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GIOVANI Vs CRISI. UN CAFFÈ CON GLI STARTUPPER: INFRASTRUTTURE & CLOUD
Partecipano: Giacomo Baffoni, Co-founder di EcoFuturo Sas; Giuseppe Cataudo, CEO and Co-Founder di Ecologie Digitali Srl; Roberto Mircoli, General Manager di Eco4Cloud Srl; Cosimo Palmisano, CEO & Founder ECCE Inc. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
GIOVANI Vs CRISI. UN CAFFÈ CON GLI STARTUPPER: INFRASTRUTTURE & CLOUD
Ore: 13.45 Sala Mimosa B6
Partecipano: Giacomo Baffoni, Co-founder di EcoFuturo Sas; Giuseppe Cataudo, CEO and Co-Founder di Ecologie Digitali Srl; Roberto Mircoli, General Manager di Eco4Cloud Srl; Cosimo Palmisano, CEO & Founder ECCE Inc. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
SANTIAGO MAZZA:
Buongiorno a tutti, grazie di essere nuovamente qui con noi. Stiamo seguendo un appuntamento, un caffè, quindi dopo pranzo, con gli startupper. Vogliamo renderci conto di come questi giovani o meno giovani oggi, in un momento di gravissima e grande difficoltà continuino ad andare avanti, facciano impresa, si inventino anche imprese che in alcuni casi cambiano il mondo, cambiano anche il nostro modo di vivere. Oggi trattiamo il tema infrastrutture e cloud. Abbiamo visto in questi giorni che ci sono delle persone che ascoltano questi giovani veramente e seriamente tutti i giorni. Li ascoltano al punto di finanziare anche le iniziative, finanziare l’idea di una persona o ragazzo che vuole dare sfogo al proprio talento attraverso lo sviluppo della propria impresa. Sono loro i veri rivoluzionari dei nostri giorni, idealisti, concreti, appassionati e instancabili. Sanno creare continuamente reti di persone, ingaggiate dalla forza irresistibile dei loro progetti, che in alcuni casi sono molto diversi, a volte hanno anche ambizioni veramente grandi: il riscaldamento globale, la fine dell’acqua, l’istruzione dei bambini nelle zone di guerra, la fame, la sostituzione della plastica con materiali biodegradabili, la drastica riduzione delle nostre risorse energetiche. Tranquilli, io sono sereno perché sono loro che in questo momento se ne stanno occupando. Almeno stanno facendo delle start-up, delle imprese che tentano di cambiare il mondo. Sono onorato di avere un caro amico che si sta occupando da tanto tempo della comunicazione sostenibile. È appena tornato dalla Giornata mondiale della gioventù, Giuseppe Lanzi. Sappiamo usufruire oggi delle tecnologie Web, del digitale in sé e in senso ampio grazie all’energia elettrica, quindi molte volte ci dimentichiamo che dietro ogni sito Internet, ogni ricerca che facciamo su Google, alle ricerche che facciamo anche in mobilità ci sono le infrastrutture tecnologiche che ce lo consentono. Queste infrastrutture sono dei palazzi fisici, dove sono posizionati questi server, questi grossi computer, nel nostro gergo sono IDC, internet data center, che sono alimentati quotidianamente da energia elettrica. Questi data server, queste strutture hanno un grosso consumo di energia anche basata sul petrolio, comunque elettrica, che ha un grosso impatto di inquinamento ambientale. Quindi questi server poi per essere raffreddati hanno bisogno di grossi carichi di energia elettrica. Proprio sulla riduzione delle energie elettriche, quindi sulle risorse energetiche, il nostro amico Giuseppe Cataudo, che ringrazio per essere qui con noi, ha dato avvio alla sua attività imprenditoriale. Quindi raccontaci un po’, Giuseppe, come ti è venuto in mente di inventare una tua impresa, raccontaci da dove sei partito con la tua idea.
GIUSEPPE CATAUDO:
Buongiorno a tutti. Io sono partito da un’esperienza abbastanza comune, dall’attività di freelance, di responsabile commerciale per una società di Faenza qui vicino. Mi occupavo appunto di cercare clienti per una web agency e sviluppavamo siti web. Personalmente ho sempre avuto una particolare attenzione per il mondo del green, dell’ambiente e della natura in generale, e conscio degli enormi consumi dei data center che hai descritto prima, volevo intraprendere una strada che potesse coniugare il digitale, il mio lavoro, con la mia passione per il mondo del green, dell’ambiente, e per farlo la soluzione che mi sembrava più immediata e anche più risolutiva era appunto quella di integrare la sostenibilità dal punto di vista energetico e le tecnologie digitali. Come prima cosa i data center, che stanno alla base del mondo digitale, anche dei consumi, come diceva giustamente Santiago, proprio per questa necessità di essere alimentati e refrigerati 24 h su 24, 365 giorni all’anno. Cercavamo un servizio green in Italia già esistente. Non l’abbiamo trovato; abbiamo visto che all’estero c’erano opportunità di diverso tipo in questo settore, ma in Italia il mercato era ancora inesplorato, e allora abbiamo deciso di buttarci e di provare a fare noi questo esperimento, questo mettere assieme la natura e la tecnologia, che sembrano due cose abbastanza autonome, non dico distanti, autonome. Nel senso che noi, quando utilizziamo il nostro IPad, non vediamo fumo nero spuntare dallo schermo, ma in realtà il consumo di energia elettrica, se questa energia elettrica viene prodotta con i combustibili fossili, genera immissioni di CO2. Qualsiasi strumento tecnologico che utilizza energia elettrica produce in maniera diretta inquinamento. Bene, non abbiamo aspettato moltissimo dalla nostra ricerca di mercato alla nostra follia di creare una azienda nostra, e ci siamo buttati all’inizio del 2012 e abbiamo creato Ecologie Digitali Srl, che è una società totalmente a capitale privato, che abbiamo creato io e il mio caro amico, anche lui un imprenditore giovane, sotto i 30 anni, che però di famiglia ha sempre investito e posto molta attenzione nelle energie rinnovabili. Abbiamo messo il mio know-how dal punto di vista tecnologico assieme e abbiamo creato appunto Ecologie Digitali, mettendo in piedi un piccolo data center, una piccola server farm in provincia di Ravenna. Gli abbiamo dato il nome di “Hosting Sostenibile” e abbiamo creato appunto il primo data center green in Italia, alimentato da energia solare in autoconsumo virtualizzato. Il buon Mircoli dopo vi spiegherà in maniera molto più dettagliata che cosa significa la virtualizzazione di un data center, che in pratica è una partizione degli hard disk che punta a ottimizzare i consumi fisici di questi server che sono alimentati 24 h su 24. Ora, noi gestiamo il nostro progetto secondo i principi di sostenibilità anche etica, quindi abbiamo deciso di utilizzare solo e soltanto tecnologie open source e di rivendere solo e soltanto tecnologie open source per quel che riguarda le nostre macchine e scegliamo partner etici, sia come fornitori che come partner di progetto. Abbiamo delle cooperative sociali di tipo B, come “Live”, che è nostro partner per la registrazione dei domini, e cerchiamo di porre molta attenzione nella divulgazione dei principi di sostenibilità legati al mondo del digitale. Internet viene percepito come il media in assoluto più pulito, più etico, più green. In realtà, proprio a causa dei consumi elettrici e a causa del fatto che questi consumi elettrici stanno aumentando via via che aumenta lo sviluppo tecnologico, l’impatto del Web è molto molto forte. Nelle slides che avevo preparato, la prima slide in assoluto dà un dato abbastanza allarmante che è del 2008 tra l’altro: Internet inquinava nel 2008 quanto una intera aviazione civile mondiale. Sappiamo tutti che prendere un aereo è più inquinante che prendere un treno o di andare in bicicletta, non sappiamo invece che postare un gattino su Facebook può generare della CO2. Questo perché tutti i server in generale creano molta CO2 a causa dei loro consumi energetici. Questi costumi sono di circa 4 tonnellate di CO2 all’anno per server. Immaginate che in ogni data center ci sono migliaia e migliaia di server sempre attivi e che devono essere climatizzati. Tre e-mail che girano ovviamente all’interno dei server rimbalzano da un server all’altro e producono più o meno la stessa CO2 per percorrere un chilometro in auto. Questo è un dato che sciocca abbastanza le persone quando ne vengono a conoscenza. E Facebook produce più o meno tre volte e mezzo l’inquinamento generato dall’Islanda. L’Islanda è uno dei nuovi paradisi dei data center grazie all’energia geotermica che può alimentare queste strutture in maniera sicuramente vantaggiosa dal punto di vista economico, ma vantaggiosa anche dal punto di vista ambientale. Noi abbiamo, come vi dicevo, avviato Ecologie Digitali in Italia, il nostro piccolo progetto, che ha creato il sottoprogetto “hosting sostenibile” che è stato lanciato alla fine del 2012. Attualmente noi basiamo il nostro lavoro su quattro principi di sostenibilità che sono quelli che vi ho elencato prima: energia pulita, quindi abbiamo un impianto fotovoltaico in alto consumo che alimenta direttamente la nostra infrastruttura dati, e questa all’interno di una struttura in una sorta di co-working, in quanto nella nostra infrastruttura ci sono anche altre realtà imprenditoriali. Abbiamo deciso di ridurre i consumi virtualizzando in maniera importante la nostra infrastruttura, quindi riducendo il più possibile il consumo di energia elettrica; utilizziamo software liberi open source per la gestione del data center e per la vendita dei nostri prodotti scegliamo partner etici come quelli che vi abbiamo elencato prima e vendiamo servizi di sharing hosting e vps, quindi un po’ stile Aruba, che è probabilmente uno dei fornitori di questo genere di servizi più conosciuti, almeno a livello nazionale. Questo è il primo step. Abbiamo deciso di investire principalmente in questo settore per far sì che il progetto possa essere messo a conoscenza del numero maggiore di persone possibili, e quindi abbiamo deciso di posizionarci su un servizio base accessibile a tutti quanti anche come costi, in modo da poter permettere a tutti di poter avere un loro sito sostenibile. Gli obiettivi che abbiamo raggiunto, se vogliamo chiamarli così, sono questi. Siamo partiti a settembre del 2012, abbiamo partecipato ad Ecomondo assieme a Santiago, assieme a Giuseppe Lanzi, che sono qui oggi con noi. Abbiamo fatto un tour di presentazione e di sensibilizzazione del nostro progetto per cercare di divulgare i principi della sostenibilità green. In questi mesi abbiamo raggiunto l’attivazione di circa 130 nuovi hosting, quindi abbiamo circa 130 clienti attivi sui nostri data center e abbiamo cominciato a collaborare con enti e istituzioni, Legambiente, Amnesty International, con realtà abbastanza importanti sia a livello nazionale che a livello internazionale. Quello che faremo, che abbiamo in cantiere, è evolvere il progetto dal singolo spazio di shared hosting, dal singolo servizio stile Aruba alla creazione magari di un modulo di data center green energeticamente autonomo. Vogliamo creare un data center autonomo dal punto di vista energetico che potrà essere utopisticamente staccato dall’energia tradizionale, in modo da abbattere al 100% i propri consumi. Ovviamente preciso “utopisticamente”, perché un servizio come l’accesso ai dati deve essere coperto al 100% sempre dalla fornitura energetica. E in più pensiamo alla creazione di una certificazione di sostenibilità per i data center già attivi. Questi sono ovviamente due progetti attualmente in sviluppo, che si affiancano a quelli della vendita di shared hosting che si mixano per cercare di portare avanti soprattutto una sorta di principio di sostenibilità legata al green, cercando di diffondere il più possibile le best practices. Speriamo anche che ci siano altre realtà che vogliano copiarci. Sicuramente ci sono altri grossi players che stanno investendo in questo settore e sicuramente il futuro, sia a livello economico che a livello ambientale, dovrà puntare sulle tecnologie green anche in ambito digitale, se non per una questione ambientale, di amore per la natura, anche per una questione di costi, visto il grande innalzamento del costo di energia elettrica e le esigue risorse che ci sono rimaste. Queste erano le poche slides che avevo preparato per voi e questi sono i miei contatti.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie Giuseppe, è veramente interessante. Su cosa vuol dire innovazione, se ne sente parlare in ogni circostanza. Ma innovazione è quando inventiamo qualcosa di nuovo che cambia al meglio la vita delle persone.
GIUSEPPE CATAUDO:
Sì, infatti, come penso si capisca da questa presentazione, noi abbiamo messo assieme delle tecnologie assolutamente esistenti che mixate generano un valore aggiunto, che è appunto la possibilità di utilizzare liberamente le tecnologie digitali, senza per forza doverle demonizzare da un punto di vista mentale e psicologico, perché sembra che ci stiamo rintronando un pochettino, ma dipende dall’uso che se ne fa, sia da un punto di vista economico e ambientale
SANTIAGO MAZZA:
Tu non vivi a Roma, non vivi neanche a Milano. Sei qui in Romagna.
GIUSEPPE CATAUDO:
Io vivo a Lugo di Romagna.
SANTIAGO MAZZA:
Molte volte pensiamo che per fare noi impresa, soprattutto nel settore digitale, sia necessario essere in luoghi come Milano, Roma, dove c’è una concezione maggiore di imprese o altro. Non è vero?
GIUSEPPE CATAUDO:
C’è da dire che giro molto, eh!
SANTIAGO MAZZA:
Non è vero! Sicuramente come te, noi giriamo veramente tanto, ci spostiamo. Quindi cosa vuol dire per te essere di Ravenna, fare il tuo mestiere, Il tuo lavoro?
GIUSEPPE CATAUDO:
Allora, dal punto di vista strettamente operativo è assolutamente indifferente essere a Milano, essere a Roma o a Ravenna o in Silicon Valley o a Londra, perché grazie alle tecnologie digitali ci si può organizzare e essere operativi ovunque. Io ho lavorato prima nel vostro stand, qui dietro, esattamente come se fossi stato nel mio ufficio a Lugo. Dal punto di vista ovviamente dell’opportunità e dell’incontro di venture capital list piuttosto che di aziende e clienti sensibili ai problemi che noi trattiamo, ovviamente è un po’ più difficoltoso, se non altro anche per una questione di tipologie di aziende. Siamo in una realtà ancora molto piccola.
SANTIAGO MAZZA:
Chiaro. Quanti anni hai?
GIUSEPPE CATAUDO:
29.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie.
GIUSEPPE CATAUDO:
Grazie a voi.
SANTIAGO MAZZA:
Dopo la grande esperienza di lavoro in multinazionali tecnologiche, come Sisco, Roberto, so che hai come obiettivo quello di abbattere il 30 o il 60% delle bollette energetiche e le relative emissioni di CO2 dei data center ad elevata tecnologia. Anzitutto ti chiedo, se posso, quanti anni hai e per quale motivo hai lasciato una grande impresa, una multinazionale, con tutto quello che vuol dire. Generalmente lavorare in una multinazionale vuol dire avere le spalle ben coperte, perché hai sempre una struttura logica dietro fondata da tanti anni che ti può accompagnare. Tu hai lasciato il tutto – tra l’altro sei papà di due figlie – e quindi, con grande responsabilità, cosa vuol dire metterti in gioco in un momento come quello che viviamo oggi?
ROBERTO MIRCOLI:
Io sono contento di condividere con voi le riflessioni che mi stai provocando. Presumibilmente sto parlando con una comunità di persone che ha ben in mente quanto negli ultimi pochi anni il tema sia stato evocato, discusso, dibattuto, soprattutto rispetto a tematiche come la start up, come elemento che crea occupazione, che accelera l’innovazione, che attrae investimenti. Tutte tematiche molto legate al ruolo che può avere la start up come iniziativa per un rilancio dell’economia. Questo contesto, il Meeting, mi sembra l’occasione ideale per compendiare questo modo di guardare le start up con il significato che possono avere iniziative come questa sul piano strettamente personale, delle scelte individuali, delle sfide che uno decide di prendersi oppure vede passare davanti perché non se le stata cercando e nel momento in cui le vede passare le riconosce e gli fanno scattare qualcosa in termini di motivazione personale. Santiago, tu, nella tua introduzione, hai usato delle parole chiave che hanno risuonato parecchio nella mia riflessione personale. Tu hai parlato anche di senso di identità che gli individui hanno anche sul piano professionale, e hai anche spiegato cosa significa il senso dell’identità. Significa chiedersi chi si è e, in base a chi si è o a chi si vuole diventare, dove si vuole andare. Credo quindi che questa chiacchierata che possiamo fare oggi insieme sia anche un’occasione per confrontarsi non soltanto sul primo livello di che cosa sia una start up, cosa fa, perché è innovativa, ma soprattutto sul significato che può avere sul piano delle scelte personali, individuali e poi di tutti quelli che partecipano all’avventura. L’aspetto che si tocca poco è il contenuto emozionale di un’avventura di start up, il senso di motivazione e di slancio che parte magari da un individuo, da un gruppo ristretto, ma poi si allarga. Io ho un percorso che fino a pochi mesi fa, fino a circa un anno fa, si è sviluppato professionalmente in un contesto molto privilegiato di multinazionale nel campo della tecnologia, in ruoli internazionali, quindi esposto a parecchie opportunità, stimoli, modi di pensare e di divertirmi secondo schemi culturali non proprio italici, come quelli che vedete alle mie spalle nel video. Dopo dodici anni – che non sono solo dodici anni di lavoro, ma anche di maturazione personale, ciascuno di noi in dodici anni cambia molto come individuo – buona parte di quella struttura a un certo punto, senza che lo si riconoscesse, è diventata anche sovrastruttura. Per sovrastruttura intendo qualcosa che in qualche modo ti inquadra, ti irretisce e rischia di lasciarti soltanto una strada tracciata come un binario invece che la prateria aperta. E questa è una immagine che dà una buona sensazione di quale è la differenza tra una start up che parte da poco, dal nulla, che ha davanti a sé più o meno tutto possibile, rispetto invece a chi, magari con un bel transatlantico, sta navigando a velocità di crociera, una velocità già tracciata, un computer che governa la rotta ma lascia poco il senso del perché individuale. Quindi la start up, di cui sono orgogliosissimo partecipante oggi, è Eco4Cloud. Che facciamo? Facciamo esattamente quello che è già stato detto, attraverso una proprietà intellettuale molto innovativa, un sistema software che riduce significativamente i consumi energetici di questi mostri che sono i data center mondiali, dove vengono consolidate buona parte delle infrastrutture informatiche che erogano i servizi informatici delle aziende, ma anche quelli che usiamo tutti noi quando twittiamo, quando postiamo su Facebook, ecc. La cosa che rende un po’ romantico il tutto è che questa startupper nasce come spin off, come emanazione di un gruppo di ricercatori, scienziati del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, che sta a Cosenza. Ora non c’è niente di male a stare a Cosenza, ma adesso vi dico anche qual è la dicotomia tra l’essere a Cosenza, nel profondo sud dell’Italia, per degli intelletti che sviluppano qualcosa di realmente innovativo a livello mondiale e che prendono l’iniziativa non solo di compiacersene, ma anche di lanciare a se stessi una sfida, di farla diventare una cosa di più che una buona idea celebrata nei consessi accademici, ma di costruirci un prodotto, un’azienda, di creare del valore più allargato. Questa è Eco4Cloud. Il tema è la riduzione dei consumi energetici. Non solo un’azienda, che ha consumi energetici legati alle proprie strutture di data center, ha molti buoni motivi per ridurre quei consumi, che non sono solo motivi economici, anche, senz’altro, forse più importanti, ma anche di altra natura. L’altra cosa rilevante è quanto vale questo mercato. La valutazione che abbiamo fatto è che, considerando quando potranno fare risparmiare alle aziende del pianeta che consumano informatica attraverso i data center virtualizzati, gli ordini di grandezza sono di svariati miliardi di dollari. Questo sapete perché? I consumi di data center sono tanti, ma tanti quanto? Si stima, perché non si può avere una valutazione precisa, che siano dall’ordine di 150 miliardi di Kw/h all’anno solo negli Stati Uniti, con proiezioni di raddoppio di questi valori nell’arco dei prossimi di 3 – 4 anni in base all’accelerazione dell’utilizzo dell’informatica. Oggi questi consumi rappresentano circa il 3% di tutti i consumi energetici del pianeta. L’informatica, per la sua diffusione attuale, rappresenta il 3% di tutto il consumo del pianeta in termini di consumo di energia. Quindi il tema è rilevante, molto rilevante. Noi dove ci collochiamo? Naturalmente ci collochiamo vicino a quello che formiamo dentro i data center di più grandi dimensioni. Quindi immaginate i giganti data center che sono quelli che citava prima Giuseppe: Apple, Amazon, Facebook, Twitter, Google. Ma anche le grandi banche, le grandi multinazionali che hanno data center di grosse dimensioni, questi sono i nostri ambirti ideali dove la nostra startupper pensa di avere qualcosa di raccontare. A questo punto smetto di parlare di che cosa fa la startupper e dico cosa rappresenta tutto ciò per l’individuo che vi sta raccontando qualcosa, la mia esperienza. Questo significa che lo slancio è mondiale, quindi la prospettiva è coraggiosa. Lo slancio è mondiale verso colossi dell’’informatica che siano utenti o fornitori di informatica. Noi ci stiamo rapportando con i più grandi giganti dell’informatica mondiale, noi che siamo delle pulci. Però attenzione, questo ve lo sto un po’ enfatizzando per dirvi che non potremmo nemmeno sognare di farlo, e invece lo stiamo facendo e ci sta riuscendo anche abbastanza bene, se non avessimo una grande senso di determinazione. Quindi la prima cosa che vorrei lasciare su questo tavolo delle riflessioni è crederci. Avere qualcosa in cui credere, crederci veramente, così tanto che faccia credere anche agli altri a cui lo si racconta. L’altra cosa è che questo sgabello lo messo qua perché, dal punto di vista professionale, questa mia esperienza, provenendo dal mondo di cui dicevo prima, mi ha tolto tante sovrastrutture che in modelli aziendali complicati esistono e mi ha fatto riassumere in tre gambe di uno sgabello i rapporti di equilibrio e di coodipendenza che adesso, in una nuova startupper, si sono manifestati in anni di esperienza. Una di quelle tre gambe rappresenta la capacità di inventarsi qualcosa di nuovo e rilevante, quell’innovazione che crea impatto e credo di avervi dato qualche ordine di grandezza dell’ impatto di cui stiamo parlando. Nella mia esperienza sono quegli scienziati, quei ricercatori che, grazie al loro ingegno, nonostante fossero in una parte remota del pianeta dal punto di vista della cultura tecnologica, hanno avuto quest’intuizione. La seconda gamba è la gamba di chi poi crede in questi innovazioni, intuizioni e le finanzia. Quindi sono i finanziatori, i fondi di investimento che sono indispensabili. La terza gamba, molto modestamente, è un po’ rappresentata dal gioco che faccio io nel caso di Eco4Cloud e che giocano in generale i managers, la parte più imprenditoriale che si innesta all’intuizione creativa e al finanziamento che rende possibile partire. Ciascuno di questi tre elementi è indispensabile, uno ha bisogno dell’altro per dare vita a questo sogno che ogni start-up rappresenta. E vorrei dirvi adesso quale contributo sto dando io a questa start-up e anche qui lo faccio cercando di dirvi l’oggetto, il fatto e il suo significato. Io sto portando dentro questa start-up tutto quello che la mia esperienza personale e umana ho imparato negli anni e decenni precedenti. Dal punto di vista manageriale sto portando un senso dell’organizzazione, un approccio strutturato. Sto portando, forse, anche l’ingrediente più importante, le relazioni che negli anni ho costruito. Il network, quel network mondiale senza il quale col cavolo che io posso sognare di raccontare cosa facciamo a qualcuno che sta negli Stati Uniti, piuttosto che in Asia, piuttosto che in qualche Paese d’Europa. Quindi questo network è un network che non è fatto di biglietti da visita, è un network fatto di relazioni. quindi. Il mio invito, soprattutto ai ragazzi un po’ più giovani che stanno facendo qualcosa di valido nel proprio futuro, è di investire le proprie energie e il proprio tempo nel coltivare una rete di relazioni più ampia e profonda possibile, cioè basata sulla rilevanza. Ogni volta che incontrate qualcuno chiedetevi quanto voi potete essere rilevanti per quel qualcuno, e questo prima di chiedervi quanto quel qualcuno possa essere rilevante per voi. Quindi questa una cosa importate che volevo lasciarvi, l’importanza di costruirsi una rete di relazioni basata sul senso della rilevanza per chi vi sta di fronte, confidenti che poi quella rilevanza vi ritornerà indietro. L’altra cosa è il fattore umano di cui vi voglio parlare. Una start upper è fatta di poche persone che hanno una cosa in comune, che condividono il sogno per cui si sono costituiti startupper. Di quel sogno io faccio parte, mi sento molto parte e devo dire che la prova sogno è importante perché l’altra cosa che a ciascuno di noi, qualunque sia la sua età, anima la vita è sognare, ma sognare in grande. Avere il coraggio di sognare in grande per il semplice motivo che non solo è più bello, ma perché sognando in grande si contagia chi ci sta intorno, si irraggia chi sta intorno. Quindi nell’ambito del start-up bisogna avere coraggio, determinazione, sognare, raccontare il proprio sogno, un sogno che sia tanto grande da affascinare anche le persone cui lo raccontiamo. Magicamente le start-up di successo partono proprio da qui. Grazie
SANTIAGO MAZZA:
Grazie Roberto. Una domanda veloce, perché quello che citavi alla fine secondo me è bello. E’ bello fatto di una relazione, di un gruppo di persone, di amici che vanno insieme dietro un sogno condiviso. Cosa cambia questo nella quotidianità del lavoro?
ROBERTO MIRCOLI:
Intanto evitiamo un equivoco, non è che si può sognare nelle start-up, si può sognare in qualunque ambito, per carità. Però devo dirti che è decisamente più facile, molto più probabile, molto più naturale ogni mattina alzarsi, sapendo esattamente quello che si vuole fare quel giorno e il motivo per cui lo si vuole fare. È quella sensazione che ogni volta che un giorno finisce, in cui si è riusciti a fare solo una pare di quello che si sarebbe voluto fare, ha un timbro un po’ frustrante. Ma da un altro punto ti dice quanta accelerazione stai sperimentando. La differenza lo fa il sapere cosa si sta facendo, perché lo si sta facendo e avere chiarissimo in mente l’obiettivo di quel sogno, verso il quale ogni singolo passo che stai facendo ogni giorno ti fa avvicinare sempre di più. Questa è una grande differenza di stato d’animo, di sensazione.
SANTIAGO MAZZA:
E’ proprio così, nel senso che il problema del Meeting di Rimini, “Emergenza uomo”, ci riveste di una responsabilità maggiore. Quindi ognuno di noi, giovani, meno giovani, adulti, abbiamo una grande responsabilità in questa emergenza uomo. Dobbiamo saper chi siamo e in questo saper chi siamo, chi educa, chi fa l’imprenditore, voi giovani che studiate ancora o vi state laureando, tutti abbiamo la grande responsabilità di portare avanti un grande cambiamento. Sta a noi, ad ognuno col proprio ruolo, col proprio lavoro, farlo. Sognare in grande, non solamente accontentarsi. Grazie veramente. Parliamo di rete parliamo di Internet. Tutto quello che facciamo in rete rimane in rete, è un flusso continuo di dati e di informazioni che giorno dopo giorno aumenta, consentendoci di ottenere alcuni servizi nella estensione, che nel nostro gergo si chiamano big data. Vi cito una piccola applicazione fatta da Google, su Google maps, in cui riesci a vedere in tempo reale il traffico che c’è per arrivare qua in Fiera, al mattino alle 11. Questa è la gestione, per esempio, del big date, che vuol dire che in quel momento lì, in quella strada lì, ci sono tot persone interconnesse alla rete, in questo caso su Google. Quindi Google con l’utilizzo di questo data, lo rende disponibile per fare un servizio migliore, per esempio trovare delle strade alternative. Ecco, collegate a questo Cosimo Palmisano, che ringrazio di essere qui.
COSIMO PALMISANO:
Buongiorno a tutti, grazie. Oggi ho scoperto che sono un grande produttore di CO2.
SANTIAGO MAZZA:
Qui c’è qualcuno che ti può aiutare.
COSIMO PALMISANO:
Infatti siamo qui per imparare. Ho imparato anche questo. Perché produciamo CO2? Perché Ecce Customer, la start-up della quale vi parlerò a breve, quello che fa è macinare una grande mole di dati provenienti dai social network e restituirla alle aziende sotto forma di informazioni strutturate per poter prendere decisioni. A questi punto voi direte, tante informazioni, tanti dati, chi c’è dietro a questi informazioni? Chi c’è dietro a questi dati? Il cliente, chi c’è dietro il cliente? C’è l’uomo. Questo però non vi deve sconcertare, nel senso che quando nel 2009 lavoravo in una multinazionale e facevo livelli predittivi di acquisto per una grande multinazionale italiana, di fatto quello che facevo era prendere informazioni transazionali, quindi transazioni che avvenivano fra la azienda e le singole persone, le macinavo in modelli, in algoritmi statistici e dicevo ok, la persona A ha una propensione ad un acquisto, ad un determinato modello di auto più alta rispetto alla persona B. Però mancava un pezzo, era tutto molto formale. Nel senso che la transazione è un aspetto formale. Nel 2009 non esistevano ancora neanche le pagine Facebook ufficiali delle aziende. Se voi cercavate Prada su Facebook, di fatto uscivano dei gruppi, venivano fuori dei gruppi. Erano una decina, non sapevi neanche quali erano ufficiali o quali non erano ufficiali. L’innovazione dove è scattata nella mia mente? È scattata nel momento in cui ho pensato: “caspita, non che questi dati così dispersi, aggregandoli in qualche maniera, possono essere utili?”. E non pensavo tanto alle aziende, perché quando sono partito l’obbiettivo non era dare un valore alle aziende, era dare un valore al cliente e quindi all’uomo. In particolare lo davo a me stesso. Secondo me, il dato social in real time poteva dare concretezza a quei modelli preventivi. Se io sto parlando su Facebook di un determinato tipo di prodotto dell’azienda o del competitor, molto probabilmente ho un’alta propensione all’acquisto. Quindi questo meccanismo mi ha fatto scattare l’embolo, mi è partito l’embolo e ho detto: è “Ecce Customer”. “Emergenza uomo” è il tema. “Ecce Customer” viene da ecce homo. Non sto qui a disquisire, non è il mio mestiere, sono un ingegnere elettronico. Probabilmente ecce homo nella summa filosofica ha enne mila varianti. Però “Ecce Customer”, viene da ecce homo, ecco il cliente. Finalmente il cliente ha la possibilità di parlare direttamente alle aziende e vuole ricevere una risposta. Adesso il cliente, se vuole, è lui che fa il target alle aziende. È lui che va su Facebook o su Twitter e dice: “Caspita, questo prodotto o questo servizio poteva essere leggermente migliore, potreste fare questo”. Quindi suggerire nuove applicazioni alle aziende. Può lamentarsi, può incavolarsi, può dare sfogo a enne mila problemi. Queste informazioni è logico hanno un valore di business. Se qui ci sono 800mila persone nell’arco di sette giorni, immaginate 800mila persone che attraverso lo Smartphone cominciano a twittare verso il canale ufficiale o scrivere post su un canale ufficiale. Quello che facciamo è esattamente questo: aiutiamo le aziende a capire quello che accade sui social network, Facebook, Youtube e Twitter e qualsiasi altro social network che metterà a disposizione i dati per poter creare una start-up. Il grosso vantaggio di tutto questo è che le informazioni sono disponibili e sono scaricabili attraverso dei meccanismi che si chiamano epi.
SANTIAGO MAZZA:
Se posso fermarti un attimo, perché vedo che ci sono molti ragazzi giovani e magari anche persone che sono un po’ lontane dal nostro mondo. Quindi è come essere una piazza fisica, qui a Rimini c’è la piazza Ferrari, una piazza normalissima ed è come mettere un microfono in questa piazza e sapere individuare tutto quello che le persone liberamente fanno in questa piazza qua, catturando le informazioni di quali sono eventualmente anche i comportamenti.
COSIMO PALMISANO:
Corretto. Il principio di base è che se voi scrivete qualcosa sulla vostra bacheca personale, dicendo che il Meeting di Rimini è bellissimo, quell’informazione personale è dei vostri amici. Nel momento in cui esponete questo pensiero in una pagina pubblica, ufficiale, in quel momento siete appunto nella piazza e quell’informazione è disponibile a tutti coloro i quali possono farne uso in maniera intelligente. Le aziende stanno imparando a fare un uso intelligente di quelle informazioni. Allo stato attuale vi assicuro che più o meno il 30% dei clienti, invece di chiamare il call center di una azienda, va sulla pagina ufficiale di Facebook e scrive ufficialmente: “ho questo problema me lo risolvete?”. Se io scrivo un commento su una pagina Facebook ufficiale, la probabilità che qualcun altro mi risolva il problema in maniera molto più veloce di quello che farebbe il call center, è elevatissimo. Potrei trovare o delle persone dell’azienda pronte a rispondermi, ma soprattutto potrei trovare altri clienti come me che hanno avuto lo stesso problema. Questo meccanismo è diventato un meccanismo altamente positivo, che d’altro canto espone le aziende, ma le aziende sono ben contente, preferiscono che i problemi vengano esposti in un luogo specifico, gestibile e non disperse in tutto il Web. Questo è quello che faccio, che abbiamo fatto.
Come l’ho fatto? L’uomo non significa uomo al singolare ma significa uomini, tante persone. Io ho fatto un percorso: sono ingegnere elettronico, ho fatto un dottorato di ricerca fra Politecnico di Bari e la Stand Business School di New York, ho lavorato in una multinazionale, poi improvvisamente ho avuto quest’idea e sono partito per la Silicon Valley con una borsa fulbright. Quando sono arrivato in Silicon Valley, avevo un business plan, cioè avevo il classico power point, un po’ più complesso di quello di prima, in cui avevo il problema, la risoluzione, il potenziale mercato, tre, quattro competitors potenziali, insomma, un’idea non figa, di più. Miliardi e miliardi. Quando sono arrivato in Silicon Valley, ho scoperto competitors che stavano già fallendo, però non mi sono preoccupato, una cosa l’avevo capita: per far partire questa start up non era necessario tanto raccogliere dei soldi, perché anche se avessi avuto 10 milioni in tasca, avrei avuto comunque difficoltà ad investirli in maniera concreta e corretta per mettere su un’azienda. Quello che ho fatto, e che poi è successo, come tutte le cose, quasi per caso, ho incontrato un imprenditore di prima generazione, italiano, di Latina, Franco Petrucci, che aveva già fondato una società e che guarda caso stava facendo qualcosa di molto simile, e aveva una piattaforma per la gestione del dato che mi era utile. A quel punto mi sono compromesso e sono andato lì e gli ho esposto la mia idea. In Silicon Valley, ma credo anche qui alla fine, le persone non devono avere paura di condividere le proprie idee, perché alla fine un’idea è sempre un’idea, per trasformarle in innovazione ci vuole tempo ed esperienza, quindi anche se voi la raccontate a qualcuno, quella persona non avrà né il tempo né l’esperienza, potrà avere anche i soldi, ma per farla servirà Cosimo Palmisano, perché deve metterci l’impegno e la determinazione. Noi siamo partiti a marzo 2011, insieme a un’altra azienda che invece esiste da cinque anni. Insieme abbiamo raccolto un round di investimento di 15 milioni di dollari, per mantenere tutto lo sviluppo in Italia e aprirci al mondiale. A questo punto ci siamo arrivati puntando alto. Più spostate l’asticella, più ci si fa mal quando si cade, ma gli startupper non hanno paura, tanto hanno già compromesso gran parte della loro esistenza. Quindi non c’è mai stata la paura di puntare più in alto. Adesso come clienti abbiamo 30 multinazionali, ma venire qui al Meeting di Rimini e vedere lo stand di Intesa San Paolo, di Trenitalia, ti fa capire che effettivamente spostare l’asticella in alto ci ha spinto anche verso lidi che probabilmente io da solo non avrei mai pensato di approcciare. Avrei piuttosto pensato al mercato delle piccole imprese, perché in Italia il 99% delle aziende sono piccole imprese. In realtà abbiamo spinto con tantissima determinazione. Se proprio dovessi lasciare un messaggio, quindi uno spunto da lasciare sul tavolo, direi che è vero che c’è la crisi, è vero che c’è l’emergenza uomo, ma le start up non so se producano effettivamente ricchezza, sicuramente diffondono ottimismo, perché le persone che lavorano insieme a uno startupper comunque raccolgono energia positiva. Andare a lavorare per una start up è una svolta dal punto di vista umano e personalmente mi ha dato tanto vigore anche dal punto di vista personale. Tornando dalla Silicon Valley, facendo partire tutte le mie idee, ho trovato concretezza anche nella vita sentimentale, quindi ho trovato una nuova fidanzata, mi sono sposato. Ci sono dei meccanismi positivi che la start up lascia. Io non sminuirei il concetto di start up, lo allargherei al concetto di provare a rischiare con determinazione nella ricerca di un sogno che è il sogno è fondamentale.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie, grazie, grazie. Quindi, lo dico ai giovani, studiate con un grande sogno, studiate veramente, perché ce la possiamo fare. In quanti dipendenti siete, quanti collaboratori siete oggi?
COSIMO PALMISANO:
Siamo in tutto all’incirca cento persone, e siamo tutti basati a Latina. Latina è un famoso polo farmaceutico industriale, ma di certo non è uno dei posti più importanti per lo sviluppo di software, e in questo va dato merito Franco Petrucci, che è la persona che di fatto è stata il mio primo investitore, nel senso che ha creduto nell’idea, ha investito in tecnologia, dandomi la possibilità di approcciare il mercato. Da settembre apriremo il mercato americano, quindi abbiamo già un team di persone pronte a fare partire il mercato americano.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie, complimenti ancora. Grazie. Questo è Italia, questo è Made in Italy, questo è DNA nostro, cioè italiano. Non c’è nessuna differenza tra il nostro DNA e quello che ormai succede nell’immaginario reale della Silicon Valley, in Israele, in Cile. Questa è l’Italia, questo è Italia. Oggi è il tempo del fare e parlare molto meno, sognando. La rete in sé consuma tanta, tanta energia elettrica. Su questo però possiamo stare sicuramente tranquilli, perché qui ci sono degli amici che stanno dando una mano per incominciare a consumare di meno. Però, tutti i computer che usiamo, che abbiamo a casa, nei nostri uffici, quando diventano obsoleti, cosa ne facciamo? Giacomo Baffoni, ci racconterà la sua idea su questo problema.
GIACOMO BAFFONI:
Grazie Santiago, buongiorno a tutti. Io ho avviato la mia azienda, la EcoFuturo, insieme al mio socio nel 2011. Noi ci occupiamo di tutti quelli che sono computer vecchi, stampanti vecchie, cellulari, tutto quello che viene buttato via. Le tappe, che mi hanno portato fino alla scelta di voler intraprendere in Italia e giocarmi in prima persona con una azienda, iniziano qualche anno fa, dopo essermi laureato in economia aziendale e dopo aver passato un annetto provando lavori in cui non riuscivo a rispecchiarmi, in cui non riuscivo a essere me stesso. La svolta è stata l’incontro con un caro amico e grande imprenditore che aveva per la testa l’idea di fare una catena di gelaterie in giro per il mondo che aiutassero le persone più svantaggiate. Io accettai la sfida, così presi e partii per il Sudamerica, in particolare per la Bolivia e il Cile. In cinque anni, riuscimmo ad aprire tre gelaterie a La Paz, una a Santacruz, una a Santiago del Cile. Durante quel periodo imparai a fare le cose come se fossero mie, e capii che il lavoro doveva essere svolto come se quella fosse la mia attività. Ebbi la fortuna/sfortuna di essere molto indipendente e avere molta responsabilità, mi occupavo di tutto, dalla selezione dei macchinari alle forniture in Italia, alla ricerca del locale in loco, dallo sbrigare le pratiche per sdoganare i container all’istallazione dei macchinari, dall’arredamento del locale alla formazione del personale, fino alla gestione vera e propria della gelateria. Il mio capo sempre mi diceva, io ci metto tutto per farla partire, però sta a te farla funzionare. Forse imparai la lezione troppo bene, mi piacque molto, e infatti, tutti quegli anni non fecero altro che fare emergere in me il desiderio di voler iniziare una mia attività, rischiando come imprenditore, investendo su un’idea che potesse funzionare. Neanche a farlo apposta, nell’ultimo periodo di lavoro in Cile, il mio attuale socio mi disse che aveva questa idea assurda: che voleva ripulire gli uffici e le aziende dalla spazzatura elettronica e che secondo lui ci sarebbe stato un sacco di lavoro da fare. Io lì per lì gli dissi che ne avremmo parlato quando sarei tornato, però iniziai a pensarci, e via via, sempre più seriamente, vedevo questa proposta come un segnale, fino a quando, tornando in Italia, iniziammo a gettare le basi per la costituzione della società. Il 26 marzo 2012 costituimmo EcoFuturo, totalmente autofinanziata. Ora vorrei darvi qualche accenno su questo mercato, dove ci muoviamo noi. Nel mondo si producono 50 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti elettronici, quasi 9 soltanto in Europa, di questi, solo 2 milioni di tonnellate vengono riciclati, gli altri scompaiono e riaffiorano in Cina e in Africa, nei Paesi del Terzo Mondo, soprattutto in Ghana e Nigeria. Vengono spediti migliaia di container all’anno sotto forma di donazione, però del materiale che arriva è funzionante solo il 20%, il resto è spazzatura, che normalmente viene bruciata all’aria aperta per ricavare quel poco di metallo, di solito rame e alluminio, che ha un minimo di valore. E’ chiaro che non c’è un minimo di lavorazione in sicurezza, vengono bruciate tonnellate e tonnellate di rifiuti elettronici che liberano mercurio, metalli pesanti e altri componenti che inquinano la terra, l’aria, l’acqua, danneggiando gravemente la salute delle persone. Evidentemente questi rifiuti sono un problema per chi li produce, quindi noi, Europa, Nord America, Paesi sviluppati, e diventano un problema ancor più grande per tutti i Paesi che li ricevono. Da qui nasce la nostra idea di vedere nel rifiuto, non più un materiale di scarto, ma qualcosa che può diventare una risorsa, creando lavoro e beneficio ambientale assolutamente tangibile. Il nostro scopo è fare scomparire il rifiuto e ricavare materia prima. Infatti, all’interno dei computer possiamo trovare ferro, alluminio, rame, argento e oro, è pieno di materiale che può essere riutilizzato e che ha un valore. Mediamente in Italia produciamo 16 kg a persona di rifiuti elettronici all’anno. Il ciclo di vita dei prodotti elettronici è sempre più breve, l’innovazione sempre più veloce, come diceva Santiago, e di conseguenza il ricambio è molto più rapido rispetto ad alcuni anni fa. Oltretutto, gli stessi prodotti non sono fatti per essere riparati o aggiustati in caso di guasto, quasi sempre si è costretti all’acquisto di un nuovo prodotto: se ci pensate è più facile acquistare una stampante nuova piuttosto che ripararla, o quando avete un minimo di problema di telefonino, siete fortunati se ve lo ridanno nuovo, se no lo si ricompra, non si ripara mai quello che è danneggiato. Il riciclo è indispensabile: entro quattro anni l’Unione Europea vuole arrivare a riciclare il 65% dei rifiuti elettronici prodotti, e non a caso, ad esempio, secondo le proiezioni attuali, si stima che il cromo è disponibile solo per altri 15 anni e il rame per altri 34 anni, non di più. Data la situazione attuale, i problemi che ci sono in questo settore e i margini di crescita, abbiamo pensato che un business sarebbe stato possibile: pensate che da una tonnellata di rifiuti selezionati si possono ricavare 15 g d’oro, per fare il confronto, una miniera è redditizia se in una tonnellata di terra si trovano 6 g d’oro. Le città per noi sono grandi miniere che dobbiamo imparare a sfruttare. Da questo spirito nasce EcoFuturo, nasce la mia azienda. Andiamo dalle aziende che devono liberarsi dei rifiuti elettronici, li portiamo in impianto e li disassembliamo, ricavando materia prima. Andiamo a rispondere al bisogno che hanno le aziende e a un bisogno che ha la società. Naturalmente siamo in un Paese in cui non è permesso sbagliare. L’attività deve funzionare e deve funzionare bene. Io penso che le idee esistono se si vendono e funzionano se, dopo l’ultima riga del bilancio, proprio in fondo, c’è un più. In generale, non è facile, perché la crisi c’è, c’è chi non ti paga e c’è un sacco di burocrazia, a volte c’è l’impressione, e non è solo un’impressione, che proprio il sistema Stato te la debba fare più difficile. Il lavoro in Italia dovrebbe essere un diritto, invece è tassato come un bene di lusso. Però tutto questo non ci ferma, per questo ogni giorno è una sfida continua a sviluppare la nostra azienda. Bisogna avere degli obiettivi chiari e fare tutto il possibile per raggiungerli. Ogni mattina bisogna avere la fame e il fegato per cercare nuovi clienti, bisogna avere la professionalità e la disponibilità per gestire i clienti acquisiti, bisogna avere l’umiltà per imparare dagli errori, insomma bisogna fortemente essere appassionati a quello che si fa e noi lo siamo. Crediamo profondamente in quello che abbiamo costruito in questi anni e cercheremo di far crescere e di investire sempre di più in questo progetto e, a Dio piacendo, ci riusciremo.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie Giacomo, quanti anni hai Giacomo? Trentatre anni, la sua azienda è a Rimini. Non è, ripeto, non è che ce l’ho con le grandi città, però ribadisco questo concetto: come avete visto, anche se il più nel bilancio finale è importante, nessuno di noi fa quello che fa per i soldi, anche se servono per le nostre imprese. Il fine non sono i soldi, abbiamo parlato del digitale, abbiamo parlato anche di come il digitale può essere gestito senza consumare così tanta energia elettrica, lavoriamo nel profit, ma non deve essere mai il fine, non deve mai essere il fine delle nostre imprese quello di fare i soldi, anche se i soldi chiaramente servono. Il fine è quello di cambiare il mondo, di vivere meglio, di innovare, con il metodo che lo facciamo per il bene di noi stessi e delle altre persone. Quindi grazie per essere stati con noi, buona giornata.
Trascrizione non rivista dai relatori