Chi siamo
I FINANZIAMENTI PER IL SOSTEGNO A DISTANZA
I finanziamenti per il sostegno a distanza
22/08/2011 - ore 15.00 Partecipano: Marida Bolognesi, Consigliere dell'Agenzia per il Terzo Settore e Coordinatrice del progetto "Il Sostegno a distanza in chiaro"; S. Ecc. Mons. Jean Gabriel Diarra, Vescovo di San, Mali e Presidente della Conferenza Episcopale del Mali; Stefano Zamagni, Presidente dell'Agenzia per il Terzo Settore. Introduce Alberto Piatti, Segretario Generale della Fondazione AVSI.
Partecipano: Marida Bolognesi, Consigliere dell’Agenzia per il Terzo Settore e Coordinatrice del progetto “Il Sostegno a distanza in chiaro”; S. Ecc. Mons. Jean Gabriel Diarra, Vescovo di San, Mali e Presidente della Conferenza Episcopale del Mali; Stefano Zamagni, Presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore. Introduce Alberto Piatti, Segretario Generale della Fondazione AVSI.
ALBERTO PIATTI:
Buon pomeriggio a tutti, benvenuti a questo incontro nell’ambito di questo grandioso Meeting per l’amicizia fra i popoli, Meeting che è stato caratterizzato ieri dalla presenza del presidente Napolitano che ha detto delle parole importanti al Paese ed è significativo che le abbia dette nell’ambito del Meeting di Rimini. E così abbiamo ben compreso la necessità di dare un contributo per un colpo di reni a questo Paese e vorremmo dare un contributo grazie alla presenza di autorevoli relatori: Monsignor Jean Gabriel Diarra, vescovo e presidente della Conferenza Episcopale del Mali, il celeberrimo professor Zamagni, che tra le tante cariche è anche Presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore e Marida Bolognesi, che oltre ad avere un passato di parlamentare e di essersi occupata di problematiche dell’infanzia come Presidente di una commissione ad hoc del Parlamento italiano, è Consigliere dell’Agenzia per il Terzo Settore. Vorremmo dedicare una riflessione a “Il finanziamento per il sostegno a distanza”, come dice il titolo di questo incontro e innanzitutto vorremmo cominciare, se è possibile, con lo spot che l’agenzia ha realizzato sul tema. Io devo dire che è la prima volta che lo vedo ed ascolto ma è stato calibrato l’uso delle parole con una efficienza notevole e comunicativa, perché aiutarlo a crescere forte in un ambiente debole, è ciò che facciamo come Fondazione AVSI per più di trenta e rotti mila bambini in tutto il mondo. Il fenomeno del sostegno a distanza è un fenomeno che definirei popolare, di un popolo, di una cooperazione dei popoli e tra i popoli, prima che una cooperazione tra burocrazie e cancellerie. È un fenomeno poco conosciuto nelle sue dimensioni reali, magari qualche dato dopo avremo modo di apprenderlo, ma è veramente un fenomeno popolare e molto diffuso. L’idea che l’Agenzia del Ong che ha affrontato il tema, definendo anche delle linee guida che, devo dire, sono delicate e non invasive, però incisive, con il contributo anche, non so in quale commissione, della Dania Tondini, e quindi di tutto il portato di esperienza che la Fondazione AVSI ha sul tema in quaranta Paesi del mondo, è stato un passo, ritengo, molto importante, perché anche dal punto di vista di quelle che sono la trasparenza, la contabilità e cose del genere, è necessario evidentemente che ci siano delle linee guida a cui tendere. Sapete che siamo abbastanza allergici a uno stato eccessivamente invasivo e regolatore, mi sembra che la delicatezza e il suggerimento con cui sono state formulate queste linee guida incontrino il gusto della persona sussidiaria per definizione, che è rappresentata dal popolo del Meeting di Rimini. Noi vorremmo articolare questa chiacchierata dando subito la parola a Sua Eccellenza Monsignore Jean Gabriel, perché vorremmo partire esattamente da dove il sostegno a distanza aiuta a crescere forte un bambino in un ambiente difficile e in un Paese come il Mali, che è un Paese sufficientemente difficile in questo momento.
S. ECC. MONS. JEAN GABRIEL DIARRA:
Grazie di avermi dato il piacere di partecipare a questo incontro e so che l’ambizione del Meeting che si svolge qui è di promuovere l’amicizia tra i popoli. Vorrei quindi ringraziare gli organizzatori del Meeting che in nome della amicizia mi hanno invitato a questa trentaduesima edizione. La casa dell’amico non è mai troppo lontana da raggiungere e il percorso che si compie per raggiungerla crea e rafforza l’amicizia. Io ho percorso un certo quantitativo di chilometri, qualche migliaio, per essere qui con voi e in questo modo consolidare l’amicizia che lega voi e il mio Paese, in particolare la mia diocesi. In effetti abbiamo bisogno di amicizia, così come abbiamo bisogno dell’aria da respirare, dell’acqua, del pane. L’amicizia è ben voluta da Dio ed è stata realizzata da Cristo, che quindi ci rende amici di Dio e anche amici tra di noi ed è proprio la missione della Chiesa quella di costruire il regno degli amici che sono stati invitati alle nozze di Dio. La sua amicizia, con gli uomini e con le nazioni, è messa a dura prova, è vero, è messa a dura prova dal nostro egoismo, dal nostro egocentrismo, dalle restrizioni connesse alle relazioni tra gli uomini, alle relazioni tra le nazioni, viene anche ostacolata dagli scontri economici nonché dagli scontri ideologici e dagli scontri militari. Ma questa amicizia si traduce oggi nel fenomeno ben conosciuto della solidarietà. La solidariètà in effetti, a mio vedere, è l’espressione operativa dell’amicizia e deriva da questa amicizia tra gli uomini, tra i popoli e deriva semplicemente dal fatto che noi qui ci apparteniamo. La solidarietà è un valore cardinale e tradizionale ed è proprio su questo valore cardinale e tradizionale che è imperniata e incardinata la nazione del Mali. Un popolo, uno scopo, una fede. È una frase che è sancita nell’articolo venticinque della Costituzione nazionale. Ma nonostante la diversità di etnie, di razze, di religioni noi siamo consci del fatto di essere un popolo, un popolo che condivide lo stesso destino e lo fa con lo stesso convincimento. Siamo un popolo e quindi condividiamo un corpo e una fede. Il nostro popolo crede talmente a questa società che nella sua costituzione ha deciso di includere la clausola specifica di abbandonare la sua sovranità per costruirla insieme ad altri Paesi che condividono la stessa visione. La solidarietà è un valore capitale che può quindi mobilitare oggi popoli e nazioni per completare quella che chiamiamo oggi la comunità internazionale e questo di fronte a catastrofi come ne abbiamo viste negli ultimi decenni. Questa solidarietà a volte è sottoposta a delle condizioni specifiche, è sottoposta ad esempio al sostegno che gli stati, le nazioni, la comunità internazionale possono dare a Paesi poveri come il nostro. Questo tipo di sostegno spesso è condizionato dalla realizzazione di una certa democrazia con una etichetta ben conosciuta, c’è anche l’obbligo della buona amministrazione e a volte addirittura il sostegno è condizionato da quesiti più o meno formali ma tali che ci sono dei contratti specifici tra il ricevente e colui che dona. L’obiettivo soggiacente a queste condizioni è che, dalla parte di chi dà il sostegno, ci sia anche una garanzia dell’efficacia dell’aiuto fatto, che produca risultati visibili, misurabili, quantificabili. E per noi d’altronde questi risultati devono essere sostenuti per garantire anche l’autonomia futura del beneficiario. Ci sono anche altre organizzazioni che non condizionano il loro sostegno alla messa in atto di una certa democrazia, ma semplicemente elargiscono il loro sostegno sulla base della loro amicizia e solidarietà e la motivazione di questa forma di auto è semplicemente la comunione, così come indicato anche dall’articolo tredici del Lumen Gentium del Vaticano II e cito: «Tutti i fedeli dispersi nel mondo sono in comunione con tutti gli altri nello Spirito Santo. (…) In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell’unità». Qui la condizione fondamentale è la fiducia, la fiducia incondizionata. La fiducia è l’atteggiamento al di là del sentimento, è l’atteggiamento positivo di credere nell’altro. Concretamente ciò significa da parte del donatore credere nella capacità di colui che riceve, da parte di chi beneficia è credere nell’intenzione e nelle motivazioni di colui che dona. Vorrei dirvi in qualche parola, ora, l’esperienza che io ho dell’aiuto a distanza, ed in particolare attraverso le opere pontificie missionarie e anche le diverse forme di sostegno. Le opere pontificie missionarie, prima di essere un organismo allocatore di fondi, è prima di tutto un movimento di comunione e di solidarietà all’interno della chiesa che è famiglia. Ciascun membro in particolare è responsabile del benessere di tutta la famiglia e lo stesso vale per gli altri organismi che si ispirano a questo principio di comunione. Il principio, dunque, fondamentale è la solidarietà: tutti, ricchi e poveri, partecipano alla mobilitazione delle risorse e tutti possono beneficiarne secondo i bisogni di ciascuno. Il secondo principio è l’uguaglianza dei poteri di decisione. Tutti partecipano con uguale potere alla ripartizione di questo aiuto raccolto insieme. Questo aiuto a distanza, mobilitato dalla solidarietà universale di tutti attraverso il mondo, permette a me, vescovo, ogni anno di sopperire parzialmente alla pensione alimentare e ai mezzi di lavoro apostolico di quaranta preti, di sessanta religiose, di centoventi catechisti e di animare duecento comunità cristiane di villaggi. Permette inoltre, questo sostegno, a dieci comunità di villaggio, ogni anno, di poter coprire con un tetto in materiali durevoli la cappella che hanno costruito con le loro mani. Questo sostegno permette infine alle diocesi di formare venti seminaristi ogni anno. Secondo esempio di Aiuto a distanza, è l’opera di patrocinio di studenti da parte di famiglie di una parrocchia qui in Italia, Odolo, il cui parroco si trova qua. Questo aiuto è raccolto da dei genitori di giovani italiani e permette ogni anno a un centinaio di ragazzi e ragazze della mia diocesi di pagare la loro istruzione, la loro pensione alimentare durante l’anno scolastico e di pagare una parte del viaggio per recarsi da casa loro a scuola. E così l’istruzione di questi giovani ha potuto essere perseguita e posso testimoniare che senza questo sostegno molti avrebbero abbandonato la scuola. Potrei dare anche altri esempi di sostegno a distanza, ma siccome ho ancora solo dieci minuti, vorrei avviarmi alla conclusione, facendo riferimento al tema di questo trentaduesima edizione del Meeting che è “L’esistenza è divenuta un’immensa certezza”. Fra le cause che rendono l’esistenza incerta, cito volentieri il dubbio, il relativismo e soprattutto la mancanza di fiducia. La fiducia dà certezza all’esistenza in un mondo globalizzato, in particolare attraverso i partenariati e la condivisione. Ho parlato di fiducia, la fiducia non esclude il controllo. Il controllo è anche il segno, la manifestazione di una fiducia vicendevole, reciproca. Il controllo, fatto in un clima di fiducia, rafforza le relazioni di sostegno e di condivisione e responsabilizza i beneficiari nel loro dovere di produrre dei risultati con il sostegno ricevuto. Il controllo incoraggia il donatore a proseguire nel sostegno per consolidare le acquisizioni. Vorrei concludere con una domanda che pongo agli organizzatori e a ciascuno di voi. Nel finanziamento del Sostegno a distanza si tratta di partenariato o di sostegno? Non vi domando di rispondermi subito, ma sarei contento di sapere che avrò più tardi la risposta a questa domanda. In effetti un detto delle mie parti dice “La mano che dà è sempre al di sopra di quella che riceve”: allora, come fare affinché la mano che dà e quella che riceve siano alla stessa altezza? Penso che sia facendo del sostegno una relazione di amicizia, poiché nella relazione di amicizia le mani non sono una sull’altra bensì si intersecano. Osando affidare ai partner locali la responsabilità della destinazione e della distribuzione del sostegno e non affidando questa assegnazione al Paese che dà. Facendo del parternariato una realtà e non uno slogan. E, infine, si potrebbe augurarsi che il sostegno, invece di essere ad hoc, possa contribuire a fondare, creare, delle fondazioni che facciano sì che un giorno i beneficiari possano fare a meno anche del sostegno a distanza. Vi ringrazio.
ALBERTO PIATTI:
Io ringrazio molto Monsignore perché, oltre alla rara disciplina dei tempi, spesso soprattutto nella categoria dei vescovi, bisogna prendere atto di questo esempio che ci ha dato di come viene percepito l’aiuto nel suo Paese. Mi sembra poi che abbia posto un paio di questioni fondamentali. Ha spiegato l’aiuto dei cosiddetti organismi internazionali, che è un aiuto che pone delle condizionalità, e quindi ultimamente basato su un controllo e ha parlato dell’aiuto che pone invece il suo fondamento su una reciproca fiducia, quindi su una certezza. Credo che questo bilancio di un necessario e adeguato utilizzo delle risorse mobilizzate, che non diventi un asfissiante controllo ma la spinta per una fiducia reciproca, un parternariato, sia anche il tema che mi pare si sia cercato di affrontare con equilibrio nell’ambito dell’agenzia. Allora chiederei a Marida Bolognesi di intervenire successivamente.
MARIDA BOLOGNESI:
Grazie. A me pare che già nel suo importante intervento di ieri il Presidente Napolitano non abbia censurato l’angoscia dell’incertezza del nostro tempo, e abbia invece sottolineato come ci sia un bisogno, quasi un necessità, ormai non più rinviabile, di reagire con forza e ha indicato con chiarezza che la reazione non può che ripartire dalle persone, dalla forza e dal lavoro che le persone mettono in campo. E noi dell’Agenzia, un po’ in tutto il nostro lavoro che riguarda il terzo settore, ma in particolare su questo tema del sostegno a distanza, abbiamo voluto parlare di persone e di futuro, delineando anche delle linee guida, cioè regole, regole condivise, cioè costruite insieme all’esperienza dei soggetti e quindi costruite insieme ai soggetti che questo fanno, agli enti e alle organizzazioni che fanno il sostegno a distanza. Abbiamo voluto condividere regole che portano trasparenza, che non è solo trasparenza contabile. Capisco l’idiosincrasia rispetto all’Agenzia delle Entrate, ma trasparenza vuol dire anche trasparenza di progetto, vuol dire qualità di progetto e quindi innalzare tutti insieme la qualità dei progetti di tanti soggetti con inspirazioni diverse e con modalità molto diverse tra loro. Io credo che, appunto, questo sia un po’ lo spirito, uno spirito che controlla condividendo le regole, che non possono che essere scritte, partendo anche dall’esperienza di chi opera sul campo. E insieme a queste regole, abbiamo voluto “il SAD in chiaro”, che significa un obiettivo chiaro, il futuro, il futuro che riguarda i bambini e i ragazzi di luoghi lontani dalla nostra quotidianità ma vicini, come lo sono le loro stesse comunità, di cui abbiamo avuto una testimonianza adesso, vicine al nostro futuro, a quello che sarà il futuro dell’umanità. E questa scelta l’abbiamo fatta cercando di dare un messaggio di fiducia, una trasparenza di regole, di qualità e da questa necessità di messaggio di fiducia sono nate le linee guida. Perché sul sostegno a distanza? L’Agenzia ha fatto molte altre cose, adesso il presidente Zamagni farà un cenno ad altri impegni che ci hanno visto al lavoro. Noi abbiamo pensato che il sostegno a distanza meritasse un investimento maggiore dell’Agenzia, addirittura che l’Agenzia diventasse, come nei fatti è diventata, un attore del sostegno a distanza, in qualche modo che affiancasse il sostenitore, il beneficiario, gli enti, l’organizzazione che fanno il sostegno a distanza in maniera attiva. Perché il SAD, a nostro avviso, è uno strumento, un gesto solidale che va al di là dell’aiuto semplice o della donazione, perché avvicina le mani che danno e che ricevono e le mette un po’ sullo stesso piano. Perché nel sostegno a distanza, a differenza che in altre forme di donazione o di solidarietà, le mani sono un po’ sullo stesso piano? Perché il sostegno a distanza è un incontro, a differenza di tante altre modalità di fare solidarietà, ed è un investimento sulle persone, perché è una forma di partecipazione attiva alla vita degli altri, che coinvolge i cittadini forse in forma più diretta che in altre modalità, perché fa crescere il donatore, so di dire una cosa forte, forse quanto il sostenuto. Fa crescere il donatore e chi sta intorno al sostenitore, perché non soltanto nel momento in cui si fa il sostegno a distanza si ha una crescita dell’educazione alla mondialità, ma si cresce nella formazione. Io dico sempre che fare sostegno a distanza aiuta a far capire ai miei figli o ai miei alunni, se sono un’insegnante, come non sia scontato nel mondo andare tutti i giorni a scuola, andarci con le scarpe, andarci con i libri. Io credo che questo sia una grande crescita che il gesto di solidarietà del sostegno a distanza, di donazione, offre. Ecco, siccome c’è un ritorno, c’è una reciprocità creata dal SAD, che non esiste in altre forme di aiuto, di cooperazione allo sviluppo, io credo che il SAD avvicini quelle mani sullo stesso piano, perché se noi possiamo far capire ai nostri figli, alle nostre insegnanti, alle nostre scuole, quanto questa attività fa crescere i nostri ragazzi nella consapevolezza, io credo che immediatamente quelle mani si incontrino. Nella reciprocità non si capisce bene chi è il sostenuto, se quel bambino dello spot secondo me efficace, o i nostri bambini che comprendono che cos’è il mondo, quali sono i diritti, gli obiettivi che noi, che crediamo in una crescita dell’umanità, dobbiamo darci. Ecco, io credo che questa mano del SAD avvicini subito e metta sul livello di reciprocità e quindi di vicinanza la mano che dona e la mano che riceve. Cosa che ci fa uscire da qualsiasi retaggio di “carità” e ci colloca sul terreno della reciprocità. Mi pare che questa scelta che l’Agenzia ha voluto fare è una scelta che spinge verso forme come questa e che sia una forma apripista che possa servire per altre modalità di progettare la cooperazione e il sostegno. Quindi il sostegno a distanza come strumento che promuove anche la conoscenza e la reciprocità, e che crea un rapporto che sollecita la vicinanza e la comprensione di contesti socio-culturali diversi e il desiderio di riconoscere anche gli esiti del proprio sostegno, della propria modalità di esserci per altre persone, per altri bambini, per altri ragazzi. Ecco, da qui l’idea anche della campagna, che noi abbiamo promosso, devo dire con un sostegno importante della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Io non finirò mai di ringraziare il sottosegretario Gianni Letta per questo, perché ha capito e ha permesso la realizzazione anche dello spot, che le sole forze dell’Agenzia non avrebbero potuto realizzare. Si è capito che è un messaggio di fiducia verso questo tipo di donazione, per innalzare la qualità dei progetti e immettere anche nello spot questo tipo di reciprocità: “cresci anche tu, cittadino del mondo industrializzato e sviluppato” con questa mano che si avvicina e non va sopra, la mano di qualcuno che è lontano solo apparentemente, ma forse, nel futuro, molto più vicino al nostro contesto socio-culturale. Quindi innalzare la qualità dei progetti, mettere in rete relazioni. Modi di operare diversi, noi li abbiamo trovati, è stato difficile, ve lo posso assicurare. Noi abbiamo messo in piedi un comitati scientifico, AVSI ha dato un contributo importante, che ha messo in piedi delle linee guida, che poi si è trasformato in un osservatorio permanente, che rimane e continuerà ad affiancare e ad accompagnare l’attuazione delle linee guida, a diffonderne i contenuti, in una scelta libera che le associazioni possono fare, di aderire a questi elementi di trasparenza contabile e progettuale, per cercare di operare il miglioramento dei progetti stessi. Abbiamo già visto materialmente un miglioramento, perché molte organizzazioni, magari spesso piccole, non dentro una rete più grande, più organizzata, hanno già modificato il loro modo di operare per quanto riguarda la tutela della dignità e dell’immagine nei materiali di campagna promozionale. Noi riteniamo, infatti, che trattandosi di bambini e di ragazzi, la stessa dignità dell’immagine, la privacy dei loro problemi, vada tutelata come le stesse leggi tutelano i bambini nel nostro Paese. Far comprendere questo ad alcune associazioni che non si ponevano in buona fede questo problema, è stato già un risultato per innalzare la qualità del loro modo di operare, e metterli in rete come chi, già da tempo, si era posto questo problema. Quindi l’Agenzia, dicevo prima, si è messa in gioco istituendo l’osservatorio permanente, dove vivono in una relazione stretta gli enti, le organizzazioni che fanno SAD. La Presidenza del Consiglio ci ha assegnato, in specifico, anche questo ruolo, dove gli enti aderiscono su libera e volontaria adesione, e ne hanno un beneficio nel senso che possono in qualche modo avere un riconoscimento da questa istituzione, un riconoscimento che operano e che stanno in rete con queste modalità. E abbiamo messo on line un sito dedicato, dove chiediamo agli enti di presentarsi, di presentare i loro progetti, farsi conoscere, testimoniare la loro esperienza, e ai cittadini di avere noi un po’ come interfaccia, di entrare attraverso l’Agenzia, che comunque è un’istituzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di entrare in rapporto con queste realtà. Ultimo punto, ma a mio avviso fondamentale, di questa messa in campo dell’Agenzia, di questo progetto “SAD in chiaro”, è l’ultimo numero di Areté che è uscito adesso, che è la rivista dell’Agenzia per il terzo settore. Vi troverete anche valutazioni statistiche del sostegno a distanza in Italia, oltre che una presentazione e delle riflessioni su quello che possiamo fare ancora per migliorare, guardando al futuro. Perché noi pensiamo che questo progetto possa fare da apripista, che sia un modo nuovo di intendere la stessa relazione tra le istituzioni centrali e la società civile? Noi abbiamo un ruolo di controllo, oltre che di indirizzo e di promozione, noi abbiamo voluto la campagna “SAD in chiaro”, le linee guida come elemento di promozione del terzo settore che fa sostegno a distanza. Però noi pensiamo che sia un modo nuovo quello di fare “controllo” coinvolgendo i controllati. Farlo insieme è molto più appagante per chi controlla, per chi è controllato e per la qualità di quello che poi si produce verso i cittadini, che fare un controllo fiscale e burocratico, come purtroppo spesso in Italia siamo abituati a fare. Quindi io credo che questa modalità sia un elemento di novità, che è stato applicato dall’Agenzia per il sostegno a distanza ma che possa fare da apripista per altre cose, su cui noi vogliamo che le istituzioni centrali del mondo e il terzo settore comincino a operare insieme. Io sono convinta che quello che ci diceva ieri il Presidente Napolitano, trovi una gamba forte di uscita dalla crisi in cui siamo proprio nel mondo del terzo settore. Ma l’altro elemento per cui noi vogliamo proseguire questa campagna e pensiamo che questa modalità abbia un futuro e una strada, è l’idea che bisogna giocare sulla grande potenzialità dell’Italia e sui due elementi che in Italia fanno la differenza con il resto dei Paesi europei e del mondo: uno è la straordinarietà del nostro mondo del terzo settore, che non trova eguali in nessun altro Paese del mondo; e il secondo elemento è la straordinarietà delle famiglie italiane, che hanno dimostrato in tantissimi passaggi come possono essere sensibili alle sollecitazioni, ma su cui non si è investito abbastanza. Se questo incontro, tra la potenzialità che offre il terzo settore in Italia e la potenzialità degli italiani e delle famiglie italiane, è compreso fino in fondo, possiamo insieme uscire da una fase di crisi. Ecco, io credo che davvero la risposta all’interrogativo, all’inquietudine ma anche alla speranza che il Presidente ieri ci portava nell’apertura di questo Meeting, sia una certezza, la certezza che ci sono le condizioni e le possibilità per uscire insieme da una fase difficile, e anzi la fase difficile può insegnare molto al futuro, soprattutto come costruire insieme, che è una parola fondamentale, un futuro diverso e migliore per tutti.
ALBERTO PIATTI:
Grazie di avere introdotto anche questa speranza della risorsa delle famiglie del popolo italiano. Nonostante la grave repressione della fiscalità, lo svantaggio che lo stato italiano continua ostinatamente a mantenere, un popolo quasi nel nascondimento, perché non può emergere mediante il beneficio fiscale che in tutti i Paesi di tradizione anglosassone è dato per acquisito, continua a sostenere anche in un periodo di crisi questo piccolo, semplice, rivoluzionario strumento che, grosso modo con il valore di un caffè al giorno, letteralmente può cambiare la vita a centinaia di migliaia di bambini. Ma il professore Zamagni, quando concepì e pensò la famosa legge sulle onlus, aveva guardato oltre l’aspetto civilistico, si era addentrato anche nella fiscalità di vantaggio – la chiamo così per semplicità. Purtroppo tutto questo è rimasto un po’ incompiuto.
STEFANO ZAMAGNI:
Grazie molte Alberto Piatti. Sono lieto di partecipare a questo incontro. L’agenzia per il terzo settore che presiedo è qui rappresentata oltre che dalla consigliera Marida Bolognesi, dal consigliere Massimo Giusti che è qui con noi e dai dirigenti dell’ agenzia stessa, cioè la dottoressa Valeria La Paglia, la dottoressa Mazza e la dottoressa Nava. Esprimo gratitudine sincera agli amici di AVSI, in particolare a Dania Tondini, per il contributo che ha dato sin dall’inizio, dal momento in cui è stato costituito il gruppo di lavoro da cui sono emerse le linee guida che, vedo, sono a disposizione di tutti coloro i quali vogliono avere un idea più precisa del loro contenuto. E dei pochi minuti che ho a disposizione tendo a sviluppare quest’ idea. Dov’è lo specifico del sostegno a distanza, rispetto a tante altre forme di filantropia o di solidarietà? Sappiamo che il termine solidarietà comprende al proprio interno diverse modalità di intervento. C’è quella filantropica, una di queste modalità riguarda il SAD (sostegno a distanza). Per rispondere a questa domanda e cioè dov’è la specificità del sostegno a distanza, ho pensato che fosse utile tenere presente i risultati di uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori in America e pubblicato, un po’ meno di un anno fa, su una prestigiosa rivista americana. Questi studiosi, biologi, psicologi, medici, hanno scoperto, si fa per dire, che nell’arco di vita che va da zero anni a quattro anni, il nostro corpo produce circa il novanta per cento dei neuroni di cui consti il nostro cervello. Il che vuol dire che negli anni successivi, dai quattro anni alla morte, noi aggiungiamo soltanto il dieci per cento all’ammontare dei neuroni. Ma la cosa interessante qual è? E’ che è stato rilevato che i due fattori responsabili della generazione di questo novanta per cento di neuroni, che avviene nei primi quattro anni di vita, dipende in parte dalla nutrizione – in particolare dal in-take di proteine, le calorie non servono a molto, di proteine, vitamine eccetera – ma in gran parte dipendono dall’approccio relazionale, cioè dire da quella simpatia che si stabilisce fra il bambino neonato e qualcuno che gli sta vicino, il genitore, la mamma, il papà o altri. Perché i bambini, come noi sappiamo, nei primi quattro anni di vita sono dei divoratori di beni relazionali. Hanno sì bisogno, l’ho detto, di beni nutrizionali, ma per certi aspetti hanno ancora più bisogno dei beni relazionali. Cioè beni che realizzano la trasmissione di quell’insieme di affetti, emozioni, sentimenti morali li chiamava Adam Smith, che configurano poi la crescita della persona e ne formano il cosiddetto carattere. E allora, voi direte, qual è il nesso con il sostegno a distanza? E’ evidente: con il sostegno a distanza non si aiuta soltanto la prima componente della crescita neuronale del bambino, cioè l’alimentazione, ed è importante che sia ben chiaro, ma si aiuta anche la seconda. A parità di condizioni, la stessa somma di denaro che venisse data, donata a portatori di bisogno, l’uno nella forma tradizionale, ti do denaro però ti porto via dal tuo mondo degli affetti e viceversa, mostra che i risultati sono completamente diversi. Quando il bambino sarà cresciuto, entrerà nel cosiddetto mercato del lavoro, il suo atteggiamento sarà completamente diverso e noi sappiamo che certe forme di ritardi, che non sono quelli canonici ma sono una minor capacità di apprendimento, di inserimento nell’attività lavorativa, sono dovuti alla mancanza di beni relazionali nei primi anni di vita. Ebbene, con il sostegno a distanza si cerca di non sradicare il bambino dalla sua famiglia e di aiutarlo, di aiutare la famiglia ad allevare il bambino nel luogo naturale. Quindi non è, come a qualcuno potrebbe sembrare – in questo noi siamo all’avanguardia, perché per capire questo ci vuole una finezza d’animo oltre che intellettiva, cognitiva un po’ particolare; perché l’atteggiamento normale è mandiamogli le vitamine, mandiamogli le proteine, mandiamogli altre cose; no, questo serve ma non basta, i bambini hanno bisogno anche di quel altra dimensione.
Ebbene, se le cose stanno in questi termini, il sostegno a distanza è importante, rappresenta una forma avanzata di solidarietà sussidiaria, perché si va a sussidiare la famiglia perché tenga al proprio interno il bambino e lo allevi. Ora le organizzazioni che si fanno tramite di questo, come ad esempio l’AVSI e le altre circa cento organizzazioni che a tutt’oggi si sono iscritte nel nostro registro e che hanno ottenuto, per aver sottoscritto l’adesione alle linee guida, il cosiddetto bollino blu, – non è tecnicamente un bollino blu ma qualcosa del genere -, non si limitano a fare da tramite. Questo è l’aspetto importante, perché allora sarebbe stato sufficiente stabilire un accordo con una qualche banca, la quale avrebbe potuto mettere a disposizione i propri sportelli, con le banche che operano sui mercati internazionali e rendere disponibile, con sistemi di voucher o di conti correnti alla famiglia del paese dove il bambino deve essere aiutato a crescere, una certa somma di denaro. No perché queste organizzazioni non soltanto aiutano il trasferimento ma soprattutto aiutano la famiglia a utilizzare quelle risorse, quei soldi in un preciso progetto educativo. Un progetto educativo che tiene conto delle peculiarità della famiglia e soprattutto del contesto. Perché i bambini non si educano alla stessa maniera in un paese piuttosto che nell’altro. Noi sappiamo che le matrici culturali oggi sono nella impossibilità e di dialogo e soprattutto di portare a termine con successo determinati risultati. Quindi ecco che il sostegno a distanza non alimenta soltanto il flusso delle donazioni: questo è il cosiddetto modello filantropico che merita certamente rispetto. Chi mi conosce sa che io non ho mai creduto alla filantropia, non perché non la ritenga degna, ma perché mi soddisfa al cinquanta percento. Perché con la filantropia io trasferisco soldi, poi tu fai quello che vuoi. No, perché la famiglia ha bisogno di essere aiutata a impiegare bene quei soldi, ad esempio in nutrizione, ad esempio in educazione e via discorrendo. Le organizzazioni ONG che tipicamente si occupano di sostegno a distanza, esattamente svolgono questa funzione. Ora, la domanda, la seconda domanda, che ci si può porre è la seguente: se le cose stanno in questi termini, perché mai fino ad ora il sostegno a distanza non ha avuto il successo che esso meriterebbe? Se cioè questo strumento del sostegno a distanza porta a risultati, come ho cercato brevemente di illustrare poc’anzi, perché non è più diffuso? Ecco il punto. La domanda è pertinente: non è più diffuso perché il sostegno a distanza si regge sulla fiducia. Quando viene meno la fiducia da parte del potenziale donatore, che i soldi che egli o essa dona andranno a finire a buon fine, viene meno l’erogazione. Di fronte alla constatazione della diminuzione delle donazioni, certi giornalisti un po’ superficialotti concludono dicendo, ne abbiamo letto anche nelle settimane scorse: gli italiani sono diventati più egoisti. Dico italiani perché qui stiamo parlando del nostro Paese, ma il discorso, mutatis mutandis, vale anche per altri Paesi. E’ aumentato l’egoismo: non è vero niente, non è vero niente, se diminuiscono le donazioni non è perché è aumentato l’egoismo, a sua volta dovuto a una forma di individualismo assiologico di un certo tipo, ma è perché è diminuita la fiducia. La parola fiducia deriva dal latino fides, che vuol dire corda. E voi immaginate una corda che tiene unite due o più persone, quando qualcuno taglia la corda non c’è niente da fare. Quando si taglia la corda viene meno il nesso. E quando viene meno il nesso di fiducia, le donazioni diminuiscono. Questa è stata la nostra tesi, noi abbiamo fatto le linee guida per il sostegno a distanza perché abbiamo valutato, e penso che abbiamo valutato bene, che il mancato aumento delle donazioni fosse dovuto non come semplicisticamente qualcuno dice a un momento di egoismo. I giovani non è vero che sono più egoisti, sono più generosi, forse, dei giovani della mia generazione. Io ormai sono vecchio e faccio i confronti, vedo. Il problema è che oggi i giovani vogliono esser rassicurati, cioè vogliono la fiducia, vogliono che i soldi donati vadano a finire a buon fine. Ecco allora a cosa servono ultimamente queste linee guida. Servono a dire: guarda donatore, tu fai bene a donare a quell’organizzazione, perché quell’organizzazione ha sottoscritto questo patto che è sottoscritto in questo documento e poiché l’agenzia svolge un’azione di monitoraggio e di controllo sulla operatività, tu fai bene e sei razionale se decidi di donare, perché devi sapere che quei soldi finiranno per realizzare quelle propensioni e quegli obbiettivi di valore che tu stesso ritieni che siano importanti, eccetera. Questo è il senso. Se voi capite questo senso, capite anche il motivo per cui certe norme si trovano nei diversi articoli di cui si compone questo documento. Non è quindi l’idea di controllare, di controllare in maniera burocratica. Neostatalistica, eccetera. Il problema è che la fiducia bisogna alimentarla, cioè bisogna riannodare; perché come si fa ad aggiustare la corda quando viene tagliata? Si fa il nodo. E noi sappiamo che a forza di fare nodi la corda si accorcia, perché i due estremi della corda si avvicinano di più facendo nodo dopo nodo, per fare il nodo si consuma un tratto di corda. Capite da soli il senso della metafora. E allora, ultima battuta, perché il tempo sta scadendo, l’agenzia per il terzo settore in questi ultimi due anni si è impegnata non poco nella realizzazione di diverse linee guida. Quelle che noi oggi presentiamo sono le linee guida per il sostegno a distanza. Ma queste vengono dopo le linee guida già varate sulla redazione del bilancio di esercizio e del bilancio di missione o bilancio sociale che dir si voglia delle organizzazioni no profit. Prossimamente, entro novembre, riusciremo ad emanare una nuova linea guida, che sarà anch’essa molto importante, ve lo do come anticipazione. Si tratta delle linee guida per quanto riguarda i requisiti di rispetto dei criteri di rappresentatività da parte degli enti pubblici locali, regioni, province, comuni, nei confronti dei soggetti di terzo settore. Questo sarà un autentica bomba, ve lo anticipo. L’Italia è un Paese molto lungo: c’è il nord, il centro, il sud, è un po’ meno largo ma soprattutto lungo e ogni Regione segue criteri diversi; per cui accade che la stessa organizzazione o di volontariato o di altro tipo se opera in una Regione ha un trattamento, se opera in un’altra Regione, la stessa organizzazione che ha la stessa missione, vocazione, ha un altro trattamento nel rapporto con le pubbliche amministrazioni locali. Questo non può esistere. Quindi prossimamente emaneremo anche queste linee. Voi avete visto che poche settimane fa l’agenzia delle entrate nazionale, quella di cui tutti parlano, ha emanato la circolare 38/E e chi è addetto al terzo settore la conosce benissimo, è una circolare, qui mi piace dirlo, che ha ripreso sostanzialmente, pari pari, i nostri atti di indirizzo. Dovete sapere che questa è la prima volta, in senso storico, che succede in Italia, la prima volta. Tra l’agenzia delle entrate e l’agenzia per il terzo settore c’era sempre stato un rapporto se non antagonistico, almeno dialettico, perché ovviamente noi stiamo dalla parte del terzo settore, loro devono stare dalla parte del fisco, perché dicono che lo stato ha bisogno di soldi. Bene, per la prima volta l’agenzia delle entrate recepisce i nostri atti di indirizzo. Pensate ad esempio quello che riguarda la possibilità che delle organizzazioni onlus possano essere partecipate da enti anche commerciali e così il caso è successo sull’onda di una richiesta che è venuta da una Fondazione di Cesena, una città non molto distante da qui, che aveva trovato difficoltà di questo tipo. Pensate soltanto al trust onlus: per la prima volta in Italia si può parlare di un trust onlus, cioè di un trust che sotto certe condizioni specifiche può avere il trattamento fiscale delle onlus. Non era mai esistito, fino ad un anno e mezzo fa, anche in importanti convegni, illustri giuristi e notai dicevano che sarebbe stato impossibile, ma non bisogna mai dare troppo retta ai giuristi, perché sapete come è la mentalità del giurista, il giurista ragiona dicendo la legge dice, e allora noi abbiamo ricordato a questi giuristi che la legge dice e va rispettata, però si può anche cambiare la legge, e la si può cambiare nella direzione del bene comune, come le leggi dovrebbero essere fatte. Ecco allora perché queste linee guida sul SAD.
Ultima battuta. Voi direte, perché tutti questi provvedimenti, qual è il loro senso ultimo? Vedete, il senso ultimo che è la nostra tesi, è che l’Italia uscirà definitivamente ed in maniera sostenibile dalla difficoltà di cui tutti oggi parlano, soltanto se il nostro terzo settore riuscirà a soddisfare appieno tre condizioni: prima, quella dell’autonomia. Il nostro terzo settore non è ancora abbastanza autonomo, voi sapete che autonomia vuol dire libertà, libertà di esprimere la propria identità, la propria missione, la propria vocazione; la seconda condizione è quella della sostenibilità finanziaria. Il terzo settore non potrà mai avere ali per volare in alto se non sarà finanziariamente sostenibile, cioè in grado di finanziare le proprie attività, cosa che finora non è avvenuta; terzo, se insisterà di più sulla sua creatività, cioè sulla capacità di innovare, perché certi provvedimenti, certe strategie di azione bisogna che le anticipi il terzo settore. Del resto, chi volete che le anticipi? Ditemi voi, la burocrazia? ma la burocrazia per definizione fa altri mestieri, anzi la burocrazia per definizione è conservatrice, non lo sto dicendo in senso denigratorio, ma nel senso tecnico. Chi ha studiato teoria della burocrazia sa che la burocrazia è stata inventata proprio per conservare il buono che una certa società si è dato. Il terzo settore non può cadere in questa trappola, deve innovare, deve creare e creare vuol dire con il rischio di intraprendere vie finora inesplorate. Ora se noi non miriamo ad un terzo settore che soddisfa queste tre condizioni, non riusciremo ad uscire, potremo mettere delle pezze alla crisi finanziaria in atto, potremo anche chiudere un pochino il debito pubblico, ma fra dieci anni di nuovo torneremo da capo.
Ecco allora perché è importante battersi per questo. Perché la missione specifica del terzo settore è quella di ripiantare e vigilare perché il principio di reciprocità possa avere diritto di cittadinanza e su questo la lotta è difficile, perché anche dentro coloro che operano nel terzo settore questa idea non è chiara, molti ancora pensano che basti il contratto e basti la legge, cioè il principio dello scambio e il principio di ridistribuzione, che una società possa andare avanti soltanto in forza del principio dello scambio di equivalenti, cioè il contratto e la legge, cioè il comando, l’intervento dell’autorità. E’ chiaro che ci vogliono questi due, ma ci vuole soprattutto il terzo principio. che è quello di reciprocità. Ma, ditemi voi, chi è che può alimentare e diffondere nel sociale il principio di reciprocità se non il terzo settore?
Mi piace chiudere con il riferimento ad un libro di un antropologo americano, scusate inglese, che si chiama Jared Diamond, pubblicato in traduzione italiana l’altr’anno, se non vado errando, da Einaudi, il cui titolo è Collasso. Lui svolge una analisi, su un arco di tempo piuttosto ampio, circa la decadenza, il declino dei diversi Paesi e mi ha colpito di questa analisi l’idea supportata dai fatti che un Paese inizia a declinare nel momento in cui vengono estirpate dalle sue terre le radici del dono come gratuità. Allora voi provate ad andare avanti a colpi di migliorare la contrattualistica: potete fare tutte le riforme fiscali, ma se l’albero della gratuità, del dono come gratuità – non del dono come regalo, quello è altra cosa, servirà, ma non tanto – viene meno, voi capite che il collasso cioè il declino è assicurato. Ebbene questa è la missione specifica del terzo settore, ecco perché il SAD (Sostegno a Distanza) è una iniziativa che va vista in un’ottica di questo tipo, ed è questo il motivo per cui va sostenuta, va premiata e va soprattutto declamata. Bisogna dirle queste cose, perché molti, gli altri non le sanno e noi abbiamo l’obbligo di portare loro questa conoscenza. Grazie molte.
ALBERTO PIATTI:
Io mi permetto di utilizzare qualche minuto per concludere questo incontro, ringraziando innanzitutto Sua Eccellenza con la testimonianza che ci ha portato e per le domande pesanti che ha posto sul tavolo; il professor Zamagni e Marida Bolognesi e gli altri della agenzia delle onlus. Con piacevole sorpresa abbiamo constatato come un pezzo di questo stato, di cui spesso ci lamentiamo molto, è così prossimo e vicino a delle problematiche reali e questo è abbastanza raro come esperienza. Purtroppo però, nella falce degli ultimi decreti, probabilmente questo Ente viene ritenuto inutile e mi sembra veramente una assurdità. Quindi cercheremo di fare qualche cosa per quello che ci è dato, perché una cosa che funziona con discrezione, precisione e con una idea anche, come ha concluso il professor Zamagni, di voler divulgare una pratica di reciprocità, mi sembra assurdo che lo chiudano. Certamente se da 0 a 4 anni siamo forniti del 90% dei nostri neuroni, la parola che più descrive la nostra modalità di intervento, attraverso l’aiuto che possiamo dare con il sostegno a distanza, è la parola educazione: non esiste uno sviluppo senza una relazione. Recentemente ho visto un video del nostro fondatore, don Luigi Giussani, proprio sull’educazione, in cui ad un certo punto, con una certa veemenza, diceva: “mandateci in giro nudi ma non toglieteci la libertà di educare”. Io penso che lo strumento sostegno a distanza sia eminentemente uno strumento educativo. Uno strumento educativo che permette al bambino di crescere forte in un ambiente debole, cioè rinforzando l’ambiente dove sta la sua famiglia. Uno strumento educativo, lo posso cogliere da tutte le persone che lavorano a servizio di questa facilitazione di rapporto in ufficio, uno strumento educativo fondamentale per chi da il famoso caffè al giorno in termini di famiglia, di ragazzi. Nel nostro Buone Notizie, che abbiamo scoperto esserci stato copiato come titolo dalle Ferrovie dello Stato, lo trovate forse sulle seggiole, ci sono tante testimonianze in questo senso. Mi suggeriscono di leggervene una, poi vi leggo un altro pezzetto, perché voglio usare il meno possibile le mie parole: “Grazie mille per la vostra infaticabile opera di aiuto – scrive una sostenitrice – ai bambini di tutto il mondo, da quasi dieci anni sostengo un ragazzina ugandese, Dorothy, ci scambiamo lettere, fotografie, piccoli doni, la consideriamo parte della famiglia. Il mio cagionevole stato di salute mi ha impedito di andare a conoscerla, ma la consapevolezza di fare qualcosa per lei alimenta la mia voglia di vivere e di combattere la malattia. Dopo il terribile terremoto di Haiti, abbiamo deciso di sostenere anche un bimbo, Jean Baptiste. Ho ricevuto la fotografia e dei disegni, ora gli sto inviando la mia letterina per fargli sentire la gioia di poter partecipare da lontano alla rinascita della sua vita”. Un caffè al giorno può cambiare la vita, se vissuto con questa reciprocità e non solo come filantropia, come abbiamo ascoltato in questo modo molto interessante.
Vorrei concludere, se mi permettete ancora qualche munito, citando un libro che ha scritto un mio amico, si chiama Alberto Reggiori, sarà presentato qua venerdì: è la storia di Veronica, una ragazza di Hoima con cui è nato poi il Sostegno a Distanza. Il sostegno a distanza è nato a Kitgum nel 1993-94 e ad Hoima, dove le mogli dei cooperanti, che si occupavano a quel tempo dell’ospedale governativo di Hoima, vedendo tutta questa grande miseria, si inventarono un modo per poter aiutare queste mamme e questi bambini. In particolare il libro descrive il flagello che è arrivato con l’Aids, con tutta l’ondata di malati, di morti e quindi di orfani. Questa amica che si chiamava Zumu, di tradizione mussulmana, poi battezzata Veronica, era gravemente malata e – avendo potuto leggere questa estate soltanto questo libro, mi sono molto innamorato – periodicamente la malattia si faceva viva, le toglieva l’illusione di essere guarita e allora febbre, tosse, diarrea la inchiodavano al letto per qualche giorno ed era lei l’oggetto delle visite degli amici, poi appena si sentiva meglio riprendeva subito la sua normale attività, senza compatirsi troppo. Quindi, dopo una vista medica al centro dell’ospedale di Hoima, le comunicano qual era la terapia, nel frattempo gli amici del Meeting Point, che è quella modalità di fraternità ed amicizia con cui i malati e le malate di Aids hanno cominciato a sostenersi per non essere dei monatti e degli appestati, avevano chiesto a lei di seguire le adozioni a distanza che Avsi aveva cominciato a istituire. I destinatari di questi aiuti erano i malati e gli orfani, il lavoro consisteva nel rispondere alle lettere dei sostenitori italiani, soprattutto nel contattare ed aiutare i bambini oggetto di questa assistenza. Ogni giorno si presentavano dei genitori, ma più spesso dei nonni, visto che la maggior parte dei beneficiari era costituita da orfani, per ritirare la cifra necessaria per l’iscrizione alla scuola, per l’acquisto di farmaci o di alimenti e per rendere conto di come andavano le cose; per ogni bambino si valutava attentamente quale fosse la priorità e come fosse stata poi effettivamente soddisfatta. Questo significava andare nei villaggi vicini, a volte anche in quelli lontani, sedersi, dialogare, informarsi, osservare, essere in relazione. Zumu era seria ed inflessibile, se scopriva che i soldi venivano usati con leggerezza o superficialità e che il bambino non era seguito a dovere, diventava un poliziotto severissimo. Più di una volta era venuta alle mani ed aveva chiamato a gran voce tutto il villaggio a giudicare zii o nonni che usavano il contributo per riempirsi di alcool o per comprarsi le scarpe nuove, mentre il bambino veniva sospeso dalla scuola perché la retta non era stata pagata. In pochissimo tempo la sua fama di avvocato dei deboli si sparse tra i villaggi, dove ormai veniva accolta con un misto di affetto e rispetto. In realtà era piena di attenzione per i malati e gli orfani e non si dimenticava di nessuno, perché conosceva molto bene quella situazione: pensare ai suoi figli le insegnava a voler bene anche a quelli degli altri.
Tutto quello che abbiamo detto, se non esiste una Zumu, una Veronica – vedo loro in prima fila, sono appena stato in Birmania, dove ho partecipato a qualche momento di un corso di aggiornamento e formazione per educatori che seguono 500 bambini – se non c’è un terminale umano, come è stato perfettamente descritto, che evochi l’innata dignità di ogni essere umano, magari sepolta da tutte le difficoltà che abbiamo letto, perde di valore. Il sostegno a distanza non è riducibile, riconducibile alla filantropia, è necessariamente un rapporto, una relazione. Abbiamo scoperto che c’è un pezzo dello stato che si chiama Agenzia – non delle entrate, che questo è un pezzo dello Stato che ci divora – del Terzo Settore, che ha questa sensibilità, che ha questa modalità di lavoro e di questo ne siamo grati in particolare al professor Zamagni, per aver voluto questo incontro al Meeting di Rimini. Grazie di cuore. Mi permetto di ricordarvi che domani alle 15.15, in un incontro non in cartellone, ma era più l’idea di un work-shop con alcuni imprenditori, affronteremo sul versante delle imprese il tema del sistema Italia come contributo al sistema Paese per lo sviluppo. Grazie di cuore ed arrivederci.
(Trascrizione non rivista dai relatori)