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Talk “Il cambiamento possibile”. Ricerca: la sfida della conoscenza
In diretta su Corriere Tv, Askanews.
A cura di Fondazione per la Sussidiarietà. In collaborazione con Centromarca. Sponsor tecnico Bayer.
Francesco Cupertino, Rettore Politecnico di Bari; Maximo Ibarra, Amministratore Delegato Engineering; Maria Cristina Messa, Ministro dell’Università e della Ricerca; Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato Inalca. Conducono Enrico Castelli e Irene Elisei.
Il tema della ricerca verrà focalizzato rispetto allo stretto rapporto tra università e imprese e viceversa. Si parlerà di conoscenza come diritto e come percorso, in riferimento alla necessità di una formazione permanente che ponga sempre più al centro l’urgenza di imparare un metodo e non una conoscenza astratta.
Con il sostegno di Engineering, Leonardo.
TALK “IL CAMBIAMENTO POSSIBILE”. RICERCA: LA SFIDA DELLA CONOSCENZA
Enrico Castelli: Buonasera, buonasera a tutti, terza giornata, terzo Talk curato dalla Fondazione per la Sussidiarietà qui al Meeting di Rimini. Il titolo di questa sera lo vedete “Ricerca: la sfida della conoscenza”. Parleremo di ricerca, naturalmente, e di Università. Riportando indietro le lancette dell’orologio a due anni e mezzo fa nel mezzo di una pandemia un po’ anche con una certa dose di paura, tutti eravamo in attesa di novità, per un vaccino, per una cura che ci potesse salvare da questo terribile virus, vero Irene?
Irene Elisei: Buonasera Enrico, buonasera al pubblico in sala e a chi ci segue in diretta streaming. È così tanto che noi vogliamo partire da una evidenza ovviamente dopo l’emergenza sanitaria, cioè l’importanza della ricerca, e noi a questo appunto dedichiamo questa giornata. Ricerca intesa come Università, laboratori specializzati, ancora persone, quindi teste, centri investimenti molto importanti che spesso hanno ritorni non nel breve periodo ma nel medio e lungo, forse anche per questo il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, non gli ha proprio dedicato moltissimi investimenti, fatto sta che è un punto fondamentale per il futuro del paese.
Enrico Castelli: Di tutto questo parleremo coi nostri ospiti che passo a presentarvi: Maria Cristina Messa, buonasera, grazie di essere intervenuta Ministro dell’Università; Francesco Cupertino, Rettore del Politecnico di Bari, buonasera; Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Inalca, filiera Italia, Società del gruppo Cremonini, buonasera; Maximo Ibarra, buonasera Ibarra, Amministratore delegato di Engineering, società specializzata nel campo della digitalizzazione, buonasera Ibarra.
Irene Elisei: Un ben trovato a tutti. Come vedete mondo dell’Università, mondo delle aziende assieme, che relazione hanno, quale Università, per quale tipo di ricerca, ricerca applicata oppure ricerca pura. Queste sono alcune delle domande in sottofondo per l’incontro di questa sera. Partiamo subito facendovi vedere, anzi facendovi entrare in un centro di eccellenza, stiamo parlando della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, un’eccellenza italiana nell’ambito della ricerca scientifica, lo guardiamo nel servizio e da qui partiamo.
Primo Servizio: Mariangela Filosa, dottoranda in biorobotica
“Questa è una piattaforma robotica bimanuale utilizzata per la caratterizzazione di pelli artificiali, prevediamo di applicare queste pelli artificiali sulla superficie dei robot in modo tale da rendere sicura l’interazione durante il lavoro, a casa o in diversi contesti, tra il robot e la persona. Sviluppiamo anche dei sensori indossabili per il monitoraggio respiratorio che si inseriscono bene nell’ambito della telemedicina e della teleassistenza. Ogni giorno c’è una sfida nuova sia scientifica che tecnologica, quindi non si tratta di un lavoro ordinario.” Mariangela Filosa è una dottoranda in biorobotica a questa piattaforma ha lavorato con altri dieci colleghi per due anni. Esploriamo i laboratori di scienze sperimentali della Scuola Superiore Sant’Anna Ateneo Pubblico a ordinamento speciale. A Pontedera ci si muove tra stampanti 3D, piccoli robot e mani artificiali, un centro di ricerca trasversale che concentra 150 docenti e 500 dottorandi da tutto il mondo. “Questo è un esoscheletro per la riabilitazione per pazienti post ictus, quindi è pensato per assistere i movimenti di spalla e gomito per pazienti che non hanno un livello di mobilità tale da poter compiere dei movimenti. Quindi l’esoscheletro in pratica simula il lavoro che farebbe il fisioterapista andando a muovere le articolazioni di spalla e gomito.” Dietro ci sta l’immenso lavoro di ingegneri meccanici, biomedici, robotici, le ultime frontiere dell’innovazione. Ma come nasce una ricerca oggi? “Sarebbe bello dire da un’idea però adesso è molto più complicato, serve molta massa critica. Cioè è chiaro nascono ancora le ricerche così da un’idea brillante, io stessa ho partecipato a delle ricerche in cui c’è stata un’idea, e poi da questa idea è nata una Summer school, è nato un brevetto, e poi dal brevetto sono nati un po’ di progetti molto di sfida fino ad arrivare a riviste molto prestigiose. Però è chiaro che un filone serve, quindi serve un ambiente, una specie di brodo primordiale.” Serve un ambiente dunque, mezzi, attrezzature e persone, ma soprattutto interscambio anche con il mondo di aziende di industria, perché idee e prodotti possano approdare sul mercato e portare benefici alla società. “È chiaro che il rapporto che tutti i ricercatori vorrebbero con le aziende è un rapporto di lungo termine e non sempre questo è possibile, non sempre è possibile in Italia. Quello che cerchiamo in alcuni casi lo abbiamo anche realizzato con dei laboratori congiunti, sono collaborazioni a lungo termine, magari proprio arriva all’azienda, fonda un laboratorio congiunto con personale misto, e poi si fa un co-sviluppo in qualche modo.” E i fondi in questo momento non mancano sia dall’Europa che dal Governo nazionale, resta il problema dell’attrattività fra stipendi fissi e mancanza di infrastrutture per richiamare i ricercatori in Italia. Altro tema quello della valutazione della ricerca, perché non ci sono solo le pubblicazioni su riviste prestigiose e il numero delle citazioni, esiste quella che si chiama terza missione, impatto sul territorio, brevetti, ricadute sulle aziende. “Nel caso della scuola Sant’Anna ne siamo usciti molto bene con tre prodotti valutati tutti eccellenti, e eccellenti estremamente rilevanti, e siccome fare impatto è un impegno, è anche importante che chi ha questo impegno aggiuntivo, chi si impegna nella terza missione abbia un riconoscimento sia a livello personale che a livello di Ateneo”.
Irene Elisei: Ministro Messa, la professoressa che abbiamo appena ascoltato diceva: “L’idea da sola non basta, per una ricerca serve anche un ambiente favorevole, risorse, attrezzature e persone”. Lei prima di ricoprire questo ruolo era Rettore dell’Università Bicocca di Milano. L’Università italiana ha queste caratteristiche o meglio a quali condizioni effettivamente il terreno è fertile per favorire la ricerca?
Maria Cristina Messa: Buonasera a tutti, e parliamo proprio di terreno perché un terreno fertile va seminato con costanza e coltivato con continuità. Io credo che il nostro sistema della ricerca soffra fondamentalmente di una non continuità, abbia sofferto di questo, andando a picchi, ad alti e bassi a seconda del periodo, e si è creato in qualche modo un problema sull’attrattività. Detto questo se noi andiamo a vedere i singoli capitoli, quindi le infrastrutture e le attrezzature o le persone che sono coinvolte o anche i luoghi in cui queste persone sono coinvolte, questi sono tanti, sono molto presenti. Abbiamo le attrezzatura più moderne, le abbiamo sempre avute, magari a volte non vengono utilizzate nella maniera più corretta. Ora, che cosa secondo me bisogna guardare sempre pensando un po’ al futuro, credo che abbiamo davanti questa sfida, è stato detto i fondi oggi ci sono, abbiamo già assegnato tutti i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che andranno a finanziare progetti di ricerca misti, pubblico privati, Università Enti di ricerca e imprese, che prevedono persone, prevedono attrezzature, prevedono ricadute sul territorio, prevedono formazione di startup e spinoff. È una grandissima sfida che va colta adesso proprio con l’esperienza che abbiamo, perché è vero che non bastano le idee ma sono la parte fondamentale e da questo punto di vista gli italiani anche quando vanno all’estero purtroppo le idee le hanno, le hanno forti, le hanno solide, l’idea non è solo l’idea che capita per caso, è un’idea costruita, un’idea studiata, un’idea che ha una sperimentazione che può essere fatta in maniera pratica. Colgo solo un punto fondamentale che ha detto la professoressa, che avete detto voi ed è quello delle persone. I nostri ricercatori devono essere valutati meglio, di più, e anche economicamente riconosciuti in maniera maggiore in base a quello che fanno. Questo purtroppo è vero, non è possibile, noi abbiamo un sistema che omogeneizza molto, che rende tutto a livelli standard, ed è molto difficile premiare. La premialità nell’Università è entrata un po’ di anni fa, le Università adesso hanno una parte di finanziamento che si basa sulla premialità, chiaramente dovrebbe poi questo essere trasferito alle singole università in modo che queste possano anche premiare laddove c’è una valutazione. Qualche mattoncino è stato messo perché di nuovo in questi bandi che abbiamo fatto adesso è possibile assolutamente fondare meglio un fondo di premialità e anche riconoscerlo, e dipende dagli atenei, sono autonomi gli atenei.
Enrico Castelli: Luigi Scordamaglia lei guida un’azienda leader nel campo della trasformazione delle carni e non solo. Nel vostro bilancio sostenibile si parla espressamente di un rapporto stretto col mondo universitario, in che cosa consiste?
Luigi Scordamaglia: Guardi, mi fa piacere ma vorrei anche precisare, lei prima ha parlato di filiera Italia quindi la risposta gliela do come in Alcamo, gliela dò anche come filiera Italia, perché filiera in Italia è questa straordinaria aggregazione tra la produzione agricola di Coldiretti, le più grandi imprese di trasformazione e anche parte della distribuzione. Quindi la risposta gliela dò come filiera agroalimentare italiana. Noi oggi, e mi consenta di dare dei piccolissimi numeri, questo è un settore che rappresenta 570 miliardi di euro di fatturato, quattro milioni di persone, ma soprattutto è un modello unico e straordinario globale perché riesce a fare 64 miliardi di valore aggiunto, di valore vero con il più basso impatto ambientale a livello europeo. Sono 30 milioni di visioni dati di CO2, contro i 77 francesi o i 60 tedeschi. Vuol dire che l’innovazione, la ricerca, il rapporto con l’università, con dei limiti di cui poi parlerò, è quello che fa sì che si realizzi una specie di miracolo, cioè il paese con il più piccolo fazzoletto di terra, perché siamo piccoli, ma la più grande e straordinaria biodiversità diventa un modello di riferimento globale. Noi stiamo crescendo nelle nostre esportazioni, abbiamo superato i 50 miliardi, quest’anno ne faremo 60, ci avviciniamo in pochi anni ai 100, ma non più con la qualità, non più con la sicurezza, ma anche con la distintività della nostra sostenibilità. Innovazione e Università, non sarebbe stato possibile, c’è ancora chi ha una visione bucolica di questo settore perché pensa che la sostenibilità si faccia con l’aratro di legno, la sostenibilità si fa grazie al fatto che l’agricoltura di questo paese è diventato leader di riferimento globale per il Precision Farming. Il fatto che ogni singolo metro quadro di terra viene considerato quasi un essere vivente diverso dall’altro, alcune realtà che aderiscono per esempio a filiera, alcune grandi aziende Bonifiche Ferraresi, sono le uniche realtà europee a fare delle sperimentazioni con la Nasa in cui viene raccolta questa enorme quantità di dati che poi vengono messi a disposizione del sistema complessivo. Quindi le rispondo dicendo ricerca, innovazione costante, ma senza rinnegare, senza omologare la tradizione. C’è un esempio classico quello degli NBT, le New breeding technics, è qualcosa che ti consente di migliorare, ovviamente un organismo, un organismo vegetale, ma senza forzare, senza creare quegli incroci che per troppo tempo sono stati in mano a poche multinazionali e hanno denaturato il nostro modello. Finisco con l’altro problema. Noi siamo e diventeremo sempre più, sono convinto, riferimento globale, abbiamo però un limite fortissimo che è quello del mismatch, cui si accennava prima, della disponibilità di risorse umane qualificate, se noi non riusciamo a colmare, è incredibile il paradosso di questo paese, ma noi solo come industria alimentare dobbiamo coprire 50.000 nuove figure nei prossimi 3-4 anni, 50.000 e questo è qualcosa di davvero importante, perché tu puoi essere secondo nella robotica, come siamo alimentare, primo nel Precision Farming, puoi fare tutto quello che vuoi, tutte le infrastrutture che vuoi, ma se non hai poi il personale qualificato, avanzato e aggiornato, ovviamente ti fermi.
Enrico Castelli: È il tema del prossimo servizio, prende spunto da un sondaggio curato da Centromarca, l’associazione che raggruppa le aziende più note anche in Italia in diversi settori che fa capire, da un’indagine fatta tra un centinaio di migliaia di loro manager, questa discrepanza di cui lei sta parlando vediamo il servizio insieme.
Secondo Servizio: “Impara l’arte e mettila da parte” dicevano i nostri vecchi quando bastava entrare in bottega e rubare con gli occhi il mestiere, oggi non sempre è così molto spesso ciò che si apprende non corrisponde a quello che il mercato del lavoro richiede. Lo conferma un sondaggio di Centromarca promosso tra le circa 200 industrie di marca che l’associazione rappresenta in Italia. Secondo i manager interpellati, i neolaureati italiani sono sì molto preparati ma di fatto poco capaci di trasferire sul campo le conoscenze acquisite durante gli anni di studio. La colpa per così dire delle Università sarebbe quella di favorire un percorso di studi poco pragmatico, ostacolo superabile, secondo il 52% degli intervistati, se aumentassero le partnership con le imprese per ampliare possibilità di stages curricolari e affiancamento in azienda. Di fatto l’imprenditoria italiana oggi di chi ha bisogno? Tre aziende su quattro cercano laureati in ingegneria ed economia, attorno al 20% si attesta l’interesse per giovani formati in chimica, biologia e in lingue straniere, risulta in crescita poi l’interesse per i neolaureati in scienze statistiche. Altrettanto importante secondo le valutazioni dell’industria di marca è possedere le giuste soft skill più che mai centrali tra i criteri di selezione del personale, su tutte la capacità di lavorare in gruppo, le abilità comunicative e l’attitudine al problem solving. Infine se dieci anni fa era essenziale parlare più lingue, oggi al multilinguismo si aggiungono le conoscenze tecnologiche, specificamente legate ai social media, web marketing, big data e e-commerce. Lo conferma l’ultima indagine di SVG, società specializzata in ricerche di mercato secondo cui oltre l’80% di chi cerca un impiego giudica indispensabili le competenze digitali. E lo sa bene la generazione Z quella nata a cavallo degli anni 2000 e che si appresta ad entrare nel mercato del lavoro oggi, non appartiene a loro il 4% che le ritiene inutili.
Irene Elisei: Competenze digitali Ibarra, musica per le sue orecchie, e qui vorrei subito chiamarla in causa. In questo momento dopo l’esperienza ai vertici di Wind Sky Italia è approdato ad Engineering dove guida un’azienda, una multinazionale che si focalizza sulla trasformazione digitale. Vengo da lei perché voi avete una vostra Academy che è poco conosciuta ma che è ormai di dimensioni imponenti, un’ Academy che è anche una scuola di Management Information Technology, giusto per dare qualche numero, lo inizio a dare io, 240 docenti, 500 corsi, 10.000 persone interessate, insomma sono numeri che hanno colpito già noi quindi era giusto riportarle. È una scelta importante, è un’azienda che decide di finanziare una ricetta del genere, perché l’Università italiana non prepara adeguatamente?
Maximo Ibarra: Intanto buonasera di nuovo a tutti. Direi che oltre ai dati che abbiamo visto, che abbiamo sentito dal servizio, c’è anche un tema di, ci sono pochi laureati rispetto alle esigenze che oggi esistono sul mercato. Non è soltanto un tema di quali sono le skill, il tipo di formazione, ma chi si laurea oggi come numerosità sicuramente non è quella adeguata. Ricordiamoci che in Italia esiste anche un problema demografico importante che dobbiamo affrontare, quindi se dovessi mettere io come priorità assoluta nell’agenda di quelli che saranno i Governi dei prossimi cent’anni sicuramente bisogna riflettere anche su questo. Però direi che è vero che la richiesta di laureati in materie STEM piuttosto che in economia è molto alta, noi quello che stiamo cercando di fare adesso è una scelta un po’ diversa, quindi siccome mancano i laureati, mancano le persone che hanno certe competenze, abbiamo deciso di formarle direttamente noi. Quindi il requisito indispensabile è quello di poter avere ragazzi che abbiano grande motivazione, grande energia indipendentemente dal tipo di formazione che hanno avuto, in modo tale che entrando da noi possono fare un percorso che subito li butta direttamente, li catapulta in questo mondo della tecnologia che però non è soltanto tecnologia, è un tema anche di formazione che riguarda le competenze manageriali, perché, il servizio lo diceva chiaramente, devono esserci entrambe. La tecnologia fine a se stessa non significa assolutamente nulla nel momento in cui la tecnologia la si mette al servizio di quelle che sono le esigenze di un’azienda, da quel punto comincia a prendere forma ad avere sicuramente un significato importante. I numeri son quelli noi facciamo 25.000 giornate di formazione, adesso abbiamo cominciato ad aprire anche al mercato esterno, quindi ai nostri clienti, perché come azienda la nostra vocazione è quella di dire noi aiutiamo voi a trasformarvi, ma non trasformarvi perché bisogna cambiare pelle, ma sicuramente bisogna prendere tutte le opportunità della tecnologia e farle diventare quelli che noi chiamiamo casi d’uso, ius cases. Cosa sono, sono fondamentalmente delle soluzioni che hanno come obiettivo quello di poter creare delle opportunità. Si parla tanto di green economy, di transizione digitale, transizione ecologica, e quindi l’obiettivo è dare delle risposte a dei problemi di oggi e questo lo si può fare soltanto se si maneggia la tecnologia in maniera olistica e la si riesce a condire di quelle che sono competenze manageriali importanti. Quindi questo è quello che abbiamo deciso di fare. Un altro numero importante è che abbiamo rapporti con 50 Università, tra l’altro il Politecnico di Bari sicuramente una dei nostri partner principali per cui vorremmo aumentare anche le collaborazioni, stiamo già collaborando, e siamo anche molto collegati con il mondo della ricerca. Seguiamo 100 progetti di ricerca internazionale. Questa mutua alimentazione è fondamentale perché permette di capire quali sono le esigenze in quel momento specifico per portare avanti un progetto di ricerca, noi possiamo anche attingere a quelle che sono le risorse di Engineering, i ragazzi e ragazze che entrano all’interno di questo percorso, e quindi a quel punto dare una risposta importante a quelli che sono sostanzialmente le emergenze di oggi.
Enrico Castelli: Grazie Ibarra. Cupertino, Francesco Cupertino, Rettore del Politecnico di Bari, abbiamo letto questa ricerca, questo studio fatto di Alma Laurea e pubblicato due mesi fa, in cui il suo Politecnico è in testa alle classifiche nel garantire l’occupabilità dei propri laureati. Un dato che ci ha molto sorpreso, confesso la mia ignoranza e quindi lo dico sinceramente, ma ci spieghi qual è la ricetta vincente e come avete lavorato in questi anni per poter arrivare a questo risultato, grazie.
Francesco Cupertino: Sì, primi in Italia per occupazione a cinque anni dalla laurea. Quando l’ho letto sinceramente sono rimasto sorpreso, per quanto siamo sempre stati in posizione alta in classifica, certo vedersi lì in cima dà una certa emozione. Certo ciascuno di noi lavora non perché abbia questo competitivo, cerca di fare le cose fatte per bene poi gli obiettivi si raggiungono. Ingegneria nasce in Puglia a Bari quasi ottanta anni fa con l’orientamento verso l’ingegnere civile perché c’era da costruire l’acquedotto pugliese, che è la più grande infrastruttura acquedottistica d’Europa, dopodiché trent’anni fa c’è stata questa idea di avviare il Politecnico a Bari per trovare un nuovo modo per dialogare col sistema delle realtà produttive regionali e su questa falsariga abbiamo lavorato in questi anni. L’abbiamo fatto ascoltando le imprese, collaborando con loro nella definizione di percorsi formativi, trasformandoci da un orientamento tipicamente di ingegnere civile verso un’ingegneria meccanica, tutto il settore dell’automotive che si è sviluppato in Puglia. Ma il fatto di ascoltarsi, di collaborare nella definizione di percorsi, è solo un pezzo del puzzle, bisogna crescere insieme, imparare a comunicare. Questa cosa nell’Università la si fa collaborando nelle attività di ricerca, è emerso anche nel primo video che è stato ripreso, la necessità di avere laboratori congiunti pubblico privati, luoghi nei quali si sviluppa insieme una nuova conoscenza, è quello il momento nel quale si impara a dialogare, a capirsi, a capire le esigenze dell’interlocutore ed è su questa strada che noi abbiamo lavorato negli ultimi anni. E qui arrivo in epoca più recente, negli ultimi 10 anni noi abbiamo avviato quelli che chiamo i laboratori pubblico privati, imprese che si sono installate all’interno dei laboratori del Politecnico, portando da noi i loro ricercatori. Siamo partiti con grande impresa del settore dell’Aeronautica, adesso ne se ne contano 16 al Politecnico di Bari, che coinvolgono decine di giovani ricercatori, studenti, laureandi che hanno modo di formarsi in questa palestra. Secondo me questo è stato uno degli elementi che hanno permesso il raggiungimento di questi obiettivi, perché quando c’è un’esperienza di questo tipo diretta, quando si lavora fianco a fianco, poi quando il singolo docente ritorna in classe continua a insegnare le cose che lui sa, con il metodo che ha imparato a sviluppare nelle aule universitarie, ma lo fa con una diversa consapevolezza di quelle che poi saranno le esigenze del mondo del lavoro che incontreranno i nostri studenti. Gli studenti hanno modo di conoscere da subito quali sono le offerte del mondo del lavoro e quindi riescono a orientare il loro percorso con piani di studi individuali, con tirocini, con periodo di studi all’estero, perché poi mi auguro che tutti i nostri studenti potranno rimanere in Italia e ritornare nei loro luoghi di origine, ma sicuramente bisognerà avere nei prossimi anni sempre uno sguardo più aperto a livello internazionale per conoscere meglio quelle che sono le realtà anche al di fuori dell’Italia. Cercando quindi di interpretare questo ruolo di Politecnico del Sud ma con una grande apertura internazionale che sono stati elementi di una ricetta che siamo riusciti a preparare adeguatamente e ci hanno portato a raggiungere questi risultati.
Irene Elisei: La ringraziamo. Ora è arrivato il momento di farvi vedere ed ascoltare un altro dei servizi che abbiamo preparato per voi. Abbiamo parlato del rapporto tra l’Università, il territorio, le imprese. Allora vi dico Lambretta, l’Innocenti, lo scooter che negli anni 40 aveva in qualche modo significato la ripresa nel paese dopo la seconda guerra mondiale. Noi lì siamo andati, quell’avventura finì 25 anni dopo, ma quegli stessi edifici alla periferia di Milano in qualche modo sono stati poi riutilizzati e in questo momento ospitano il gruppo Camozzi, il servizio è del nostro Davide Giuliani.
Terzo Servizio: “Il cambiamento fa parte della nostra strategia abbiamo deciso di fare in questo sito questo hub milanese in un’azienda storica dove nei prossimi anni sicuramente le tecnologie cambieranno, tante produzioni, tanti prodotti di un certo tipo, abbiamo deciso di portare qui la stampante 3D più grande al mondo di compositi e di fibre di carbonio. E non solo abbiamo deciso di interloquire soprattutto fare dei joint lab con Università, centri di ricerca, che ci consentono di avere queste accelerazioni tra la conoscenza dell’Università e l’esperienza della fabbrica.” Lambrate, periferia di Milano, qui un tempo tra i capannoni della Innocenti vedevano la luce la Lambretta e la Mini made in Italy, oggi invece il panorama è cambiato radicalmente e negli stessi spazi nasce l’industria del futuro, merito del gruppo Camozzi partito dalle valvole pneumatiche prodotte nel bresciano è arrivato a realizzare macchinari e robot industriali tra i più avanzati al mondo. “Il nostro gruppo in ricerca investe circa 15 milioni all’anno, circa il 3-4% del turnover e questo ci aiuta moltissimo a sviluppare queste tecnologie che vanno dal mondo naturalmente dei due sviluppi che ci saranno nei prossimi anni il Green Deal, perciò sostenibilità e digitalizzazione.” Una sfida che in Camozzi affrontano puntando sulla conoscenza. Diverse sono le collaborazioni con istituti di prestigio, dal Politecnico di Milano all’Università del Maine, passando per l’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Proprio a Genova il gruppo Camozzi ha realizzato i robot unici al mondo, che sorvegliano il nuovo ponte San Giorgio, e sempre da lì It, nei prossimi mesi arriveranno 130 ricercatori che si insedieranno nel centro di Lambrate. “Io vedo un ecosistema, sempre di più, impresa, centri eccellenza, Università devono convivere in queste nuove situazioni dove effettivamente la preparazione dello STEM sono importanti ma anche i soft skills, perciò la resilienza a lavorare in team, in squadra sull’impresa avrà delle grandi opportunità di avere un capitale umano pronto, fresco e preparato per affrontare queste nuove tecnologie che, dicevamo prima, saranno l’evoluzione dei prossimi anni e sarà molto veloce. Sono Università italiane che non devono invidiare niente a nessuno, naturalmente per esempio nell’Università americana ci sono dei fondi enormi che possono essere più agevolativi a sviluppare delle tecnologie e fare grandi investimenti. Devo dire che oggi grazie anche al PNRR abbiamo delle opportunità gigantesche perciò quell’ecosistema tra fabbrica, Università è veramente un boost incredibile, avremo delle grandi opportunità da cogliere”. Il futuro insomma inizia già adesso tenendo ben chiaro quello che è il punto di partenza per ogni sviluppo. “Sempre la centralità è l’uomo, perciò io vedo un umanesimo tecnologico importante dove effettivamente l’uomo è sempre al centro e queste tecnologie servono per ottimizzare le fatiche dell’uomo, naturalmente l’uomo è sempre al centro dell’attenzione, l’uomo spera, progetta, ama, ciò che l’intelligenza artificiale non fa, perciò c’è sempre l’uomo dietro la tecnologia.”
Irene Elisei: È una possibilità sicuramente affascinante interessante sia la tua azienda che la ricerca e quindi Università. Ministro Messa vengo da lei perché qui abbiamo proprio l’università che si reca nel mondo aziendale, quali sono le condizioni perché possa essere virtuoso questo meccanismo, questa possibilità che abbiamo appena visto?
Maria Cristina Messa: Sono condizioni che devono ovviamente soddisfare entrambe le parti e che, mi piace dire, ci sono diversi rapporti che si possono instaurare fra l’Università e il mondo delle aziende. Uno è semplicemente quello di comprare il prodotto finito, avere il prodotto finito e che è più un’attività di servizio, l’altro, che è quello che abbiamo cercato di fare con questa destinazione dei fondi del PNRR, è quello di iniziare da subito invece, fare ricerca insieme, condividere il laboratorio è stato detto, fare il passaggio dalla ricerca all’innovazione, che non è un passaggio banale, è un passaggio che richiede delle competenze e delle conoscenze che il ricercatore classico non ha, perché il ricercatore si ferma alla scoperta, si ferma all’articolo scientifico se vogliamo, o magari anche al brevetto, ma poi riuscire a rendere questo un prodotto di interesse e che dà innovazione richiede altre competenze, quindi ci vuole un passaggio molto più solido, ci vuole uno scambio. Uno dei decreti secondo me più interessanti che abbiamo fatto è quello della possibilità di trascorrere un periodo di almeno cinque anni, se sei universitario nell’impresa, se sei nell’impresa nell’Università, ritornando poi alla tua posizione senza aver perso nulla né in termini economici né in termini di carriera. E credo che questo sia lo scambio di cui abbiamo bisogno, funziona già, adesso bisogna che i rettori incomincino a usarlo e che l’impresa inizi ad usarlo ma funziona già, è già attivo, c’è già il decreto applicativo. Secondo me quando inizieranno a funzionare i centri nazionali, gli ecosistemi dell’innovazione, tutto quello che abbiamo fatto col PNRR, all’interno di questi progetti potremo vedere questa azione, perché si basa sul progetto, cioè il punto che cambia non è tanto l’aspirazione individuale a voler fare il professore o a voler fare il dirigente d’azienda, è il progetto che può permettere lo scambio fra questi diversi tipi di posizione. Credo che questo sia molto innovativo e interessante.
Irene Elisei: Quando quello di cui lei parla diventerà operativo, diventeremo più simili ad altri paesi europei?
Maria Cristina Messa: Questo in America succede regolarmente, in America, nel mondo anglosassone scambi sempre, vai dal mondo del pubblico al privato e viceversa molto più facilmente. Noi non siamo americani né inglesi, non abbiamo il pragmatismo nel nostro DNA però secondo me abbiamo anche abbiamo sicuramente, su questo vorrei anche fare una precisazione abbiamo sicuramente una formazione molto più ampia, molto più vasta culturalmente, poco focus magari, ma molto vasta culturalmente, che credo in un periodo come questo in cui l’innovazione continua ed è rapidissima, sia un vantaggio così come le materie STEM devono essere mischiate con le materie umanistiche, cioè io non vedo questa antitesi, anzi questa antitesi va superata.
Irene Elisei: Chiaro, la ringrazio molto.
Enrico Castelli: Cupertino, come giudica dal suo punto di vista questa collaborazione, cioè l’Università che cosa porta a casa da questa collaborazione oltre magari qualche finanziamento.
Francesco Cupertino: Porta in casa tanto, tanto a livello di esperienza e di opportunità, perché la possibilità di avere uno sguardo sul mercato non è un modo per diminuire il livello della ricerca scientifica, è un modo per poter orientare gli sforzi in direzioni che possono essere effettivamente poi fruibili da tutti, da tutti noi, il punto è trovare l’incrocio che permetta di riportare a casa un vantaggio da entrambi i lati. Se da un lato può essere più scontato il vantaggio per l’impresa perché dialoga con il mondo della ricerca, non è tanto scontato perché il fatto di dover andare in università o dover accettare dei ricercatori e dover perdere del tempo con loro per imparare a dialogare, il fatto di dover andare a scovare all’interno dei laboratori dei risultati che siano effettivamente utilizzabili a livello commerciale, l’utilizzabilità di un brevetto è tutt’altro che un’operazione a basso rischio o basso costo, si tratta di riuscire a mitigare proprio i costi dell’innovazione. Il principio dell’open innovation, cioè di riuscire a condividere una parte dello sviluppo di alcune soluzioni con il mondo della ricerca accademica e degli enti di ricerca, da un lato apre un po’ la possibilità di scambiarsi con conoscenze e competenze, dall’altra parte un modo per ridurre il rischio in quello che si sta facendo. Da parte degli accademici magari tra qualche mese, tra qualche anno ci sarà anche questa opportunità di poter fare delle esperienze senza doversi togliere la toga di accademico ma semplicemente a breve, appena possibile ci sarà la possibilità di fare esperienze di questo di questo tipo, il fatto di avere dei finanziamenti è tutt’altro che banale, noi in questo momento in Italia abbiamo una capacità di attrarre finanziamenti a livello europeo troppo bassa. I progetti ERC, quelli dell’European Research Council, che sono tra i progetti più prestigiosi a livello europeo, abbiamo una quantità di ricercatori italiani che li vincono che è allo stesso livello di quelli tedeschi, ma questi ricercatori troppo spesso non rimangono in Italia a svolgere le loro attività di ricerca. Se questa collaborazione potesse permettere di avere il pretesto di tenerne qualcuno in più in Italia già questo giustificherebbe il fatto di fare uno sforzo di dialogo col mondo delle imprese.
Enrico Castelli: A proposito del mondo delle imprese Scordamaglia, lei prima nel briefing che abbiamo avuto prima di venire qui mi sembrava molto preoccupato di un dato, ci attende un autunno difficile, prezzi alle stelle, inflazione, prezzi dei prodotti delle materie prime, prodotti alimentari che continuano a crescere, metteranno in difficoltà secondo lei anche proprio il mercato di questo del food in genere. Voi che operate in quel settore come vi state muovendo per evitare che quel 10% 8-9% di inflazione per esempio ritorni subito sui prezzi alimentari, grazie.
Luigi Scordamaglia: Per avere una visione un pochino più allargata qui c’è stata una costante, irresponsabile, magari in buona fede, sottovalutazione della necessità di produrre, di continuare a produrre in Europa, in Italia, si è dato per scontato che si potesse smantellare forse l’estrazione energetica o la produzione agroalimentare, tanto c’era una specie di globalizzazione che dava la soluzione a tutti i mali, per cui ti andavi a comprare in Sudamerica quello di cui avevi bisogno, in Russia l’energia di cui avevi bisogno. Sbagliato, c’è ne siamo accorti, lo sapevamo, abbiamo provato a urlare ma nessuno ha ascoltato. Oggi così facendo se tu non produci nel tuo paese, nel tuo continente, non fai altro che spostare l’impatto ambientale in aree del mondo che inquinano molto più di noi. Carne, un chilo di carne prodotto qui in Italia vale 1/5 delle emissioni di CO2 di quelle prodotte in Asia o in Sudamerica. Abbiamo aggravato le speculazioni perché nel momento in cui si parla di prezzi tu dipendi dall’estero, l’estero gioca con te come vuole, abbiamo visto prima l’Ungheria di Orban che faceva finta di non avere il prodotto e poi tante altre cose. E poi crei, e torniamo all’autunno che ci aspetta, ma qualcosa di più ampio, crei una cosa odiosa soprattutto quando parla di cibo che è il food social gap. Fa in modo che le eccellenze prodotte rispettando standard altissimi, come quelli che noi abbiamo, diventino appannaggio di pochi e i tanti si debbano poi accontentare di importazione, si debbano accontentare di prodotti fuori standard o ancora peggio del famoso cibo sintetico dalla carne al latte sintetico. Quindi come reagire, innanzitutto oggi è chiaro che devi compensare, devi poi rilanciare nuovamente la produzione, ma una produzione sostenibile che è frutto di ancora innovazione e ricerca. Faccio un esempio pratico Eni, BF, Bonifiche Ferraresi, consorzi agrari si sono messi insieme per creare una joint venture completamente nuova, che ha la funzione di sperimentare dalle sementi fino alla fine, tutte le migliori condizioni possibili per produrre delle biomasse vegetali che allo stesso tempo sono ideali per la produzione di energia, i biocarburanti, grazie questa volta allo sforzo del governo italiano, faranno parte della possibilità dell’alimentazione dei veicoli che, grazie a Dio, non saranno solo elettrici nel 2035, quindi bisognerà attrezzarsi. Ti attrezzi ricercando oltre mille ettari in Sardegna per ricercare il miglior seme, il miglior sistema di prestation farming e poi una grandissima Academy in cui la gente, i tecnici soprattutto di paesi africani vengono, parlavo prima col Cardinale del Centrafrica innamorato di questa idea, ad imparare come si può nello stesso tempo produrre bioenergia ma senza entrare in competizione con i mangimi, addirittura con i biofertilizzanti. Queste sono piante che poi trattengono l’azoto e rendono inutile l’utilizzo dei fertilizzanti. Abbiamo innovazione, abbiamo capacità, va messa davvero a sistema, e questi singoli esempi devono diventare un modello generalizzato per il nostro paese.
Irene Elisei: Grazie, grazie Scordamaglia per questa testimonianza diretta della sua impresa, vedevo poi che accanto a lei Ibarra annuiva quindi se vuole su questo può anche intervenire, e vorrei in qualche modo farla tornare al nostro dialogo chiedendole di approfondire uno slogan che vi è molto caro, che è molto caro alla vostra Academy e che ci permette di guardare da vicino allo studente poi al lavoratore stesso. lo slogan è “sapere, saper fare, saper essere”, questo è il mantra, delle tre qual è la cosa più importante per voi.
Maximo Ibarra: Sì, non è facilissimo dire, intanto volevo dire che era molto emozionante il servizio anche di Camozzi dal punto di vista di quello che riusciamo a fare come tecnologia. Direi che delle tre forse il saper essere é quello più importante, perché abbiamo toccato diversi temi con gli interventi di prima, abbiamo parlato di condivisione, abbiamo parlato di open innovation, abbiamo parlato di mettere assieme, fare sistema, creare ecosistemi. Quindi credo che la parola d’ordine sia piuttosto quella, cioè oggi si riesce a fare innovazione nel momento in cui riesci a mettere competenze diverse, viste diverse, angoli diversi, esperienze diverse, intorno allo stesso tavolo. Perché oggi sta succedendo una cosa molto particolare rispetto a quello che è successo anche negli anni precedenti, e secondo me non abbiamo visto ancora assolutamente nulla dal punto di vista della velocità dell’innovazione, per cui se vogliamo cogliere le opportunità che ci porta dobbiamo avere una vista molto più ampia e sicuramente da soli, singolarmente, un’Università, un’azienda, un centro di ricerca, non riesce mai a farlo. Quindi dico saper essere perché è un po’ la consapevolezza del momento e quindi bisogna lasciare da parte un po’ anche quegli egoismi che spesso caratterizzano l’innovazione, per cui ogni singolo attore pensa di poter essere indispensabile e fine a se stesso. Tra l’altro sono anche reduce da un viaggio che ho fatto negli Stati Uniti dove parlando appunto di innovazioni ho notato che c’è un aspetto importante che il ministro citava prima ed è il fatto che non è soltanto l’impresa, i centri di ricerca e le università che si mettono assieme, ma ci sono anche gli investitori. Quindi quando si va a visitare un centro all’avanguardia, un centro in questo caso si trattava del … che è il mondo della medicina, nel momento in cui anche gli investitori, quindi i fondi di private equità, in quel momento sono lì e vedono che c’è un’opportunità incredibile dal punto di vista dell’innovazione, quindi dello sviluppo, immediatamente investono, creando. Questo secondo me è fattibile in Italia, credo che il percorso sia ancora abbastanza lungo però penso che sicuramente andremo a seguire più o meno la stessa identica traccia, certo non abbiamo quel pragmatismo che hanno i paesi anglosassoni, però secondo me ci arriveremo, perché ripeto la velocità di innovazione oggi è troppo alta, troppo elevata, e se vogliamo stare al passo, e soprattutto tirar fuori quelle che sono tutte le scoperte, gli sviluppi, i sistemi, le piattaforme di cui abbiamo bisogno per affrontare le emergenze di oggi, che domani saranno chiaramente anche amplificate, dobbiamo sicuramente muoverci noi.
Irene Elisei: Noi potremmo anche stare al passo se riuscissimo ad ovviare al problema della fuga dei cervelli ad esempio questo è un tema di cui parlava anche il Rettore poco fa, è il motivo per cui le chiedevo Ministro a quale paese europeo potremmo assomigliare se in termini di attrattività questo potesse aiutare tutte le cose che vengono in questo momento finanziate anche dal PNRR. Colgo questo spunto perché poi ci si ricollega anche una delle domande che due ragazzi, due universitari, dato che sono in qualche modo anche protagonisti dell’università, a cui vogliamo dare la parola direttamente, han preparato per lei ministro. Salgono ora per la domanda Giovanni, che frequenta il terzo anno di fisica, e Beatrice, al secondo anno di filosofia, che si sono resi disponibili, han preparato un paio di domande per lei. Prego.
Giovanni: Buonasera, volevo chiederle siccome dopo due anni di pandemia alcune Università, tra cui la Statale di Milano, stanno puntando verso un ritorno in presenza, diventa necessità di uno studente, di un qualsiasi studente fuori sede, affrontare la vita a Milano e quindi mantenersi, visto anche la situazione economica che stiamo passando e il costo della vita alle stelle, come il Ministero e l’Università faranno fronte a queste necessità degli studenti?
Beatrice: Buonasera, io mi chiedevo anche rispetto a quello che è uscito fino ad adesso, io faccio appunto il secondo anno di filosofia e se penso a una carriera plausibile che proviene dalla mia facoltà è proprio quella ricerca, e guardando appunto anche i dati di stipendi incerti, carriera molto lenta, mi chiedo perché non dovrei andare all’estero, anche facendo una facoltà appunto umanistica, e quindi volevo proprio chiedere quale valore aggiunto ha adesso il fatto che uno studente possa fare ricerca in Italia proprio per lui?
Maria Cristina Messa: Grazie intanto auguri, in bocca al lupo per il vostro futuro. È un problema serio quello del diritto allo studio perché sicuramente andrebbe finanziato di più e io vedo gli articoli che ci sono oggi sui giornali di aumento degli affitti soprattutto in una città come Milano e questo non invoglia naturalmente perché a volte rende la cosa impossibile. Questo governo ha di nuovo impiegato un miliardo di euro del PNRR, 500 milioni sempre del PNRR per aumentare nel primo caso il numero di posti disponibili di residenza per gli studenti, però ci vuole tempo, ci vogliono almeno quattro o cinque anni per poterlo fare, e aumentare il numero di borse di studio e l’entità delle borse di studio per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, che aumentano in maniera considerevole soprattutto per i fuori sede. Chiaramente è una misura PNRR, quindi una misura temporanea di due-tre anni e che quindi va confermata invece con una misura nazionale nelle prossime finanziarie, quindi è molto importante che facciamo questo, perché Io credo che l’esperienza dei campus e dei fuori sede della presenza sia la vera esperienza universitaria. Frequentare non vuol dire solo sedersi a un banco, andare a lezione, vuol dire scambiare con i docenti, con gli altri studenti, vuol dire frequentare gli spazi, vuol dire fare i laboratori, quindi l’università si basa sulla frequenza, ed è molto importante che questo paese si renda conto che quello è l’investimento da fare, un investimento giusto e che andrebbe fatto nella maniera più appropriata possibile. Futuro dei ricercatori? Abbiamo messo a punto un piano per l’assunzione di nuovi ricercatori e professori che prevede nel giro di 4-5 anni tre volte tanto quanto abbiamo oggi, quindi abbiamo aperto un pochino di più le possibilità, le opportunità di arrivare in università. L’esperienza all’estero io la ritengo fondamentale, ma ritornare poi in Italia e mettere in pratica quello che si è imparato è altrettanto importante. Quindi abbiamo aumentato i fondi, abbiamo aumentato il numero delle possibilità per l’Università di reclutare nuovi ricercatori , bisogna fare in modo poi che questo sia costante nel tempo, nel senso che di nuovo non vorrei fosse uno spot dei prossimi quattro anni e poi ritorna giù. Mi chiedeva prima a quale paese potremmo assomigliare, la Germania spende un investimento in ricerca e università che è tre volte il nostro.
Enrico Castelli: Signor Ministro siamo andati un po’ lunghi però non potevamo non farvi vedere questo servizio che abbiamo realizzato su questa tematiche: residenza, diritto allo studio, finanziamento del costo universitario, che nei paesi anglosassoni c’è questa forma dei prestiti, in Italia è molto ridotta, son pochi i soggetti che si sono preoccupati di fornire questo strumento agli studenti. Vediamo questo servizio curato da Annalisa Pomponio.
Quarto Servizio: I costi per una laurea diventano spesso un ostacolo, tra i pochi strumenti che vengono in aiuto agli studenti c’è il prestito per merito di Intesa San Paolo sono oltre 12.000 gli studenti italiani o stranieri che hanno sfruttato questa possibilità. “Il nostro prestito rappresenta un caso di sussidiarietà bancaria potremmo dirlo, una banca sente il proprio dovere di cittadinanza, la prima banca italiana starei per dire non può non farlo. La Costituzione prevede che tutti i ragazzi e tutte le ragazze italiani raggiungano il livello più alto dell’istruzione, anche quelli privi di mezzi, ma gli strumenti a disposizione non sono mai sufficienti, per questo un grande prestito con una funzione inclusiva. Tutti i ragazzi e le ragazze che frequentano l’università, qualunque facoltà, qualunque ateneo italiano, non ci sono distinzioni di tasso, il tasso è molto contenuto, la restituzione può avvenire in trent’anni, non è prevista nessuna garanzia a carico della persona, né dei suoi parenti. Questo era molto importante per realizzare uno strumento in spirito sussidiario.” Un altro prodotto più selettivo e circoscritto è quello fornito da Talents Venture una società specializzata in servizi di orientamento e sviluppo di soluzioni a sostegno dell’istruzione universitaria. In questo caso gli studenti si impegnano a restituire la cifra ricevuta in rate mensili ma solo dopo aver sottoscritto un contratto di lavoro, uno stage, un apprendistato, avente un reddito annuo lordo prospettico superiore ai 10.000 euro. “Ad oggi siamo offrendo delle agevolazioni che vanno dai 3 ai 4mila euro per prepararsi a quelle che sono le competenze che ad oggi mancano sul mercato del lavoro italiano, come quella del Web Development, Cyber Security o Analisi dei dati. Agli studenti che chiedono queste agevolazioni viene chiesto di rimborsare circa il 7/8% del loro reddito futuro per trentasei mensilità.” Oltre ai prestiti per gli studenti è altrettanto importante offrire un tetto, un alloggio a chi studia fuori sede, da questo bisogno nasce più di quarant’anni fa Camplus primo provider housing per studenti universitari in Italia. 9000 i posti letto in tredici città italiane e in Spagna. Il suo obiettivo è far sentire gli studenti a casa anche fuori casa. “All’interno delle residenze, Camplus ha introdotto in Europa e non solo in Italia, un nuovo concetto di ospitalità, che è quello di aggiungere al bisogno di residenzialità, il bisogno di una relazione e soprattutto di una formazione, in sostanza un adulto che all’interno o vicino alla residenza è sempre presente per darti una mano. Il primo servizio che noi offriamo è un rapporto personale con ogni singolo ospite, cioè una persona che ti guarda negli occhi per cui tu non sei un posto letto ma sei una persona. Da qui discendono tutti gli altri servizi. Il PNRR prevede un miliardo per le residenze universitarie, è quindi un ottimo provvedimento, e un’ottima iniziativa del governo. Vedo due problemi per il PNRR, il primo è un problema di obiettivi che si è posto molto molto sfidanti, forse troppo sfidanti, cioè la costruzione di 70.000 posti letto, e l’altro invece, secondo me più importante ancora, è il problema gestionale, cioè il problema non è realizzare le residenze, il problema è gestirle, soprattutto dopo.”
Enrico Castelli: Cupertino, che state facendo al Politecnico di Bari, cioè si riesce a dare qualche risposta agli studenti su queste tematiche o no.
Francesco Cupertino: Una questione che è emersa a più riprese è quella a riguardo alle start up, al fatto di avere le Università e i Centri di ricerca come incubatori di innovazione. Stiamo vivendo una trasformazione digitale importantissima, la capacità di utilizzare i dati, non sono scienze magiche a portata solo degli ingegneri informatici, tutte le scienze umanistiche potrebbero vivere un rinnovamento grazie alla capacità di utilizzare il valore che viene dall’analisi del dato. Quindi integrare delle competenze, avere dei percorsi di competenze digitali, provare il percorso di avviare una nuova impresa, provare a fare una start up sicuramente è una delle cose sulle quali si dovranno cimentare le nuove generazioni.
Irene Elisei: Grazie. Noi vorremmo chiudere questo incontro con una battuta molto veloce sia a Scordamaglia che a Ibarra sulla stessa domanda, per quanto riguarda la selezione delle risorse, delle persone che lavorano presso le vostre aziende, perché in un modo o in un altro l’ investimento che una famiglia fa per mandare all’università il proprio figlio è sicuramente molto importante. In questo momento un’università vale l’altra per voi come momento di selezione, oppure è più importante puntare su un’esperienza all’estero, su un master o altri corsi e cosi via.
Maximo Ibarra: In questo momento stiamo seguendo una politica che è molto ampia, nel senso che il problema qual è, non ci sono i ragazzi, in questo momento non ci sono persone abbastanza. Tra l’altro c’è anche un altro tema che il 50% dei lavori che ci saranno nei prossimi 3-4 anni di fatto non esistono ancora. Quindi provate ad immaginare in una combinazione di situazioni che stiamo affrontando in questo momento. Quindi noi quello che stiamo facendo è: non stiamo guardando l’università nello specifico, quindi guardiamo ai ragazzi e ragazze che abbiano due caratteristiche. Sicuramente una formazione che può essere anche di un istituto tecnico piuttosto che di una scuola superiore che magari ha avuto la possibilità di poter portare avanti anche un’esperienza in ambito tecnologico, però guardiamo un po’ tutte le facoltà e guardiamo tutte le università. Tra l’altro stiamo anche cercando di capire se esiste la possibilità di creare anche delle collaborazioni, dei gemellaggi con persone che arrivino anche da università all’estero, che abbiano deciso anche di venire in Italia, non è la fuga dei cervelli ma esattamente il contrario. Le caratteristiche sono una forte motivazione, sicuramente anche capacità di poter leggere quello che succederà nei prossimi anni, da lì il concetto di saper essere più importante del saper fare, e chiaramente tanta voglia, tanta energia, e fame. Quando noi vediamo queste caratteristiche lo portiamo a bordo o la portiamo a bordo.
Luigi Scordamaglia: Devo richiamare quello che è stato appena detto, qui non ci sono i ragazzi, qui la situazione drammatica parla di 100.000 ragazzi in meno ogni anno a scuola, 1.4 milioni nei prossimi 10 anni, e soprattutto qualcosa non funziona, al di là della natalità, perché 190.000 abbandoni all’anno di scuola, innesca una bomba sociale che crea necessariamente tensione, di cui dovremmo fare i conti, quindi bisognerà chiedersi perché questi abbandoni, perché hai la sensazione che quello non ti garantisca poi una collocazione? Per il resto confermo quello che è stato detto. A parte che noi abbiamo, come settore agroalimentare, come agricoltura, una esigenza trasversale, quindi non solo laureati ma specializzati tecnici, dai frigoristi agli elettricisti, ecc. Quindi molto di più una valutazione della persona, delle capacità che ha di adattarsi, di muoversi, di reagire e poi ovviamente soft skill di base di cui oggi non si può fare a meno. Io nel mio piccolo ho un test familiare, un figlio che appena finito è andato fuori e sta da dio, l’altro che ha giurato di non andare, adesso voglio vedere chi dei due aveva ragione.
Enrico Castelli: Ministro Messa, siamo in conclusione, mancano proprio una manciata di secondi, tra un mese si vota, chissà come andrà a finire magri sarà richiamata al ministero, la domanda che volevo farle è questa: se lei non sarà più ministro c’è un progetto che le dispiacerebbe che venisse abbandonato?
Maria Cristina Messa: Sì, il progetto è quello per cui oggi avete dedicato una giornata alla ricerca, cioè che la ricerca continui ad essere al centro degli investimenti.
Enrico Castelli: Grazie, grazie signor Ministro, grazie a tutti voi per averci avete seguito.