HOMO RELIGIOSUS

Homo religiosus

Partecipano: Stefano Alberto, Docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Shōdō Habukawa, Abate del Muryoko-in Temple; S.Em. Card. Julien Ries, Professore Emerito di Storia delle Religioni all’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve, Belgio (Intervento Video). Introduce Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

 

Titolo incontro
HOMO RELIGIOSUS

Data
Lunedì, 20 agosto 2012-08-21

Ora
Ore: 17.00

Partecipano:
Stefano Alberto, Docente di Teologia all’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; S.Em. Card. Julien Ries, Professore Emerito di Storia delle Religioni all’Università Cattolica di Louvain-la-Neuve, Belgio; Shodo Habukawa, Abate del Muryoko-in Temple.

Moderatore:
Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

MODERATORE:
il titolo dell’incontro di oggi affronta un tema caro al meeting: fin dalle sue origini, Homo Religiosus. Mi piace pronunciarlo con la corretta pronuncia restituita, anche perché così lo abbiamo nell’orecchio da sempre, come lo abbiamo sentito pronunciare dal Prof. Ries. Il tema di oggi lo affrontiamo con tre protagonisti (a voi non paiono ancora tre ma adesso sveleremo). Con tre protagonisti che a vario titolo hanno fatto la storia del meeting in questi 33 anni. Non vedete appunto il Prof. Ries, che Benedetto XVI ha creato Cardinale, anche se noi continuiamo a chiamarlo Prof. Ries perché così lo abbiamo conosciuto ma Benedetto XVI lo ha creato Cardinale nel Concistoro del 18 febbraio di quest’anno, e a lui va, da qui, il nostro saluto affettuoso e l’immensa gratitudine per l’amicizia, per la paterna amicizia e il contributo imprescindibile con il quale da 1982 continua ad accompagnare l’avventura del meeting. Julien Ries, lo dico per i più giovani, è storico delle religioni e antropologo del sacro, inventore anche, come lui stesso ama dire, dell’antropologia religiosa, con una lunga carriera di insegnamento all’Università di Louvain-la-Neuve, dove ha anche fondato il centro di storia delle religioni, da lui tutt’ora presieduto. La sua opera è stata tradotta in italiano dall’editrice Jaca book e in occasione di questo meeting tra l’altro nella giornata di venerdì, verrà presentata la riedizione del volume “Il Sacro nella storia religiosa dell’umanità”. L’assenza di S.Em. Card. Ries non è dovuta a cause improvvise (il Cardinale sta bene), era in effetti prevista da alcune settimane. Ci offrirà comunque il suo contributo attraverso un video che contiene un breve brano dell’intervento che lui aveva preparato per questa occasione, seguito poi dall’intervista che Roberto Fontolan gli ha fatto in Belgio proprio nel momento in cui abbiamo sentito che fisicamente non avrebbe potuto essere presente. Il testo integrale dell’intervento del Cardinale sarà comunque in distribuzione alla fine di questo incontro (lo potete trovare anche sul sito del meeting), così come il testo integrale dell’intervista lo avete già visto, o comunque è reperibile perché è uscito integralmente sull’Osservatore Romano di non molti giorni fa. Il secondo protagonista di oggi è invece il Prof. Shodo Habukawa, docente alla Koyasan University, abate del monastero Muryoko-in, a Koyosan. Il Muryoko-in è un po’ la casa madre del Buddismo shingon. Anche il Prof. Habukawa è un veterano del meeting al quale ha partecipato per la prima volta nell’ ’88 perché una circostanza quasi casuale, comunque sicuramente imprevista, nel 1987 aveva fatto incontrare al Monte Koya, il Prof. Habukawa e don Giussani. Due grandi uomini, innamorati entrambi del mistero, appassionati all’educazione dei giovani, preoccupati per l’invadenza di una cultura sempre più secolarizzata, si incontrano in quel 1987. E da quest’incontro nasce un’amicizia che, Habukawa spesso ce lo ricorda, travolge anche il limite della morte. Infatti la contemporaneità e l’attualità di questa amicizia è ciò in cui anche noi siamo stati coinvolti quando, per una geniale iniziativa dell’ambasciatore Petrone, che ancora ringraziamo per questo, siamo stati in Giappone per partecipare insieme ai monaci del Monte Koya a delle giornate di dialogo e di incontro su i grandi temi dell’esistenza umana, del senso religioso, del rapporto con la realtà. In quei giorni il Prof. Habukawa ebbe appunto a dire: “l’amicizia con don Giussani riaccade ora”. E devo dirvi che è stato con grandissimo stupore e commozione che una mattina, partecipando alla suggestiva cerimonia del fuoco, che il reverendo Habukawa presiede (diremmo noi con il nostro linguaggio),durante la processione rituale in occasione di questa cerimonia, ci siamo imbattuti nell’immagine, scolorita del tempo, di don Giussani con Giovanni Paolo II, quella classica, tradizionale, che conosciamo e che amiamo; l’immagine di don Francesco Ricci, mentre i monaci scandivano nella preghiera i loro tre nomi. Spesso il Reverendo Habukawa ci ricorda che don Giussani, come lui ci dice “mi ha sempre parlato del mistero” e per me lui è il segno di questo mistero presente. Oggi è un’ulteriore occasione per testimoniargli la nostra gratitudine per quell’amicizia che abbraccia anche noi e che quest’anno si esprime anche in una mostra che il Reverendo Habukawa ha realizzato per il meeting (gli abbiamo chiesto di essere proprio lui a farne le scelte, a costruirne l’immagine), che è un po’ come il segno visibile di questo Buddismo Shingon e del rapporto che don Giussani ha vissuto con questa esperienza.
Infine siamo al terzo protagonista di oggi, don Stefano Alberto. Dico di lui poco perché forse molte cose sono note però dico che, dopo studi di Giurisprudenza a Torino, di Filosofia e teologia a Roma e all’Università Cattolica di Aistet. Oggi è docente di introduzione alla teologia alla Cattolica di Milano, è membro del Consiglio Nazionale di Comunione e Liberazione. Autore di numerosi saggi e pubblicazioni su temi di ecclesiologia. Ma mi permetto di cogliere questa occasione per esprimergli la gratitudine del meeting per la sua amicizia, per il valore del suo contributo culturale di cui mi permetto di sottolineare un aspetto. Ogni volta che don Pino interviene sa unire la semplicità dell’esperienza cristiana, cioè fa incontrare il cristianesimo, ma la sa unire con lo spessore di un giudizio culturale carico di ragioni. E con questa capacità di rischio dell’incontro e del paragone con chiunque. E tutti noi sappiamo quanto il meeting abbia bisogno di contributi di tal genere.
Il tema dell’homo religiosus costituisce per noi non un tema tra gli altri, non un argomento qualunque ma il cuore stesso di un gesto come il meeting, essendo la dimensione religiosa, come dice don Giussani, quella natura originale dell’uomo per cui egli si esprime esaurientemente in domande ultime cercando il perché ultimo dell’esistenza in tutte le pieghe della vita. In tal senso, prosegue don Giussani, “la dimensione religiosa coincide con la dimensione razionale e il senso religioso coincide con la ragione nel suo aspetto ultimo e profondo”. Se guardiamo l’esperienza di tutti questi anni di meeting risulta evidente che il riconoscimento di queste domande ultime e la ragione nel suo aspetto ultimo e profondo sono i fattori a partire dai quali il meeting si è costruito e ha fatto cultura. È per questo che non è un argomento tra gli altri. Al meeting si parla di tante cose ma il senso religioso è proprio la radice, ciò che rende possibile un gesto come il meeting perché infatti accade l’incontro fra uomini di culture così diverse, come anche oggi vediamo qui, ma come in questi giorni, con stupore, continuiamo a vedere. Con buddisti, ebrei anglicani, musulmani, ortodossi, laici, per chi ha avuto occasione di assistere e di godere lo spettacolo inaugurale di ieri sera, anche quello è stata una grande documentazione e testimonianza di cosa sia ciò su cui nasce l’incontro con uomini così diversi.
Da cosa è resa possibile quest’amicizia? Suonano come riposta le parole che don Julian Carron in un suo intervento in preparazione alla giornata di Assisi dell’ ottobre scorso, aveva scritto: “ il senso religioso è ciò che accomuna gli uomini di ogni tempo e di ogni spazio. Esso esprime la coscienza di originale dipendenza dal Mistero che fa tutte le cose. E questa coscienza costituisce il vertice ultimo della ragione”. È questa coscienza di appartenere al Mistero che spalanca ed apre al linguaggio dell’essere (per usare le parole dei Benedetto XVI). Consentendo all’uomo di non consumare sentimentalmente il suo senso religioso ma di utilizzarlo come ragionevole criterio di giudizio sulla realtà. Il meeting di quest’anno vorrebbe proprio essere un’occasione in cui verificare cosa significa questa posizione nel rapporto con la realtà. Tutte le proposte del meeting infatti sono in qualche modo il tentativo di documentare, di approfondire, anche di discutere quali rapporti sociali, quale creatività, quale modalità d fare scienza e ricerca si generino dal riconoscimento di questa dimensione strutturale dell’uomo. L’incontro di oggi, e così concludo, ci porrà di fronte a tre documentazioni di questa natura dell’uomo. Come questa è presente da sempre nella storia dell’umanità, e questo sarà il contributo del Card. Ries; come questa è presente nell’esperienza buddista, e questo sarà il contributo del prof. Habukawa; come questa infine è presente nell’esperienza cristiana, con don Stefano Alberto. Ora possiamo guardarci e ascoltare il Card. Ries. (15.28-44.30).

FILMATO

JULIEN RIES
L’antropologia è la scienza che si dedica allo studio dell’uomo. In essa sono presenti due grandi ori….il primo esplora l’aspetto fisico e le componenti biologiche del corpo umano. Il secondo è connesso al campo delle scienze umane, Si parla di antropologia sociale e culturale ma l’ambito è vasto. Prima parte l’antropologia religiosa. l’antropologia religiosa si distingue dalla tecnologia e dalla storia e dalla sua …delle religioni. Essa si interessa dell’uomo religioso in quanto è creatore e utilizzatore dell’insieme simbolico del sacro. Portatore delle credenze religiose che governano la sua vita e il suo comportamento. Ogni religione ha una posizione specifica circa l’uomo, la condizione umana e la collocazione dell’uomo nel cosmo nelle culture e nella società. L’antropologia biblica è nella visione dell’uomo presentata nei primi 3 capitoli del libro della genesi che troviamo il punto di partenza della antropologia biblica. L’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Si può ricercare (?) questa antropologia nei diversi libri dell’antico testamento cioè che comporta una decima di secoli ma ci mostra anche la progressiva trasformazione delle idee che riguardano il destino umano. Una trasformazione che si presenta in tutta la sua radicalità con l’incarnazione del verbo di Dio. Così il destino dell’uomo è di passare dalla condizione di immagine propria del primo adamo a quella del secondo, Gesù Cristo. Nel nuovo testamento l’uomo è orientato a Cristo come scopo finale della sua esistenza.

FONTOLAN
Eminenza, come è nata questa passione per questo tema di studio che l’ha accompagnata per tutta la vita?

DA QUESTO MOMENTO IL CARD. RIES PARLA IN FRANCESE. IL FILMATO E’ SOTTOTITOLATO. DI SEGUITO IL TESTO ITALIANO.

JULIEN RIES
Nel 1968 sono stato nominato professore di Storia delle religioni all’Università Cattolica di Lovanio. (SEGUE IN CORSIVO TESTO NON PRESENTE NELL’AUDIO ) Avevo fatto studi di teologia e di orientalismo. La mia tesi esaminava certi testi copti e l’influenza del Nuovo Testamento su questi testi.
Quindi mi ero dedicato allo studio comparato di testi religiosi egiziani. Una volta diventato docente dovetti affrontare grandi questioni: l’Induismo, il Buddhismo, l’Islam, le religioni del Mediterraneo, le religioni del Vicino Oriente, l’antica religione egiziana.

La passione è nata dal lavoro che ho fatto insegnando, vedendo l’interesse che gli studenti provavano nel mio insegnamento erano studenti di 22, 23 anni, mi facevano moltissime domande. Riflettendo sulle domande che mi facevano sono arrivato a fare questo lavoro, e a progredire.
Posso aggiungere che se ho studiato il tema della morte e dell’immortalità, dell’aldilà nelle religioni, è perché il Santo Padre, all’epoca cardinale Ratzinger, nel 1978 mi inviò il suo libro sull’aldilà per i cristiani. Mi sono detto: questo è interessante, è interessante farlo per le grandi religioni. Allora ho continuato le mie ricerche e sono giunto ad una sintesi sul problema dell’uomo religioso e dell’antropologia religiosa. Che cosa significa il sacro? cosa significa uomo religioso, antropologia religiosa? Si parlava molto di antropologia sociale e culturale, di antropologia strutturale.
Io ho lavorato sull’antropologia dell’homo religiosus, che mai era stata affrontata.

FONTOLAN
Chi ha trovato come maestro nel suo cammino, di grandi personalità del Novecento?
.
JULIEN RIES
Come grandi personalità del XX secolo cito abitualmente due: Mircea Eliade, un rumeno, e un francese, Georges Dumezil. A mio avviso sono davvero i più grandi…
(Nel corso della mia vita) ho potuto partecipare a molti congressi di studio, soprattutto in Italia, i congressi italiani in particolare quelli tenuti dal Prof. Bianchi erano dei congressi veramente appassionanti, lui era un grande amico che sfortunatamente è deceduto, questi congressi mi hanno messo in contatto con i più grandi studiosi e storici delle religioni.
Anche grazie a queste occasioni ho continuato a elaborare i miei studi. E qui ho trovato il direttore della Jaca Book, Sante Bagnoli, che ha cominciato a pubblicare i miei libri in italiano. Quando poi stavo per andare in pensione Bagnoli mi ha chiesto di realizzare la mia opera omnia. Ho esitato un po’, ma poi ho accettato e vedo che ha un grande successo in Italia, ci sono già cinque volumi tradotti in francese e sta per essere tradotta in spagnolo.

FONTOLAN
Che ricordo ha di don Giussani?

JULIEN RIES
Ho il ricordo del Meeting del 1982 a Rimini. Ho incontrato gli amici di don Giussani e il movimento di Comunione e Liberazione che non conoscevo. Nel corso della settimana abbiamo parlato a lungo del movimento e di don Giussani. Lui mi chiese di passare a trovarlo a Gudo, dove abitava. E così ho fatto poi regolarmente, ogni volta che venivo in Italia. Mi chiese di tenere conferenze e di partecipare alle mostre del Meeting. Abbiamo potuto parlare per ore ed ore.

FONTOLAN
E se si può sapere, di cosa parlavate così a lungo?

JULIEN RIES
Parlavamo di tutti i grandi problemi della Chiesa e poi molto del movimento, che mi
interessava molto. Era la prima volta che incontravo un movimento ben organizzato che faceva fronte alla crisi nella Chiesa. Era questo che mi aveva impressionato nel 1982:che Comunione e Liberazione fosse la risposta alla rivoluzione del 1968. Questo lo avevo avvertito subito e successivamente ho appurato che era proprio così.
Ho considerato don Giussani come una personalità eccezionale. Del tutto semplice,
del tutto accessibile ma eccezionale. Eccezionale per la sua fede, eccezionale per la
comunicazione della fede, eccezionale per la sua influenza sui giovani.

FONTOLAN
Lei è stato ben 17 volte al Meeting e con questa anche se da lontano è la diciottesima.
Ecco come ha visto la storia del Meeting in tutti questi anni?

JULIEN RIES
Penso che dalla prima volta del 1982 avevo capito, grazie a quello che ho visto e
ascoltato, grazie alle mostre che ho potuto visitare e organizzare, ho capito che la formula del Meeting, che rimane sempre la stessa anche se cambia ogni anno, questa formula del Meeting ha qualcosa di originale. E’ una formula che fa alleanza tra fede e cultura, e dimostra come la fede cristiana e la cultura cristiana devono vivere assieme e non solo: questa è la forma, l’avvenire di un mondo migliore.

FONTOLAN
Nei suoi studi il concetto di ierofania è fondamentale. E una delle parole centrali. La può spiegare?

JULIEN RIES
Bisogna cominciare cercando di comprendere “il Sacro”.
E che cosa è il sacro? Il sacro è la trascendenza, una realtà che oltrepassa questo mondo ma che si manifesta. Ierofania è una parola che deriva dal greco, ieròs, il sacro che si manifesta in questo mondo. Il sacro è percepito dall’uomo in quanto si manifesta. Quando l’uomo si trova davanti a una statua del Cristo o del Budda, davanti alla croce di Cristo, davanti a una chiesa, davanti a un evento religioso,
l’uomo sente che lì c’è qualcosa che va oltre ciò che accade ordinariamente nel mondo.

FONTOLAN
La ierofania quindi è come un avvenimento che eccede l’ordinario della vita?

JULIEN RIES
Si, è questo

FONTOLAN
L’uomo sceglie di essere religioso o gli accade di essere religioso?

JULIEN RIES
L’uomo diventa religioso per contatto con un evento che gli mostra la trascendenza. Ad esempio l’uomo primitivo, l’uomo di due milioni di anni fa, osserva la volta celeste e ritiene che ci sia qualcosa che accade nella volta celeste. E la volta celeste è un simbolo per lui, un simbolo che gli mostra che esiste qualcosa al di là delle realtà di questo mondo. Quindi, per il fatto di essere come interpellato dal sole, dalla luna dagli astri, l’uomo preistorico diventa homo religiosus.
(SEGUE IN CORSIVO TESTO NON PRESENTE NELL’AUDIO )

FONTOLAN
Con i monoteismi cambia qualcosa nell’uomo religioso?

JULIEN RIES
Per l’uomo religioso cambia molto. Il monoteismo è una rivelazione, non è solamente un contatto con qualcosa di superiore, con una ierofania, ma un contatto con qualcuno che rivela una realtà superiore. Un contatto tra Abramo e il suo Dio, un contatto tra gli apostoli e Gesù Cristo –è la fondazione della religione cristiana, In questo caso siamo in un altro mondo. I tre monoteismi, in verità con l’Islam è un po’ diverso. Sono religioni che hanno un contatto con il fondatore. L’Islam ha un contatto con il monoteismo abramitico e il monoteismo cristiano: il profeta Maometto era carovaniere, è entrato in rapporto con le sinagoghe e le chiese cristiane nestoriane, ed è così che è nata in lui l’idea del monoteismo, perchè lui era pagano.

FONTOLAN
Pensa che nella cultura contemporanea questo concetto di homo religiosus è passato?

JULIEN RIES
E’ un problema con la cultura attuale. Molti non si interessano a questi temi e per questo è molto importante lavorare all’antropologia del sacro. L’uomo moderno è ansioso, un uomo che non sa più dove porsi, vediamo il caos del mondo perché l’uomo non ha trovato punti di riferimento. L’homo religiosus è un riferimento e occorre mostrarlo. L’homo religiosus scopre il sacro, l’homo a-religiosus perde il senso dell’esistenza; questa è la grande differenza.

FONTOLAN
Mentre per tutti è facile accettare la nozione di homo faber perché è così difficile accettare la nozione di homo religiosus?

JULIEN RIES
Homo faber, attualmente si dice anche homo ergaster, dal greco che vuol dire uomo
lavoratore: è evidentemente facile da riconoscere perchè ci troviamo di fronte a un uomo che ha una attività materiale che lascia tracce visibili negli oggetti che vengono lavorati.
La ierofania richiede una riflessione da parte dell’uomo, una analisi che gli faccia scoprire l’esistenza del sacro. Quindi c’è una scoperta da fare…
C’è un gioco della coscienza che deve realizzarsi affinché l’uomo scopra questo.

FONTOLAN
Se per l’uomo di oggi è così difficile accettare la propria natura di homo religiosus è perché l’uomo di oggi non sente dentro di sé, dentro il suo cuore, questo bisogno di apertura alla trascendenza o perché c’è poca ierofania?

JULIEN RIES
L’uomo di oggi è smarrito, spesso non riflette. E’ occupato da tantissime cose di tutt’altro genere. Occorre mettere davanti all’uomo di oggi il punto centrale, il fondamento. Idee fondamentali come il sacro, come l’aldilà, come la creazione del mondo, come il Cristo.
Tutto questo è la nuova evangelizzazione. E oggi occorre generare dei giovani, come ho visto in Comunione e Liberazione, che vadano nel mondo con questo messaggio.

FONTOLAN
Cioè la sua idea di nuova evangelizzazione è quella di risvegliare nell’uomo questo senso religioso (Sì), risvegliare l’homo religiosus (Sì, sì).

JULIEN RIES
E’ il primo passo della nuova evangelizzazione, risvegliare nell’uomo l’uomo religioso, la trascendenza, la nozione del sacro, questo è il primo passo.

FONTOLAN
Lei sa che spesso … (DA QUI IL VIDEO E’ BLOCCATO, DI SEGUITO VIENE RIPORTATO IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVISTA) la religione viene avvicinata al fenomeno della violenza. L’homo religiosus è un uomo pacifico o un uomo violento?

JULIEN RIES
Ogni uomo è destinato a diventare religioso ma molti non hanno trovato il cammino.
Quando si guarda alla preistoria si constata che abbiamo a che fare con l’uomo religioso e per i dati di conoscenza che abbiamo possiamo rilevare che non c’è quella violenza che vediamo oggi. All’inizio dell’umanità c’è il senso religioso e non ci sono tracce di violenza.

FONTOLAN
Cosa è la morte per l’uomo religioso?

JULIEN RIES
In questo momento sto scrivendo un libro in cui esamino il concetto della morte e
dell’aldilà in venti religioni. Per gli egizi l’altro mondo è meraviglioso. Già durante la vita terrena costruiscono la tomba e si preparano a vivere l’aldilà. Anche gli etruschi e i celti hanno una concezione simile e pensano che l’altra vita sarà felice.
In Mesopotamia prevale invece il pessimismo, ma c’è una ragione: i testi mesopotamici del quarto e quinto secolo considerano gli uomini come condannati dagli dei a lavorare duramente per creare dei canali e ancor più perché nei canali scorresse sempre l’acqua, e quindi trasferiscono nell’altro mondo questa concezione triste……Tutti pensano la morte e tutti pensano che esista un aldilà.

FONTOLAN
Ha trovato anche qualcuno che porterà avanti il suo lavoro?

JULIEN RIES
Sì, è per questo che abbiamo creato l’Archivio di Milano all’Università cattolica, perché i giovani ci lavorino e si preparino a seguire le tracce, ed è anche il motivo per il quale viene pubblicata l’Opera omnia: affinché dei giovani si mettano a fare la storia delle religioni.

EMILIA GUARNIERI
Credo che, anche se abbiamo dovuto interrompere il filmato che avevamo preparato per un problema tecnico che penso la voce di Fontolan abbia chiaramente evidenziato, c’è stato un rallentamento. Anche se però abbiamo dovuto interromperlo credo che possa avere rinnovato fino in fondo in noi la gratitudine per quello che il Prof. Ries rappresenta per tutti, quello che ha rappresentato per noi. E credo anche di potere dire che a questo suo grande lavoro culturale penso si debba la battuta poi che ha dato sul libro che il Card. Ratzinger svela questo. Penso si debba anche il grande riconoscimento che Benedetto XVI e la Chiesa gli hanno attribuito. Quindi credo che quello che abbiamo ascoltato e che potremo comunque vedere o leggere integralmente così come vi ho detto sia una grossa occasione per la gratitudine ancora una volta al Card. Ries. Ora passo la parola al Prof. Habukawa. Che verrà tradotto dalla nostra amica Wakako Saito.

SHODO ABUKAWA
Buonasera. Mi chiamo Shodo Abukawa Monte Koya Giappone. Grazie, molte grazie per l’invito al Meeting di Rimini anche quest’anno. Vi ringraziamo tantissimo.
L’autunno scorso in Giappone ha avuto luogo un grande evento per l’amicizia e l’incontro tra la cultura italiana e il Giappone chiamato “Meeting per l’amicizia tra i popoli in Giappone”. È stato organizzato da Emilia Guarnieri, presidente della fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli e sua Eccellenza Illustrissimo signor Vincenzo Petrone, ambasciatore d’Italia a Tokyo, grazie alla collaborazione di don Massimo Camisasca, don Ambrogio Pisoni e Roberto Fontolan, miei amici da tanti anni, e oltre a loro il professor Corrado Molteni, addetto culturale dell’ambasciata d’Italia a Tokyo e alcuni membri dell’ambasciata d’Italia e tante altre persone che hanno reso possibile questo incontro. L’inaugurazione è avvenuta il 27 Ottobre 2011 alle 7 di sera presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia a Tokyo, e nei sei giorni successivi hanno avuto luogo numerosi incontri, prima presso l’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, successivamente presso l’aula magna del thaisy kioka del monte Koya, e infine presso il tempio Eiheiji della scuola Soto Zen nella prefettura di Uhkuy. Durante questi sei giorni abbiamo ricordato più volte e con molta nostalgia i 25 anni della nostra amicizia tra Italia e Giappone. Abbiamo condiviso le nostre idee perché questa amicizia possa diventare ancora più grande per il futuro. L’uditorio, che ha partecipato sempre con molto entusiasmo, è rimasto molto colpito dalle fotografie di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e Sua Eminenza Mons. Luigi Giussani che si trovavano in ogni parete delle stanze dove avevano luogo gli incontri, perché entrando ci guardavano con il loro solito sguardo di misericordia. Era il 26 Giugno 1987, 25 anni fa, quando Mons. Luigi Giussani è venuto al Koyasan per la prima volta ed è così iniziata la nostra amicizia, sostenuta fortemente anche da Giovanni Paolo II che ha pregato per far crescere questa amicizia profonda. Il sottotitolo della grande opera scritta da Mons. Luigi Giussani, Il senso religioso,è “la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito” e per raggiungere questo scopo, sottolinea, è necessario spalancare il cuore alla realtà totale, a tutto ciò che esiste nell’universo. Il fondatore del (incomprensibile) Shingon, Kobo Daishi, vissuto in Giappone circa 1200 anni fa, ci insegna la stessa cosa nella sua grande opera: il “Sammaya Bojukawi” che significa liturgia per arrivare ad un Nirvana, dice innanzitutto di osservare tutte le cose nella vita quotidiana con la massima e più profonda attenzione. Sono rimasto molto meravigliato dal punto comune tra l’insegnamento di Mons. Luigi Giussani e di Kobo Daishi nonostante le differenze tra di loro. Don Giussani, vissuto fino a pochi anni fa in Occidente, e invece Kobo Daishi vissuto circa 1000 anni fa in Oriente. Ma hanno comunque questo insegnamento in comune. Vuol dire che ogni singolo fenomeno dell’universo, perfino nel cambiamento delle 4 stagioni, primavera, estate autunno e inverno, possiamo vedere la presenza del Mistero. Ad esempio nel cielo ci sono il vento e le nuvole che si trasformano. Nel campo ci sono gli uccelli, gli animali e gli insetti che cantano. Nelle foreste e nei boschi ci sono l’acqua che scorre, la luce forte e la luce debole, i fiori che sbocciano e poi cadono, i suoni alti e bassi. In tutto questo c’è per noi la presenza del Mistero. Così tutte queste esistenze hanno diverse figure ma tutte esistono nel tempo e nello spazio quotidiano e nella vita comune per cui si può dire che c’è un’unica vita. Come dice don Giussani, aprire il cuore a tutte le cose significa capire che io coesisto con l’universo che dà vita e tiene tutti gli esseri viventi. Quando uno inizia a percepire questo punto può crescere in lui un senso della tenerezza, dell’amore verso tutto ciò che esiste. Un filosofo giapponese moderno, , che è morto nel Giugno 1945, ci ha lasciato la famosa tesi:” Dio è un punto dell’espressione dell’universo. Proprio quando spontaneamente accogliamo in noi stessi l’universo, lì è il senso religioso dell’uomo, perché il cuore anela infinito e il senso religioso è la ricerca del Dio Infinito”. Prima di finire il mio intervento vorrei aggiungere due cose: innanzitutto vorrei ringraziare il Meeting per il vostro caro invito anche quest’anno perché qui al Meeting sto ritrovando tante persone a me care. Vorrei poi spiegare velocemente cosa abbiamo portato per la mostra della Koyasan dal titolo “La montagna sacra del Buddhismo Shingon Mikkyo che don Giussani ha tanto amato”. Vorrei farvi vedere alcune statue buddiste,un paio di Mandala e le pitture buddiste. Come dicevo prima, 25 anni fa, il giorno in cui Mons. Luigi Giussani è venuto al monte Koya, l’ho guidato al Museo dei Tesori. Mi è rimasto impresso il forte interesse che lui mostrò per la statua dalle mille braccia di Kannon, perché questa statua che attraverso mille braccia si dedica alla salvezza di tutti gli esseri umani, fa capire bene cosa è la Misericordia di Dio per i Cristiani. Sul Mandala che ho portato per la mostra, c’è proprio un dipinto della figura della divinità Kannon dalle mille braccia. Tra tutte queste pitture buddiste cen’è poi una particolare: una poesia scritta da una suora, Jyunkyo-Ohishi, insieme alla figura di un insetto autunnale. Questa suora aveva 80 anni di vita. La suora Jyunkyo è nata in una famiglia ricca e quando aveva 12 anni è diventata una maestra di danza giapponese. Quando aveva 17 anni accadde un evento drammatico: perse entrambe le braccia. Dopo questa tragedia per sopravvivere si mise a fare la cantante visitando città diverse. Andando in tournee un giorno in albergo vide un canarino che stava nutrendo la sua nidiata usando il becco. Questo episodio la scosse e la ispirò. Dopo molti sforzi è diventata un’autorevole artista: ha costruito un istituto per handicappati e una parte del tempio buddista di Kyoto, così ha dedicato tutta la sua vita nel campo dell’assistenza sociale. Per concludere vorrei leggere una poesia della suora Jyunkyo denominata Tanka, costituita da versi alternati di 5 e 7 sillabe: “poiché mi ha insegnato ad appoggiare il pennello alla bocca e poi scrivere, la madre canarino è il mio maestro di vita.”. Grazie.

MODERATORE
Caro professor Habukawa, ascoltandola credo che ci accorgiamo che non finiremo mai di imparare da persone come lei e don Giussani che cosa sia la verità dell’uomo e la verità del suo bisogno di Mistero, quindi di questo profondamente, ancora una volta, la ringraziamo. E ora la parola a don Stefano Alberto.

STEFANO ALBERTO
Consentitemi di iniziare questo intervento, che vi preannuncio sarà breve, con un ricordo personale che ricorda proprio lo stabilirsi dell’amicizia tra il professor Habukawa e don Giussani. Si riferisce alla prima volta che il professor Habukawa è venuto in Italia e ha incontrato don Giussani al Sacro Cuore. Era una mattinata estiva ‘caliente’ come queste. Io ho in mente questa scena: quando il professor Habukawa è uscito, scendendo le scale, poi salendo in macchina per uscire dal cortile del Sacro Cuore, ha tirato giù il finestrino posteriore della macchina, si è sporto con tutto il busto e mentre la macchina si allontanava, a mani giunte non ha mai distolto lo sguardo dallo sguardo di Giussani, che in piedi al limitare della scalinata continuava ad osservarlo. Ad un certo punto Giussani si è commosso e si è messo a piangere e ci ha detto: “se quest’uomo fosse vissuto 2000 anni fa, se avesse incontrato Cristo, sarebbe uno degli apostoli”. Non chiedetemi di spiegarvi tutta la profondità di questa frase, la capiremo in paradiso, ma sicuramente quello che è emerso con grande evidenza e che 25 anni di storia confermano è l’ineludibilità, l’inevitabilità di quel fatto, di quella forza misteriosa e concretissima che ha unito per sempre il destino di due uomini così diversi, eppure così profondamente amici perché proprio compagni nel loro cammino al Destino. Questo lo dico per rispondere ancora una volta a una delle forme sottili di evacuare la questione, di evacuare il tema del Meeting. Senza polemica lo dico, ma per precisare che è l’esperienza che ci guida, e non l’astrattezza. Parlare di infinito e parlare di qualcosa di impalpabile, di astratto significa voler evacuare con parole la forza, la concretezza dell’esperienza. Perché 25 anni di storia, 25 anni di cammino comune dentro una grandissima diversità non sono possibili a qualche cosa di astratto, non sono possibili a qualche cosa di impalpabile e dico anche questo per sottolineare un aspetto della dimensione costitutiva dell’homo religiosus. Riprendo due brevi accenni fatti dal Cardinale Ries: l’uomo (è interessante) diventa religioso per contatto con un evento che gli mostra la trascendenza. Ogni uomo è destinato a diventare religioso, ma molti non hanno trovato il cammino. A me sembra il taglio che si sofferma non tanto su quello che, appena uno è attento, è un’evidenza: io non mi faccio da me, non mi sono dato la vita. Ma proprio sul paradosso che viviamo oggi, un paradosso che proprio questi ultimi decenni in occidente sta mostrando il suo volto, da un lato molto problematico, ma dall’altro carico di una risorsa. La domanda è: noi riusciamo a cogliere questa risorsa? Mi spiego: tanto è evidente che l’uomo non si fa da sé (Giussani diceva sempre: “non c’eri, ci sei, non ci sarai più!”), dipendi da qualcosa di altro da te, tanto viviamo proprio la paradossale e drammatica difficoltà a riconoscere l’avventura della vita come dipendenza. Per me quello che ha evidenziato con maggior efficacia questa dinamica in cui ci imbattiamo quotidianamente, e Benedetto XVI ormai quasi un anno fa, il 22 settembre, nel grande discorso del Bundestag, quando ha usato l’immagine, da tedesco anche, del Bunker, dell’edificio di cemento armato, traduce la traduzione ufficiale vaticana, l’uomo si è chiuso nel Bunker dove tutto, luce, aria, tutto è artificiale. In un mondo auto costruito l’uomo fa fatica a riconoscere questa strutturale apertura all’infinito. Intendiamoci: non necessariamente l’uomo a-religiosus, per usare l’espressione del cardinal Ries, è contro Dio, piuttosto Gli è indifferente. E qui, scusate l’ultima citazione del discorso del Bundestag ma veramente geniale quando il Papa sottolinea che nel mondo che l’uomo si auto costruisce attinge in segreto ugualmente alle risorse di Dio, per illudersi di trasformarli in prodotti suoi. È interessante questo ‘attingere in segreto ugualmente alle risorse di Dio’, la vita che non ci diamo noi. Possiamo fare tutti i pasticci, clonazioni, tutta la fantascienza e gli apprendisti stregoni delle bioingegnerie, ma gli elementi fondamentali non li abbiamo noi. Ecco dunque la vera urgenza: tornare, terza citazione, “a spalancare le finestre, vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo, la terra, imparare a usare tutto questo in modo giusto”. Questo ‘spalancare le finestre’ non accade per un discorso, per un’esortazione morale, per un’analisi più o meno intelligente. Abbiamo parlato in questi giorni di quell’imprevedibile istante in cui, ecco che ritorna l’osservazione di metodo del Cardinale Ries, l’uomo improvvisamente, senza nessuna preparazione se non quella di risentire il cuore battere, entra in contatto con un evento che gli mostra la trascendenza. Uno spettacolo della natura, l’avvicendarsi delle stagioni diceva il professor Habukawa, la bellezza di un volto, la curiosità che nasce da una umanità incontrata e percepita come diversa e affascinante. E qui, diceva l’Emilia mentre scorreva il video del professor Ries, per parlare dell’Homo Religiosus finiamo tutti per parlare di Giussani. Perché Giussani, e consentitemi, questo è il punto veramente di forza di Carròn nel riproporci ad una posizione assolutamente positiva, (l’uomo distratto, l’uomo smarrito non si convertirà se qualcuno gli urla dietro o se si lamenta, se lo fa entrare nelle statistiche di sociologia religiosa, questo provocherà solo maggiore disaffezione; né grandi organizzazioni, né grandi convegni, niente!) ecco la cosa veramente rivoluzionaria: capitolo X de Il senso religioso “la religiosità è innanzitutto l’affermarsi e lo svilupparsi dell’attrattiva. C’è un’evidenza prima, e uno stupore del quale è carico l’atteggiamento del vero ricercatore, la meraviglia della presenza mi attira: ecco come scatta in me la ricerca”. Mi permetto di dire che nessuno, tranne Benedetto XVI, ha una posizione così. La religiosità è l’affermarsi e lo svilupparsi dell’attrattiva: perché nessuno ce l’ha? Perché l’attrattiva non è in mano nostra, non possiamo produrla noi, accade. Accade come l’incontro tra due amici che attraversano e si fanno compagnia da un capo all’altro del mondo, compagnia al destino. Nessuno può possedere clericalmente l’attrattiva, non c’è progetto, non c’è impegno morale, non c’è analisi socio-religiosa che generi l’attrattiva. È il punto che, non a caso, il professor Habukawa individua come punto comune tra Kobo Daishi e il don Gius. Osservare le cose nella vita, aprire il cuore a tutte le cose significa rendersi conto che io coesisto con l’universo che dà vita e tiene in vita tutti gli esseri viventi.– Allora noi ci troviamo di fronte, nella mia vita, nella vostra, incontrando la gente a scuola in università, in fabbrica, a queste due possibilità che sono le possibilità continue di ciascuno di noi: La chiusura della ragione alla realtà, invece che apertura chiusura, in un mondo auto costruito, o l’apertura del cuore alla totalità del reale, fino al riconoscimento del Tu-che-mi-fai. Attenzione qui non sta solo la possibilità di relazioni tra uomini così differenti, del fiorire di amicizie in cui ciascuno si aiuta a essere fino in fondo sé stesso nel suo rapporto con il Mistero, ma qui sta, e mi tocca ricordarla perché è quanto mai attuale di fronte al potere politico, sociale e, consentitemi, ecclesiastico che è il più terribile di tutti, diceva Giussani, il fondamento ultimo della dignità e della libertà di ogni uomo: vi ricordate il disegno semplicissimo, capitolo VIII de Il senso religioso, quel cerchio che indica tutta la realtà data: ad un certo punto, come un puntino appare l’Io. Non l’Io generico, il singolo Io, io , tu, tu. C’è solo una possibilità: in un solo caso questo punto che è l’uomo singolo è libero da tutto il mondo, è libero! E tutto il mondo non può costringerlo! E l’universo intero non può costringerlo! In un solo caso questa immagine di uomo libero è spiegabile: se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dal contesto, innanzitutto dalla biologia di suo padre e di sua madre, dal contesto sociale, culturale e religioso, ma possegga qualcosa che sia diretto rapporto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo. L’uomo religioso è l’unica possibilità del fondamento irriducibile della libertà. Guardate che questo per ciascuno di noi ha un prezzo, ce l’ha detto e mi sento di ricordarlo in questo momento, voi siete senza patria, disse esattamente trent’anni fa Giovanni Paolo II, siete senza patria proprio per questa sottolineatura irriducibile del rapporto diretto del uomo con il Mistero fondamento della sua liberta; perché questa è la novita che Cristo porta a ogni uomo come ha ricordato il 30 maggio a Roma davanti al Papa, non c’è nessun uomo, nessuna madre che è riuscita a fare questa domanda cosi carica di tenerezze e di passione per il destino del singolo se non Cristo: che cosa serve guadagnare tutto il mondo se poi perdi te stesso? Che cosa dai in cambio di te stesso? Uno è senza patria anche dentro alla chiesa perché prende sul serio questa domanda e consentitemi c’è una sottile opposizione che potrebbe, Dio non voglia, diventare anche persecuzione dire “state facendo la scelta religiosa” persecuzione tutta intra-ecclesiale intendiamoci. Perché siamo irriducibili a qualunque progetto che non parta dal prendere sul serio questa domanda che Cristo fa, non al cristiano, ma al uomo tout court ??? (1°32’ 11’’) al uomo con i suoi limiti con il suo male con il suo bisogno. Il problema per cui siamo in pace e in guerra, certi e drammaticamente inquieti nel cammino al destino e che non rinunciamo a quello che Giussani ci ha insegnato testimoniato e che Carron continuamente rilancia nella nostra vita: non c’è risposta più inutile , incredibile come la risposta a un problema che non si pone diceva Niebuhr questo è il problema. La verifica della fede, della fede cristiana in Gesù Cristo presente qui ed ora è il senso religioso, è la religiosità e l’uso nuovo della ragione e della libertà. Noi cristiani nel clima moderno siamo stati staccati non dalle formule cristiane direttamente, non dai riti cristiani direttamente, non dalle leggi del decalogo cristiano direttamente; siamo stati staccati dal fondamento umano, dal senso religioso abbiamo una fede che non è più religiosità, abbiamo una fede che non risponde più come dovrebbe al sentimento religioso, abbiamo una fede cioè non consapevole, non più intelligente di se, mentre a noi il senso religioso, il dono grande con cui Dio ci ha lanciato nel grande paragone con tutto nella vita, serve proprio per questo per accorgerci che nel mistero che si fa uomo e condivide la nostra vita tutto diventa interessante, tutto vale la pena, tutto! altro che scelta religiosa! Basterebbe poi venire qui poi per altro, ma chi fa questi pensieri non viene qui, è troppo occupato in altre faccende, siamo liberi. Tutto ci interessa ma ricordava Emilia, tutto può essere fatto bene per una ragione sbagliata citando Elliot, a noi interessa restare uomini, esseri consapevoli ed essere liberi per questo siamo grati a una storia che continua in modo imprevedibile ma continua attraverso incontri fatti la cui origine non è ne un calcolo ne un progetto ne una coerenza, ma la forza di un attrattiva che ha questa caratteristica di prendere tutto di ciascuno di noi, di metterci insieme e di non lasciarci tranquilli nel nostro cammino al destino.

MODERATORE
Grazie don Pino, concludo augurando a me e a tutti voi che questi giorni possano essere l’occasione per gustarci questo affascinante paradosso di essere senza patria amici del mondo come stiamo sperimentando.
Consentitemi infine però e vi prego di ascoltare perché è un esempio di questa amicizia col mondo, consentitemi di dirvi che abbiamo adesso il piacere e l’onore di salutare insieme una persona che da tempo vive un intensa amicizia con alcuni di noi e che da oggi possiamo considerare un nuovo amico del Meeting; abbiamo qui tra noi e lo salutiamo calorosamente il secondo abate di Fudenji il Taiten Fausto Guareschi. Come vedete l’amicizia cresce, anche questa occasione di questa sera è un ulteriore possibilità di documentarlo e con questo vi saluto e vi auguro buona serata.

Trascrizione non rivista dai relatori

Data

20 Agosto 2012

Ora

17:00

Edizione

2012

Luogo

Auditorium B7
Categoria
Incontri