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GIOVANI Vs CRISI. UN CAFFÈ CON GLI STARTUPPER: EDUCAZIONE DIGITALE
Partecipano: Simone Crolla, Managing Director della Camera di Commercio Americana in Italia; Carlo Mancosu, Responsabile Comunicazione di Sardex.net; Marco Santini, Training Innovator di Digital Accademia. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
GIOVANI Vs CRISI. UN CAFFE’ CON GLI STARTUPPER: EDUCAZIONE DIGITALE
Ore: 13.45 Sala Mimosa B6
Partecipano: Simone Crolla, Managing Director della Camera di Commercio Americana in Italia; Carlo Mancosu, Responsabile Comunicazione di Sardex.net; Marco Santini, Training Innovator di Digital Accademia. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
SANTIAGO MAZZA:
Buongiorno a tutti. Grazie per essere qui al nostro ultimo caffè, il caffè con gli startupper. Ieri abbiamo incontrato Annamaria Siccardi che, con Rete del dono, sta cambiando, innovando e offrendo un nuovo modo di raccogliere i soldi, risorse economiche per progetti di utilità sociale; o Roberto Esposito, che permette di trasformare le idee in rivoluzioni, sviluppando da Napoli una nuova startup che in soli otto mesi di attività ha già assunto venti collaboratori. O come Andrea Salvati, il nostro amico che lascia Google per intraprendere la sfida e il sacrificio del fare startup digitale, diffondendo la cultura cattolica nel mondo. Dobbiamo smettere di pensare che noi adulti possiamo salvare i giovani, perché sono loro che possono salvare noi: osservandoli, ascoltandoli seriamente. Queste persone che stiamo incontrando in questi giorni ci stanno dimostrando che col fare si può uscire dalla nostra “emergenza uomo”, ridandoci l’identità di essere persone. Oggi parliamo di educazione digitale: ogni tanto, in altre occasioni, mi chiedono quale possa essere il pericolo. Tante famiglie e molti genitori mi chiedono: Facebook e tutto il digitale, per i cosiddetti nativi digitali, è un male, un bene, può danneggiare un percorso educativo? Questa è una bella provocazione. Io rispondo sempre con la mia esperienza personale: sono papà di Giorgia, ha cinque anni, anzi, cinque e mezzo, perché lei puntualizza sempre il mezzo anno di età come importantissimo, basta veramente usare il buon senso nell’accompagnare i nostri figli a saper essere. Cioè: se lascio mia figlia Giorgia da sola a cinque anni e mezzo in una delle piazze a Rimini o in una piazza ancora più grande, a Milano, per due o tre ore, cosa pensate? Che la strada, la macchina, le persone che eventualmente non sono così oneste, potrebbero farle del male. Ecco, noi abbiamo due opzioni: o vieto a mia figlia Giorgia di andare in quella piazza per i pericoli che comunque ci sono, oppure la accompagno io. In qualche piazza ci sono stato, sappiamo riconoscere nella nostra esperienza i pericoli per i nostri figli, ma questo mi mette nella condizione, da genitore, da adulto, di accompagnare a saper essere. Questa è la risposta alla forte provocazione che tante volte, senza entrare in mezzo a tecnicismi su percorsi e metodi educativi o altro, mi sento di dare, perché penso che sia estremamente importante ritornare davvero ad usare il buon senso. Tutto quello che noi viviamo, i nostri strumenti – l’iPad, l’iPhone, Internet, vanno riconosciuti come strumenti innovativi, e l’innovazione deve aiutare a vivere meglio, non deve mai sostituire la realtà. Se approcciamo il problema in questo modo, per accompagnare i nostri figli nel mondo digitale bisogna che in qualche modo ci mettiamo in gioco anche noi adulti e iniziamo a conoscere questi strumenti. Non approfonditamente, ma semplicemente per accompagnare i nostri figli. Da un lato imprenditoriale, vi consiglio invece sicuramente di prestare molta attenzione a questi strumenti perché comunque i nostri figli, e non soltanto perché sono i clienti del futuro, nascono digitali. E quindi, se non cominciamo ad approcciare, a osservare, a capire di cosa si tratta, probabilmente non entreremo nemmeno in dialogo con loro che quotidianamente usano il digitale. Oggi è con noi una persona che sono molto onorato di avere qui, Simone Crolla che ringrazio per la presenza. E’ la seconda volta che viene invitato a un incontro qui al Meeting di Rimini. Tu occupi un ruolo, all’interno della Camera di Commercio degli Stati Uniti, sicuramente privilegiato dal punto di vista delle osservazioni che riesci a captare, anche in relazione con l’Italia. Quindi, ti volevo porre questa domanda: quanto è importante per il futuro dell’Italia l’educazione digitale?
SIMONE CROLLA:
Grazie, Santiago, e grazie agli amici del Meeting che mi hanno ospitato anche quest’anno. Con Santiago, è vero, ci conosciamo da diverso tempo, Santiago è il prodotto di quello che lui mi chiede, cioè dell’educazione digitale, un prototipo di quello che bisognerebbe essere in questo momento, cioè molto competenti sul tema e molto appassionati. L’educazione digitale è fondamentale, è un po’ come l’educazione tradizionale, quella a cui tutti siamo stati sottoposti tanti, tanti, tanti anni fa. Ora, è tempo di innovare ed è tempo di puntare su questo. Gli Stati Uniti, come tutti sapete, su questo sono molto avanti: continuano ad attrarre talenti da tutto il mondo per sviluppare e far crescere il contesto digitale, creando opportunità di lavoro. In Italia forse lo siamo un pochino meno e dovremmo fare una riflessione su come aumentare questa opportunità. Ma prima, un piccolo passo indietro, semplicemente per chiarire che cosa rappresento. La Camera di Commercio americana in Italia è una non profit nata nel 1915: che di fatto è la Confindustria americana in Italia. Noi rappresentiamo le aziende americane che sono quelle che conoscete, da Google alla General Electrics, dalla Sisko alla Mc Donald’s, e via discorrendo. E per conto di queste aziende noi facciamo delle attività che spaziano dalla classica networking alla vera e propria Lobbying Advocacy, anche su temi come quello del digitale che, per alcune aziende americane, è fondamentale: in Italia c’è sempre maggiore necessità di lobbying pura e per bene, perché spesso il legislatore italiano non è così disponibile ad accogliere alcune migliorie che invece alcune grandi aziende, alcuni grandi Paesi, potrebbero apportare. Ma per entrare un po’ in tema, mi piacerebbe, visto che siamo tra amici, rendere digitale il nostro incontro. Un piccolo e rozzo sondaggio per rendere anche un po’ interattivo il nostro incontro. Volevo chiedere a tutti i partecipanti in sala: quanti di voi hanno uno smartphone in tasca o sul tavolo? Ce l’avete in tanti, perfetto. Quanti di voi conoscono e frequentano i social media da Facebook a Google Plus, a Linkedin, Twitter e via discorrendo? Tantissimi. Quanti di voi sanno cosa è Silicon Valley e tutto quello che avviene? Un po’ meno, vedo. Quanti di voi parlano fluentemente l’inglese? Beh, qualcuno bene, altri un po’ meno. Quanti di voi hanno studiato matematica, fisica, ingegneria, informatica? In realtà, questa è una piccola parte di quello che facciamo. Ecco, da questo rozzo sondaggio io evinco che sicuramente c’è un’ottima predisposizione da parte dei nativi digitali, o di tutti quelli che naturalmente devono occuparsene, perché questo tipo di competenza è diventato uno strumento necessario. Sappiamo tutti come fare funzionare un social media; però probabilmente non abbiamo gli strumenti più adatti di formazione per poter approcciare questo mondo da un punto di vista anche imprenditoriale, con un certo successo. Il fatto che in Italia non si parli inglese in maniera fluente e che ci sia una sorta di resistenza, anche individuale e non soltanto del nostro sistema scolastico, a impararlo, è un limite. Il fatto che soltanto una minoranza dei nostri studenti frequentino facoltà tecniche, è un altro limite: tutte queste cose contribuiscono a fare sì che, come chiedeva Santiago giustamente, ci debba essere una educazione digitale molto più forte, molto più sostenuta anche dalle nostre istituzioni. Se educare vuole dire tirare fuori, allevare, istruire, io ne deduco che sicuramente, dal punto di vista dell’educazione digitale, siamo tutti ben predisposti ma bisogna ancora lavorarci. E in questo, cito un esempio giustamente americano: tutti conosciamo la Silicon Valley. Quanti di voi conoscono la Silicon Alley? Praticamente nessuno. La Silicon Alley è la risposta americana della costa east alla Silicon Valley. Cioè, Silicon Alley è diventato il nuovo hub delle competenze informatiche e degli incubatori delle nuove aziende, spostato però a New York. Perché all’interno degli Stati Uniti c’è una gara tra chi riesce ad attrarre meglio il talento e l’investimento e quindi, visto che tutto si concentrava in Silicon Valley, anche la municipalità di New York, sostenuta dalle sue università, ha cominciato ad attrarre, mettendo soldi a disposizione di talenti e cervelli da tutto il mondo, affinché non andassero più in California ma si fermassero a New York. E’ un programma comune, nel senso che è organizzato dallo Stato. Il Sindaco Bloomberg ha messo a disposizione oltre venti milioni di dollari per fare sì che nascessero degli incubatori che potessero ospitare ragazzi, non esclusivamente americani, perché poi in America vanno a studiare tutti, per creare anche lì questo grosso hub. Perché tutti sappiamo che l’economia digitale è ad oggi forse l’unico vero motore di crescita per il Paese. Il manifatturiero, i settori tradizionali, sono tutti in crisi, vanno rilanciati ma comunque si tratta di un qualche cosa che va mantenuto e sistemato. L’economia digitale, invece, offre delle prospettive di crescita a due cifre. Sappiamo perfettamente che le aziende che sono online fatturano e performano molto meglio di quelle che non lo sono. Sappiamo perfettamente che l’economia digitale non brucia posti di lavoro ma ne crea: per ogni posto che viene eliminato da una innovazione digitale, se ne creano 1,8. Questi dati indicano che quella è la direzione da percorrere. E allora, anche se spesso l’America viene citata per fatti non positivi, seguire l’esempio americano, dove lo Stato, le istituzioni, il Comune, le università si mettono in competizione tirando fuori tutto il meglio possibile per attrarre talenti e favorire lo sviluppo di questa economia e in generale del Paese, è una cosa da fare. Noi in Italia soffriamo spessissimo di un fenomeno che viene chiamato brain drain, i cervelli in fuga: sono i nostri giovani che vanno via dall’Italia perché non trovano la possibilità di sviluppare le loro idee. Beh, da un punto di vista economico questo famoso brain drain vuole dire circa quattro miliardi di euro di mancato guadagno da parte di brevetti che vengono implementati e depositati fuori dall’Italia da cervelli italiani. Ecco, quattro miliardi di euro, mi corregga l’onorevole Palmieri che è in sala, forse sono anche il valore dell’IMU che si vorrebbe abolire. Quattro miliardi di euro sono quello che i nostri cervelli producono stando fuori dall’Italia. Ora, questi cervelli dobbiamo farli tornare, è importante che studino all’estero, è importante che si contaminino, ma è importante anche che tornino qua. Perché di opportunità ce ne sono tantissime. Perciò, Santiago, alla tua domanda mi sentirei di fermarmi qua.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie. Hai riassunto veramente in maniera molto pragmatica e sintetica quanto l’educazione digitale può veramente arricchire il nostro Paese, e non soltanto. Visto che hai citato l’onorevole Palmieri, volevo chiedere, se sei sempre in un qualche rapporto con la politica, che consiglio daresti alla politica attuale del nostro Paese perché ascolti seriamente e realmente questi giovani. In questa settimana abbiamo parlato con tante ventures, tanti amici, che ascoltano veramente i giovani, andando insieme nel fare. Ecco: che consiglio possiamo lanciare, come provocazione anche alla politica, perché ascolti seriamente, creda veramente nei giovani, perché sono loro che possono salvare noi?
SIMONE CROLLA:
Ti ringrazio della domanda. Io ho avuto un rapporto diretto con la politica, sono stato collega, per breve tempo, di Antonio Palmieri in Parlamento. Devo dire che lui è una persona che sa ascoltare, che sa dare dei consigli importanti soprattutto per quanto riguarda il tema di questo incontro, l’educazione digitale. Per come l’ho vissuta io, l’esperienza politica, e per come la vivo tutt’oggi, c’è bisogno non di rottamazione – queste cose lasciano il tempo che trovano – ma di una presa di coscienza che effettivamente il mondo è assolutamente cambiato. Se un tempo i nostri genitori, i nostri nonni, lavoravano e avevano una visione positiva dell’avvenire, perché sapevano che da una generazione all’altra si andava sempre verso il meglio, oggi è la prima volta che le future generazioni vanno verso il peggio. Tu citavi tua figlia, io cito i miei, ognuno ha i propri, lo stiamo vivendo: di fronte a noi non c’è più l’avvenire che ha contraddistinto l’Italia dal dopoguerra in avanti, c’è il bisogno non di rottamare ma di ricostruire. E probabilmente la politica deve interrogarsi, non tanto sui rovelli del quotidiano, cioè sui problemi che tutti leggiamo sui giornali, ogni giorno e su tutte le pagine, ma su quelle che sono le misure serie per poter dare una mano ai giovani d’oggi. Bisogna avere uno spirito proattivo, bisogna essere intraprendenti, bisogna essere autoimprenditori, bisogna reinventarsi. Ormai le grandi rivoluzioni non capitano più, con le guerre, con i soldi, con gli eserciti. Le grandi rivoluzioni capitano in uno scantinato, in un garage: due ragazzi che si mettono insieme e inventano il motore di ricerca o il sito Internet, Facebook, più famoso al mondo. In Italia, sono possibili queste cose? Forse sì, perché ognuno di noi è portatore di grande talento. Ma se noi trovassimo due ragazzi che si chiudono dentro un garage, probabilmente arriverebbe la finanza e li arresterebbe perché non rispettano la 626 sulla sicurezza del lavoro. C’è questo problema di mentalità, in Italia, quindi la politica dovrebbe dare l’esempio. Per dare l’esempio, dovrebbe fare un po’ di reflection, cioè dovrebbe guardarsi all’interno, guardarsi intorno e capire che magari lì dentro non ci sono le competenze che fuori invece sono richieste, che servono per dare l’esempio. Io – e poi concludo, Santiago – come Camera di Commercio americana, ho avuto un’idea non nuova, l’ho copiata, perché le cose migliori si copiano: in America, Obama sta portando avanti un programma bellissimo che si chiama Code for America. Code for America è sostanzialmente prendere le migliori energie giovani del Paese, i cosiddetti geek, gli smanettoni, quelli che sanno mettere le mani in tutti i programmi, e porli al servizio della pubblica amministrazione. Questo programma si chiama Presidential Innovation Fellows. Mi piacerebbe che anche in Italia ci fosse una cosa del genere, che la politica potesse magari prenderne atto e favorirla. Il fatto che abbiamo tantissimi bravi ragazzi, ipercompetenti, che non sanno come dispiegare la loro energia… Beh, perché non mettiamo questi ragazzi all’interno di un programma nelle pubbliche amministrazioni, dai Comuni alle Province alle Asl a tutti gli enti locali, ecc. e diamo l’opportunità di migliorare con le loro competenze i servizi pubblici che vengono erogati e che oggi sono onestamente, magari con qualche eccezione, di scarsa qualità? Perché questi ragazzi che hanno competenze informatiche non possono lavorare con una minima retribuzione, perché poi il tuo vantaggio è un altro, all’interno di una Asl e informatizzare i risultati delle tue analisi del sangue, cioè favorire un migliore rapporto e trasparenza tra cittadino e pubblica amministrazione? Beh, sicuramente con una iniziativa del genere il nostro Paese progredirebbe, e di molto: daremmo ai giovani l’opportunità di cimentarsi in un progetto vero e assolutamente importantissimo, daremmo anche una modernità alla nostra struttura pubblica che oggi è obsoleta. Ecco, secondo me la politica deve occuparsi anche di questi aspetti che sono assolutamente prioritari, perché ne abbiamo la necessità. E’ una delle cose che io chiedo alla politica e lo farò ufficialmente, come Camera di Commercio, presentando un programma di questo tipo al quale spero che persone importanti e sensibili come Antonio Palmieri vogliano poi aderire.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie, Simone, per il contributo. So che hai portato con te un video.
SIMONE CROLLA:
Ho portato un video che, visto che ho parlato di cose catastrofiche, la crisi, ecc., vuole darci un po’ la speranza di guardare avanti, come dice don Giussani in questo libro che mi avete regalato: con umiltà ma con la consapevolezza e con la forza di pensare positivo e di superare il momento difficile, perché effettivamente è un momento difficile ma tutti sappiamo che dalle crisi possono generarsi delle opportunità. Però, sì, guardiamoci questo piccolo video.
Proiezione del video
SANTIAGO MAZZA:
Grazie. Si può diffondere la cultura digitale e innovare anche nell’utilizzo operativo del digitale come strumento sociale economico. Addirittura, creando una start up che si è inventata una nuova valuta digitale, un nuovo modo di transare economicamente tra le imprese, tra le persone, in modo digitale, addirittura in un’intera isola. Una cosa che attualmente ha una ricaduta sicuramente sociale e economica, anche di educazione digitale, attraverso l’utilizzo di questa moneta molto importante. Carlo, Sardex, di cosa si tratta?
CARLO MANCOSU:
Buongiorno a tutti. Ringrazio Santiago e ringrazio il Meeting di Rimini per questo invito. Comincerei col raccontarvi brevemente la mia storia, partendo dal 2008, momento in cui abbiamo iniziato a immaginare Sardex. Sardex nasce da due fuochi. Il primo fuoco è che sapevamo che stava arrivando la crisi economico-finanziaria, quindi sostanzialmente sarebbe stato difficile, in una regione in cui c’erano già difficoltà di accesso al credito e la liquidità non era ai massimi livelli, affrontare la situazione, perché la crisi partiva proprio dal sistema finanziario, il credit crunch, quindi, la spesa creditizia da un lato, la mancanza di liquidità dall’altro. Poi, cercavamo di intercettare un bisogno che era forse latente nella nostra isola. Noi siamo vittime di epiteti storici ingrati. Gli spagnoli definivano i sardi “pocos locos y malunidos”, ovvero “pochi pazzi disuniti”. Chiaramente, noi non ci rispecchiavamo in questa descrizione. Abbiamo pensato ad un sistema che potesse, da un lato, far fronte alle difficoltà economiche che sarebbero sopraggiunte, dall’altro, creare un sistema che rendesse la collaborazione conveniente: e abbiamo immaginato Sardex.net. Sardex.net è un circuito di imprese attraverso cui le aziende si finanziano reciprocamente attraverso l’utilizzo di una valuta virtuale. Un sardex equivale ad un euro. Sostanzialmente, un’azienda si iscrive, le viene dato un piccolo affidamento, quindi la possibilità di scendere sul proprio conto e di acquistare ancora prima di vendere. Nel corso del tempo, ripagherà gli acquisti che ha effettuato, vendendo i propri beni o servizi agli altri membri della rete. Questo consente oggi a milletrecento imprese sarde di farsi credito vicendevolmente a tasso zero, senza interessi. Tutto questo naturalmente avviene attraverso il web, quindi attraverso strumenti digitali. Da un lato abbiamo chiaramente delle app, dall’altro, c’è il nostro portale. Ogni azienda ha un vero e proprio conto online, ogni transazione è contabilizzata. Chiaramente le fatture sono normalissime fatture in euro: ciò che cambia, sono le modalità di pagamento. Andavamo ad impattare su quello che è forse il dogma per antonomasia, che è il dogma del danaro. Tutti parlano di danaro, tutti seguono il danaro, pochissimi sanno cos’è il danaro. Il rapporto dell’uomo con il danaro è un po’ quello che sant’Agostino diceva essere il suo rapporto col tempo. Diceva sant’Agostino per il tempo: “Se nessuno me lo chiede, so cos’è, se interrogato, non riesco a spiegarlo”. Questo probabilmente accadrebbe a molti di voi se vi venisse chiesto cos’è il danaro. Noi siamo abituati a pensare al danaro come qualcosa di fisico, di materiale, qualcosa che esiste al di là della nostra capacità di produrre valore. Ebbene, questo non è assolutamente vero: il danaro è semplicemente il segno, non è il valore. Il valore, il sottostante del danaro, in realtà non consiste che nei beni o servizi che noi siamo in grado di produrre, il valore che le comunità di per sé sono in grado di produrre e di scambiare tra loro. Siamo partiti da questo: da una definizione di danaro che è diversa, il danaro è un accordo all’interno di una comunità che sceglie un determinato mezzo come strumento di scambio. Una volta accordati, una volta creato un patto sociale, un patto comunitario su qual è questo mezzo e quali sono le sue regole di funzionamento, si può continuare ad acquistare e vendere all’interno della comunità, attraverso una valuta che è garantita da qualcosa di più prezioso di un titolo di debito o di un metallo pregiato, perché è garantita dalla fiducia che si crea tra i membri di questa comunità. Quando abbiamo iniziato a fare questi discorsi, tutti ci guardavano in maniera allucinata. Potete immaginare la reazione delle prime persone! Qualcuno diceva: “Ah, una bella idea.”., altri: “Mah, non so se si può fare, è legale?”, ecc. Chiaramente non ci siamo dati per vinti,. Abbiamo trovato il primo iscritto: anche con lui è stato imbarazzante, quando si ha una rete e non si ha neanche un iscritto… Dopo che il primo iscritto ha detto: “Bellissimo, lo facciamo. Mi ritrovo in questi valori. Chi siamo?”, gli ho risposto: “Tu, per il momento. Cresceremo presto”. E siamo cresciuti in fretta, in tre anni a partire dal gennaio 2010 abbiamo raggiunto ben milletrecento imprese, attraverso questo sistema. A partire da quest’anno, oltre alle imprese si sono aggiunti i dipendenti delle imprese stesse. Chiaramente, per via della mancanza di liquidità, parole come bonus, benefit, incentivi, anticipazioni salariali sono diventate off limits un po’ per tutti. Le aziende non avevano la liquidità per erogarle. Quindi, abbiamo pensato di offrire un conto, una carta gratuita per i dipendenti, attraverso cui le aziende potevano accreditare questi bonus, questi rimborsi e queste anticipazioni salariali. E’ stato un successo: nel giro di sei mesi abbiamo già quattrocento dipendenti che aderiscono al progetto e comprano di tutto, dalla spesa di tutti i giorni allo svago, dalla parrucchiera al cinema, piuttosto che a spese che sono state rimandate nel tempo per via della mancanza di liquidità, ad esempio le spese dentistiche. Voi non immaginate quante famiglie hanno rimandato cure che invece andavano fatte, per la semplice mancanza di liquidità. Ci sono stati anche episodi simpatici e molto belli. Io racconto sempre di questo dipendente di un’impresa iscritta al circuito che doveva sposarsi: non aveva i soldi per farlo, erano due anni che rimandava. L’unica alternativa che aveva in quel momento era chiedere a una finanziaria i 12.000 euro di cui aveva bisogno. Chiaramente, prima è andato dal suo datore di lavoro e gli ha detto: “Senti, Riccardo, avrei bisogno di 12.000 euro di anticipo”. Riccardo, poverino, si è messo a ridere e gli ha detto: “Figlio mio, lo sai, ti voglio bene ma guarda che non ce li ho assolutamente”. Insieme si sono guardati e hanno detto: “E se facessimo in crediti?”. Beh, è stato organizzato un intero matrimonio completamente in crediti sardex. Quindi, 12.000 crediti: si è presa la sala, si è affittata la limousine. Un matrimonio in più nella nostra isola, per cui speriamo anche in qualche figliuolo, visto che siamo in regressione demografica, è stato fatto anche grazie al circuito. Ma vorrei farvi vedere un piccolo contributo perché la più importante tivù locale della Sardegna è andata a cercare e intervistare qualcuno dei nostri iscritti.
Proiezione video
SANTIAGO MAZZA:
Le testimonianze sono tante, come le esperienze di Sardex: avete visto come una moneta, che sta cambiando e approcciando anche attraverso gli strumenti digitali, possa effettivamente cambiare le cose in un momento di difficoltà. Quindi, complimenti per la vostra idea perché è straordinaria come esempio da guardare. Qualche anno fa, un ragazzo viene da me alla mia impresa a San Marino, a fare un colloquio per lavorare. Dopo qualche settimane mi chiama e mi dice che aveva accettato un posto in un altro luogo, molto più lontano da Fano. Vorrei far vedere velocemente un contributo video che racconta dove lavora lui oggi.
Proiezione video
H-Farm è un luogo dove si vive il sogno, si vive la voglia di sognare, diventa contaminante il fatto che molti ragazzi insieme sognino: anche questo è un esempio made in Italy, è in Italia e accade qui da noi. Ritorniamo a sognare seriamente e veramente, ma con una consapevolezza diversa, capendo chi siamo, imparando a conoscere sempre di più per fare cose belle e in alcuni casi cose grandi. Marco, complimenti perché sei andato a lavorare in un luogo veramente fantastico, sei giovanissimo e avere questa opportunità è veramente una cosa grande. Tra l’altro, tu sei di Fano, non di Venezia, quindi lo spostamento territoriale non è stato semplice per te. Ma in H-Farm non si occupano solo di coltivare e far crescere startup, hanno in annesso anche una scuola digitale, che insegna all’imprenditore ad approcciare il mondo digitale dell’alta formazione. Da molti anni è partito un progetto di Summer School dove si insegna ai bambini o ai nativi digitali l’approccio corretto alla tecnologia. Raccontami qual è la tua esperienza di H-Farm.
MARCO SANTINI:
All’interno di H-Farm, mi occupo di progetti formativi: il nostro obiettivo è reinventare la formazione, quindi staccarsi dalla formazione classica, più tradizionale, sia nei metodi che nei temi e approcciare le aziende, i giovani, in questo caso anche i bambini ai temi digitali.
SANTIAGO MAZZA:
Bene, oltre a quello che fai quotidianamente a H-Farm, dimmi: per quale motivo lo fai? Per quale motivo pensi che i nativi digitali debbano in qualche modo adoperare sempre di più le tecnologie come strumenti e non più come elementi totalizzanti? C’è un esempio emerso nell’ultima Summer School che avete portato avanti, se non erro. Raccontaci questa esperienza.
MARCO SANTINI:
La Digital Accademia offre questa iniziativa già da molti anni, però quest’anno abbiamo deciso che l’indirizzo necessitava di un investimento per l’educazione digitale. Con queste iniziative, avviciniamo i bambini al mondo del digitale, non tanto per insegnare ad utilizzare lo strumento. Quello che vogliamo fare è dare un fine molto più ampio, più bello, è lo stesso orizzonte che aveva quel ragazzo dentro al garage quando ha progettato quel computer o quel motore di ricerca. Una delle prime cose che ho imparato, entrando in H-Farm è che il contesto, il luogo dove si insegna o dove si fa crescere qualcosa, è veramente importante. L’ho visto soprattutto con i bambini: la prima cosa che dobbiamo aggiornare è sicuramente il luogo in cui i bambini apprendono: può essere una cameretta disposta in un certo modo o una scuola con sale adibite a determinate strutture. Siamo una scuola all’interno di H-Farm, più che scuola, una realtà aziendale che offre soluzioni formative a quelle imprese che vogliono rinnovarsi nel mondo digitale. Abbiamo molte richieste da piccole e grandi aziende che chiedono di innovarsi, perché capiscono che bisogna guardare avanti. Un altro tipo di offerta è quella che rivolgiamo ai ragazzi che vogliono fare un master da noi, workshop che li avvicinino al luogo delle startup, per coltivare le loro idee e farle diventare business. Oggi siamo pronti a partire con una nuova sfida: rivolgerci ai bambini perché l’evoluzione tecnologica sta facendo passi da gigante e si possono creare gravi problemi se non curiamo l’educazione dei nostri ragazzi. Abbiamo visto prima che tutti abbiamo lo smartphone: i bambini vedono entrare in casa queste nuove tecnologie e vedono il tempo che i genitori, la scuola, gli insegnanti, chiunque dà a questi strumenti. Può sembrare banale ma il primo problema è quello dell’equilibrio, cioè capire bene quanto tempo va dedicato a questi strumenti perché si rischia di sostituire la tv con il tablet, che rende il posto del Monopoli, del videogioco, dei giochi all’aperto. Le due cose più difficili da curare sono la consapevolezza digitale e la lungimiranza, si tratta di far capire ai bambini quello che stanno utilizzando. Quest’anno abbiamo fatto un Summer Camp in cui i bambini hanno costruito in cinque giorni, insieme a degli educatori, un’applicazione: hanno fatto un codice, gli abbiamo spiegato cosa significa programmare con dei giochi in giardino e in una settimana hanno costruito i suoni.
SANTIAGO MAZZA:
Un’esperienza straordinaria perché i bambini venivano accompagnati in questo parco, in questi prati, a raccontare la realtà: andavano con strumenti digitali a registrare il suono dei grilli piuttosto che a vedere un coniglio correre. E’ un approccio fondamentale, perché il rischio molto alto è di sostituire la realtà con gli strumenti digitali che, per carità, sono bellissimi e ci aiutano ma a volte ci complicano la vita. Il rischio è che diventino totalizzanti: il punto allora è proprio insegnare ai nostri nativi digitali che sono strumenti, grazie ai quali, in alcuni casi, si può addirittura fare impresa. Non saremo tutti startupper, non è quella, la missione mentre è fondamentale il rapporto con la realtà, anche attraverso lo strumento.
MARCO SANTINI:
La consapevolezza è il significato di quello che stiamo facendo. Uscirà tra poco un’applicazione che abbiamo fatto con un team di San Francisco: i 30 bambini che l’hanno creata sanno che il fruscio che si sente, sfogliando l’e-book che hanno fatto, nasce dal muovere la pianta. Quando utilizzeranno un’altra applicazione, andranno dalla mamma o dall’educatore e diranno: “Io sono come si fa questa cosa, so che lavoro c’è dietro”. Riprendo il tema di quest’anno del Meeting, Emergenza uomo, una piccola emergenza compone l’emergenza uomo: è emergenza digitale se ci lasciamo guidare dai tablet, mentre è il bambino che può guidarlo, visto che è uno strumento tanto potente e così facile da utilizzare.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie, Marco, per quello che fate: ti sei caricato di una grande responsabilità, quella di educare, una responsabilità che ognuno di noi deve avere in ogni cosa che fa. Quindi, grazie per il tuo contributo e per quello che fate. Chiudiamo questo lungo caffè, l’ultimo, ringraziando il Meeting per aver trattato questo tema così sensibile. Penso sia stato un esempio piccolo ma da seguire, quello che fanno questi ragazzi. Io vi lascio con questo messaggio: bisogna scommettere sulla fatica di ritrovare noi stessi, imparando a misurarci sempre di più con i migliori, dando tutto di noi. E’ una lotta quotidiana per cambiare le cose ma per farlo occorre sapere sempre di più chi siamo. Questa settimana, attraverso la testimonianza di diversi startupper, di diversi amici che scommettono ogni giorno tutto per il cambiamento, per ritrovare la loro identità, abbiamo visto qui tanti volontari che lavorano con passione e sacrificio. Sono anche loro, quelli del Meeting, degli startupper, che non dormono, che condividono idee e pensieri, che si aiutano tra loro, si mettono in discussione, lavorano per il mondo, per il bene comune, senza aspettare niente da nessuno. Non è un’altra nazione, è la nostra Italia, non ci manca niente, abbiamo lo stesso DNA dei ragazzi di Silicon Valley, di Israele, di tutto il mondo. Abbiamo la grande opportunità di vincere per ritrovare la nostra identità, noi stessi. Grazie.
Trascrizione non rivista dai relatori