Chi siamo
GRANDI AZIENDE: QUALI OPPORTUNITÀ PER I GIOVANI
Partecipano: Massimo Angelini, Direttore PR Internal & External Communication di Wind Tre Spa; Francesco Delzio, Direttore Relazioni Esterne, Affari Istituzionali e Marketing di Atlantia e Autostrade per l’Italia e Scrittore; Vitaliy Novikov, Amministratore Delegato di Coca Cola HBC Italia; Giulio Sapelli, Professore Ordinario di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano. Introduce Francesco Magni, Assegnista di Ricerca all’Università degli Studi di Bergamo e Coordinatore Redazione della rivista Nuova Secondaria.
Grandi aziende: quali opportunità per i giovani
FRANCESCO MAGNI:
Bene, buon giorno a tutti, benvenuti all’incontro dal titolo “Grandi aziende: quali opportunità per i giovani”, devo dire che quest’oggi abbiamo davvero l’opportunità di ascoltare e di confrontarci con alcune esperienze tra le aziende più importanti del nostro paese e quindi ringrazio subito i nostri ospiti, a partire da Massimo Angelini, Direttore delle Comunicazioni Esterne e Interne di Wind Tre Spa; Francesco Delzio che è Direttore delle Relazioni Esterne, Affari Istituzionali e Marketing di Atlantia e Autostrade per l’Italia, nonché scrittore; Vitaliy Novikov che è Amministratore Delegato di Coca Cola HBC Italia, grazie di essere qui; e ultimo, ma non ultimo, il professor Giulio Sapelli che è Professore Ordinario di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano e che ringraziamo moltissimo di essere qui con noi. Prima di cedere a loro la parola, permettetemi alcune parole introduttive. A partire dal cambiamento d’epoca che stiamo vivendo e che investe moltissimo i giovani e il loro rapporto col mondo del lavoro e delle imprese, qualche dato per inquadrare il contesto che viviamo: nel 1980 gli Stati Uniti e l’Europa facevano insieme il 52% del PIL mondiale; nel 2015 è sceso al 32%; nel 2020 sarà intorno al 30%. Nel frattempo Cina e India sono passate dal 5% del 1980, al 24% del 2015. Nei primi decenni del dopo-guerra il nostro paese era ricco di giovani pieni di energie da spendere con fiducia per costruire un domani migliore. Qualche settimana fa Alessandro Rosina, che è stato ospite del Meeting ieri, scriveva: “non mancavano le difficoltà e le contraddizioni, ma valeva molto di più la scommessa su ciò che si poteva ottenere, uscendo dalla casa dei genitori, piuttosto che la promessa di protezione nella famiglia di origine. Erano giovani generazioni lanciate dal paese all’attacco di un futuro da costruire e non schiacciate e indifese dai rischi del presente. La preoccupazione principale non era per ciò che del passato andava perso, ma per il nuovo ancora da generare e costruire”. Partendo da questo allora abbiamo proprio la possibilità di chiedere ai nostri ospiti che cosa cercano oggi le aziende in un giovane? E che cosa trovano le aziende in questi giovani che man mano arrivano? E come affrontano giovani lavoratori e imprese queste sfide globali ed epocali di fronte a cui ci troviamo a vivere? Cedo la parola a Massimo Angelini che ringrazio.
MASSIMO ANGELINI:
Grazie, buon giorno a tutti e grazie naturalmente per questo invito. Diciamo che il titolo di questo panel è estremamente interessante, perché poi hai l’occasione, l’opportunità per raccontare quello che oggi una grande azienda come la nostra, ma in generale come le grandi aziende stanno facendo e come oggi affrontano le tematiche dell’innovazione, in modo particolare del rapporto con i giovani. Io non vi voglio annoiare con i numeri, tanto alcuni li hai già citati tu, professore, ma voglio solo ricordare due cose del nostro settore, che il professor Sapelli conosce bene, perché conosce bene il mondo delle TelCo, vi do soltanto due numeri: nel 2010, cioè soltanto sette anni fa, meno del 50% dei lavoratori del settore delle Telecomunicazioni (si chiamava e si chiama ancora così, anche se oggi forse sarebbe più opportuno parlare di “aziende di comunicazione”, di “digital communication”) meno del 50%, oggi più del 60%, ha più di quarant’anni. La percentuale di under 30 nel 2010 era quasi del 15%, quindi un lavoratore su otto era un giovane, oggi è del 6%. Ora, sembra apparentemente un paradosso no? Che un settore di innovazione come il nostro abbia vissuto e viva questo processo di progressivo invecchiamento. Bassissimo turnover c’è stato in questi anni in tutto il settore e probabilmente questo si è portato dietro ovviamente una serie anche qui di criticità che tutte le grandi aziende, anche la nostra che è nata recentemente da una fusione fra il terzo ed il quarto operatore, tra Wind e Tre. Fusione che è stata autorizzata dall’Unione Europea a settembre dello scorso anno che oggi ha portato alla costituzione del più grande operatore mobile italiano con più di 30 milioni di clienti.
Parallelamente accanto a questo processo di invecchiamento c’è un’altra situazione che conosciamo molto bene che faceva parte ovviamente dell’introduzione al Panel che è, come dire, questo processo di grandissima trasformazione che tutte le grandi aziende, ma non solo le grandi aziende, stanno vivendo quello che va sotto il nome di rivoluzione digitale, che non è qualcosa che deve arrivare ma è qualcosa che già pesantemente è presente oggi e sta cambiando radicalmente i modelli di business, i modelli operativi di funzionamento e sta ovviamente cambiando, mutando profondamente anche le competenze che servono oggi per, come dire, essere presenti e affrontare questa sfida.
Pensate soltanto che alcuni mestieri che oggi sono diffusissimi non solo nel nostro mondo ma nel mondo di tutte le aziende non solo italiane, ma internazionali, pensiamo all’ e-commerce manager; sembrano nomi stranissimi ma sono gli esperti che si occupano di web e di sviluppare le app. Pensiamo al social media manager, cioè a qualcuno che attraverso i social dialoga non solo con i tuoi clienti ma con tutta la comunity che ti guarda. Parlo di due mestieri che apparentemente, che anzi qualche anno fa non esistevano, ma ce ne sono altri che stanno radicalmente cambiando. Pensate al ruolo del marketing di dieci anni fa e pensate a oggi, a quanto i temi di digital marketing invece siano presenti nelle nostre realtà, nelle aziende mature, ma anche a quelle di recente costituzione e di frontiera tecnologica. C’è, insomma, un mondo che intorno a noi sta cambiando a ritmi estremamente vertiginosi. A questo punto cosa devono fare le aziende? Numero 1: è vero che sembra uno slogan datato, no, lo si dice sempre in queste occasioni ma anche in altre. Ma rimettere al centro il capitale umano, rimettere al centro le persone non è una banalità, è una verità. Difficile farlo perché spesso e volentieri poi i temi di efficientamento che hanno le aziende spesso ti impediscono di fare operazioni serie, di retraining, di riformazione delle persone che lavorano nella tua realtà. Ma questo è diventato un must: se tu no fai questa operazione ,ahimè, rischi seriamente di subire contraccolpi di mercato estremamente significativi.
Parallelamente un’altra cosa che oggi sta diventando non solo fondamentale ma sta diventando un altro must: partire dal presupposto che oggi l’innovazione non si fa quasi più all’interno delle nostre aziende, all’interno delle nostre imprese. L’ecosistema, parola che sembra assurda, ma insomma che in qualche modo racconta il fatto che, centri di ricerca, università, mondo delle start up, grandi vendors tecnologici fanno parte di una, come dire, di una catena che se riesce a lavorare insieme fa innovazione aperta, quella che oggi si chiama “open innovation” che è una delle variabili chiave per immaginare nuovi prodotti e nuovi servizi.
Pensate soltanto al mondo delle applicazioni mobili, al cosiddetto “mondo delle app”, dove si affacciano tantissine start up, qualcuna di queste credo che siano presenti oggi anche in sala e che, come dire, hanno modelli di funzionamento, di rapidità, di tante marche, di immaginare prodotti e servizi che sono completamente nuovi e che soprattutto hanno dei tempi che rispetto al mondo delle aziende sono assolutamente inediti.
Parallelamente, competenze chiave come: leadership, problem solding, team building in questo mondo diventano fondamentali. Le aziende stanno ripensando e, anche noi lo stiamo facendo, pesantemente i propri modelli di funzionamento. Le aziende verticali per silos, il marketing, le vendite, l’information technology, la finanza tenderanno progressivamente a scomparire. C’è un’esigenza di lavoro trasversale fortissima e oggi, come dire, nello stesso tempo si ha anche la consapevolezza che dell’innovazione non sono più proprietari le funzioni tecnologiche ma è qualcosa che permea complessivamente tutta quanta l’azienda. Vengo a quello che stiamo facendo noi: vi racconto rapidamente tre progetti per lasciare poi la parola agli altri miei autorevoli colleghi.
Tre progetti estremamente interessanti. Il primo si chiama Wind Tre Factory, è una fabbrica che è assolutamente interfunzionale. Ci lavorano gli under 30 della nostra azienda, sono divisi in gruppi di lavoro. Hanno una tutorship di un manager interno, hanno un budget dedicato e non studiano soluzioni di processo di prodotto tanto per farle. Hanno un budget con il quale queste soluzioni di processo e di prodotto, parlo del CRM, parlo della gestione della relazione con il cliente, parlo delle novità che possono essere introdotte nel punto vendita, Penso ai nuovi servizi, ad esempio, legati al mondo del mobile payment hanno un budget dedicato perché queste attività vengono finalizzate ad un progetto e a soluzioni che vengono portate sul mercato. Penso ad un altro grande progetto, ad una piattaforma che invece si chiama Wind Business Factor e che è una piattaforma che mette insieme giovani start upper e mondo del venture capital. È una piattaforma che fa incontrare mondi che oggi faticherebbero a lavorare insieme ma che invece hanno anche attraverso questa piattaforma l’opportunità per far conoscere chi ha un’idea e chi ha intenzione di costruire un’azienda e il mondo del venture capital che sta investendo su questo.
Ma vengo a quello che stiamo lanciando e che quindi è forse più in linea con le cose che ci siamo dette e che è “Wind Tre Innovation School”. Abbiamo, come dire, l’idea, l’ardire che se non partiamo dal sistema istruzione, aihmè, tutte le sfide della rivoluzione digitale della trasformazione del mondo delle aziende noi rischiamo di non incrociarle. Proprio in questi giorni c’è stato un ampio dibattito da parte del governo proprio sui bonus della formazione digitale all’interno delle imprese. Intervento serio, sano, assolutamente utile. Noi siamo ancora convinti che oltre a questo sia assolutamente necessario oggi tornare ad investire pesantemente nel sistema istruzione. Lo facciamo con questo progetto che si chiama “Wind tre Innovation School”. L’idea è molto semplice: un percorso formativo basato sulle nuove competenze digitali, basato sull’autoimprenditorialità che viene lanciato inizialmente in trenta scuole italiane da Milano a Palermo. L’idea su questo è di costruire un format che poi, speriamo, insieme al Ministeri della Pubblica Istruzione, possa essere lanciato nel resto d’Italia. L’obiettivo finale è anche quello di arrivare ad un contest che possa premiare ovviamente le scuole più virtuose da questo punto di vista. E’ un piccolo sasso gettato nello stagno ma siamo assolutamente sicuri che questo può far veramente da volano per far comprendere che oggi c’è sì l’esigenza forse di alzare, no, l’età dell’obbligo a scuola ma parallelamente bisogna investire tantissimo nei nuovi contenuti della didattica e nella nuova formazione.
Imparare ad imparare deve essere il nostro mantra. Il nostro e dei giovani di oggi. Vi ricordo solo un dato: si stima che il 65%, cioè due terzi dei bambini che oggi cominciano la scuola primaria probabilmente da adulti faranno lavori che oggi sono assolutamente inesistenti. Imparare ad imparare può essere un mantra sul quale ricostruire in qualche modo, comunque arricchire il sistema istruzione italiano. Grazie.
FRANCESCO DELZIO:
Eccoci, allora. Grazie per l’invito. Mi fa molto piacere essere ancora qui al Meeting di CL. Io non darò i numeri in tutti i sensi ma, magari, cerco di unire i vari cappelli: quello aziendale con quello di commentatore di Avvenire. Tra l’altro ho visto la presenza, la panaché molto importante di Avvenire con il Meeting quest’anno, ovviamente mi fa molto piacere e di docente Luiss per darvi qualche chiave di lettura in più.
La prima è questa: in realtà è un consiglio perché vedo moltissimi ragazzi in sala. Se dovete scegliere oggi per categorie generali un luogo nel quale avere la vostra prima esperienza di lavoro, dopo la vostra formazione, dopo l’università, ebbene io credo che il luogo migliore per avere la vostra prima esperienza di lavoro si proprio una grande azienda. C’è un perché molto preciso, perché in realtà oggi, in Italia le grandi aziende, sono molto poche quelle italiane, ma qualcuna ancora c’è, le grandi aziende italiane che magari hanno una visione globale che riescono a competere nel mondo, sono probabilmente le uniche, le ultime fucine di classe dirigente in Italia. Noi abbiamo rinunciato, come è avvenuto peraltro in tutta Europa, alle grandi scuole di partito, progressivamente e poi ai grandi luoghi di formazione istituzionale, la Banca d’Italia e così via. Il deserto, diciamo così, della formazione della classe dirigente si è affermato in Italia, se c’è oggi un luogo invece nel quale è possibile creare una classe dirigente probabilmente, queste sono le grandi aziende, grandi aziende che però devono avere una presenza nel mondo.
Quindi devono avere una serie di caratteristiche: la prima è proprio quella di consentire ai propri lavoratori, ai propri giovani talenti di sperimentarsi confrontandosi con culture diverse nel mondo. Una grande azienda che può permettersi di inviare 10, 100, 1000 dei propri giovani talenti nei mercati del Far East piuttosto che negli Stati Uniti piuttosto che nel Medio Oriente ecco questa è una grande azienda che non fa solo sviluppo per sé naturalmente, non accresce solo la propria profittabilità, ma fa anche indirettamente formazione di classe dirigente. Quindi questa è un’apologia del ruolo delle grandi aziende ma è anche un consiglio preciso per i tanti ragazzi, i tanti giovani che sono qui in sala.
Un secondo motivo per il quale è importante avere una esperienza in una grande azienda oggi è che in una grande azienda ci sono due grandi valori che si sperimentano ogni giorno e che invece purtroppo sono molto rari nel resto del panorama lavorativo italiano, ovvero la competizione e la cooperazione. In una grande azienda un giovane ha la possibilità di sperimentare ogni giorno sia la competizione che la cooperazione, e di capire quando, dove, come e con chi cooperare e quando, dove, come e con chi, invece, competere.
Questo è molto importante perché consente ad un giovane preparato, brillante, di riappropriarsi di valori che sono come dire i valori fondanti oggi del mercato globale e che invece in Italia per una serie di ragioni sulle quali sarebbe estremamente lungo, noioso e inutile fare un approfondimento in questa sede, invece non sono così diffusi. Quindi primo messaggio scegliete le grande aziende italiane globali, cercate di farvi scegliere da noi naturalmente, quindi di competere per essere selezionati, per avere un posto di lavoro importante, ne vale la pena sarà un’esperienza probabilmente unica dal punto di vista culturale economico sociale della crescita individuale.
Secondo messaggio fondamentale: non pensate di arrivare in una grande azienda, magari per un colloquio di selezione, già pronti a tutto perché per definizione così non è. Oggi la formazione sul campo, quella che noi facciamo con i nostri collaboratori è molto più importante della formazione che precede questo tipo di esperienza. Ovvero è importante presentarsi a una grande azienda con una serie di skills hard e soft, come si dice oggi, una serie di capacità, una serie di sensibilità, ma quello che si impara poi sul campo è estremamente più importante del bagaglio che il ragazzo porta con sé. Ovviamente è importante quel bagaglio perché da’ gli strumenti, da’ le armi a quella persona per poter poi entrare in azienda e per poter interagire nella maniera migliore, ma è molto importante, è sempre più importante quello che si riesce poi ad apprendere all’interno delle mura, nel perimetro di una grande azienda o di una multi nazionale. Quindi la formazione non è più soltanto continua ma è soprattutto una formazione che quotidianamente, si apprende sul campo attraverso le sfide globali di mercato che una grande azienda può proporre e quindi è un percorso all’interno del quale la crescita è assicurata, come dire, c’è crescita professionale per tutti per definizione nel momento in cui si riesce a entrare in un percorso di questo tipo.
Un altro messaggio molto importante che vorrei darvi è che, in realtà si fa un grandissimo parlare di tutti gli strumenti legislativi che consentono oggi di avere più lavoro, il jobs act è stato un provvedimento molto importante, la decontribuzione per le nuove assunzioni che c’è stata e che dovrebbe essere rafforzata dalla prossima legge di stabilità sarà ancora più importante. Abbiamo bisogno di strumenti giuridici ed economici per aiutare le imprese a investire sul mondo del lavoro. Questo è un tema di politica economica fondamentale, lo scrivevo la settimana scorsa su Avvenire, ovvero: in un momento nel quale il costo del capitale è estremamente basso, in Italia come in tutto il mondo avanzato, è molto importante spingere le nostre aziende a investire sul capitale umano, con convenienze economiche, con strumenti giuridici appropriati, e quindi creare un pacchetto di spinta che consenta a queste grandi aziende di poter assumere, di poter formare, di poter accrescere appunto il proprio capitale umano con dei giovani di talento.
Tutti questi strumenti sono fondamentali, ma la cosa più importante di tutte naturalmente è un’altra, cioè quella di poter avere in Italia ancora un’industria, una struttura di servizi, ovvero dei presidi imprenditoriali con spalle solide, che abbiamo la possibilità ancora di investire sui giovani talenti. Partendo da una consapevolezza, e questo è l’ultimo messaggio che vi lascio, che la famosa teoria per la quale esisterebbe una guerra generazionale, nel mercato del lavoro in generale e in particolare modo nelle grandi aziende, tra vecchi e giovani, in realtà è un grande bluff, è una teoria farlocca. Questo si capisce proprio all’interno delle grandi aziende, dove il rapporto tra generazioni di lavoratori è un rapporto di solito estremamente sano nel quale non esiste una competizione diretta tra il giovane arrembante che arriva e il vecchio che invece deve difendere il posto di lavoro, ma si creano dei sistemi integrati di cooperazione, di collaborazione tra visioni, sensibilità, competenze, capacità di innovazione diverse, e queste generazioni al lavoro convivono insieme, cooperano insieme, costruiscono un risultato comune.
Questo è molto importante perché c’è una pubblicistica purtroppo sempre più diffusa che invece tende a raccontare il mercato del lavoro come se fosse una guerra tra giovani e vecchi. Questa è una grandissima stupidaggine e uno dei vantaggi, dei tanti vantaggi che ho cercato di raccontarvi, di lavorare e di avere un’esperienza professionale in una grande azienda è proprio questo, di capire che il rapporto tra generazioni all’interno di una grande azienda è un rapporto nel quale tutti hanno diritto di cittadinanza, nel quale è possibile creare un’integrazione virtuosa, nel quale questa presunta guerra in realtà non c’è, ma c’è invece appunto la presenza di competenze, di sensibilità diverse per consentire a questa azienda poi di migliorare la propria capacità competitiva sul mercato.
Quindi avendo fatto una breve apologia del lavoro nelle grandi aziende in realtà spero di avervi dato qualche messaggio utile anche per le vostre scelte future. Grazie.
FRANCESCO MAGNI:
Vitaly Novikov, che ringrazio particolarmente perché per la sua presenza qui oggi, per la sua bravura anche nell’avere imparato l’italiano in poco meno di due anni e quindi veramente lo ringrazio di cuore per la sua presenza qui.
VITALIY NOVIKOV:
Grazie. Buongiorno a tutti e grazie per l’invito. Devo chiedere scusa per il mio italiano, non sono italiano e devo chiedervi scusa per quello che sto facendo alla vostra bella lingua, spero che tutto sarà chiaro. Qualche settimana fa sono uscite buone notizie positive della diminuzione del tasso di disoccupazione in Italia all’11%: una buona notizia e sicuramente positiva. Ma quando vediamo i numeri per i giovani la disoccupazione è ancora sul 35%, un livello molto molto alto. Il realtà l’Italia è il terzo paese in Europa per questo indicatore, solo la Spagna e la Grecia sono ancora peggio dell’Italia.
Questo è chiaramente un problema. Cercando di capire cosa possiamo fare noi, noi in Coca-Cola siamo sempre molto costruttivi e vogliamo sempre agire, pensavamo alle cose che noi possiamo controllare e invece di chiedere perché i giovani non trovano i lavoro abbiamo chiesto che: ma cosa cercano i giovani nel lavoro e cosa offriamo noi? C’è corrispondenza tra queste due cose. Una ricerca della LUISS dell’anno scorso, che è anche la nostra fondazione ha supportato, di più di mille cosiddetti millennials, i famosi millennials, studenti giovani, ha mostrato un paio di cose che erano sorprendenti per me. Abbiamo visto che lo stipendio non è la cosa più importante quando i giovani cercano il lavoro, vogliono vedere buona qualità del servizio prodotto, cosa fa l’azienda veramente, voglio fare impatto nel modo e per questo si interessano per queste cose e poi vogliono capire se i valori dell’azienda corrispondono ai loro valori: questa corrispondenza è molto importante per loro e poi lo stipendio è solo la terza cosa, era abbastanza sorprendente.
Noi stiamo cercando di fare la nostra parte come Coca-Cola, da anni facciamo i corsi nelle scuole per la cittadinanza, per il riciclo, per cambiare il pianeta dove viviamo in un mondo migliore, ma dopo questa ricerca abbiamo avuto una discussione interna e pensavamo che dovremmo fare di più e quest’anno siamo partiti con un’iniziativa che si chiama “the youth empowerment”. L’obiettivo di questa iniziativa è avvicinare i giovani al mondo del lavoro, questo lo facciamo trasferendo i cosiddetti live skill, lo cose come i soft skill che aiutano i giovani ad essere più competitivi, possono imparare come devono scrivere i CV, come fanno le interviste, le cose pratiche, ma anche capire ed essere consapevoli di se stessi meglio. Le cose che danno la maturità ai giovani e poi aiutano a entrare nel mondo del lavoro in modo più efficace e più veloce; ma anche le cose che sono business skill, le cose che sono molto pratiche e legate al lavoro quando già lavorano.
Tutto questo lo vogliamo fare in modo molto pratico, noi siamo una grande azienda, abbiamo più di duemila persone in Italia, abbiamo la forza vendita più grande, abbiamo quattro stabilimenti, abbiamo tante zone dove lavoriamo e abbiamo tante persone con tanta professionalità. Abbiamo detto una cosa semplice, una cosa che possiamo fare noi, senza considerare le cose astratte; le nostre persone sono diventate mentori, alcuni di loro sono qua anche perché il Meeting di Rimini è uno degli eventi più importanti del nostro calendario di Youth Empowerment, allora i nostri dipendenti, le nostre donne e uomini di Coca Cola lavorano con i giovani, trasmettendo queste skill a loro nei workshop vivi.
C’è anche un’applicazione dove ci sono corsi digitali online, a cui i giovani possono avere accesso anche dallo smartphone. E questa combinazione di questi due modi dal vivo e online, stiamo cercando di spingere, di fare crescere la velocità di questo progetto. Qua ci sono ogni giorno due workshop, abbiamo tanti partecipanti, siamo molto contenti per come siamo partiti, così vogliamo contribuire anche noi da parte nostra alle tendenze positive in Italia. Io sono fermamente convinto che i nostri giovani possano fare i lavori più importanti, e i ruoli con più responsabilità. Io ho avuto, adesso ho 37 anni, ho avuto il mio primo incarico come Amministratore Delegato una decina di anni fa, ho lavorato già in quattro paesi come Amministratore Delegato. Io sono assolutamente sicuro che la giovinezza non è un problema per fare i ruoli importanti. Detto questo c’è assolutamente, sono d’accordo, un po’ di discrepanza tra quello che l’università e il mondo dell’accademia insegna ai nostri giovani e quello che serve per il lavoro. Veramente è chiaro che, soprattutto adesso, il mondo cambia molto velocemente, le aziende si evolvono e cambiano molto velocemente per reagire alle nuove esigenze del mercato, questo vuol dire che anche il mondo dell’istruzione dovrebbe essere un po’ più adatto e io invito il mondo di accademia al dialogo con le aziende per poi costruire i programmi e il dialogo concreto per avvicinare di più i programmi di educazione, formazione al mondo del lavoro. E così possiamo contribuire secondo me ai miglioramenti, passo per passo. Grazie.
FRANCESCO MAGNI:
Ecco, il finale di intervento mi permette di introdurre il professor Sapelli che, non solo ha vissuto molto della sua vita professionale all’Università degli Studi di Milano, ma si è occupato moltissimo anche di formazione aziendale. E quindi proprio forse su questo tema della discrepanza tra l’accademia e il mondo del lavoro e le aziende, è un testimone, un protagonista privilegiato, a cui cedo la parola. Grazie.
GIULIO SAPELLI:
Grazie, vi ringrazio molto di avermi invitato e, come ha detto molto giustamente l’Avvocato Magni, il nostro amico che ci presenta, è vero, quando si ha 71 anni e si è cominciato a lavorare a 19 anni in Olivetti, quando l’Olivetti nel 1966 aveva ancora Roberto Olivetti, Adriano era morto da sei anni e poi vabbeh, si è passata una lunga vita, poi naturalmente uno sbaglia anche le se scelte e si entra all’università nel 1974 e lì si piglia.
Però l’azienda non l’ho mai abbandonata, insomma, le esperienze migliori che ho fatto non sono state tanto nei consigli d’amministrazione, che sono stati di queste grandi aziende di cui abbiamo parlato, vere grandi aziende come l’ENI, le Ferrovie dello Stato o anche piccole aziende come la Snaidero, ma poi l’Unicredito, insomma, eccetera eccetera. È stata l’esperienza di formazione aziendale per le grandi aziende, a partire dall’Olivetti, il corso che facevamo a Burolo negli anni ’80, se non lo si superava, perché allora c’era questo legame molto forte nella dirigenza, non si diventava dirigenti, poi l’ENI a quell’epoca, ne parlavo con Angelini, a Castel Gandolfo aveva l’Istituto di Alta Formazione manageriale, poi via via passando per Poste e poi l’esperienza meravigliosa che abbiamo fatto con lo start up di TIM e della telecomunicazione in Italia. Maximo Ibarra è stato qui ieri, io e lui ci eravamo conosciuti quando lui era un giovane allievo alla scuola TIM, che si faceva al castello di Nerola. Arrivavamo lì due giorni prima, lo cablavamo e si stava, un corso che durava 15 giorni. Un po’ come quello che abbiamo fatto in Poste fino all’altr’anno, quando c’era quel grande manager che era Caio. Cioè un corso che durava una settimana. Erano le ultime vestigia di un rapporto che le grandi aziende avevano col mondo dei giovani. Perché vedete, la crisi è la crisi della grande azienda, oggi. Angelini ve l’ha detto molto bene con quei numeri: le grandi aziende diventano vecchie. In un sistema economico, come ci insegnava la grande Deep and Rose che era teorica dell’impresa, c’è bisogno di tutto. C’è bisogno di piccole, medie e grandi aziende. Se manca un sistema… perché gli Stati Uniti, nonostante tutto, vanno benissimo? Perché hanno di tutto. Hanno di tutto e lo Stato si occupa che abbiano di tutto. Lo small business enterprise è un’istituzione governativa, no? E cura le piccole imprese. Le grandi imprese curano se stesse. Il problema vero è che la grande impresa è in una trasformazione profonda, in primo luogo perché non recluta più la gioventù. Non è la retorica, bisogna avere i giovani, è che se c’è un rapporto a cascata tra coloro che entrano e coloro che escono, la direzione della grande impresa è costretta ad un lavoro di tessitura e di mediazione tra generazioni, e può così trasmettere il know how e mentre trasmette il know how da una generazione all’altra, può però, e il giovane porta questo, come diceva Angelini, impossessarsi di quello spillover tecnologico e di capabilities, che oggi si sposta sempre di più fuori dalla grande impresa. Ma la grande impresa deve impossessarsene. Ha due vie per impossessarsene: creare delle divisioni che imitino quello che succede fuori. Fallisce tutto. Telecom, ti ricordi? Avevamo a Torino una roba, 1800 ingegneri che dovevano fare innovazione. L’innovazione è un processo anarchico! È un’idea sovietica che si fa innovazione dall’alto. L’innovazione è un processo anarchico. Naturalmente puoi influenzare, come? Creando capitale umano. Il problema però è che il capitale umano non si forma più nelle grandi imprese perché con la liberalizzazione del mercato del lavoro, l’accumulazione del capitale umano nell’impresa non c’è più, perché se pigli un giovane ingegnere dell’Eni, 1200 euro il primo stipendio, dopo otto anni di aver fatto di ingegneria, poi dopo sei mesi se non ti va bene (questo l’Eni non lo fa perché è ancora un’impresa seria, ma come fanno i medi imprenditori), se non ha più il sussidio gli danno un calcio nel culo e lo mandano via. Questa è la situazione del rapporto giovani e grandi imprese oggi. Si sta lentamente sgretolando tutto, perché a partire da Treu, da Biagi in poi, noi abbiamo distrutto il sistema di interrelazioni tra giovani e grandi imprese. Adesso ci illudiamo che questo sistema possa essere sostituito da delle mance, incentivi per assumere i giovani. No, è solo l’agone imprenditoriale ed è l’amore per le persone che aiuta ad andare avanti e aiuta il giovane ad avere una retention verso la grande impresa.
Vi faccio un esempio: tutte le inchieste sulla direzione del personale oggi sono drammatiche. Il personale si occupa solo più di gestione, lo sviluppo non c’è più. Un tempo lo sviluppo era seguire una persone, one person for one person. Una per una! E costruirgli un profilo di carriera. C’erano addirittura grandi… pensate all’IBM, l’IBM aggiungeva, ti ricordi no? Aggiungeva addirittura… sapevano cosa faceva quella persona dopo 15 anni. La grande forza delle corporation americane è stata: uno, la loro diversificazione, poi è venuta la teoria del Core business che ci ha mandato dal culo tutti. Ma prima facevamo dalla telecomunicazione allo Sheraton, aveva la TNT, agli spilli. Ecco, immaginate quali scelte di capabilities venivano fuori lì! E tu sapevi già quella persona lì cosa doveva fare dopo 15 anni. Certo, se avevi delle persone un po’ anarchiche, un po’ rompicoglioni come me, dopo un po’ la gente andava via, però quelli che rimanevano ragazzi, accumulavano un know how spaventoso! Questo sistema non c’è più perché le direzioni del personale fanno gestione e formano su cose che le persone dovrebbero già sapere. Guardate cosa sono… abbiamo fatto 40mila ore di formazione, public speaking, leadership… tutte cazzate! Perché, public speaking lo devi già saper fare, la leadership non si insegna, cazzo! La leadership, che cazzo è la leadership? Andate a vedere dei bambini che giocano a football in un cortile e il leader lo vedete subito, no? Poi naturalmente puoi limarlo, puoi fidelizzarlo, no? Ma se no si insegnano stronzate!
La crisi della grande impresa è che i Top manager sono troppo pagati mentre gli altri non sono pagati, gli stipendi sono da fame, e in mezzo c’è la non comunicazione tra i giovani e i vecchi. Bisogna invece… la grandezza della… ha detto bene chi ha detto: “La grande impresa…”. Ma figurarsi! La grande impresa è una scuola… è stata l’emancipazione, innanzitutto delle classi basse, ha dato un ruolo agli intellettuali, soprattutto l’impresa pubblica, in Italia.
Naturalmente, dopo che abbiamo privatizzato abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca ma… Sinisgalli ve lo ricordate voi? Un grande poeta, dirigeva “Civiltà delle macchine”. “Comunità”, giornale di Olivetti: scriveva Pitzorno, scrivevano tutti, nomi che lo so, ormai che non leggete più un cazzo, non sapete più che cosa sono, ecco, no? Però la cultura era legata all’impresa! Ragazzi, eh, io quando facevo formazione all’Eni, al mio fianco avevo Paolo Sylos Labini, Federico Caffè, Lo facevamo sedere due scalini più in alto perché era un nano e sennò si incazzava (è stato tuo professore). La gente chiamava questi a fare formazione, non insegnavamo le cazzate di oggi oppure a camminare sulle braci, andare sulle liane, tutte stronzate. Allora, i giovani devono essere recepiti per la carica rivoluzionaria che hanno oppure perché ci avvertono. Se sono anomici, se non hanno valori vuol dire che qualcosa non va nell’impresa perché l’impresa ha bisogno del loro valore rivoluzionario e un tempo nelle grandi imprese potevi dire di no e l’errore veniva non premiato ma incoraggiato ad esprimersi.
I grandi manager che abbiamo conosciuto: l’ingegner Tarantelli in TIM, che fu quello che ha inventato il prepagato. Ecco, oggi uno che inventa una cazzata gli danno quattro milioni di euro, l’ingegner Tarantelli non ha preso un cazzo, l’ha fatto perché era il suo compito aziendale. Quindi, first, la grande impresa può attirare ancora i giovani se cambia le politiche retributive, perché così bisogna che il top manager non siano più dei mercenari, ma che stiano in quell’impresa almeno venti o trent’anni. Basta con i mercenari! Un giovane non impara nulla, impara solo a fare il tagliagole.
Infatti esistono anche università, la LUISS, che insegnano a competere, non a cooperare. Non parliamo poi della più famosa dove… ha rovinato l’industria italiana. Ma questo è un altro discorso. Quindi questo tema voi lo potete affrontare così, tutto va bene, madama la marchesa, ma è il dramma di questo paese perché se non ricostruiamo un rapporto tra grande impresa e giovani generazioni questo paese è morto, perché non si forma classe dirigente ma anche perché le grandi imprese non hanno più classi dirigenti al loro vertice, salvo in rarissimi casi hanno dei mercenari che non sanno un cazzo.
Questo è il dramma. Vorrei solo dirvi che il problema della grande impresa non è la corruzione. Lasciamo perdere questo discorso per favore, dobbiamo invece ricostruire legittimità all’impresa. Guardate che questo paese ha sempre un grande male, l’antindustrialismo, ed è il paese dei diritti e mai dei doveri. La grande impresa insegna che tu puoi esercitare i diritti solo se ha dei doveri, cazzo, e in quell’impresa ci devi stare perché ti forma, perché ti dà una formazione generale. Ne parlavo prima con Angelini: ragazzi, oggi cambia tutto, ha ragione, c’è il digitale, ma noi cosa abbiamo fatto? Il duo bestiale Berlinguer-Rocca. Ora, Berlinguer era il ministro dell’istruzione e Rocca rappresentante della Confindustria per l’università. Dice: sai, il mercato avanza, allora diminuiamo gli anni di università, studiano meno, così si preparano al dopo. E’ una cazzata, era il momento in cui dovevamo fare sei anni in università, dovevamo avere una formazione generalizzata, poi altre cose le impari in impresa, naturally, elementare Watson. Guardate, abbiamo fatto tutto il contrario. Questo va detto: le grandi imprese dovrebbero occuparsi di come sono finanziate le università in Europa, con l’arrivo del prodismo, sono finanziate in base al numero dei laureati. Ma che cazzo di classe dirigente pensate che esca fuori di lì, quando devono entrare in cento e uscire in cento? Un tempo si entrava in cento e si usciva in venti, trenta, dieci.
Allora, c’è da fare un discorso, se vogliamo fare sempre le solite robe, gli spot pubblicitari ecc sul vendere merendine, politiche, facciamolo, però il problema è drammatico. Dobbiamo riformare l’università, tornare alla selezione rigorosa, dobbiamo riformare la grande impresa perché così non va bene, non fidelizza, non dà royalty. Vivere il cambiamento non vuol dire scambiare un’impresa una dopo l’altra, perché se no il capitale umano si disperde, abbiamo invece bisogno di concentrarlo. L’innovazione se è anarchica cresce facendo stare insieme le persone. Le grandi imprese che cambiano, Amazon ecc, se andate a vedere hanno un bassissimo turn over. E’ tutto il contrario, un bassissimo turn over. Anche in India, dove c’è la Silicon Valley indiana (io ci sono stato recentemente), lì sta nascendo un mondo nuovo che è tutto diverso da quello della Silicon Valley. Tutto diverso, però anche lì che si basa sulla formazione di community. L’importanza del digitale è questo: che tu trasmetti le conoscenze e puoi fare comunità online con dei forum permanenti. Però bisogna dare pensiero strategico e non stupidità manageriali, amen.
FRANCESCO MAGNI:
Grazie professor Sapelli. In questa seconda parte dell’incontro, invito sul palco tre giovani lavoratori che faranno alcune domande a partire dalla loro esperienza recente e poi introduco il secondo giro di tavolo.
Marco: buongiorno, mi chiamo Marco, ho ventinove anni, ho studiato ingegneria e lavoro in una società di consulenza a Milano, attualmente sto facendo un progetto di circa un anno a Singapore, per una multinazionale. Vorrei farvi tre domande, principalmente. La prima (ne avete già toccato i temi) , però vorrei tornarci sulla possibilità di una crescita all’interno di una multinazionale, all’interno di una grande azienda.) perché spesso l’impressione è che sia una realtà dove come, diceva il professor Sapelli, si fa fatica a crescere all’inizio e che sia poco dinamica per chi ci entra. Mi chiedo: è ancora possibile immaginare una carriere veramente interna all’azienda di lungo periodo nelle multinazionali ? E, se avete degli esempi tra quelli già fatti, come affrontate questo tema concretamente.
Il secondo, che riguarda la mia esperienza personale, è che sempre di più c’è una tendenza all’uscita, soprattutto dall’Italia purtroppo, che comporta di fare delle esperienze all’’estero. Questo, se da un lato è sicuramente arricchente, a volte mette anche a dura prova la propria vita personale, la possibilità di avere la famiglia e mi chiedo qual è la vostra visione rispetto a questo.
Da ultimo, rispetto al rapporto con l’università, sono molto d’accordo anche per la mia esperienza, sul fatto che c’è un problema anche su come sono finanziate le università; qual è la vostra visione sul rapporto virtuoso tra le aziende piccole e grandi e il mondo della formazione universitaria.
Andrea Montanaro: buongiorno. Sono Andrea Montanaro, ingegnere civile, ventisette anni, lavoro in una società di consulenza di risk menagement analisi e investimenti e da un anno, con team di amici, abbiamo aperto una start up nell’ambito del digital care partendo da un’idea fino ad arrivare ad un prototipo realizzato e funzionante, con l’obiettivo di entrare sul mercato l’anno prossimo.
Su questo tema ho tre domande per voi. La prima: quali sono i fattori determinanti per il successo di un’ impresa che si affaccia ad un mercato internazionaòe globalizzato come quello odierno. La seconda, che ha toccato anche prima il dottor Angelini: quanto è interessante, soprattutto concreto per voi l’aspetto di opening innovation. E’ un modello sostenibile su cui puntare per il futuro? La terza domanda si rivolge invece direttamente alle aziende multinazionali come le vostre. Volevo chiedervi se supportate iniziative imprenditoriali dei dipendenti che possono portare sia innovazione sinergica al core business ma anche poter aprire nuove strade per l’azienda stessa e come lo fate.
Maria Chiara: Buongiorno, mi chiamo Maria Chiara, sono un ingegnere, ho 28 anni. Io sono sposata e mamma di un bimbo di sette mesi. A breve rientrerò in azienda, a conclusione del periodo di maternità .Sono piena di aspettative da questo rientro e, in generale dal mio futuro lavorativo, e riconosco in me delle nuove risorse nate proprio dall’esperienze di maternità. D’altronde, però, sono un po’ intimorita da quella che sarà l’idea che l’azienda ha su di me, proprio perché mamma. Quindi vi volevo chiedere: nella vostra esperienza in azienda, la maternità per una donna o comunque in generale, la famiglia per un lavoratore, rappresenta un vincolo o una risorsa?
GIULIO SAPELLI:
Cerchi di non aver rapporti con la donna appena arriva, però.
FRANCESCO MAGNI:
Prego, ricominciamo il giro da questi spunti.
MASSIMO ANGELINI:
ci dividiamo le risposte? Provo a dare quelle sulla start up di Andrea e poi mi piacerebbe anche, come dire, abbozzare una mini risposta per Maria Chiara.
Andrea, start up .Allora, prima cosa: secondo me , credo che sia stato detto anche nei giorni scorsi proprio qui al Meeting, però c’è una cosa col quale chi oggi ha il coraggio, la voglia di sperimentarsi come auto imprenditore deve far i conti, cioè che l’ipotesi del fallimento non è un’ignominia, cioè è solo fallendo che alla fine, forse le idee migliori diventano realtà aziendali, realtà imprenditoriali di successo. Quindi non scambiate il fallimento come la fine del vostro sogno imprenditoriale E’ semplicemente uno step, è un passaggio, qualora dovesse accadere.
Fattori determinanti: è chiaro che avere la capacità, come dire, di comunicare e di vendere bene la vostra idea a chi vuole metterci i soldi dentro, perché oggi le start up che hanno successo sono quelle che poi riescono a trovare fondi venture capital non solo, ma anche, perché no, le grandi imprese possono farlo. Noi nel nostro piccolissimo ne abbiamo supportate quattro, recentemente, semplicemente perché, sostenendo alcuni incubatori d’impresa, forse uno dei più grandi che c’è in Italia, che è a Roma e si chiama Luiss Enlabs che una partnership fra l’università Luiss e il fondo di venture capital e le venture, ne abbiamo incontrate alcune lungo la nostra strada che sono diventate nostri fornitori, le abbiamo, in qualche modo sostenute nel loro processo di crescita. E’ fondamentale, in alcune di queste iniziative trovare subito la grande impresa che magari ti dà l’ossigeno, lo spazio per poterti sperimentare come potenziale fornitore e come potenziale partner.
Due. Opening innovation. L’ho detto nel corso del mio intervento. Io credo che sia assolutamente un mast. Non credo che, diciamo così, la ricerca e sviluppo oggi possa essere più fatta, solo ed esclusivamente, per alcune regioni richiamando proprio quello che diceva il professor Sapelli, non credo possa essere fatta all’interno delle grandi imprese. Credo ci sia proprio bisogno di questa interazione dell’ecosistema. Vince chi lo saprà fare meglio e chi saprà dialogare meglio e chi saprà dialogare meglio col mondo delle start up, però con le stesse logiche, con la stessa velocità, con la stessa flessibilità, con lo stesso time to market. Le aziende che da questo punto di vista penseranno troppo e dormiranno troppo sugli allori, credo che perderanno il treno dell’innovazione.
Terza risposta: supporto alle iniziative dei dipendenti. Ti dicevo prima con Wind Tre esattamente questo al quale abbiamo pensato: far sperimentare ai nostri giovani che, ahimè, ancora percentualmente devono crescere (questo è l’impegno, che oggi l’azienda, da questo punto di vista, si prende) a sperimentarsi con logiche di autoimprenditorialità. In qualche circostanza , noi abbiamo anche, come dire, comprato il brevetto di alcune nostre operazioni che alcuni dei nostri colleghi hanno fatto, semplicemente perché lavorando in alcuni settori (penso al mondo del call center, del Crm) hanno avuto, come dire, la voglia, l’ardire, il sogno comunque di sviluppare applicazioni che poi sono servite all’azienda nella gestione del proprio business quotidiano. Questo l’abbiamo fatto nel passato. Sostegno ad iniziative di dipendenti che invece scelgono di diventare imprenditori, oggi ancora non ci siamo. Può essere un’opportunità soprattutto in quella logica di costituzione dell’ecosistema di cui ti parlavo prima, perché ovviamente chi lavora all’interno di un’azienda poi ne conosce molto bene i meccanismi, conosce molto bene il mercato, ha un vissuto del cliente che può consentirgli realmente di fare il salto di qualità.
Maria Chiara, io sono un ottimista, come te, mi pare di capire. Questo straordinario regalo della vita che ti è arrivato, secondo me è un arricchimento vero che ti porterai dentro anche nella tua vita lavorativa. Spero e sono convinto, come diceva prima Sapelli, che le tue colleghe e i tuoi colleghi non abbiano occupato la tua scrivania, il tuo desk durante la tua assenza. Credo comunque che uno sforzo vero che grandi, medie e piccole imprese devono fare è che oggi devono trovare assolutamente il giusto equilibrio tra il tempo di lavoro e il tempo di vita. Vincono, secondo me, nel mercato, le aziende che hanno questo tipo di capacità. Le aziende che alla fine non consentono di avere il giusto equilibrio fra un rapporto con la famiglia, il rapporto con i propri figli sia come papà che come mamma, credo che sono destinate a perdere motivazione, grinta, voglia di fare da parte delle aziende. Credo che su questo, la comunicazione, la comunicazione interna in modo particolare, può fare molto.
Io , da questo punto di vista, ho un piccolo video, un video istituzionale. Noi per il quarto anno consecutivo come Wind Tre lo abbiamo fatto. Non parla di prodotto, non parla di servizio ma parla esattamente del ruolo che la comunicazione può avere. E’ un corto di centoventi secondi che lanceremo nei prossimi giorni sul web. Mi farebbe piacere condividerlo, non so se questo è il momento giusto ma comunque vorrei regalarvelo, sperando ovviamente che vi piaccia e incontri il vostro favore.
Video
MASSIMO ANGELINI:
Credo che se abbiamo la capacità di comunicare con un’ape, possiamo seriamente comunicare con le nostre imprese.
FRANCESCO DELZIO:
Sì, allora tre domande molto interessanti perché ci raccontano le sfide della generazione attuale dei venti-trentenni: la ricerca di esperienze nel mondo. La prima: la capacità di crearsi un’opportunità professionale da soli, scommettendo sulle proprie competenze. La seconda e la terza: il dramma dei nostri tempi, cioè la conciliazione tra lavoro e creazione di famiglia. Provo a dare qualche risposta. Sulla prima: ovviamente le esperienze nel mondo, se qualificate, rendono un curriculum immensamente più forte, in questo momento. Quindi, mi pare si chiami Marco, il ragazzo che ci ha raccontato questa sua esperienza, a lui dico che comunque questo tipo di esperienza, a prescindere dalla gratificazione che all’interno della sua azienda avrà, lo rafforzerà molto e, quindi, potrà rafforzarlo, se troverà la strada giusta per crescere rapidamente in quella azienda, ma anche fuori. Francamente l’idea che chi possa cercare delle opportunità professionali in altre aziende sia un mercenario, è un’idea che per definizione mi sembra un non sense, visto che chi sta sul mercato con le proprie competenze è un mercenario, certo, ma nel senso migliore del termine. Quindi un grande incoraggiamento al primo amico, perché quel tipo di esperienza comunque accelererà la sua capacità di crescita professionale, comunque vada. Che trovi uno sbocco positivo nella sua azienda o che possa “rivendersi” da mercenario, nel senso sano del termine, sul mercato con la forza del suo curriculum. Sul secondo tema: le grandi e le medie aziende stanno investendo sempre di più sulla innovazione aperta, ma lo stanno facendo finalmente negli ultimi anni in maniera strutturata, cioè creando dei sistemi di radar, sostanzialmente, che consentano di intercettare le start up fin dalla fase addirittura di immediata creazione, cioè prima che arrivino sul mercato, le start up che sono più coerenti con il core business dell’azienda o del gruppo. Noi, come Atlantia, lo stiamo facendo con un consorzio che si chiama Xeie, che ci unisce a Fiat-Chrysler e a Erg, per una ricerca e per un tipo di interazione con start up di tutto il mondo. Devo dire che questo tipo di interazione funziona molto bene, funzione soprattutto quando, al di là dei capitali, quindi dell’acquisizione o dell’ingresso che la grande azienda fa nel capitale della start up, c’è una trasmissione di conoscenze, cioè, quando siamo in grado (e lo stiamo facendo sempre più spesso) di aiutare la start up a direzionare meglio l’idea creativa iniziale perché diventi efficace, vincente immediatamente sul mercato di riferimento.
Terzo tema è il più complicato di tutti, cioè quello della conciliazione tra la maternità e il lavoro. Da questo punto di vista io sono meno ottimista, nel senso che vedo storie e realtà molto frequenti di penalizzazione, non tanto retributiva delle madri che tornano, ma soprattutto professionale. Credo che da questo punto di vista ci sia bisogno di qualche garanzia in più che oggi non c’è, non può essere una garanzia di legge, ma potrebbe appartenere, come dire, alle varie forme di responsabilità sociale delle aziende, oggi sempre più sbandierate e sempre più utilizzate dal punto di vista del marketing, perché le sensibilità nuove, i soft skills nuovi che una madre riesce ad acquisire per il solo fatto di fare il suo mestiere naturale, il più bello del mondo, quello di madre, in realtà risulteranno utilissimi poi anche nel rientro in azienda, per esempio, proprio nel settore della gestione dei media o della gestione del personale o della gestione dei consumatori. Quindi su questo, secondo me, le grandi, le medie aziende italiane devono fare ancora un passo in più. Grazie.
VITALIY NOVIKOV:
Sì, grazie. Un paio di riflessioni prima sull’ultimo tema, il tema difficile. Noi abbiamo tante discussioni sul tema della maternità e su come possiamo supportare le nostre donne che vanno via e poi tornano. Essendo una grande azienda (come ho detto prima, abbiamo più di 2000 dipendenti), dobbiamo assicurare che abbiamo le strutture che ci aiutino ad avere tutte le informazioni per poi gestire questo processo. In questo senso noi dipendiamo dal nostro processo nelle risorse umane, dove noi vogliamo assicurare che le persone, dei talent, anche performance. In modo molto pragmatico performance e talent sono le cose che possono determinare poi lo sviluppo. E poi, parlando delle donne che vanno in maternità, vogliamo assicurare che abbiamo la visibilità. E, quando loro sono pronte a tornare, creiamo le condizioni, perché l’osservazione è: non è il problema delle donne che sono tornate per crescere e fare carriera, loro ogni tanto non vogliono tornare, perché non è possibile combinare il mondo del lavoro con la maternità.
E noi stiamo lavorando su questo, noi stiamo creando condizioni per il remote working, dove le nostre persone possano lavorare da casa. Adesso sono cinque giorni al mese e poi sessanta all’anno. Noi abbiamo i flexible working hours, dove le persone devono registrarsi solo una volta al giorno e poi gestire il proprio giorno lavorativo, come serve per meglio organizzare la vita personale. E queste sono le cose concrete. Sono d’accordo che non basti e stiamo lavorando costantemente sul miglioramento in questa direzione, ma le cose piccole concrete sono le cose che posso credere che sono già implementate. Per quanto riguarda le startup, la prima cosa che posso dire è: tutte le esperienze internazionali sono le cose per cui grandi aziende valgono, perché, anche quando pensiamo che ci siano ancora aziende locali in Italia, non ci sono in realtà, neanche in altri paesi. Il mondo è molto molto interconnesso e oggi noi stiamo sempre cercando le persone (noi le chiamiamo talent), che hanno un po’ di esperienza interculturale, vuol dire internazionale. L’Italia, devo dire, perché possiamo fare il paragone con altri paesi nel sistema Coca-Cola, non è un paese molto avanzato in questo senso. Questo vuol dire la prima cosa: i giovani Italiani devono uscire, devono guardare fuori. Ma la seconda cosa è: gli italiani giovani che lo fanno oggi hanno un vantaggio competitivo abbastanza forte in questo paese.
Io non sono italiano, ma io ho visto tanti paesi, posso fare questo paragone, dal punto di vista personale anche. Poi per quanto riguarda la startup: la possibilità di combinare queste attività con il lavoro in una grande azienda, non credo, per essere onesto, che sia una combinazione anche pensabile, perché noi abbiamo i ruoli abbastanza concreti e le aspettative, le aspettative abbastanza concrete. Al lavoro dei nostri dipendenti vogliamo supportare il loro sviluppo, ma non si può combinare un lavoro di altro genere con il lavoro in una grande azienda. Dal punto di vista pragmatico non credo che sarà possibile; nel futuro probabilmente, dopo anni dove il mondo di grandi aziende non esiste più. Se c’è questo fenomeno, sarà un mondo diverso, ma oggi non direi che sia possibile questo. Ma noi lavoriamo dal punto di vista digitale, tutte le applicazioni che noi sviluppiamo, anche User Power per esempio, che utilizziamo per supportare il nostro programma di cui ho parlato prima, queste applicazioni sono state sviluppate da giovani imprenditori che lavorano in questo mondo digitale, come fornitori lavorano con noi, noi non sviluppiamo queste cose in casa, parlando di competence, non è nostra competence, non sappiamo come fare questo, ma in questo senso con i nostri fornitori supportiamo assolutamente questo sviluppo del futuro. Grazie.
GIULIO SAPELLI:
La prima cosa che voglio dire è l’esperienza che ci ha portato qui l’ingegnere mamma o la mamma ingegnere, dicevamo con Angelini, dipende da noi, cioè dipende dalla dirigenza, si parla tanto di corporate social responsability, ma la prima corporate social responsability è verso i propri dipendenti, e quindi che la maternità venga accolta come un passo avanti non invece come una regressione, e per questo, sì c’è l’appoggio legislativo, le leggi, ecc., però il problema è il clima aziendale, creare una corporate culture che sviluppi questo. Naturalmente c’è poi il welfare, di cui non abbiamo parlato, qui abbiamo fatto dei passi indietro terribili. Il welfare aziendale ormai era normale che fosse gratis, adesso le aziende hanno il welfare aziendale ma portare i bambini all’asilo nido all’azienda costa 400 euro. Quindi mi chiedo se non sia un welfare aziendale un po’ peloso. Mi ricordo che un tempo si facevano addirittura, esperienza di Tim e della grande Telecom, noi ci occupavamo molto, io mi ero occupato di questo piano di…, dato che avevamo dipendenti bravi, intelligenti, middle management, che dopo la maternità aveva tirato su i figli, aveva abbandonato il lavoro, quando i ragazzi avevano 10, 15 anni, voleva tornare in azienda, e noi avevamo un sistema di sensori per cui seguivamo queste persone, i famosi Ki people, e abbiamo fatto un piano per favorire il rientro, soprattutto di queste signore, all’interno dell’azienda. Che avevano una capacità, soprattutto nel rapporto con la clientela, naturalmente, ma lì era un tempo completamente diverso, era un sogno i dirigenti passavano due ore alla settimana in cuffia, ancora lo fate, ma, quando lo proponemmo io e Roberto Maglione a Marco De Benedetti ci presero per dei matti, “ma cosa, siete pazzi, io devo perdere del tempo per sentire Enrico?” “certo”. Ecco, questo mondo è molto importante.
Veniamo poi alle logiche di sopravvivenza nella grande impresa, perché nella grande impresa si deve fare carriera ma si deve anche sopravvivere. Primo: bisogna parlare a se stessi. In una multinazionale un tempo le cose erano molto semplici, le donne seguivano il proprio uomo, in Libia, in Brasile, nel mondo. Adesso le cose sono molto diverse, è giusto, per questo non vuol dire che non bisogna più sposarsi se si vuol lavorare nelle multinazionali, però sicuramente un rapporto di coppia oggi è profondamente cambiato e un dirigente delle multinazionali deve mettere in considerazione, e qui l’azienda deve fare una politica attiva. Come sempre le grandi imprese multinazionali nordamericane sono state, adesso anche lì son molto cambiate perché la finanza la fa da padrona e c’è il record a … , ma prima che arrivasse la teoria dell’agenzia, cioè l’agency teory, prima che arrivasse questo dominio della grande finanza, l’esperienza storica delle multinazionali è straordinaria.
Ad esempio si favoriva il lavoro della moglie assieme al marito. Se leggete i libri di Ansoff, ecc. Si cercava di favorire un atteggiamento, cioè le grandi imprese si occupavano della vita familiare, oggi naturalmente questo incontra una serie di diffidenze, alcuni non vogliono, si pensa che si penetra nell’intimità, c’è la privacy. Ecco quello no, non è la privacy, era un modo di garantire un welfare aziendale. La cosa essenziale è l’equilibrio fra la corporate culture e la cultura delle persone che lavorano in azienda.
Un giovane, secondo me, nella grande azienda, penso che qui siam convinti tutti, dovete scegliere: o fare una carriera da profectional o da manager. I manager tedeschi vengono premiati perché fanno una carriera da profectional: sono dei grandi tecnici, stanno negli stabilimenti, poi scalano la ciminiera del board e salgono, abbiamo degli ingegneri che fanno … Il modello anglosassone è più generalista, si passa la vita, si può passare da dirigere una impresa di grandi distribuzioni e poi passare a dirigere un’impresa di automotive, è tutto un altro discorso.
L’Italia non ha mai raggiunto una sua corporate culture, stabile, perché siamo un paese di molte culture e siamo stati penetrati da molte culture manageriali. Oggi non penetra più niente, perché non si fa più cultura manageriale come una volta, non esistono riviste, quelle che esistono vi invito a non leggerle, perché sono veramente devastanti. L’unica rivista che esce è ancora Harward businness review, ma non è una rivista fatta in Italia.
Poi c’è un problema che non ha sollevato nessuno. A volte serve l’invisibilità per star bene in un’azienda, perché se sei troppo visibile ti segano, e questa è una cosa molto seria, è una tecnica manageriale, il nascondimento, il nicodemismo, cioè bisogna stare molto attenti perchè soprattutto le grandi imprese sono fatte per cordate, sono sistemi politici, quindi per vivere in una grande impresa bisogna avere un’intelligenza politica, l’impresa non è solo un attore economico, è un sistema politico, ha dei gruppi di forza, ha delle cordate. Quindi un giovane deve imparare, la lettura del Principe di Machiavelli è lettura indispensabile per fare carriera nella grande impresa. Chi non lo fa, è morto. Quindi le start up, le start up sono contento che facciate le start up, molto bene, però sono d’accordo con Novikov, la penso esattamente come lui, son due mondi diversi la grande impresa e la … , poi ogni tanto può pigliare un po’ di, può acquistarne qualcuna. Vorrei solo raccomandare a chi fa le start up di capire che fa impresa però eh, e quindi i conti devono essere a posto dal primo giorno, perché molte di queste start up vivono di ubriacatura finanziaria e sembra un po’ un gioco di sant’Antonio, dai diecimila a me, poi io te ne do a te, poi… Quindi bisogna fare un businness plan, ecc. , bisogna stare attenti. E poi… buona fortuna!
FRANCESCO MAGNI:
Grazie. Abbiamo parlato di mettere al centro la persona e il capitale umano, di rapporti tra generazioni, delle sfide che la rivoluzione tecnologica porta nel mercato del lavoro, abbiamo parlato di crisi della grande azienda, e quindi mi piace concludere questo nostro dialogo di oggi con una frase di un presidente degli Stati Uniti, Abram Lincoln, che nel 1862 così scriveva: “I dogmi del tranquillo passato sono inadeguati al burrascoso presente, la situazione è irta di difficoltà, essendo il nostro caso nuovo, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo, dobbiamo disincantarci e allora salveremo il nostro paese.” Ecco mi sembra che il tentativo che abbiamo fatto qui oggi, e ringrazio moltissimo i nostri ospiti della loro disponibilità a mettersi in gioco con le domande, è un tentativo che va in questa direzione: pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo di fronte a questo contesto che cambia continuamente. Così come vi invito a visitare la mostra allestita al padiglione B1 “Ognuno al suo lavoro”, dove tutti questi temi che abbiamo accennato oggi costituiscono il filo rosso di un tentativo di dialogo e di confronto che può andare avanti. Proprio per continuare e far sì che questo spazio, questa possibilità di dialogo e di confronto possa continuare a esistere, e qui concludo, vi ricordo e vi invito a contribuire alla costruzione del Meeting in prima persona attraverso i vari spazi Dona Ora, dove è possibile aiutare a far sì che uno spazio come il Meeting possa continuare a esistere e a generare dei confronti come quello che abbiamo messo in piedi oggi tra i giovani e grandi aziende e grandi personalità. Grazie per la vostra attenzione e buon proseguimento.