I GIOVANI PER LA CRESCITA. INCONTRO INAUGURALE XXXIII MEETING

I giovani per la crescita. Incontro inaugurale XXXIII Meeting

Partecipa Mario Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri. Introducono Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli e Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà.

 

Titolo incontro DO08:
I GIOVANI PER LA CRESCITA. INCONTRO INAUGURALE DEL XXXIII MEETING

Data:
Domenica 19 agosto 2012

Ora:
ore 17:00

Partecipano:
Mario Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri; Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà.

Moderatore:
Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

MODERATORE:
Signor Presidente, gentili amici anche quest’anno, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto condividere l’apertura del Meeting, inviandoci un messaggio che rinnova in noi i sentimenti di profonda gratitudine nei confronti della sua persona e dell’attenzione che rivolge alla nostra esperienza. Ve ne do lettura:

Messaggio del Presidente Napolitano
Esprimo il mio vivo apprezzamento a lei e a tutti gli organizzatori della trentatreesima Edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli che nel tema prescelto, La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito, rivela con immediatezza l’aspirazione ad interpretare e a promuovere l’impegno nella società alla luce dei più alti riferimenti spirituali e dei valori fondamentali della giustizia, della tolleranza e della partecipazione. L’ampio spettro degli argomenti proposti esprime infatti, in modo incisivo, la consapevolezza della comune responsabilità nell’individuare modelli di sviluppo e parametri nuovi di benessere, attenti a quei principi di equità e di solidarietà, dai quali non può prescindere la tutela dell’interesse generale di una collettività e il rilancio di una crescita sostenibile e duratura. Le testimonianze e le esperienze che verranno presentate sottolineano giustamente la necessità di dare fiducia allo spirito di iniziativa, alle competenze e all’impegno dei giovani. Essi costituiscono un patrimonio di risorse e di energie, indispensabile per mantenere viva la capacità progettuale e di innovazione che ha accompagnato le fasi di più intenso sviluppo economico, culturale e sociale del Paese. In questo spirito, rivolgo a lei gentile professoressa, al Presidente Monti, agli illustri relatori e a tutti gli intervenuti il mio caloroso e partecipe saluto insieme a un sentito augurio per il successo della manifestazione.
Giorgio Napolitano

Oggi, signor Presidente Monti, è un grande onore inaugurare con la sua presenza questa trentatreesima Edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli e insieme la mostra L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita, che lei ha appena visitato. La cordialità con la quale lei, fin dal primo momento del nostro invito, ha guardato alla nostra opera e alla realtà umana che rappresentiamo, è per noi il segno di una attenzione che, quanto auspicata, altrettanto sappiamo non essere né scontata nè dovuta e quindi la ringraziamo.
E’ per noi altamente significativo poter incontrare oggi la persona che in questo complesso e grave momento che il nostro paese sta attraversando, porta una responsabilità che coinvolge il futuro del nostro popolo e che esige di operare scelte che vanno nella direzione di un realistico e non ideologico affronto dei problemi. L’auspicio è che anche l’incontro di oggi possa rappresentare un contributo in tale direzione. Per noi, sicuramente, è l’occasione per una rinnovata e più consapevole responsabilità. A nome, dunque, di tutti gli amici organizzatori del Meeting, e mi permetto di dire, anche a nome di tutti i presenti, desidero esprimerle il nostro caldo sincero ringraziamento, gratitudine e condiviso, senso di responsabilità. Sono, pertanto, signor Presidente, i sentimenti, con i quali oggi calorosamente la accogliamo tra noi.
La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito recita il titolo del Meeting, intendendo con ciò sottolineare non appena un generico e ultimo rimando dell’uomo a qualcosa che è più grande di lui, quanto piuttosto affermare che l’uomo nella sua natura, quindi nella sua ontologia nella sua affettività, nella sua libertà è definito da questo rapporto. Don Giussani nel Senso religioso, da cui ha tratto il titolo afferma, quasi con un paradosso che solo due tipi di uomini salvano interamente la statura dell’essere umano: l’anarchico e l’autenticamente religioso. L’anarchico è l’affermazione di sè all’infinito, l’uomo autenticamente religioso è l’accettazione dell’infinito come significato di sè. Poche righe dopo don Giussani mostra il tratto ambiguo della tentazione anarchica, talmente affascinante da indurre a dimenticare che l’uomo prima non c’era e poi muore e conclude dicendo che l’uomo afferma veramente se stesso solo accettando il reale. C’è un fattore nell’esperienza di ognuno che svela questa natura dell’uomo ed è la statura infinita delle sue esigenze. Quando l’uomo è veramente innamorato desidera un amore che sia per sempre, quando cerca la felicità non è appagato da alcun oggetto nel cui raggiungimento l’aveva riposta quando ricerca la verità delle cose, sa che c’è una conoscenza che è sempre oltre. Basta guardare e ascoltare gli scienziati per anni impegnati nella ricerca dei bosone: ciò che scoprono è sempre meno di ciò che ancora devono scoprire. Quando l’uomo lavora e intraprende continua a rischiare anche oltre un immediato e personale interesse. E’ così vero questo carattere esigenziale della vita che allorché una persona, per scetticismo o per paura, smette di accettare questo carattere, di riconoscere questo carattere e di ubbidire ad esso, tutto si ferma: la rendita distrugge l’economia, la ricerca del quieto vivere, impedisce ogni esperienza affettiva duratura, la presunzione di avere ormai totalmente raggiunto la verità paralizza la ricerca, incapacità di accettare la verifica della realtà genera, la violenza dell’ideologia.
La scommessa del Meeting, e che in questi giorni tutto ciò emerga, non come un dibattito teorico, ma come una testimonianza e un’esperienza, come anche il messaggio del Presidente Napolitano, sottolinea. Come una testimonianza, come riflessione, come confronto carichi di ragioni sulla vita, sulle questioni concrete, chi gli uomini si trovano ad affrontare. Da una posizione, infatti, che riconosce la propria natura come rapporto con l’infinito, si genera una umanità diversa. Una posizione autenticamente religiosa non è preoccupata della propria egemonia, del successo, del potere, ma è tesa piuttosto alla testimonianza di una diversità umana come ricordava don Juliàn Carròn nella lettera di Reppubblica del primo maggio di quest’anno. Ed è legittimo che chi ci si aspetti una .tale testimonianza dai credenti, da uomini che riconoscono la propria consistenza ultima in qualcosa che è oltre loro, proprio perché se è vero che tutti sono chiamati a compiere azioni giuste, è altrettanto vero, come ci ricorda Eliot in "Assassino nella cattedrale", che si può compiere la retta azione per uno scopo sbagliato, cioè per il proprio potere, la propria ambizione. Poiché aggiunge ancora Eliot coloro che servono una causa più grande possono far servire la causa a loro stessi, pur facendo giustizia. Chi si riconosce nell’esperienza cristiana, come tanti dei presenti, sa bene che la tensione a questa diversità umana è appunto una tensione affermata con umiltà e al tempo stesso con responsabilità, ben sapendo che ciò che abbiamo di peculiare, non dipende da un nostro merito ma ci è stato dato in un incontro e deve essere testimoniato per dare a tutti la speranza che è possibile vivere all’altezza dei propri desideri. In tempi come quelli in cui viviamo, in cui il desiderio di infinito rischia di trasformarsi in una ricerca affannosa e sterile di falsi infiniti che possano soddisfare almeno per un momento, come ha scritto Benedetto XVI nel suo messaggio autografo inviatoci per quest’edizione del Meeting, in tempi così indicare l’orizzonte concreto di una speranza presente e incontrabile è una responsabilità alla quale non vogliamo sottrarci.
Da questa responsabilità che avvertiamo nei confronti di noi stessi, di tutti gli uomini, nasce anche un gesto come Meeting. In particolare quest’anno la mostra L’imprevedibile istante, curata dal professor Vittadini, Presidente della Fondazione per la sussidiarietà con un gruppo di studenti e di docenti universitari che il Presidente ha appena visitato, il Meeting come altri gesti, frutto del lavoro della competenza della gratuita di tante persone sono il contributo che offriamo per la costruzione della civiltà. E’ un termine alto la parola civiltà, ma l’aveva usata Giovanni Paolo II nell’82, in occasione della sua storica visita al Meeting quando ci aveva lasciato una consegna: costruite, senza stancarvi mai, la civiltà della verità e dell’amore. Quell’invito che travolgeva le nostre stesse misure ci aveva da subito affascinato e oggi, a distanza di trent’anni, siamo ancora più consapevoli di poter costruire, di poter essere una risorsa per il Paese, come il Presidente Napolitano sottolineava lo scorso anno, solo a condizione di essere fino in fondo, noi stessi. Non abbiamo un progetto precostituito da realizzare. Quali siano le forme di questa civiltà della verità e dell’amore lo impariamo quotidianamente paragonando con lealtà i tentativi nostri degli altri con i desideri e i bisogni degli uomini. Sappiamo che proprio questo paragone libero e realista il punto imprescindibile di una autentica responsabilità anche sociale e politica, e non possiamo, signor Presidente, rinunciare proprio nell’occasione di questo incontro, rinunciare a sottolineare che quanto è vero che gli uomini si mettono insieme per realizzare desideri e rispondere a bisogni, altrettanto non è scontato che esistano condizioni politiche, economiche e giuridiche che favoriscano la reale libertà di tali tentativi. Politica vera, diceva don Giussani nell’87 ad Assago, politica vera è quella che difende una novità di vita presente, favorendo, in tal modo, uno Stato che sia veramente laico. E nel contesto di questo Stato laico, ci sentiamo, sinceramente, insieme a tutti, nella ricerca di condizioni sociali che siano per ciascuno la possibilità di vivere appieno la propria umanità, desiderosi di collaborare a una costruzione comune, consapevoli che l’unico contributo che possiamo portare è quella passione al vero e al bene, insieme a quella febbre di vita che l’incontro con l’umanità di don Giussani ha introdotto nella nostra esistenza. Anche oggi, signor Presidente, di fronte all’insicurezza e alla drammaticità nella quale siamo chiamati a vivere, c’è un’unica ragione che ci dà l’ardire di testimoniare con umile certezza il contenuto di questa nostra esperienza. La ragione è che ciò che viviamo, anche con questo Meeting, ci fa percepire positiva e piena di senso l’esistenza e non possiamo non desiderare e ricercare che ciò che ha cambiato e cambia il cuore dell’uomo possa cambiare anche la storia.

GIORGIO VITTADINI:
Perché abbiamo fatto questa mostra, L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita? Abbiamo fatto l’anno scorso la mostra sui 150 anni di sussidiarietà, e avevamo scoperto che l’Italia di crisi ne ha avute un sacco. Quindi non è vero che questa è la prima crisi italiana e il problema più grave di prima. Ma avevamo scoperto che, in passato, l’Italia ha saputo cambiare e ha saputo cambiare perché la gente è stata capace di cambiare non si è rassegnata quando ha dovuto emigrare, quando c’era la fame, prima e dopo l’unità d’Italia, quando c’è stato da ricostruire, quando ci son state le guerre. E allora ci è venuta la domanda: e adesso? Adesso che tutti parlano di problemi che prescindono da noi, conflitti tra l’uno e l’altro, giustizialismo, impossibilità a crescere siamo rassegnati ad andare in B, cosa si può fare? E soprattutto cosa si può fare, essendo giovani. Perché l’anno scorso, abbia lanciato uno slogan: non è che l’Italia è un Paese per vecchi? I giovani possono far qualcosa per la crescita che abbiamo, signor Presidente, chiaro essere secondo tema del suo Governo, oltre al risanamento, la crescita, proprio per evitare di diventare un paese di serie B. Per questo abbiamo fatto questa mostra che ha due temi fondamentali. Non vogliamo parlare di tutto il contesto, di tutti i problemi di cui sopra, ma due temi.
Primo, riscoprire quegli imprevedibili istanti in cui riaccade la coscienza di sé come persone costituite da un desiderio insopprimibile. Cosa vuol dire? L’uomo non è le circostanze in cui vive. Noi non siamo rassegnati ad andare in crisi perché le circostanze ci portano in crisi. E l’unico cambiamento non viene dall’alto, non viene da schemi dall’alto. L’io, il cuore, quello che è il simbolo di questo Meeting, questo uomo unico e irripetibile soprattutto l’uomo italiano può cambiare, può dare un senso positivo a questo momento. Questa è la prima cosa, l’abbiamo voluta documentare nella mostra con tanti esempi. Non parole esempi di giovani nella scuola, nell’università, nel lavoro che stanno già cambiando. Magari non si vede, non si parla, per il solito modo di dire di più quello che non funziona, ma lo vogliamo documentare: sta già cambiando l’Italia.
E secondo: ma cosa succederebbe se invece di bloccare queste forze con mille lacci e laccioli gli dessimo forza, li seguissimo. Invece di pensare sempre e solo a programmi dall’alto aiutassimo queste realtà a crescere. Infatti lì il simbolo della mostra è la statua di Michelangelo dei prigioni, quella che c’è a Firenze. Cosa vuol dire i prigioni: che c’è della gente che ha energia, forza, l’ideale, però è bloccata. Certe volte, essere l’Italia sembra di correre i 100 mentre Olimpiadi con l’elastico: mentre gli altri vanno qualcuno ti tira indietro. Invece, ci piacerebbe che gli elastici fossero levati per vedere cosa succede.
Molto brevemente illustro questo su scuola, università e lavoro.
195.000 ragazzi, nel 2010, hanno abbandonato la scuola superiore statale: un esercito fosse uno è già un problema, ma 195.000 ragazzi hanno abbandonato la scuola. E in alcune regioni – lo sapete lo OCSE-PISA ci dice che le nostre regioni sono al appunto inferiore dei paesi dell’OCSE, alcune regioni sono il vertice altre però sono al limite inferiore – il 38 per cento dei quindicenni italiani interrogati sull’OCSE-PISA, ritiene che la scuola è un luogo dove non si ha voglia di andare. E gli insegnanti denunciano quando parlano di difficoltà – sono pagati poco, sappiamo tutto – il problema più grave è l’eccesso di burocratizzazione, secondo solo la retribuzione esigua. Allora qual è il primo tema che poniamo: ma è proprio vero che una scuola che è stata pensata statalistica centralistica, perché così fa l’uguaglianza, lo raggiunge? No. è una scuola che non valorizza il merito e discrimina i poveri, perché una scuola che non funziona discrimina i poveri. Veramente un problema come dire di eresia parlare di autonomia della scuola pubblica e parità della scuola libera, per parlare di sviluppo? E questo non è un tema confessionale, perché chi si documenta un po’ sa che per esempio in America adesso stanno andando di moda le charter school, che sono scuole pubbliche, dove la gestione è data ai genitori: per superare l’autonomia tra scuole private di vecchio stampo e scuole statali c’è quest’idea di autonomia di scuola privata con strutture pubbliche. Allora, la nostra scommessa è: ma non è che per aiutare i poveri e valorizzare il merito bisogna valorizzare chi si muove dal basso, chi costruisce? Costruire un sistema completamente diverso? Questo dogma che è stato costruito non è un dogma che ci sta uccidendo? Questo è il tema politico dei lacci e laccioli della scuola, che dentro però un punto fondamentale che documentiamo nella mostra: anche nelle condizioni peggiori si può cambiare. Nella mostra documentiamo una scuola professionale di Modena, dove la gente all’inizio dell’anno non voleva andare in classe e adesso ama la poesia. Scuole professionali nate da poco, dove si insegnano i mestieri, anche qui, con ragazzi che prima non volevano andare. Perché cos’è la differenza? E’ la differenza dell’impeto ideale, non confessionale. Dell’impeto ideale che tira dentro la gente, che motiva, che moltiplica la possibilità. Non aspettiamo la riforma c’è già, gente che si muove. Ma se le aiutiamo dove vanno a finire questi? Non è un qualcosa che non è costoso e che può essere nella scuola professionale, nella scuola normale qualcosa che cambia dal basso se questi impeti ideali crescono? Andate a vedere nella mostra e vedete se ho torto.
Secondo esempio: l’università. L’Europa si è prefissata l’obiettivo di una laurea per il 40 per cento della sua popolazione, tra i 30, 34 anni, entro il 2020. 10 paesi hanno raggiunto l’obiettivo, l’Italia è ferma al 19,8 per cento, per dire che non è vero che sono troppi quelli che studiano all’università: sono ancora pochi. E, da questo punto di vista, ben venga il tre più due se ha moltiplicato la gente che va all’università. Ma il problema è un altro, è centrando ancora, anche il mondo universitario, non sulla competizione virtuosa – come avviene nei paesi anglosassoni, dove ci sono alte tasse, ma alte borse, dove le università devono andare a prendersi i soldi se sono capaci di fare ricerca, dove non c’è la proliferazione di sedi ovunque di bassa qualità, dove i finanziamenti vengono dal centro. Ma se, come è avvenuto – e lei ne è un esempio, anche prima della sua carriera politica come Presidente della Bocconi che da questo punto di vista è un esempio per tutta la nostra università come internazionalizzazione – noi favoriamo questa competizione virtuosa non è che permettiamo che non solo la quantità, ma la qualità cresca? Anche perché, come dire, l’Istat dice che a cinque anni dalla laurea sono soprattutto i giovani di famiglie ricche ad avere contratti stabili e maggior reddito. Ancora una volta il centralismo statalista non porta all’equità, neanche a livello universitario. E’ la qualità, è la libertà, che porta la possibilità anche alle famiglie povere, di usare l’università come un processo di mobilità verticale. Cosa succede se, per esempio, si evita di fare come succede ancora adesso, che nelle università statali alle 7 si deve chiudere, come succede anche nella mia università, perché non si possono usare le strutture che potrebbero essere usate per fare master dottorati e altro? Cosa succede se si da questa libertà? Cosa succede se si fa come nei paesi anglosassoni, che si fa tornare alla gente a studiare 27, 28, 29 anni facendo master e dottorati? Ma questo non possiamo chiederlo al Governo, che fa fin troppo. Deve esserci data la possibilità, all’università, di essere dei luoghi autonomi che usano le strutture anche la sera, che costruiscono master e dottorati, che internazionalizzano. E anche qui noi non è che parliamo di cose utopiche parliamo di qualcosa che già c’è, perché, ancora una volta, vedrete nella mostra, iniziative sull’orientamento per la preparazione dei test di ingresso, accoglienza le matricole interventi, sulla didattica, gruppi di libero approfondimento, ricorsi istituzionali, rapporti con le imprese internazionalizzazione. Ma è impressionante che pure in questa situazione in cui tutti parlano male dell’università, vi ho detto i problemi, molti dei nostri giovani – è documentato nella mostra – siccome in università in Italia non si trova posto riescono ad entrare in dottorati di altissimo livello Harvard, Cambridge, nelle migliore università americane, nelle mostra si documentano un po’ di queste, e ci sono anche qui presenti. Ormai a centinaia, perché? Perché l’università italiana, data una posizione di conoscenza realista, crea gente. Già c’è questo cambiamento in atto: cosa succederebbe se lo aiutiamo, se, ancora una volta diamo questo intervento che favorisce, leva i lacci, non pensa dall’alto con più spesa?
Ultimo esempio che faccio sul mondo del lavoro. Noi sappiamo, i dati della disoccupazione giovanile, 35,9 per cento, e sappiamo anche che anche i laureati, rischiano di essere più disoccupati. Ma anche qui ci sono veramente dei luoghi comuni, che sono la burocrazia. Il suo Ministro Fornero ha detto una cosa che io condivido totalmente, anche se è stata sostanzialmente impicata per questo. Ha detto che non è più tempo del posto ma del percorso. E’ vero, ormai è un percorso di lavoro. Ma allora, se invece di bloccare, di ostacolare, quelle imprese che creano lavoro, non si premia chi investe, occupa, esporta, magari anche una detassazione, non si favorisce chi permette di lavorare ai giovani, non si interviene ad aiutare le imprese giovanili – io penso che sia un tema del pacchetto crescita, appena approvato, di cui parleremo domani con il Ministro Passera – se si favorisce questo spinto dall’altro, che cosa di questo impeto, anche questi qui nella mostra, mostriamo delle cose strane: ci sono imprese tecnologicamente avanzate, nate adesso, dal nulla, che esportano che creano occupazione. Sentivo una trasmissione l’altro giorno che l’impresa manifatturiera italiana si è specializzata, probabilmente ha da portarsi dietro dei pesi dovuti a un certo mondo clientelare, tale per cui questa impresa, non riesce a fare il PIL positivo. Ma anche qui possiamo aiutare qualcuno, chi ha un’idea di lavoro nuova. Che non è il privilegio il posto fisso, anche perché se c’è il posto fisso vuol dire che i giovani non entrano, se è solo burocrazia. Ma se invece uno ha l’idea di un percorso di apprendimento, se non ha paura anche nei primi anni in cui questo è ancora un lavoro flessibile, che è diverso da precario. Cosa succedesse se aiutiamo questa gente se aiutiamo questi tentativi, se chi ha un’idea innovativa di lavoro, sia i giovani che quelli che li assumono, o qui giovani di creano imprese sono aiutati? Queste sono le due domande che noi poniamo alla mostra e con cui sentiamo una profonda sintonia con quello che lei sta facendo con questo Governo, cioè l’idea di tentare faticosamente di levare questi schemi che hanno bloccato l’Italia per anni.
Anche perché – e vado a concludere – noi siamo veramente convinti, come ci insegnò Giussani anni fa, nei momenti della crisi, ed è questo il tema della crisi, è il momento della persona. La persona, questo essere più grande di qualunque circostanza. Per questo nella mostra abbiamo usato due grandi autori. Uno Pirandello quando racconta di Ciàula, questo ragazzo, quasi sembra bestia all’inizio del racconto, che lavora nella solfatara. Ma un giorno alza la testa si accorge della luna, egli sapeva, sapeva cos’era, ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato importanza. Si accorge della luna e allora estatico cade a sedere sul suo carico davanti alla buca. "Eccola, eccola, eccola là la luna, c’era la luna la luna!" E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto dalla grande dolcezza che sentiva. Nell’averla scoperta, là, mentre saliva per il cielo, non aveva più paura, nè si sentiva stanco nella notte ora pieno del suo stupore. Certe volte, basta vedere la luna, per non sentirsi più schiavo, per sentire che si può fare quello che hanno fatto i nostri padri, i nostri nonni quando sono emigrati ci hanno mantenuto, quando hanno fatto la fame per farti studiare. Possiamo farlo anche noi però dobbiamo riprendere l’idea di bellezza, di verità, di gusto della vita, magari guardando solo natura.
L’altro esempio che citiamo è Guareschi. Quando Don Camillo un po’ desolato chiede a Cristo "Ma cosa facciamo? – c’è la crisi anche allora – cosa succede, cosa possiamo fare?" E lui dice, il Cristo di Guareschi: "Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme potrà gettarlo sulla terra, resa ancora più fertile dal limo del fiume. E il seme fruttificherà e le spighe turgide e dorate daranno dagli uomini pane vite speranza.” Dobbiamo salvare il seme dell’uomo, sostenuto da un ideale e dalla fede, perché chi ce l’ha come noi, e come molti. Dobbiamo sostenere questo io, dandogli speranza, dicendogli che non deve credere a chi dice che non c’è niente da fare. Proprio in questo momento di crisi, bisogna seguire la testimonianza che si racconta questa mostra operai, imprenditori, insegnanti, studenti, operatori sociali, padri che non lasciano che non mollano, che riprendono loro, e con questo possono essere l’inizio di un nuovo periodo dell’Italia, fatto di speranza, di fede, di lavoro, di collaborazione, di costruzione, di non-lamento. Noi vogliamo intraprendere questo cammino. Siamo convinti che lei, Presidente, e quello che sta facendo, ci può esser da modello.

MODERATORE:
Interviene ora il Presidente del Consiglio, professor Mario Monti

MARIO MONTI:
E’ per me un onore e una gioia, partecipare alla giornata inaugurale di questo Meeting. E’ un onore, in particolare, avere lo stesso ruolo nel vostro programma, che l’anno scorso, ebbe il Presidente Napolitano, che anch’io con tutti voi, ringrazio molto per il suo saluto. Ed una vera gioia – non è la prima volta che partecipo al Meeting, ma è stata una vera gioia – in particolare percorrere con la professoressa Guarnieri e col professor Vittadini la mostra L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita. Ecco, potermi ritrovare con voi, tra voi, che siete il titolo di questa mostra, di questo libro che la spiega, siete giovani per la crescita, e poter avere questo incontro con voi in un istante veramente imprevedibile della mia vita. Quello che mi porta, proprio per un istante, poco più lungo che un istante, ad essere responsabile di un Governo chiamato a svolgere un’attività non semplice in un momento non dei più facili della vita del Paese. Piuttosto che farci tremare le vene ai polsi nelle situazioni difficili, io credo, vale la pena di usare un moderato understatement, e quindi trovare il coraggio, anche in questo. Ebbene, ho sentito dalle parole della professoressa Guarnieri e dalle parole del professor Vittadini, dalle esperienze messe in fila nella mostra, una serie di stimoli che faccio fatica a riprendere in modo disciplinato – è comprensibile – in un intervento necessariamente piuttosto breve. Ma vorrei cercare di farlo, piuttosto che utilizzare un testo predisposto al quale, peraltro, mi permetto di fare riferimento – si troverà sul sito del Governo, per quelli che volessero avere maggiore argomentazione di alcune delle cose che dirò. Voi l’avete chiamato "Imprevedibile istante" questo vissuto dei giovani per la crescita. E’ una definizione, io trovo, affascinante, e le parole che i due professori, il professore e la professoressa hanno pronunciato, ricordando l’impegno che ciascuno di voi deve porre nella costruzione di se stesso, della propria persona, ne danno conferma. Se interpreto bene il vostro pensiero, la crescita personale prende le mosse dalla capacità di iniziativa individuale, dalle soddisfazioni alle quali ciascuno può ambire legittimamente, ma che deve saper conquistare, passo dopo passo con il merito. E’ questione di istanti che restano imprevedibili, perché non ci è dato sapere se e come sapremo far nostro l’insegnamento che ci lasciano. Possiamo soltanto affidarci alla fiducia in noi stessi, quella delicatissima cosa che quando è eccessiva ci rovina, ma che quando è insufficiente, anche ci rovina. Ebbene, la fiducia in noi stessi maturandola dalla preparazione, dallo studio e dalla capacità di ascolto. L’imprevedibilità è quindi un elemento essenziale: solamente la forza della volontà, unitamente alla capacità che ciascuno ha e sa usare, sono il motore del successo personale qualunque dimensione gli si voglia dare, professionale, umano. E nel sottolineare il ruolo della volontà e della capacità, non vorrei che dimenticassimo altri fattori che possono giocare in positivo o in negativo nell’esito in tutto questo. Per esempio lo Stato deve giocare, non certo a rendere bloccato il meccanismo economico sociale, ma deve come diceva il professor Vittadini, renderlo elastico, lui lo ha usato come sostantivo io lo uso come aggettivo. Renderlo elastico. Ma lo Stato, ha anche il ruolo di mitigare in qualche modo la distribuzione iniziale, deve, in qualche modo, rendere non eccessivamente difformi, i punti di partenza, e poi, il ruolo che l’individuo deve avere nel gestire gli eventi della propria vita rimane ovviamente essenziale. E credo che non si possa neppure negare che la fortuna, o comunque la vogliamo chiamare, dal punto di vista delle diverse culture, fedi e tradizioni, abbia anch’essa un ruolo. Imprevedibilità dell’istante credo ci suggerisce qualche riflessione su questo istante che il nostro Paese sta vivendo. Un istante abbastanza prolungato, ma in fondo brevissimo rispetto alla storia di decenni o di secoli. Io parlo quasi quotidianamente di crisi, lavoro quotidianamente contro la crisi italiana ed europea, ma qui con voi oggi vorrei chiedermi se siamo veramente in crisi. Un anno fa pensavamo meno di oggi di essere in crisi, ma credo che lo fossimo di più, non perché le manifestazioni della crisi fossero più evidenti, non lo erano, ma perché non era ancora avvenuto nel nostro pensare individuale e collettivo un balzo che in quest’ultimo periodo ci ha fatto ragionare tutti più approfonditamente sulla condizione dell’Italia, su ciò che deve essere fatto su ciò che magari è troppo difficile per essere fatto. E’ venuta meno una polvere di parvenza di stabilità e di benessere che col senno di poi, ma anche col senno di prima di molti, era chiaro non sarebbe stata sostenibile senza interventi più profondi. Ma allora crisi è il momento in cui si esce, e io per molti aspetti, lo vedo avvicinarsi questo momento, si esce da una fase di sofferenza economico-sociale, o non è piuttosto crisi la situazione che precede il momento in cui si ritiene necessario rimboccarsi tutti le maniche e lavorare per trasformare per il meglio il Paese. Io trovo abbastanza straordinario quello che è successo in questo anno, anche nei punti del sistema italiano ed europeo, che meno, di solito, consideriamo con ottimismo o con soddisfazione, questo momento di non grande popolarità per le forze politiche in Italia ed in altri paesi. Ebbene, io vedo quotidianamente il miracolo, al quale cerco nel mio piccolo di contribuire, di forze politiche, soprattutto tre forze politiche che negli ultimi anni avevano dedicato una grande quantità di attenzione, di tempo, di risorse mentali, al combattersi reciprocamente – il che fa parte della battaglia politica, della concorrenza che, anche in politica, come in altre zone della vita deve esistere – ma non era facile prevedere che quelle stesse forze avrebbero avuto un soprassalto di responsabilità e che sarebbe stato possibile, non dico sempre facilissimo, ma possibile, i fatti sono lì a dimostrarlo, ricondurle con la loro partecipazione attiva, creativa, qualche volta un po’ sofferta, qualche volta chiaramente scontenta, ma pur sempre responsabile, a prendere decisioni, come quelle che erano state rinviate per anni, per decenni. Ecco quindi un motivo di speranza: crisi sarebbe stato lasciare andare avanti le cose, senza nessuna modifica della traiettoria. Così non è stato, anche sul piano europeo. Farò solo brevi cenni all’Europa in questa mia conversazione, ma so che nella coscienza, nell’orizzonte di molti di voi, così come certamente nella mia coscienza e nella mia esperienza di vita, l’Europa ha avuto ed ha un grande posto e vedo qui il Vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro, al quale mi hanno unito e mi uniscono molte valutazioni, molti sentimenti nei confronti dell’Europa. Ebbene, l’Europa è – credo che discutere con lui e col Presidente Martin Schulz e con altri mercoledì di vicende europee. Anche l’Europa in quest’ultimo anno, può essere considerata come un luogo di grande insoddisfazione, di crisi che esplode, da un punto all’altro del continente europeo e che mette in luce le lacune. Ma anche in Europa, mai come in quest’ultimo anno c’è stato un soprassalto di volontà di agire per costruire meglio, di più e più rapidamente insieme e per togliere i singoli Paesi e l’intero contenente da una situazione non sostenibile. Insomma credo che possiamo avere sul piano dei sistemi italiano, europeo, quella stessa fiducia che viene così alimentata nel percorso della mostra L’imprevedibile, istante. Giovani per la crescita. Quelle sono esperienze individuali il trentenne che da Chiavari impianta un’attività condotta in parte da Chiavari in parte dalla Romania per agire come intermediario nel mercato dei giocatori di calcio, non dico che il contenuto sia nè più nobile nè meno mobile di altra attività, comunque denota uno spirito di iniziativa che ci disarma, se pensiamo che occorre che non necessariamente debba esserci lo Stato, una forza superiore, qualche cosa per mettere in moto tua attività. Quella cosa successe a Chiavari – io non conosco la persona, nè i giovani che collaborano con lui – ma ricorda moltissimo esperienze che io ho sentito raccontare un mese fa a Sun Valley nel West degli stati Uniti esperienze tratte dalla Silicon Valley dalla California. Quindi questo è possibile a Chiavari come è possibile là. Ebbene, siamo in una fase in cui c’è possibilità di avere molta speranza. Io ho usato in una recente intervista un’espressione che non so se pentirmi o no di aver usato, quella di generazione perduta, non credo di essere l’unico ad aver usato questa espressione, però l’ho usata. Credo di non aver fatto altro che constatare con crudezza, e penso che qualche volta la crudezza sia necessaria, una realtà che è davanti agli occhi di tutti. Lo sperpero di un’intera generazione di persone, che oggi giovani non lo sono più tanto, alcuni di loro hanno superato i 40 anni, e che pagano le conseguenze gravissime della scarsa lungimiranza, di chi – non ho in mente nessuno, nessun Governo, in particolare – ma di chi, nell’insieme, nel passato, negli anni e nei decenni passati, non ha onorato il dovere di impegnarsi per i giovani, e un’intera generazione sta pagando un conto salatissimo. Un’intera generazione sta pagando un conto salatissimo. Io una delle volte precedenti che sono stato qui con voi con i vostri predecessori – l’ho ricostruita – è del 25 agosto del 1998, quattordici anni fa, mi occupavo di Europa, ero Commissario europeo, ma facevo qualche incursione anche nel mio Paese, perché si può essere persone che lavorano nel cantiere dell’Europa, ma che si sentono molto parte del proprio Paese e per fortuna che è così. Ebbene, il giorno prima, 24 agosto, un grande leader sindacale in questo luogo, aveva invocato, aveva proposto, aveva chiesto uno sciopero generale contro il Governo – non mi ricordo neanche quale Governo fosse, non mi interessa – che cercava di lavorare sulla riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. Io, che non credo fossi allora, non ricordo di esserlo stato comunque un rivoluzionario, mi pronunciai di fronte ai giovani non così numerosi, perché non avevo ruolo così eminente del programma, mi pronunciai di fronte ai giovani in modo molto critico nei confronti di quella proposta di sciopero generale. Mentre – dissi – sarebbe giustificato non uno sciopero generale, ma uno sciopero generazionale: quello dei giovani che dovrebbero trovare i modi per dare una spinta ad uscire da meccanismi che se continuassero finirebbero per gravare sulle loro spalle. A cosa serviva uno sciopero contro il Governo, un Governo che cercava di fare alcune riforme strutturali? Bisognava presentare un altro scenario, cioè quello in cui erano i giovani che dovevano protestare contro meccanismi come quello dicevo dell’attuale sistema pensionistico quello che dopo è stato riformato, anche recentemente. Occorrono quello e altri interventi di riforma, dicevo, come dimostrano gli studi sulle tendenze demografiche, non solo per gli equilibri di finanza pubblica, ma anche per una sorta di contabilità delle generazioni. E questo è l’aspetto più importante: un sistema poco equilibrato rende infatti più difficile per i giovani trovare lavoro, e i redditi futuri di quelli che eventualmente avessero trovato lavoro, avranno trovato lavoro, i redditi futuri saranno gravati dalle tasse per pagare il sistema pensionistico. L’ipoteca sul futuro dei giovani italiani, dicevo, è maggiore di quella che grava sui giovani di altri paesi europei. Ecco, alla generazione perduta è importantissimo pensare prima di perderla, facendo le politiche adeguate che guardino al futuro. E in questo devo dire, l’Europa che spesso si presenta come arcigna contabile eccessivamente austera, e qualche volta lo è, è il vento che consente all’orizzonte delle politiche nazionali di guardare un po’ più lontano nel tempo. Nei miei anni di Bruxelles ho avuto tante esperienze interessanti, ma ne ricordo una, come molto intensa. 1997, arrivo a Bruxelles di una delegazione della Conferenza episcopale polacca, presieduta dal Cardinale Glemp. La Polonia doveva, in quei mesi, decidere se presentarsi come candidata all’ingresso nell’Unione europea o no. La Chiesa polacca aveva, soprattutto in quegli anni, un ruolo politicamente e culturalmente molto decisivo: volevano capire, i vescovi polacchi, se l’Europa fosse solo una costruzione di mercato, di banche, si avviasse ad esserlo di moneta, di commerci, o se avesse uno spirito, se avesse dei valori – questo avveniva un po’ di anni prima del dibattito sul riconoscimento o meno delle radici cristiane dell’Europa nel documento costituzionale. Bene, io, con altri colleghi commissari, ho cercato di spiegare ai vescovi che, per esempio, l’euro, sul quale si stava lavorando, e che non è ancora nato, certamente aveva un aspetto altamente tecnico bancario finanziario, ma era molto, molto di più, era un valore morale. Perché? Perché per partecipare all’euro, per restare nell’euro i diversi paesi, si sarebbero impegnati ad essere un po’ più disciplinati di quanto non lo fossero stati in passato, nella loro finanza pubblica. Di che cosa avevano sofferto i giovani italiani delle successive generazioni? Come si discuteva qui a Rimini nel 1998, avevano sofferto di politiche economiche e politiche sociali, condotte da Governi di varia denominazione spesso genuinamente mossi da un’istanza etica di valore – nell’etica né delle intenzioni forse più che nell’etica della responsabilità – di soddisfare tutti, tutte le categorie sociali, che presentavano richieste incoerenti tra loro, evidentemente non alzando tanto le tasse, ma creando molto debito pubblico; così negli anni si è creato una grande quantità di debito pubblico, proprio perché i politici che governavano in quegli anni, e questo vale per molti paesi europei, trovavano, con una implacabile e lucida coerenza, più facile e meno oneroso politicamente scaricare gli oneri su bambini che non votavano ancora o persone che non erano addirittura neanche nate e quindi sulle generazioni future. L’euro, torniamo ai vescovi polacchi e all’euro, che in questo momento ci mette un po’ in agitazione, ma pensiamo qual’è il suo valore per l’etica civile, l’euro che per nascere, ha dovuto essere accompagnato da questi vincoli di natura finanziaria, ha veramente cambiato la condotta dei Paesi: in passato negli anni settanta, ottanta, primi anni Novanta, l’Italia aveva in modo disinvolto disavanzi pubblici che in un anno, potevano essere del 12, del 15 per cento del prodotto interno lordo, nessuno se ne accorgeva neppure, ma la disoccupazione giovanile di oggi è figlia di quegli anni; l’Europa ha cercato di cambiare questo. Ecco perché dobbiamo sempre vedere il legame tra ciò che si svolge in Europa e ciò che si svolge in Italia. Concludo in pochi minuti, ora: il tema giovani per la crescita è stato cortesemente detto dalle due persone che mi hanno introdotto è un po’ il cuore dell’attività di questo Governo. Non è mia intenzione, qui, né spiegare in dettaglio, né sottolineare meriti o risultati; del resto, in sintesi, mai abbiamo pensato che le riforme, fatte con intensità in questi mesi, il contenimento del disavanzo pubblico, la riforma delle pensioni, la riforma del lavoro, le liberalizzazioni e la maggiore concorrenza, lo snellimento delle procedure per le infrastrutture, la spending review, per andare a scovare i grandi e piccoli sprechi, non abbiamo mai pensato che questo potesse, nel giro di qualche mese, far salire la crescita e l’occupazione: ci vuole più tempo. Quello che speravamo, che in parte si è verificato e in parte no, era che l’insieme di queste azioni osservato dalle organizzazioni internazionali e dai mercati finanziari, desse luogo più rapidamente di come sta avvenendo ad una diminuzione dei tassi di interesse che avrebbero aiutato l’economia italiana ad estendersi, lo Stato e le imprese a finanziarsi in modo meno oneroso e quindi al processo di crescita anche di ripartire. Per una serie di ragioni intervenute, relative non tanto all’Italia, come viene riconosciuto in tutta Europa e anche oltre, ma dovute a una minore credibilità sulla persistenza dell’Euro senza problemi, senza nessuno Stato che ne esca, eccetera, in questi mesi c’è stato uno stato di tensione nei mercati finanziari dei titoli del debito pubblico dei vari Paesi, che ovviamente è stato particolarmente pesante per un Paese come il nostro, che vive – ecco l’imprevedibile istante di nuovo che spunta – quel momento di cambiamento di marcia, si porta dietro, sulle sue spalle, il debito pubblico creato in tutti i decenni in cui non si pensava alle generazioni future e non si voleva essere impopolari, ma ha cambiato condotta. Però, se c’è un fattore che tiene teso il mercato finanziario, grava soprattutto su quei Paesi, su quelle lumachine che, pur essendo nella parte motoria del loro corpo ridiventate agili e molto disciplinate, hanno però, si portano dietro questo grosso debito pubblico. Ecco perché – e scusate il grande disordine, oltreché la totale mancanza di spunti lirici ed emotivi nel mio discorso di oggi – ecco perché oggi, per l’Italia, come per altri Paesi, governare l’Italia non è una cosa scindibile dal co-governare l’Europa. Noi ci siamo impegnati in questi molti mesi ormai a esercitare – spero che si possa dire, avendo dato maggiore peso e maggiore credibilità all’Italia e al suo Governo – ad esercitare un’influenza che a priori non era facile esercitare da parte di un Paese in situazione di grave crisi finanziaria e che gli altri Paesi vedevano con diffidenza, perché avrebbe potuto far precipitare la crisi dell’intera Eurozona, ma dando più rispetto, più credibilità, più peso, e devo dire che tutto il mio Governo, direi che è stato costituito nella lista di nomi che io ho sottoposto al Presidente Napolitano per la nomina dei ministri, è stato costituito in modo che ci fosse un DNA europeo in ciascun ministro, non solo in quelli esplicitamente dedicati ad un’attività europea. Io spero che si vedano i risultati nei prossimi mesi: ci stiamo fabbricando con altri nella casa europea condizioni migliori per la sopravvivenza e per il benessere e per la crescita della casa europea, e questo contemporaneamente dovrebbe giovare a casa nostra. Vedete come l’economia, la psicologia, l’etica sono inestricabilmente legati. Ho parlato di euro e di vescovi polacchi: ci credevo alle cose che ho detto loro, e tra parentesi devono avere avuto un po’ di ruolo nel determinare la Polonia a chiedere l’adesione all’Unione europea. Ma sapete quale sarebbe la maggiore tragedia per l’Europa e per l’Italia se l’euro, inteso come il pinnacolo della costruzione europea, la "Madonnina", direbbe un milanese, sul Duomo, inteso come il coronamento del sogno di integrazione e di unità, diventasse, per l’incapacità nostra dei governanti degli stati europei, un fattore di disgregazione, di nascita o di ri-insorgenza di pregiudizi del nord verso il sud, del sud verso il nord e via dicendo. Questo è un rischio grave, non è un fatto tecnico, ma vedete di nuovo come tecnica e umanità negli aspetti positivi e negli aspetti negativi si intrecciano, e quindi oggi, devo dire, è una sfida affascinante, anche se piuttosto complessa, quella di aiutare l’Italia con azioni di Governo e con l’aiuto indispensabile di un Parlamento che, tra l’altro è prossimo alla sua scadenza, che è reduce, come dicevo, da anni di fiere contese ma insomma aiutarci tutti insieme a trovare una strada decorosa, a essere rispettati nel mondo come possiamo e dobbiamo essere, a fare certamente qualche temporaneo sacrificio, anche grande, però crediamoci e speriamoci con la certezza che questo pesante stato di transizione e di sacrificio aprirà, riaprirà per l’Italia una situazione nella quale le grandi forze di fondo che restano nella società italiana, la famiglia, i distretti industriali, un settore privato che risparmi, famiglie mediamente poco indebitate, e che quindi possono anche permettersi di comprare i titoli di Stato per sovvenire alle necessità dello Stato lui così indebitato, un sistema di piccole e medie imprese vitale una posizione quella italiana, guardiamoci in faccia anche con una misurata fiducia se uno vuole. L’Italia è in grado di esercitare nel mondo un suo soft power non lo hard power delle imprese militari di tipo tradizionale, ma è soft power, è attività moderna, che fa leva sulle caratteristiche tradizionali degli italiani, quella di, per esempio, avere un ruolo così esteso così apprezzato nel peacekeeping e nel peace making prima ancora internazionale ma è anche soft power, avere una creatività che ci deriva da secoli di coesistenza con una cultura e con bellezze prodotti della cultura, senza pari nel mondo è soft power anche poter parlare se usciamo dall’ombelico autoreferenziale delle nostre questioni di bottega, o di cortile o di rione, poter parlare con gli altri paesi nel mondo ed essere ascoltati soprattutto dal terzo mondo dai paesi emergenti, dai Bricks dal nuovo mondo essere ascoltati senza quella posizione leggermente o non leggermente diffidente che spesso hanno nei confronti di quei pochi grandi paesi che esercitano hard power nel mondo. La Cina è più interessata nel suo ordinamento giuridico per il Governo dell’economia della società cinese che sta mettendo in piedi in questi anni è più interessata dove può e dove la aiutiamo a farlo ad ispirarsi a modelli dell’Unione europea spesso italiani piuttosto che a modelli americani. Ebbene, l’Italia ha una serie di caratteristiche positive che possono molto contribuire ad un’Europa più capace di dialogare con un modo di affermarsi nel mondo, ma tutte queste caratteristiche positive vengono gettate alle ortiche se non ritroviamo un minimo di fiducia reciproca, nella vita sociale. E scusate solo un riferimento di attualità: un impegno straordinario e certe volte sgradevole contro l’evasione fiscale, fa parte del recupero di fiducia dei cittadini verso lo stato e dei cittadini tra loro. Io dirò fra l’altro, ai dirigenti della RAI, suggerirò – credo che abbiamo nei mesi scorsi fatto qualcosa di molto concreto per, mentre rispettiamo profondamente la politica per i suoi compiti istituzionali, invitare la politica ad accomodarsi fuori dal luoghi forse un po’ troppo invasivamente occupati in passato – quindi la RAI, che deve essere indipendente, prima di tutto dal Presidente del Consiglio non può certo ricevere mie istruzioni, ma darò un suggerimento amichevole a chi dirige la RAI di non usare più l’aggettivo furbi nei telegiornali che descrivono la lotta contro l’evasione. Non si possono trasmettere, neppure in modo subliminale, valori che sono concessivi di deroga, di tolleranza e, tutto sommato, di indicazione di modelli che distruggono la società italiana. Un’altra cosa che metterei nel genere del rinnovare il modo di coesistere tra noi, concittadini italiani, è un po’ più di concorrenza nei mercati delle professioni eccetera. Vediamola come gli economisti tendono a vederla, come un intervento per eliminare rendita, tasse occulte, che non lo Stato, ma certi soggetti con potere monopolistico od oligopolistico, impongono ai consumatori. Vediamola come intervento di politica economica, ma vediamola anche dal punto di vista civile e morale, come un pareggiamento dei punti di partenza, come una eliminazione di privilegi consolidati, per cui è troppo facile godere dei benefici di chi in famiglia ci ha preceduto. La famiglia, ho appena detto, è un grandissimo valore, e tuttavia deve conciliarsi con una qualche parità dei punti di partenza nella società. Io spero che quando, fra un po’ di tempo, si guarderà al lavoro che, ripeto, il Governo, ma col Parlamento, con la società italiana, si è fatto in questo periodo, si possano vedere, oltre a interventi che avranno effetti sulle variabili economiche e che già comunque hanno permesso al nostro Paese di non muovere lungo una direttrice sud-est per avvicinarsi a un altro grandissimo Paese d’Europa dal punto di vista della tradizione culturale e che tuttavia ha difficoltà molto acute in questo momento, ma si vedrà che abbiamo anche cercato di mettere dei semi per rendere più normale, più guardabile in faccia, e più ispiratrice di fiducia, la società italiana.
Non posso, in una giornata che è l’anniversario della morte di Alcide De Gasperi, non ricorrere a un paio di citazioni di questo personaggio che tutti di colpo stanno riscoprendo, ma ben vengano le riscoperte; una citazione di un discorso pronunciato in Senato il 15 Novembre 1950, intitolato Un ideale per i giovani, quindi mi è sembrata non del tutto fuori luogo. “Ora, io credo – Alcide De Gasperi – che la Federazione europea sia quella la cui possibilità di pratica realizzazione sia più vicino – 1950, cioè sette anni prima del Trattato di Roma, che ha dato vita alla Comunità europea, sei mesi dopo la dichiarazione di Schumann, che ha proposto che Germania e Francia mettessero insieme le loro industrie che avevano alimentato le guerre. Tra parentesi, ogni tanto, penso all’evoluzione dei modi della democrazia. Ormai per molte decisioni europee i diversi stati membri fanno ricorso al referendum. Quale sarebbe stato l’esito in Francia e in Germania, di un referendum sulla dichiarazione Schumann, nel 1950, a cinque anni dalla fine della guerra mondiale che proponesse la messa in comune delle risorse quando, scusate di nuovo il disordine, quando credo la professoressa Guarnieri ci ha richiamato al concetto di infinito, Santo Cielo, cosa c’entra questo con De Gasperi, Schumann, c’entra perché vedo là in fondo la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito. L’infinito è una cosa che sconvolge ciascuno di noi ma che è un’entità impalpabile alla quale dobbiamo misurarci. Ed io sentendola parlare, professoressa, e leggendo là in fondo, pensavo anche che si può ben dire che le decisioni politiche in generale sono spesso affette perciò gravide di conseguenze negative per la totale mancanza di infinito anche solo nel senso di tempo e di spazio. Oggi siamo in una fase in cui anche in Europa, in parte per quei problemi della gestione dell’euro che dicevo, stanno risorgendo in quasi tutti gli stati europei movimenti populistico-demagogici che vogliono evitare il diverso vogliono tenere lontano il diverso, non solo il diverso che viene a cercare il pane dall’Africa, ma anche il diverso di un’altra nazionalità europea che è pochi chilometri aldilà di una frontiera in una fase in cui il mondo e l’Europa si salvano solo se c’è più integrazione l’appiattirsi dell’orizzonte delle decisioni politiche, negando l’infinito e negando anche il tempo e lo spazio, cioè, guardando al short-termism e al localismo è il male principale delle nostre società. Questo è un grandissimo problema per la democrazia. Come conciliare il fatto che i problemi del mondo oggi dal cambiamento climatico alla crescita economica alla crisi finanziaria esigono tutti politiche che siano di lungo periodo e coordinate sul piano internazionale o addirittura globale mentre gli orizzonti della politica sempre più governata dai media diventa di brevissimo periodo. Ecco, a proposito non sarebbe stata approvata la dichiarazione Schumann da un referendum e qui è d’obbligo, è stata ripresa varie volte in questi in questi giorni, la frase di De Gasperi, di nuovo, che dovrebbe essere un grandissimo monito per tutti quelli che si accingono ad attività decisoria in campo pubblico attività politica il politico guarda alle prossime elezioni lo statista guarda alla prossima generazione, ma riprendo e chiudo davvero quella citazione di De Gasperi sull’Europa, con la quale chiudo – ora io credo che la Federazione europea – 1950 – sia quella la cui possibilità di pratica realizzazione sia più vicina e se volete che un mito ci sia ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace se non questo sforzo verso l’Unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza il mito della propria bandiera, sia pur accompagnato dall’eroismo? ma noi allora quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace. Questa è la pace. Questa è la strada che dovete seguire – diceva De Gasperi – perciò non raccomanderei mai ai nostri amici che ci rappresentano nei consessi internazionali, di essere prudenti nelle iniziative – politico democristiano! Raccomando di non essere prudenti nelle iniziative: non è, infatti, che queste delusioni influiscano semplicemente sull’animo nostro di gente sperimentata che sappiamo come le cose possono andare bene e possono andare male, che ci sono corsi e ricorsi nella storia che potrà rimediare, perché la storia è una spirale, ma il fatto è che questa esperienza non è dei giovani. I giovani vedono solo un ideale che accendiamo loro dinanzi agli occhi e se non teniamo alta questa fiaccola non spegnamo solo quella fiamma, ma tante altre speranze, e accendiamo quelle altre di cui oggi ci si lamenta di vedere appena all’inizio, ma che possono trasformarsi in un incendio fatale.

MODERATORE:
Ora, Presidente, I nostri due giovani amici che hanno collaborato alla realizzazione della mostra, Marco Erroi e Maddalena Saccaggi le rivolgeranno brevemente due domande.

DOMANDA 1:
Egregio signor Presidente, sono Maddalena, frequento il terzo anno di giurisprudenza, ho contribuito alla preparazione di questa mostra, che testimonia come, nonostante la continua diminuzione di risorse economiche ci siano ancora persone che investono tempo, energie e denaro nella scuola e nell’università, sono realtà che testimoniano un’anomalia, che vanno oltre le tante difficoltà imposte dal sistema come dimostrano quelle migliaia di giovani laureati che, col desiderio di diventare docenti, questa estate si sono impegnati nei test preliminari per il TFA, i tirocini formativi attivi. Le nostre università sono segnate dalla vita di docenti e studenti appassionati nel loro lavoro di ricerca e nello studio, ma fino a quando potranno andare avanti? Sempre più giovani, infatti, per mancanza di risorse si vedono costretti ad andare all’estero per proseguire gli studi. In questo scenario, rimangono quindi alcuni nodi irrisolti e sempre più urgenti. Primo: il tema delle risorse, rimane sempre un grande punto di incertezza per la programmazione degli atenei nel medio periodo.
Secondo: nella scuola è sempre più necessario pensare ad un nuovo sistema di reclutamento dei docenti che lasci le scuole libere di scegliere i docenti migliori, rendendo possibile che l’insegnante non venga ridotto a mero funzionario statale, ma possa esprimersi come maestro appassionato e libero professionista. Terzo: per quanto riguarda il nostro sistema universitario, contraddistinto da una fatalistica inclinazione al centralismo è urgente introdurre al più presto germi di libertà e di differenziazione. In questo complicato e delicatissimo settore, strategico per il futuro del Paese, in che cosa questo Governo si vuole distinguere sui temi della scuola e dell’università?

DOMANDA 2:
Egregio signor Presidente, sono Marco e frequento al quinto anno di economia all’Università Cattolica di Milano. Il livello di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli preoccupanti. Come ha detto prima il professor Vittadini, la nostra generazione non rivendica il diritto ad un posto fisso di lavoro garantito a vita, ma desidera delle chance per potersi giocare la partita. Preparando questa mostra, ci siamo accorti che ci sono tanti giovani intraprendenti, che con sacrificio e con creatività cercano di costruire qualcosa di buono e di bello per sé e per gli altri. Troppo spesso, però, tali iniziative si scontrano con il muro della burocrazia e con un’opprimente pressione fiscale e a farne le spese è la crescita del nostro Paese. Il suo Governo cosa vuole fare per lasciare più libertà a questo mare di iniziative? Grazie.

MARIO MONTI:
Grazie Maddalena, grazie Marco per queste domande che costituiscono domande certamente, quindi non avete tradito il compito che vi è stato affidato, ma anche tessere di un mosaico di programma di governo, quindi, vedo che vi preparate per tempo a esercitare un ruolo quanto meno di partecipi a decisioni pubbliche, questo mi piace molto.
Vado nell’ordine, ma vorrei dire prima una parola di carattere generale. Siccome ho voluto inseguire e mi sembrava che ne valesse la pena, come ho detto, gli spunti della mostra, della professoressa, del professore più che seguire un ordinato scritto che avevo sotto i miei occhi, colgo questo momento per tornare a dire che tutte queste cose hanno formato oggetto di molta riflessione e anche di molta azione da parte del Governo che ho l’onore di presiedere e che troverete il discorso sul sito, ma in particolare sono lieto e grato agli organizzatori di questo Meeting perché diversi ministri del Governo avranno occasione di venire qui a cimentarsi, a spiegare e sono sicuro anche a riportare a Roma spunti e proposte. In particolare, sarà il caso per Ministro Passera, la visibilità delle azioni per la crescita, il Ministro Passera è titolare come sapete dell’importante duplice Ministero per lo sviluppo economico e per le infrastrutture e i trasporti. La visibilità delle azioni per la crescita è qualche volta offuscata dal fatto che sono moltissime, sono ramificate e sono lieto che lui possa venire qui a dibattere e quindi anche a dare, io credo, visione più integrata e sistemica all’enorme lavoro che il Governo in questo settore in particolare, per impulso del Ministro Passera, ha fatto, perché la crescita – e poi vengo alle due domande – è evidentemente il risultato non del pompaggio di denaro pubblico nell’economia – tante volte in passato ci si è illusi che questo avvenisse, certamente il pompaggio avveniva, ma poi dall’altra parte non usciva la crescita – ma è soprattutto, per usare l’espressione che usano sempre di più il fondo monetario, la Commissione europea, eccetera, la rimozione di ostacoli strutturali alla crescita, e quindi infrastrutture che hanno bisogno di vent’anni per essere decise e costruite, scarsità di concorrenza e tante altre cose. Poi sicuramente anche i mezzi e le risorse finanziarie, in certi casi sono indispensabili però c’è moltissimo che si può e si deve fare per la crescita, con la politica per rendere più efficienti i mercati, più efficiente e orientato alla crescita il sistema scale. Quindi avrete il Ministro Passera, e avrete il Ministro Fornero, il Ministro Ornaghi, Clini, Terzi – menomale che avete invitato anche me… – però guardate è giusto, se posso permettermi di osservarlo, che li abbiate invitati ad un’iniziativa sulla crescita perché il Ministro Clini, Ambiente, l’ambiente, stiamo vedendo la vicenda di Taranto, così impegnativa e complessa l’ambiente e la crescita, l’ambiente e il lavoro, possono avere una convivenza difficile se vista in modo angusto, nel breve periodo, ma l’ambiente e la tutela dell’ambiente sta diventando, in molti paesi e anche in Italia, un grande fattore di sviluppo industriale nella green economy eccetera; ministro Ornaghi, beni culturali, a parte il valore non quantificabile che i beni culturali hanno per i paesi persino per un Paese come il nostro che ne ha in abbondanza, ma io non credo che il principio dell’utilità decrescente al crescere della quantità debba applicarsi ai beni culturali. Credo che un’intelligente attivazione dei beni culturali possa molto di più di oggi, contribuire alla crescita dell’Italia, così come mi pare che non sia nella lista dei ministri che verranno qui, ma il Ministro Profumo con Istruzione Università e Ricerca, questa è la base del capitale umano della crescita e il Ministro Fornero con le riforme del lavoro.
Detto questo, Maddalena sì anch’io sono stato colpito nella mostra dai giovani che, in particolare dagli studenti universitari che spiegano il test di ammissione e i misteri dei test d’ammissione. Io credo che la mia università, scusate, l’università dove sono stato studente, assistente, professore rettore e presidente, sia stata la prima a introdurre i test di ammissione, ci sono delle problematiche grandissime, ho visto quelle immagini, credo nell’Abbazia di Europa di studenti universitari che spiegano ai candidati i test. Quindi, lei poi si sottolinea molto, quasi dottoressa Maddalena, la mancanza di risorse e quindi i giovani che sono costretti ad andare all’estero. Lei l’ha detto bene, non aggiungo una parola su questo però se posso per un attimo parlare ancora come esponente del mondo universitario, non concentriamoci solo sulle risorse, questa è una cosa che fanno facilmente e volentieri i rettori responsabili delle istituzioni accademiche, spesso le risorse mancano, ma non sono più risorse di per sé che fanno un’università migliore, così come per l’Europa, ognuno deve fare i suoi compiti a casa, nel proprio Paese, ci sono molte cose che il mondo dell’università, può fare anche senza risorse per migliorare le proprie prestazioni e sta facendo con varie riforme universitarie, vari interventi, per esempio, con sistemi di concorsi di reclutamento più aperti alla concorrenza e meno sensibili alle influenza e spesso i giovani italiani che vanno a studiare all’estero non tornano, non tanto e non solo perché le possibilità di reinserimento nell’università italiana sono meno ampie e meno redditizie, che nell’università americane, per esempio, ma soprattutto perché tornano in un clima di incertezza dove non sanno se cadranno in una parte concorrenziale o in una parte baronale del sistema. Così come la governance delle università, tutti temi su cui già la riforma Gelmini ha fatto a mio giudizio dei progressi e il Ministro Profumo è molto sensibile, essendo stato uno dei migliori rettori italiani a questi temi. Che cosa lei mi chiede infine, in questo complicato e delicatissimo settore che cosa sta facendo il Governo, Le ho un attimo accennato quali sono le nostre linee insomma di introduzione, dove si può di più risorse ma comunque di più valutazione, la valutazione del corpo docente, degli atenei, ma adesso anche delle scuole, la formazione continua e poi, quando cercavo, quando ho proposto al Professor Profumo di diventare ministro, gli ho detto nella prima conversazione, prima che accettasse, guarda, io non sono dell’idea che un ministro dell’università sia un buon ministro dell’università solo se lascia il suo nome associato ad una riforma, ci sono campi in cui soprattutto se negli anni recenti, è stato fatto qualcosa di buono, non è necessario fare nuove per essere efficaci, cerchiamo di far funzionare meglio le cose che le riforme, spesso solo a grandi linee hanno schizzato.
Marco, quinto anno economia alla Cattolica, effettivamente la mostra fa vedere i giovani intraprendenti che con sacrifici e creatività, come lei ha detto, provano a costruire qualcosa di buono e di bello, per sé e per gli altri. Quindi questo siamo alla famosa frase di John Kennedy nel 1960 “americani non chiedetevi che cosa lo Stato può fare per voi, ma chiedetevi che cosa, voi potete fare per lo Stato”, una cosa che oggi in Italia varrebbe comunque molto, ma anche chiedetevi cosa voi potrete fare per voi stessi e direi che la mostra una magnifica illustrazione di questo. Certo, poi bisognerebbe che lo Stato non soffocasse iniziative, come dice lei, con il muro della burocrazia e con una opprimente pressione fiscale. Noi abbiamo cercato, noi siamo un Governo che agisce evidentemente in un orizzonte sia di tempo, sia soprattutto finanziario molto angusto e non possiamo seguire i nostri liberi istinti certamente e quindi anche con alleggerimenti fiscali dobbiamo stare molto, molto attenti, perché poi ad essere aggravato sarebbe il Paese nel suo insieme, però per quanto riguarda queste varie forme di oppressione abbiamo introdotto una società a responsabilità limitata di tipo speciale e con agevolazioni accessibili solo i giovani fino a non mi ricordo se a 35 o 38 anni e anche delle forme di incentivazione fiscale per certe attività condotte dai giovani e soprattutto, ci siamo concentrati sul mercato del lavoro, abbiamo potenziato il contratto di apprendistato per farne la porta d’ingresso nel mercato del lavoro, ecco, quella società semplificata, così si chiama, può essere costituita anche con solo un euro di capitale sociale. Sappiamo benissimo che è necessario fare di più, molto presto il Governo varerà, e questo è di nuovo materia del Ministro Passera un provvedimento sull’agenda digitale e le start up, proprio per valorizzare quei giovani che sono pronti a scommettere sulle loro idee e vogliono aprire un’impresa in settori innovativi. Come siamo usciti dalla crisi economica degli anni settanta, grazie alla forza e alla genialità di una nuova generazione di imprenditori che all’inizio degli anni Ottanta ha investito nella moda e nel terziario avanzato, così io credo usciremo da questa crisi economica solo se una nuova generazione di imprenditori riuscirà a cogliere le straordinaria opportunità dell’economia digitale per valorizzare la creatività e i talenti che ho visto così ben rappresentati in sala oggi e nella mostra che ho avuto il piacere di visitare. Con il che vi ringrazio per la vostra pazienza e per la vostra attenzione.
Trascrizione non rivista dai relatori

Data

19 Agosto 2012

Ora

17:00

Edizione

2012

Luogo

Auditorium B7
Categoria
Incontri