chiedendo magari se poi Irina ce ne può parlare brevemente. Uno è un concorso che è stato fatto per molti anni “La Russia e il ventesimo secolo” riservato agli studenti delle scuole medie e superiori, in cui questi ragazzi di tutta la Russia e anche di altri paesi dell’ex Unione Sovietica, venivano invitati a ricercare la storia del proprio paese della propria famiglia, cioè a riportare appunto alla luce questa memoria che spesso non conoscevano. Ma un’altra ancora iniziativa che Memorial ha intrapreso fin dall’inizio e cioè la lettura pubblica dei nomi delle vittime. Allora la domanda è questa: come oggi recuperare la memoria di questo passato, può aiutare a crescere una società civile, è servito fare tutte queste iniziative oppure è utopistico oggi sperare che in Russia possa esserci una società civile?
Irina Scerbakova: Grazie mille, grazie Giovanna, grazie a tutti che ci hanno aiutato a mostrare qui una parte almeno del nostro lavoro e vorrei continuare da quello che ha detto Elena Zhemkova. Nel corso di questi anni, tutti questi anni abbiamo lavorato con la memoria noi, ogni persona, ognuno di noi sa quanto sia difficile occuparsi di memoria. La memoria è una sostanza complicatissima e c’è stato un momento molto molto felice per tutti noi, se vi ricordate c’è stata la perestrojka infatti ed è iniziato con la seguente parola glasnost, trasparenza, e con la parola, con lo slogan “verità sul passato”, con la convinzione di dover riportare in vita la nostra memoria. Perché nonostante tutte le cifre di cui ha parlato Elena Zhemkova, all’inizio della perestrojka c’era una memoria che però esisteva in modo nascosto e segreto, sto parlando del terrore e delle repressioni di massa e della memoria di questi eventi, e all’improvviso ci si è aperta questa opportunità per noi tutti. È venuto fuori infatti che tantissime persone nel nostro paese vogliono sapere la verità riguardo il passato, vogliono ricordare il passato, vogliono scoprire cosa è successo alla loro famiglia, ai loro amici, vogliono sapere cosa è successo al paese, perché non sapevamo niente. Anche Solzenicyn, il suo famosissimo libro “Arcipelago gulag”, non sapeva esattamente cosa fosse rimasto negli archivi, anche era possibile che tutti quegli archivi fossero stati distrutti, e quindi quel libro è stato scritto grazie alla memoria conservata da persone concrete, e all’improvviso invece ai tempi della perestrojka c’è stato questo momento storico e abbiamo visto quante persone volessero veramente conoscere la verità. Persone che hanno capito che non è possibile muoversi verso il futuro se non si conosce il proprio passato, e quindi ci si muoveva verso la nuova Russia che noi volevamo costruire. Purtroppo però adesso riflettiamo molto sul perché abbiamo raggiunto questo punto tragico in cui ci troviamo oggi, perché sembra che questo tentativo di ricostruire la verità si è interrotto? E vorrei aggiungere che forse noi abbiamo visto in passato il rischio che ciò potesse accadere e la nostra voce è stata troppo debole, però abbiamo cercato di dire quanto siamo riusciti a dire. E quando negli anni 90 il nostro paese era sprofondato nella crisi economica, le persone erano immerse nei propri problemi e non si interessavano di politiche, pensavano che tutto sarebbe stato risolto dal mercato, che si sarebbe risolto da solo, questa era la situazione negli anni 90. E si credeva che il passato non sarebbe mai tornato, che ormai avessimo chiuso con Stalin e che quindi non avesse senso occuparsene se non per degli storici, e quindi non servisse, pensavamo, una politica statale, che non servissero programmi a questo proposito, pensavamo che non servissero progetti, che non servisse che lo stato lavorasse per ricostruire questa memoria. E abbiamo visto cosa è successo, vediamo che il relativismo storico sta avendo la meglio al momento, e sentiamo dire che potrebbe non esistere la verità storica, questo sentiamo dire e quindi si mettono in discussione i fatti storici e abbiamo visto cosa porta tutto questo. Quindi noi coi nostri progetti abbiamo cercato di spiegare alle persone quanto è importante non dimenticare, quanto è fondamentale conservare e perpetuare questa memoria. E questo lavoro con gli scolari che abbiamo iniziato quasi 25 anni fa, era proprio rivolto a questo, e infatti questo concorso si chiamava “Le persone nella storia del ventesimo secolo”, quindi con questo progetto volevamo che i giovani si rivolgessero alla memoria familiare, e volevamo che ascoltassero ciò che raccontavano loro persone che forse non avevano mai parlato del proprio passato, e volevamo che queste giovani persone capissero veramente cosa fosse questo passato, come vivessero le persone in quelle condizioni, che capissero che impatto ha avuto il terrore su di loro, che capissero che come il terrore abbia avuto un impatto sulla società. L’enorme archivio che siamo riusciti a costruire nel corso di questi anni contiene migliaia e migliaia di lavori che vengono da tutta la Russia, da tutte le regioni, e questo archivio quindi è una raccolta di memorie, una memoria che è stata portata avanti di generazione in generazione. Abbiamo fatto molto o abbiamo fatto poco come ci chiedevamo prima. Adesso parliamo dell’azione organizzata da Memorial la lettura dei nomi, che è nata più di 10 anni fa, come funziona questa azione. Le persone si riuniscono in piazza Lubjanka, la famosissima piazza Lubjanka, intorno a una pietra che è stata portata lì dal primo lager, dove sono nati sostanzialmente i gulag, le persone quindi si riuniscono lì intorno, questo il 29 ottobre, e leggono tutto il giorno i nomi di chi è stato fucilato a Mosca, e si parla di 40.000 persone, e in questi anni non siamo riusciti a leggere tutti questi nomi, anche se abbiamo passato giornate intere a leggerli. E se all’inizio pensavamo che non sarebbe venuta molta gente, questo all’inizio, adesso le cose sono cambiate e sono venute migliaia e migliaia di persone disposte ad aspettare ore e ore per leggere semplicemente un paio di nomi e abbiamo visto quindi dunque che può funzionare questa memoria viva, abbiamo visto che viene trasmessa di generazione in generazione, perché lì in piazza non c’erano le vittime del terrore, c’erano persone giovanissime che erano lì solo per leggere un paio di nomi. Vorrei dire un’ultima cosa. A volte sembra che le persone si siano dimenticate di questa tremenda memoria, che l’abbiano rimossa per così dire, e sembra quindi che Stalin all’improvviso sia tornata una persona che viene vista positivamente da molte persone e questo significa una cosa soltanto, significa che lo Stato ha nuovamente sconfitto le persone, questo almeno per molti vale. Ciò non di meno io sono convinta, come anche molte altre persone che collaborano con noi con Memorial, e anche molte altre persone che non lavorano per Memorial, siamo convinti che ciò che è stato fatto, ciò che è stato scritto, ciò che è stato raccontato, non va da nessuna parte, certo ci sono tempi oscuri, esistono, questo però non significa che le persone scompaiano in questi tempi bui e questa è la nostra speranza, ed è questo il senso della mostra che abbiamo organizzato, ed è questo il senso di esserci riuniti qui tutti insieme oggi.
Giovanna Parravicini: Io, se mi permettete, volevo proprio sottolineare una cosa che hanno detto entrambe le nostre amiche. Elena Zhemkova ha terminato dicendo che la memoria è anche una memoria europea e in effetti preparando questa mostra che avete visto, penso alcuni di voi, “Uomini nonostante tutto”, dobbiamo dire come è nata questa mostra. Questa mostra è nata da un gruppo di studentesse italiane che erano a Mosca a studiare alla fine dell’anno scorso, e che si sono così entusiasmate della mostra che avevano preparato, l’ultima mostra che è stata fatta da Memorial prima che lo chiudessero, che mi hanno detto ma questa mostra vogliamo farla vedere anche ai nostri amici, dobbiamo portarla anche in Italia. E io allora a chi potevo rivolgermi? al Meeting di Rimini che, fuori tempo, fuori budget, fuori tutto, di fronte a questa proposta ha detto sì e ha fatto la mostra. E veramente siamo grati al Meeting di Rimini per questo. E in queste sere, facendo un po’ la sera la revisione, domande, impressioni, difficoltà con i ragazzi, ci sono anche dei rappresentanti del sesso forte, facendo la revisione alla fine della giornata qualcuno chiedeva ma cosa vuol dire, adesso Memorial come farà, e una cosa che le nostre amiche hanno detto è stato questo: ma voi, avete lavorato in questi mesi, avete preso in mano questi materiali, li avete studiati, sono diventati vostri, quante persone hanno pianto visitando questa mostra, perché evidentemente questa mostra smuoveva delle corde nel suo cuore. Ebbene voi siete Memorial, cioè la memoria è veramente un retaggio, un patrimonio di ciascuno di noi e non è una cosa del passato, è una nuova coscienza che ci permette di scegliere tra il lasciar chiusi gli scheletri nell’armadio, far finta di niente, andare avanti essendo tranquilli, oppure essere tra quelli che portano il nome di uomini. Ebbene questo è proprio il lavoro di Memorial, un lavoro che oggi continua, loro sono state modeste, ma continua in prima persona, personalmente, senza più una struttura ma nei cuori, nella volontà, negli sforzi, nelle energie che queste persone volontariamente continuano a spendere e di questo siamo loro infinitamente grati, ma soprattutto ci sentiamo corresponsabili di questo. E adesso è venuto il turno della nostra ospite dalla Russia, Ol’ga Sedakova, vi chiedo proprio un grande applauso perché Ol’ga Sedakova è una grande amica del Meeting, è una delle voci poetiche più importanti della Russia di oggi ed è anche una grande studiosa di Dante Alighieri. E voi capite come oggi in Russia, quando magari di tante cose non si può parlare, parlare di Dante, riproporlo come lei fa ai cuori e alle menti della gente, diventa veramente un grande motivo di memoria e un grande motivo di speranza. Io ricordo Ol’ga tra arresto in piazza Lubjanka il 29 ottobre, giorno in cui a Mosca spesso può esserci anche la neve, per ore e ore lì in fila per leggere anche lei come tutti noi il suo bigliettino con il nome del fucilato. Ol’ga non ha potuto essere qui tra noi presente, ma è presente qui con noi, e a lei vogliamo chiedere di parlare della cultura, di un problema che comunque sussiste da noi. Di fronte a questa terribile ingiustizia della guerra, boicottare la cultura russa o la Russia tout court, demonizzarla come talvolta avviene, nel nostro paese ha un senso oppure c’è un rischio che è quello di dividere ulteriormente una società civile, delle persone che in qualche modo, ciascuna nel suo posto, cercano di lottare per la verità, tenere accesa la fiammella come diceva monsignor Pezzi e invece identificare con il regime? è possibile oggi ritrovare un noi, un noi tra persone un noi addirittura anche, mi rendo conto di dire una cosa forse assurda, anche tra Ucraini e Russi, cioè un noi tra persone che comunque non rinunciano a costruire ponti? Prego Ol’ga.
Ol’ga Sedakova: Buonasera in italiano le mie prime parole per salutare tutti e io sono felice di essere con il Meeting che è tanto caro per me, ma poi parlo russo. Allora vorrei rispondere alla domanda di Giovanna prendendola da lontano. Da quando è caduta l’Unione Sovietica io ho avuto la fortuna di viaggiare tantissimo, sono più di vent’anni ormai, e incontrare tantissime persone che sarebbe dire poco se dicessimo che amano la Russia. La Russia come mi hanno detto è un evento estremamente profondo, importante, personale nella loro vita e io ho incontrato queste persone in Inghilterra, in Germania, in Francia, negli Stati Uniti, in Danimarca e in Svezia, e naturalmente in Italia, e innanzitutto sto pensando ai miei cari vecchi amici dell’organizzazione Russia Cristiana. Chi sono queste persone, cosa sanno della Russia queste persone con cui ho parlato, che ho incontrato, cosa sanno della Russia? Non sto parlando di slavisti professionisti che si occupano di studiare la musica e la letteratura russa e via dicendo, no, parlo di persone che amano la Russia senza essere dei professionisti, persone per cui la Russia è molto importante. Adesso parlo di persone che ho incontrato davvero, un’importante banchiere ad esempio, un vescovo anglicano, un’infermiera di Copenaghen, un’artista tedesco e un poeta francese, e loro non sapevano necessariamente il russo, potevano infatti leggere le traduzioni. Cosa sapevano della Russia, quello che normalmente definiamo cultura russa, quindi amavano la Russia grazie alla cultura russa, e parlo della cultura classica soprattutto del diciannovesimo secolo e anche la cultura del tragico ventesimo secolo. In questi incontri ho potuto vivere in prima persona cosa ha detto George Annibale un famoso studioso della letteratura russa, “la cultura russa non deve appartenere solo alla Russia ma a tutto il mondo perché è viva e agisce in diverse lingue, in diversi ambiti della società, però ha un aspetto abbastanza definito”, ora non ne parlerò nel dettaglio ovviamente, e vedere le cose comuni è più semplice dall’esterno perché dall’interno vediamo soprattutto le differenze e i punti di rottura. Quindi nella situazione attuale, nella catastrofe attuale in cui ci troviamo, che è iniziata il 24 Febbraio, cercando di guardare attraverso gli occhi di queste persone a ciò che succede, occhi che io conosco molto bene, facendo questo mi sono tornati in mente i versi di Marina Cvetaeva, Germania, versi scritti nel 1939 quando la Germania aveva invaso la Cecoslovacchia. “O vergine dalle gote rosse tra le verdi montagne Germania Germania Germania vergogna, hai inghiottito mezza Europa anima astrale un tempo ci ingannavi con le tue fiabe, adesso mandi i tuoi panzer” e soprattutto questa mi è rimasta impressa. Cvetaeva amava il genio tedesco e il fatto che parli di anima astrale e di favole ci mostra come lei la ama, se parla della cultura tedesca, dell’anima pesca, del perché ama la Germania. Nel caso della cultura russa credo che le prime parole sarebbero state diverse non avremmo parlato di anima astrale né di fiabe, avremmo parlato di gentilezza, di empatia, dell’importanza del perdono, di cose quindi simili. E qui vediamo che c’è una differenza immensa tra ciò che siamo abituati a concepire come cultura russa e come anima russa, perché la cultura russa viene dall’anima russa, quindi vediamo questo abisso che c’è fra questo e ciò che sta facendo la Russia attualmente, crimini di guerra di una brutalità disumana. Come si possono mettere insieme dunque queste due cose, devo riconoscere che sono anch’io sotto shock ancora e capisco che questo mette in discussione il messaggio stesso della cultura russa e mette in discussione e ci porta a chiederci ma tutte queste idee di una Russia pacifica, di un nuovo inizio della Russia, come ha detto il nostro grandioso filosofo nonché mio amico Vladimir Bibikhin un nuovo inizio, questo diceva lui che la Russia avrebbe potuto riiniziare da capo. Come si fa questo a sposare con la realtà del cosiddetto mondo russo come lo vediamo al giorno d’oggi? Vedendo cosa sta facendo il mondo russo in Ucraina, cosa si può fare, come reagire. Io ho già detto che quando si discutono queste questioni, con cultura non hanno in mente quello che è la cultura per gli etnologi o i sociologi ad esempio, pensano a quello che è stato creato da scrittori, artisti, registi e intellettuali russi però, russi. È evidente che in una situazione del genere si ponga questa domanda riguardo alla cultura russa. Il tema del boicottaggio della cultura russa in Ucraina, in tutto il resto del mondo oppure all’interno della Russia si parla della revisione della cultura russa, e la nostra intelligenza si rivolge molto più spesso a questo. La situazione attuale ha messo in discussione la cultura russa e per molti l’ha discreditata completamente, la cultura russa in questo senso non è complice o addirittura la ragione di questi atti barbari di cui ogni giorno sentiamo novità. Se questa è il popolo di Dostoevskij, di Cajkovskij ma a cosa sono serviti Cajkovskij e Dostoevskij allora, non dovremmo forse cercare in loro la fonte di questo selvaggio impero, di questo militarismo. E quindi qui si pensa di cambiare la cultura russa e si parla di revisione dunque, bisogna dire che innanzitutto che il nostro governo si muove proprio in questo senso e la propaganda statale quindi insiste molto sul fatto che il cosiddetto Occidente collettivo stia boicottando la cultura russa. Questo è un tema su cui la propaganda russa torna continuamente perché non farebbe che confermare che tutto il mondo è russofobo, che vuole escludere la Russia da tutto. E ogni volta che viene annullata una mostra la propaganda esagera tutto e non fa che parlare di questo, ovviamente non sta succedendo questo. Vorrei parlare adesso di due cose di cui non varrebbe la pena parlare qui e adesso. Punto primo, e infatti è comprensibile l’estraniamento radicale della cultura e della lingua russa in Ucraina, in parte anche cambiando il programma scolastico, togliendo la letteratura e la lingua russa. È fin troppo comprensibile considerata la situazione attuale e non c’è nulla da aggiungere. La seconda cosa che non vorrei discutere sono i casi in cui vengono annullati eventi culturali, vengono annullati contratti con autori e attori, musicisti russi che però sono troppo legati allo Stato, sostengono lo Stato e che quindi in questo modo diventano sostanzialmente emissari di uno Stato che ha scatenato una guerra. Potrà sorprendere ma questa posizione, quindi la cultura come parte delle forze armate, è stata espressa di recente dal direttore dell’Hermitage, Michail Piotrovskij, una persona che ha sempre goduto di una ottima reputazione, lui ha chiamato un mostra con pezzi dell’Hermitage “Operazione speciale”, un’operazione speciale culturale. E quindi rinunciare a mostre di questo tipo, a opere di questo tipo, secondo me è una cosa ragionevolissima, perché qui non si sta parlando della cultura russa ma si sta parlando di giochi politici, e il potere Russia non ha motivo di credere che la cultura russa sia una sua risorsa, come il gas o il petrolio, né considerare la cultura come parte dell’arsenale, come gli scrambler, no perché il potere Russia non ha mai portato niente di buono alla cultura libera, al contrario. Quello che è stato fatto alla cultura russa e ai suoi più importanti rappresentanti è uno dei crimini più efferati che sono stati compiuti dal partito comunismo e Memorial se ne occupa in particolare. L’attuale élite politica segue questa eredità sostanzialmente e continua a combattere contro la cultura libera, e questo danneggiando il buon nome della cultura russa e della lingua russa in tutto il mondo. Adesso vorrei fare una considerazione un po’ più generale a questo proposito. Ritengo infatti che qui la cultura russa sia l’ultima cosa che possa essere incolpata per quello che sta succedendo, e questo semplicemente perché questa operazione viene condotta da persone che non hanno nulla a che fare con la cultura russa, né con altre culture umanistiche. Si parla infatti di persone che sono contro l’umanismo e quindi contro la Russia, ma come siamo finiti in questa situazione, perché in Russia così tante persone che parlano il russo sono slegate da ciò che dovrebbe essere il vanto mondiale della Russia, perché è successo e perché della propria storia non conoscono altro che miti riguardo a continue vittorie militari? perché? Secondo me bisognerebbe porre la questione in altro senso, la cultura non va intesa come i frutti della creatività ma come di un reale concreto sistema di educazione e di tradizioni familiari e sociali, questo nella Russia contemporanea post sovietica. E qui vedo una delle fonti di questa catastrofe, anche se ovviamente non è l’unica, e non sto parlando di Dostoevskij, perché i propagandisti della guerra loro non solo non hanno letto il “Diario di uno scrittore” di Dostoevskij ma probabilmente non hanno letto neanche “L’idiota”. E non sto ricercando le ragioni neanche nei versi di Brodskij, le radici vanno ricercate in qualcos’altro, nel sistema che è venuto a crearsi all’interno della società e delle famiglie, che è stato creato dal potere sovietico, quindi il sistema per creare una la nuova persona, sembrava che questo sistema fosse crollato ma al suo posto non è arrivato nient’altro. Quindi l’intelligencija russa parla sempre della necessità della sensibilizzazione in questo contesto, in questo contesto però una sensibilizzazione umanistica non è possibile a causa della censura. Posso fare un esempio, le persone possono essere arrestate per strada solo perché se ne stanno lì con un cartello su cui è scritto non uccidere, uno dei dieci Comandamenti, per questo delle persone finiscono in prigione. E ieri un deputato moscovita è stato accusato per aver distribuito una preghiera scritta da Papa Francesco, una preghiera dedicata a Mariupol. Passiamo alla seconda domanda, quella posta da Giovanna, una domanda particolare riguardo al nostro noi, è possibile creare un noi che comprenda ucraini e russi? Questo “noi” non solo era possibile ma esisteva e io ne ero parte. Io ho tantissimi amici e collaboratori ucraini, abbiamo scritto libri insieme, abbiamo organizzato progetti insieme, ma cos’è proprio interessante, che questo noi non ci portava a sentirci russi o ucraini, ci sentivamo persone e ci rapportavamo l’un l’altro come persone, quindi eravamo noi persone con dei valori comuni, con dei compiti comuni e con una visione comune del mondo e dell’essere umano, e per quanto riguarda questo noi io spero, anzi sono convinta che non andrà distrutto. Allo stato attuale però il discorso viene condotto in termini statali, nazionali e in questo contesto io non vedo ahimè alcuno spazio per questo noi e passerà secondo me molto molto tempo, e quindi questo noi finché va avanti la guerra non potrà esistere. Grazie.
Giovanna Parravicini: Grazie Ol’ga, grazie perché la sua presenza è un ponte non a livello di nazioni, non a livello di Stato, ma è veramente quella persona, quel luogo che ci fa capire come dentro qualunque situazione la passione per l’uomo è sempre un grande punto di speranza, l’unico punto di speranza, ma un punto di speranza che non può mai venire meno. E di questo io credo che dappertutto, in Russia e in Ucraina, ma anche da noi, abbiamo un bisogno disperato. Ma adesso veniamo alla nostra quarta ospite Natal’ja Davtjan. Natal’ja Davtjan è una psicoterapeuta, è una dei responsabili dell’associazione Emmaus, che da tempo opera a Kharkiv, e si occupa di ragazzi in difficoltà, di ragazzi orfani, quindi fa un grosso lavoro, ha dovuto agli inizi della guerra come tanti altri fuggire e adesso in Italia continua a lavorare seguendo queste persone che già seguiva mentre era in Ucraina. A lei noi vogliamo chiedere questo, io credo, ma l’abbiamo constatato tutti, il regime russo probabilmente pensava che quella Ucraina sarebbe stata una passeggiata, una campagna che doveva durare qualche giorno e vedere l’esercito che entrava nel paese accolto con fiori, ringraziamenti, eccetera. Si è trovato di fronte a un fattore, chiamiamolo il fattore umano, questa resistenza, questa unità di popolo, questo desiderio di dignità, di libertà, che ha fatto sì che questo popolo continua ad esistere, anzi. Era qualcosa che non era stato previsto dal regime e forse è stata per molte persone anche in Ucraina una scoperta nuova, un nuovo inizio pur nella tragicità degli avvenimenti. E l’Ucraina martoriata e decisa a difendere all’ultimo sangue la sua libertà, è diventata un simbolo sorprendente per noi tutti. Allora io volevo chiedere a Natal’ja come ha visto vivere la sua gente, come la vede vivere perché è sicuramente ancora in contatto con loro, e, dentro la tragicità di questa situazione, che cosa augura al suo popolo, a tutti noi, ma al suo popolo in particolare, oltre a una pace reale, dignitosa, che quello che noi tutti credo qui al Meeting, e non solo al Meeting, desideriamo.
Natal’ja Davtjan: Buongiorno a tutti, vorrei iniziare dicendo che uscirò un po’ da non leggere esattamente quello che ho scritto, ho preparato, perché nel mio paese le cose cambiano ogni giorno e questo ha anche un impatto su quello che vorrei dire oggi qui. Vorrei iniziare dicendo che è difficilissimo per me essere qui adesso perché alcuni dei miei amici mi condannano per essere qui a fianco a dei russi, ed è molto complesso per me essere qui perché non volevo infliggere al loro più dolore di quanto già non stiano vivendo. Alcuni dei miei amici ritengono che sia troppo presto e anche mio figlio ritiene che sia troppo presto per condividere la scena con persone che vengono dalla Russia, come se stessi tradendo il dolore che sta andando avanti da ormai sei mesi e che sta venendo proprio adesso. Ma io non sono qui per costruire dei ponti di cui parlava Giovanna, non adesso almeno perché non è possibile costruire questi ponti in questo momento e costruirli con persone che vengono dal paese aggressore. Perché l’aggressore utilizza questi ponti per trasmettere la sua ideologia che prevede l’inghiottimento e la distruzione di tutto il mondo, di tutto il mondo in cui vivete anche voi, perché noi tutti siamo diventati vittime di questi ponti. Persone interessanti, geniali, piene di talento, ecco queste persone che lavorano nell’arte, nella scienza, che lavorano in politica, che lavorano in televisione, dovunque, tutte queste persone hanno conquistato le nostre menti, hanno conquistato i nostri cuori con le loro opere, col loro genio, col loro talento, col loro carisma, però poi è iniziata la guerra. E una parte di queste persone ha preferito tacere e si sono inchinate al regime, c’è una parte invece che fa proprio propaganda in favore della guerra, e solo una parte minuscola vi si oppone, si oppone alla guerra, ma sono talmente poche queste persone che è difficile sentirle queste persone, non è quasi possibile sentirle queste voci. E una cosa che è ancora peggiore è che il regime usa le opere di artisti morti già, e lo fa senza averne il diritto, le usa per la propria propaganda. Poi ci sono delle persone che protestano apertamente, pubblicamente contro la guerra ma, allo stesso tempo, fanno lavoro di lobby per gli interessi di Putin. Quindi per tutti questi punti passa Putin. Anch’io amo la cultura russa e per il momento non riesco ad escludere dalla mia vita Dostoevskij e la letteratura russa che io ho iniziato ad amare fin da quando ero bambina. Adesso però ritengo che in Ucraina e in tutto il mondo, che adesso non è tempo finché non verranno risolte le questioni di cui ha appena parlato Ol’ga Sedakova. Vorrei dire anche che quello che ha detto Ol’ga sono parole che sento molto vicine a me quando ha parlato dell’incontro fra esseri umani. Noi ci siamo incontrati a Kharkiv, quando voi con Franco Nembrini avete organizzato un incontro per discutere la Divina Commedia di Dante. L’università in cui vi siete incontrati, in cui ci siamo incontrati adesso è stata distrutta dalle bombe della Federazione russa, molti ragazzi che sono qui in questa sala e fanno volontariato hanno passato la loro vita studentesca proprio in quell’università. Eliana che abbiamo incontrato prima e che non ha fatto in tempo a laurearsi in questa università, non ha fatto in tempo ed è proprio per questo che ritengo che non ci sia la possibilità per questo “noi” che leghi ucraini e russi di cui hanno parlato Ol’ga e Giovanna. Il mio paese adesso, io almeno la vedo così, il nostro paese è stato crocifisso come Cristo e viene crocifisso ogni giorno. Ieri, perché si sapeva quando la Russia avrebbe colpito la popolazione civile, in quale giorno, e ieri è stato colpito un treno che trasportava dei civili e sono morte più di venti persone e questo per quanto riguarda i dati che abbiamo ottenuto ieri. Io so che sapete molto, che seguite le notizie e a volte certo dicono che l’Europa ormai è stufa e stanca di questa guerra e di parlarne, ma oggi sto parlando di questo qui affinché non si parli solo di una memoria che va ricostruita, la memoria di quelle persone ed è tutto questo molto importante certo evidentemente, ma adesso, oggi sta succedendo qualcosa a delle persone ancora vive e stanno soffrendo terribilmente queste persone. E quindi c’è la sensazione che si parla della memoria ma non si sta parlando di cosa sarebbe necessario fare per porre fine a questa guerra. Io vorrei dire che vengo da Kharkiv e questa città, la mia città natale viene bombardata ogni giorno, da 183 giorni, non c’è stato un giorno in cui non sono cadute le bombe sulla mia città, non c’è stato un giorno in cui le persone non siano morte. Quindi per portare un po’ di realtà vorrei parlare del fatto che un nostro amico un paio di giorni fa ci ha raggiunto dalla Cherson occupata, è venuto in Italia in macchina, ha guidato per 90 ore, ha attraversato la Russia e il Caucaso e lungo tutto il suo cammino non ha visto altro che odio e violenza, brutalità. Quindi questo “noi” adesso non è possibile. Scusatemi, non vorrei dimenticarmi di dire tutto quello che voglio dire. Mi sembra che allo stato attuale questo noi non possa esistere per una semplice questione perché la Russia non si è ancora pentita, questo noi potrà esistere solamente dopo un pentimento da parte della Russia. Voglio ricordare gli ultimi minuti di Cristo, Lui era stato crocifisso insieme a due altre persone, due briganti, e solo uno si è pentito, è lì che è venuto a crearsi questo noi. Io purtroppo non sono molto ottimista riguardo al pentimento della Russia, perché se avete visto la mostra organizzata da Memorial avrete visto che tutte le storie che sono state presentate lì, tutte le vittime del regime e tutti gli archivi e questo lavoro incommensurabile fatto da queste persone che sono con me qui in scena, avete visto tutto questo ma questo lavoro non ha aiutato ad evitare che la Russia scivolasse di nuovo nel male assoluto, e vediamo nuovamente il terrore, il silenzio, l’inchinarsi al regime, l’odio, la delazione, i tradimenti, gli omicidi, la violenza. Quindi se parlassimo solo di memoria, non possiamo fare questo e non chiederci perché non ha funzionato, cos’altro dobbiamo fare affinché non ci sia più guerra, altrimenti continueremo a trovarci in questo terrificante circolo vizioso e torneremo continuamente a questo punto. Adesso vorrei tornare alla domanda che mi ha posto Giovanna, quali sono stati i cambiamenti del popolo ucraino. Nel corso di questa guerra, e quindi non dal 24 Febbraio ma dal 2014, dall’inizio di questa guerra gli ucraini hanno ricostruito la propria nazione, hanno ricostruito la propria identità. E più Putin cerca di distruggerla e maggiore sarà la nostra resistenza, la resistenza di ognuno di noi. I miei amici, colleghi e clienti nati in Ucraina, da un punto di vista etnico sono ucraini, ebrei e georgiani, armeni, polacchi, russi, tatari, e via dicendo, e si parla soprattutto qui di sangue misto, e Stalin ha fatto questo per distruggerci. Ma dopo il 2014 e soprattutto dopo il 24 Febbraio di quest’anno, nel mio paese ci sono solo ucraini, siamo tutti ucraini e tutti insieme abbiamo capito cosa ci differenzia dalla maggioranza delle Nazioni al mondo, e cosa ci differenzia è la cosa fondamentale per gli ucraini, è capire che cosa differenzi loro dai russi, perché la propaganda continua a ripetere che siamo un unico popolo però per noi una vita senza libertà è intollerabile. Non possiamo aspettare la libertà, non possiamo vivere sperando e credendo in lei, noi possiamo esistere solamente in condizioni di libertà, ed è questo che Putin non ha previsto. Putin non ha previsto questo e anche ora non lo riesce a capire, perché lui e il suo regime sono sempre stati degli schiavi, schiavi del denaro, di idee imperialiste, dello status del proprio regime, del terrore della morte, loro stessi sono degli schiavi e quindi hanno educato degli schiavi, stanno cercando di educare schiavi. Non riescono a capire come avere un impatto su delle persone libere, perché riescono a terrorizzare la propria popolazione con questa facilità ma noi invece non riescono a spaventarci. Putin ci bombarda sempre di più e non vede che cresce la nostra resistenza. E in noi non ha creduto né l’America né l’Europa, ma non appena è scoppiata la guerra migliaia di uomini e donne sono corse ad arruolarsi, e il nostro presidente non è andato a nascondersi in un bunker, tutti erano disposti a sacrificare la propria vita ma non la propria libertà. In questo modo l’Ucraina ha posto una domanda a tutto il mondo: che cos’è più importante la libertà o la vita, e una vita in assenza di libertà può essere considerata vita? non per l’Ucraina.
Giovanna Parravicini: Grazie Natal’ja, abbiamo pochissimi minuti volevo proprio fare delle repliche molto brevi per poter dare a tutti… Volevo chiedere a Elena Zhemkova tra due giorni ritorna in Russia, torna a Mosca una battuta, perché torno a Mosca, con quale speranza.
Elena Zhemkova: L’ ho già detto, io sono convinta del fatto che le persone abbiano bisogno di noi, della nostra organizzazione, del nostro lavoro, e io sono convinta che la comprensione del passato è legato a quello che sta accadendo oggi, e finché le persone hanno bisogno di me in Russia, io ritornerò e Memorial continuerà il proprio lavoro.
Giovanna Parravicini: Una brevissima domanda anche a Irina Scerbakova, l’educazione può ancora avere un senso, possiamo dire che è stato tutto inutile?
Irina Scerbakova: Molto difficile rispondere a questa domanda, molto difficile dopo quello che ha detto Natal’ja cosa si può dire, vorrei dire questo. Nonostante tutto, nonostante il fatto che il governo in Russia è stato preso in ostaggio da persone che sono disposte a tutto, l’abbiamo visto negli anni passati, abbiamo visto la violenza con cui vengono attaccati i manifestanti, come vengono picchiati bambini e donne, come si viene imprigionati per dodici anni solo per aver detto certe parole. Sì, queste persone sono in minoranza allo stato attuale, sì, questo regime non è stato fermato, sì, si è armato fino ai denti questo regime, questo è evidente, è evidente che sta minacciando tutto il mondo, tutto questo è vero. E secondo me adesso non è il momento di parlare di ponti ma so per certo, e non solo per quanto riguarda Memorial, che continuano a esserci molte persone in Russia che fanno ciò che possono, può essere che le persone questo non lo vedano, non lo sappiano, ma io so che da quando è iniziata la guerra migliaia di persone sono state condannate per aver protestato contro la guerra, sono state arrestate, e Ol’ga Sedakova ne ha parlato. In Russia milioni di russi, milioni di ucraini si trovano adesso in Russia e loro hanno bisogno di aiuto, e so che ogni giorno ci sono delle persone che nei modi più diversi provano ad aiutare loro e raccolgono fondi per loro e cercano di portarli in altri paesi, questo certo è poco tenendo conto di quello che sta succedendo. Però ritengo che, io sono d’accordo con Ol’ga che tutte le discussioni adesso non sono così importanti, però innanzitutto ritengo che sia fondamentale che ogni giorno le persone che la pensano come noi cerchino di fare qualcosa, quello che riescono a fare affinché l’Ucraina possa vincere. Io non so come andranno le cose, come ciò accadrà, e al momento non abbiamo progetti per il futuro e non abbiamo idea di come e quando questa guerra possa finire, ma ci rendiamo conto tutti di una cosa che anche per la Russia questa è una questione di importanza vitale, esistenziale, ossia quando e come questa guerra finirà? E ritengo che Natal’ja ha ragione in quello che ha detto, si tratta di una questione comune, è una questione che riguarda tutti noi e solo tutti insieme riusciremo a risolvere la situazione. Perché ci dicono sempre i politici che la società civile è debole, ma io ritengo che la forza dei deboli esiste, la nostra solidarietà e questa è la base più importante che si possa dire riguardo all’Ucraina. Grazie.
Giovanna Parravicini: Prima avevo interrotto Natal’ja che voleva dire ancora una cosa, prego.
Natal’ja Davtjan: Vorrei rispondere alla domanda che mi ha posto Giovanna, cosa mi auguro per l’Ucraina? Al mio paese voglio augurare la libertà, territoriale ma soprattutto spirituale. Purtroppo adesso si sta aggiungendo al dolore l’odio, molte persone che hanno perso persone a loro vicine, che hanno subito violenza, che hanno vissuto delle situazioni drammatiche, queste persone sentono quest’odio di cui sto parlando. Nel mio lavoro incontro spesso persone che non riescono a uscire da questo odio, per anni non ci riescono, e sono profondamente grata al Meeting per aver organizzato incontri sul perdono, affinché le persone possano capire che bisogna perdonare per liberarsi del male che abbiamo dentro. È ancora molto presto per parlarne però voglio dire che avremmo bisogno di abbracci. Tania, che lavora per la nostra organizzazione, una delle ragazze di Emmaus, che è un’organizzazione che si occupa di orfani e a volte di ragazzi diversamente abili, ecco Tania mi ha detto di recente che è riuscita a perdonare l’assassino di sua madre solo dopo essere diventata parte di Emmaus. Io vorrei augurare all’Ucraina che il mondo l’abbracci come noi, noi di Emmaus, abbiamo abbracciato Tania, affinché noi tutti possiamo perdonare. Grazie, gloria all’Ucraina.
Giovanna Parravicini: Ol’ga, io non so se lei voleva aggiungere una parola. Io vorrei terminare con una sua parola però se è possibile. Come vi avevo promesso non è stato un incontro semplice. Abbiamo sentito bei discorsi, abbiamo attraversato un dolore profondo e un dramma, una tragedia che si vive quotidianamente, però ci aiuta forse una parola di Ol’ga Sedakova. Ol’ga Sedakova in una delle sue poesie ricorda un angelo, un angelo che si trova sulla cattedrale di Reims, una cattedrale molto colpita, danneggiata dalla prima guerra mondiale, e anche quest’angelo è screpolato, ha una mano mozza, eppure quest’ angelo ha un messaggio da portarci, è proprio il messaggio che io direi ci viene da tutti quei feriti, da tutti quei caduti, da tutte quelle famiglie che hanno visto morire i loro cari, da tutte quelle donne che sono state umiliate e che ogni giorno subiscono violenze e cose terribili. Eppure da tutto questo dolore ci viene una speranza. Eugenia Kingsburg alla fine della mostra dice: io ho vissuto 18 anni di inferno nei lager eppure me la sono sempre cavata perché in tutti quei momenti, in tanti momenti, forse la mia forte costituzione, forse qualche circostanza fortuita, però erano come tutti i segni di quel bene che nonostante tutto regna nel mondo, un bene che nonostante tutto ci permette di essere, nonostante tutto, ogni giorno uomini. Ebbene io vorrei finire con questo testo di Ol’ga Sedakova, e queste parole che l’angelo rivolge a ciascuno di noi oggi perché siano veramente la speranza in questo bene, che tanti di noi abbiamo sperimentato, se siamo qui l’abbiamo sperimentato, e che diventa veramente il fiore della speranza per ciascuno. L’angelo dice: in questa rosea pietra sgretolata, levando il braccio scheggiato dalla guerra mondiale, consentimi tuttavia di ricordarti sei pronto? alla peste, alla fame, al terremoto, al fuoco, all’incursione dei nemici, all’ira che si abbatte su di noi”, tutte cose a cui assistiamo ogni giorno. Dice l’angelo: “certo è tutto importante ma non è di questo che voglio parlarti, non è questo che ho il dovere di rammentarti, non per questo sono stato inviato, io ti dico tu sei pronto a una felicità incredibile?”. E da ultimo ringraziando queste nostre amiche che hanno con noi condiviso queste cose così sostanziali per la loro vita, vorrei dire un grazie di cuore al Meeting che ha permesso e che permette da 43 anni tutto questo, e la mostra “Uomini nonostante tutto” probabilmente, anzi mi hanno detto sicuramente, diventerà una mostra itinerante, proprio per questo è così importante che ciascuno di noi proprio in nome di questa felicità incredibile, possa aiutare donando, contribuendo a questa cosa così grandiosa, che ci riunisce qui oggi. Grazie.