Chi siamo
GIOVANI, LAVORO E DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA
Partecipano: Mauro Magatti, Professore Ordinario di Sociologia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Segretario del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani; Francesco Occhetta, Giornalista e Scrittore; S. Ecc. Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto, Presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. Introduce Paolo Viana, Inviato speciale di Avvenire.
Giovani, lavoro e dignità della persona umana
PAOLO VIANA:
Benvenuti a tutti. Benvenuti a tutti a questo convegno, a questo incontro, a questo dialogo sul lavoro, sulla dignità della persona. Il tema del Meeting lo conoscete “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. E’ tratto dal Faust di Goethe, uno dei poeti noti ,forse più indicati quando si parla di illusioni, di sogni, di aspettative .E i giovani ne hanno tanti di questi sogni quando si affronta il tema del lavoro che è il focus del nostro incontro. Le statistiche -tranquilli, non faremo una lunga introduzione statistica – ci dicono però che in questo momento che gli occupati sono tanti, ventitré milioni, un livello alto storicamente. Eppure mai come in questi anni , il peso della disoccupazione, sembra schiacciare il nostro Paese , con 2,8 milioni di persone a spasso, più del doppio , rispetto alla primavera del 2007. Forse perché non tutto si spiega con i numero , forse perché le statistiche – non dico che siano sbagliate , che siano imperfette- a volte si prestano a letture diverse. Ad esempio , le stesse ultime statistiche ISTAT, per il ministro Poletti sono “la prova migliore dell’efficacia delle politiche di governo”, per Forza Italia “ certificano il fallimento delle politiche di governo”. Il primo punto è proprio questo e lo ha posto recentemente Emilia Guarnieri, la nostra Presidente del Meeting , intervistata dal suo Avvenire: cosa prova un giovane quando gli diciamo che deve riguadagnarsi l’eredità dei padri, per possederla quando, naturalmente, parliamo di lavoro ( posto che di eredità, in giro, se ne vedono pochine su questo fronte)?Anzi per molti mesi, per molti anni, forse non rendendoci conto o rendendocene conto che facciamo delle promesse difficili da mantenere. Quelle, cioè che l’uscita dalla crisi sarebbe stata per tutti .E così non è stato. Oggi l’atteggiamento di un giovane ,rispetto al lavoro, è un po’ quello di Aspettando Godot. E aspettando sapete cosa si fa : si rinuncia, si rinuncia a formare famiglia, a fare un figlio, a formarsi ,a viaggiare, si rinuncia a sperare. Se questa, verrebbe da dire, non è “l’economia che uccide”. E siamo sulle parole del nostro Papa. Come sapete Papa Francesco ha posto in modo importante il problema e la Chiesa italiana che è giustamente preoccupata, dedicherà al tema del lavoro la Settimana Sociale che si terrà a Cagliari a fine ottobre. E’ di questo che parleremo oggi : della Settimana Sociale, del tema del lavoro, dei giovani e della dignità della persona umana. E lo faremo con tre ospiti di alto livello. Il primo invitato al nostro tavolo è il professor Mauro Magatti che forse non ha bisogno di presentazioni , un po’ perché è al suo sesto Meeting ( quindi lo conoscete bene), un po’ perché, è un importante sociologo dell’ Università Cattolica e perché è Segretario del Comitato Scientifico e promotore e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. Cominciamo subito: professor Magatti, a continuare così, cosa rischia il nostro Paese.
MAURO MAGATTI:
Intanto grazie dell’invito, è il sesto anno che ho la possibilità di essere a Rimini ed è sempre molto bello arrivare , essere accolti e immergersi in questa esperienza. Quindi , intanto grazie della possibilità di essere qua. E sono qua certamente perché ho questa responsabilità, condivisa naturalmente col Presidente, Mons. Santoro, che sarà presentato successivamente e anche con Francesco Occhetta che è parte dello stesso Comitato, perché a fine ottobre avremo questo appuntamento importante per la Chiesa italiana e per la società italiana. Un’ appuntamento, come Cattolici, ci troveremo per riflettere, ma anche per dare un segno e fare delle proposte rispetto a questa che è un’emergenza del lavoro in Italia , in particolare , l’emergenza del lavoro giovanile. Dico solo due parole sulle Settimane Sociali ed in particolare su questa edizione, perché credo sia importante creare questa connessione qui al Meeting di Rimini. Le Settimane Sociali sono un evento molto importante nella storia della Chiesa, sono un momento in cui ci si confronta coi problemi concreti della vita insieme, della vita sociale e in cui, come comunità ecclesiale, si interloquisce con la società in quanto tale. Le Settimane Sociali sono state ideate, pensate, avviate, tra gli altri, da Toniolo che è una figura importante per la storia del cattolicesimo italiano del ventesimo secolo. Quest’anno, come nell’ultima edizione, abbiamo voluto ancora di più marcare l’idea che le Settimane Sociali non sono un convegno. L’idea non è quella di andare a Cagliari a fare un convegno. Abbiamo già lavorato con le diocesi, con le parrocchie, coi movimenti in questi mesi. Quindi le giornate di Cagliari , saranno una prima tappa in cui si porteranno alcuni risultati e si rilanceranno alcune proposte, nella prospettiva anche di continuare dopo Cagliari a trovare delle risposte a un problema che è molto difficile. Noi quest’anno, per questa edizione, ci siamo dati quattro verbi (che qui richiamo) che scandiranno le giornate, scandiscono il lavoro di preparazione e il lavoro successivo che sono quelle della denuncia, cioè prendere atto che alcune cose non funzionano e che bisogna avere il coraggio anche di denunciare le storture che esistono, quello dell’ascolto perché in particolare per la chiesa i volti, le persone, le storie sono importanti, sono importanti i numeri, le statistiche ma sono importanti le vicende anche personali, singolari, abbiamo messo una grande enfasi sul tema delle buone pratiche, cioè ci sono già tante piccole soluzioni che a livello di impresa, a livello di relazioni industriali, a livello di territorio, a livello di comunità sono state ideate per alleviare questo problema del lavoro e quindi l’idea di moltiplicare queste buone pratiche e farle conoscere, diffonderle, infine il tema della proposta, cioè la capacità di fare proposte sui vari piani per affrontare e risolvere il problema del lavoro. Quindi la protesta, l’ascolto, la raccolta delle buone pratiche e la proposta. Questo è il paradigma che ci siamo dati in questi mesi di preparazione che seguiremo a Cagliari e ci auguriamo possa anche essere utilizzato nei mesi successivi. Quindi il lavoro, se siete qua poi, lo sapete già è stato già detto nell’introduzione, il lavoro è un problema molto serio in questo paese in particolare, anche se non solo, io vorrei fare in questo intervento due riflessioni. La prima riflessione è questa: a me sembra che la vicenda dell’Italia possa essere raccontata come la storia di 3 generazioni. C’è stata la generazione di mio padre, quella del dopoguerra, quella della ricostruzione che partendo da un paese distrutto, da un paese che era ancora molto marginale a tanti circuiti internazionali dove c’era ancora molta miseria, c’è stata una generazione che ha fatto un grande salto e ha prodotto molta ricchezza, ha generato molto lavoro. Poi c’è stata la mia generazione, la generazione dei baby boom noi siamo nati nel momento in cui si affermava la società dei consumi, la società del benessere, ci son state le contestazioni in cui gli equilibri del secondo dopoguerra sono saltati, c’è stata la globalizzazione, la nostra generazione è vissuta bene, abbiamo avuto molte occasioni, abbiamo avuto la possibilità di avere buon accesso al benessere ma la nostra generazione ha prodotto poca ricchezza, ha prodotto poco valore e quando è subentrata la crisi nel 2008 ci siamo accorti che l’eredità della nostra generazione, era un’eredità molto problematica, molti debiti, pochi figli, poco lavoro. Ecco, il mio primo contributo è questo: io credo che l’Italia deve provare a ripensare questa questione del lavoro e del lavoro giovanile in questa prospettiva storica perché abbiamo bisogno di uno sforzo straordinario, non siamo nell’ordinario, abbiamo bisogno di uno sforzo straordinario che eviti il conflitto tra le generazioni e invece all’incontrario costruisca una nuova alleanza tra le generazioni, per far capire ciò di cui sto parlando: io ormai cito sempre questo dato che fa impressione: quando si è creato il problema, tra i tanti che ci ha portato qui? Non stropicciatevi troppo gli occhi, gli anni 80. Nel 1980 il debito sul PIL era del 60% nel 1990 del 120% e da lì non ci siamo più mossi e i più anziani, o i meno giovani, si ricorderanno i famosi bot people, bot people non erano quelli che attraversavano l’oceano per salvarsi, bot people erano le famiglie che potevano investire in bot perché avevano una buona rendita semplicemente investita in titoli pubblici che servivano per alimentare la spesa pubblica spesso improduttiva. E la vicenda dei bot la cito emblematicamente per dire che siamo un pase che con la mia generazione ha smesso di pensare al futuro, ha rinunciato all’idea che la ricchezza deve essere prima costruita, prima creata, che bisogna investire sulle persone, bisogna fare investimenti produttivi, bisogna scommettere e correre il rischio di andare al di là di quello che c’è e ci siamo troppo accontentati di vivere spesso a debito, sulla ricchezza che avevamo già. Capita spesso ai paesi che hanno un grande salto, come quello che è accaduto nel secondo dopoguerra e che pensano già di aver risolto tutti i loro problemi e smettono di pensare al loro futuro. Perché dico questo? Perché io credo che la questione del lavoro giovanile abbia al fondo un problema culturale, siamo un paese che ha vissuto troppo di rendita, che ha semplicemente pensato che il consumando si produceva ricchezza, dobbiamo tutti insieme mettere al centro il lavoro che significa la capacità umana di creare qualche cosa di bello. Quindi non penso solo al posto di lavoro, penso al lavoro come un’attività creativa, l’attività fondamentale per creare ricchezza e benessere che realizza insieme la singola persona con lo sviluppo della comunità, questo è un fatto culturale che significa che bisognerà immaginare poi anche delle leggi, e ad esempio una fiscalità che riconosca la centralità di questo movimento, lo premi mettendo in evidenza questo movimento contro tutti gli altri. Faccio un esempio molto semplice, non entro in questioni tecniche perché non è il caso di entrarci ma oggi se un ragazzo che si laurea e comincia a lavorare e se gli va bene riesce a trovare uno stipendio precario di 800-900 euro e se deve pagare 50-60-70 mq, deve pagare 700 euro di affitto, spiegatemi come è possibile, non è semplicemente possibile. Questo vuol dire che la rendita dell’affitto in questo momento vale di più del lavoro di un giovane che deve costruire il futuro proprio e della comunità a cui appartiene, quindi siamo una società fuori squadra, questo è il problema, troppi estraggono risorse e troppo pochi invece mettono in campo le risorse che hanno per far crescere il paese. Siamo una società che distrugge risorse invece che creare ricchezza, questo è il problema, questo è il tema, altrimenti, diciamo, rischiamo di metterci continuamente delle pezze e non riusciamo ad uscirne. Allora questo cambio culturale, se vogliamo esagerare sento al meeting questa conversione, perché si tratta di una conversione, il paese è come se si dovesse risvegliare da questa specie di stagione in cui, appunto, rendita e consumo l’hanno fatta da padrone. Ecco, il secondo pensiero e chiudo, deve basarsi su questa convenzione, che il lavoro non è tutto uguale, c’è lavoro buono e lavoro cattivo, c’è lavoro produttivo e lavoro improduttivo, c’è lavoro che genera ricchezza e lavoro che non genera ricchezza, lavoro sfruttato. Allora che la quantità del lavoro, i posti di lavoro, sono in relazione, stanno in relazione con la qualità del lavoro, non è vero che la quantità del lavoro è legata alla bassa qualificazione del lavoro, non è vero che la quantità di lavoro è legata ai bassi salari, non è vero che la quantità di lavoro è legata appunto a un lavoro stupido. Il lavoro si crea e i numeri nel lavoro si creano se mettendo al centro la capacità umana di creare ricchezza creiamo le condizioni perché si crei un buon lavoro. È il buon lavoro che crea la ricchezza e lavoro stesso, il buon lavoro deve essere al centro delle nostre politiche economiche e più in generale del nostro sforzo come comunità nazionale, il buon lavoro. E in un momento come questo sarà necessario che il buon lavoro sia sostenuto da uno sforzo straordinario e io approfitto di essere qui al meeting per dire dobbiamo inventarci un modo per trasferire, più velocemente che possiamo, le risorse nella forma del risparmio finanziario e dei beni immobili della generazione, diciamo della mia generazione in su, che siamo ancora ricchi, dobbiamo far transitare questa ricchezza ai giovani, dobbiamo creare delle condizioni, diciamo anche legislative e fiscali, perché la ricchezza non resti bloccata ma sia messa in circolo, sostenendo tutti i giovani che hanno voglia di mettersi in gioco, con la loro capacità, per costruire il futuro, c’è bisogno di uno sforzo straordinario per far si che questa generazione non muoia sepolta dai nostri debiti e sia invece rimessa in condizione di far ripartire, come dire, un nuovo ciclo di crescita, di sviluppo e di buon lavoro.
PAOLO VIANA:
Ringrazio molto il professor Magatti per l’incisività con cui ci ha accompagnato all’interno del tema focalizzando le questioni vere, è una sfida che non è rituale definire epocale per cui si tratta di convertire un intero paese. La Chiesa non ha paura, è per questo che invece di dedicare qualsiasi altro tema, ce ne sono tanti nel magistero, ha scelto quello del lavoro, l’ha scelto in modo così diretto per la settimana sociale di Cagliari. Ecco, io vorrei farvi vedere un libro, e non è uno spot, il libro è questo, s’intitola “Il lavoro promesso”, e lo mostro perché l’autore è il secondo ospite di oggi e perché il sottotitolo coincide, non casualmente, con quello che la Chiesa cercherà di creare, non creerà posti di lavoro ma indicare di propiziare con la settimana sociale, cioè un lavoro che sia libero, creativo, partecipativo e solidale. Ne parliamo con padre Francesco Occhetta che è un gesuita, innanzitutto, redattore de “La civiltà cattolica”, qui il curriculum è molto lungo, vi citerò anche in questo caso solo le voci principali e che ha i vastissimi interessi e che anche lui è impegnato nel cammino delle settimane sociali. All’interno del libro, come ritengo anche nel dipanarsi del dibattito di Cagliari, ci sono delle indicazioni precise su dove la Chiesa voglia andare a parare, su dove l’Italia possa trovare un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale. Padre Occhetta, quali sono? Grazie.
FRANCESCO OCCHETTA:
Bene, mi permetta di ringraziarvi, ringraziare il Meeting, soprattutto il professor Vittadini che ha voluto invitarmi e capisco adesso che siete molti, è anche molto emozionante parlare davanti a voi perché i gesuiti di Civiltà Cattolica erano tutti molto contenti di sapere che avevate invitato me e non loro a venire, perché appunto c’è una grande responsabilità a parlarvi. Io vorrei su queste quattro caratteristiche che Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium al punto 192 definisce come lavoro umano, dire che per noi, per la nostra appartenenza, ci sono lavori umani e ci sono lavori disumani, ed è questa la soglia che noi siamo chiamati a discernere, nello spazio pubblico insieme alla politica, come Chiesa. Ci sono dei lavori che rendono umani e l’umanità è in fondo del lavoro è quando io vivo un atto creatore, e nell’atto creatore io mi creo, e nella creazione, di quello che io creo e creandomi, partecipo a quello che Dio ha fatto nella Creazione. Guardate non è una cosa da poco, questa dimensione la si ascolta nella coscienza, uno sa quando vive compiutamente un lavoro anche se è un lavoro semplice e lo ritiene davanti alla propria coscienza e nella sua intenzionalità qualche cosa che costruisca comunità e sé, e invece quando facciamo dei lavori che, pur essendo tanto retribuiti, ci umiliano. Allora come Chiesa anche, e monsignor Santoro e anche il professor Magatti hanno chiarito da subito, noi avremo un momento anche di denuncia dei lavori che sono dis-umani, e sono tanti, si basano sul traffico delle armi, quelli della pornografia, che fan guadagnare l’ira di Dio, quelli dello sfruttamento minorile, quelli che si basano sul gioco d’azzardo, il caporalato, i lavori che discriminano la donna, quelli che non includono i diversamente abili, e poi tanti lavori in nero, quelli sottopagati, e quelli che creano sfruttamento. Tutti questi umiliano la nostra dignità, e, umiliando la nostra dignità, aumentano il conflitto sociale, non solo del non sentirsi bene, ma anche proprio di competizione. I lavori umani invece, il Vangelo ci dice quali sono, sono quelli che hanno sempre l’altro come punto di riferimento. Io curo me e curando me creo anche l’altro, perché il mio io ha sempre bisogno di un tu. Allora Luca, nel capitolo 10, ci dà già quei verbi che sono necessari per costruire lavori umani, quindi è il vedere i contesti in cui noi siamo inseriti e che tipi di lavori umani fare. Quindi abbiamo bisogno di tanto discernimento in questo, perché a Reggio Calabria c’è un bisogno, a Trento ce n’è un altro e a Torino ce ne sono altri ancora. Noi non abbiamo risposte univoche per il paese, ma sono i territori, è dai territori che partono le nostre risposte, anche come Chiesa. E Luca che cosa ci dice in questa parabola del buon samaritano dove c’è una persona che ha bisogno, e da lì il mio lavoro. Che ci sono dei verbi che sono: lo vide, si commosse, si avvicinò, fasciò le ferite, lo caricò, lo condusse, e ce n’è anche un ottavo, che è il verbo della risurrezione, al mio ritorno io salderò. Questo per noi è il criterio, non pensate che siano criteri troppo teorici, perché poi la nostra coscienza, noi ritornando in questa dimensione facciamo i conti con queste voci, con questi criteri. La chiesa ha fatto nascere la dottrina sociale nel 1891, l’ha strutturata diciamo, proprio per difendere non il lavoro ma i lavoratori umiliati. Allora Leone XIII era entrato nello spazio pubblico, aveva denunciato i lavori che sfruttavano, gli orari che erano umilianti, il lavoro dei bambini, e la Chiesa difendeva quelle persone che non avevano voce. E oggi, anche con la settimana sociale, nel nostro piccolo, vogliamo fare questo. Io credo anzitutto che noi dobbiamo ripartire da qua, io lo dico per una esperienza diretta accompagnando molti giovani che passano da Civiltà Cattolica, noi abbiamo, soprattutto io animo una scuola di politica in cui arrivano molti ragazzi da tutte le parti d’ Italia, facciamo cultura della politica, e io da loro ho dovuto imparare molto. Perché, guardate, la mia generazione se non si siede ad ascoltare i giovani, noi abbiamo categorie che parliamo con loro e loro non ci comprendono perché sono cambiate per loro le categorie cognitive anche degli stessi lavori. Loro sono flessibili e sono innovativi, la nostra generazione, la mia, la flessibilità e più o meno l’innovazione era quasi un disvalore il posta doveva essere sicuro; i giovani, invece (le statistiche ci dicono, c’è una bellissima mostra fatta dalla compagnia delle opere, che ci sono 3 milioni di disoccupati in Italia e ci sono quasi 23 milioni di occupati in Italia) dal 2013 a oggi quelli che avevano il posto fisso , il 46% lo hanno cambiato, perché? Perché si muovono, si spostano, vogliono avere nuove competenze e desiderano il nuovo. Le imprese parlano di soft skills, è una parolona e allora lì dobbiamo mettere dentro le qualità che i lavoratori devono avere, manca però una cosa per la cultura delle aziende, che copiano gli ordini religiosi. Dicono: “ma se gli ordini religiosi hanno vissuto 500/1000 anni, noi li copiamo e facciamo lavorare i nostri lavoratori con quelle regole”, ma mancano della dimensione spirituale, mancano del fatto che l’altro è sempre un punto di arrivo e non è mai un uso e un abuso che a me interessa; allora qui salta in aria proprio per questo e quindi dalla nostra parte possedere l’eredità e ricordare a loro, a queste generazioni, di non vivere soli perché i nuovi lavori, lo vedremo, possono farli vivere soli e soprattutto di non nascondere il loro volto, perché noi quando nascondiamo il volto nel lavoro e nello spazio pubblico ci impauriamo. Provate a chiamare una telefonia telefonica: “ Pronto sono Adele in cosa posso esserle utile” butti giù, se hai una nuova domanda da fare, Adele è sparita e quel patto di fiducia che si creava nel lavoro non esiste più, quindi sono mortificati anche da non avere l’incontro con l’altro, allora i dati sono impietosi, il cambio repentino di questi ultimi anni dice che il 65% dei lavori dei bambini, dei nostri nipoti, che adesso vanno a scuola, non esistono ancora per cui noi non è dobbiamo dare una risposta, ma su che cosa sarà il lavoro futuro, non esistono ancora! Però dobbiamo essere aperti alla flessibilità e anche a queste innovazioni, gli italiani che sono immigrati all’estero, diceva “Il Sole 24 ore” settimana scorsa, sono i 250.000 sono cifre pari al dopoguerra. Cercano un futuro. Non riescono più a trovarlo su 4 lavoratori italiani 3 sono pensionati. Su 10 lavoratori un immigrato, su questo un immigrato il 20% di loro, di questi immigrati, sono laureati e ancora, se da una parte abbiamo il 40% di disoccupazione giovanile dall’altra parte le stime della confindustria ci dicono che l’anno scorso 258.000 giovani non hanno potuto essere assunti perché non avevano le compente sufficienti necessarie che la scuola gli aveva dato. Allora capite che il lavoro non si può decontestualizzare, è un tema di alta politica. Allora chiudo dicendo questo: le ricerche più autorevoli dicono che mancano ingeneri, commercianti, saldatori, cuochi, mancano infermieri, mancando esperti di marketing, mancano fabbri, mancano i lavori di cura alle persone, manca chi lavora ed è professionista dei touch, delle programmazioni in rete. Però ci sono condizioni minime che dobbiamo dargli, difendere come dicevo la cultura del volto e dire che non tutti lavori sono umani, perché? perché noi stiamo lottando come Chiesa in una cultura, che certamente ha bisogno di una conversione, ma è imperniata da 7 grandi mali, il lavoro oggi è condizionato da 7 grandi mali, gli investimenti sono senza progettualità; Mauro Magatti ha detto bene, la finanza è senza responsabilità e ha fatto perdere alla povera gente tutto quello che aveva e si poteva fare meglio, perché la finanza buona… noi abbiamo bisogno della finanza buona. Poi ci sono dei tenori di vita che non hanno sobrietà rispetto a chi non ce la fa, c’è un’efficienza tecnica senza coscienza, i principi, la politica a volte si fa politica del lavoro senza la società, le rendite sono senza redistribuzione. È già stato detto. La crescita, molto spesso, e i dati sono di oggi, è senza occupazione. E io aggiungerei anche un ottavo male: i risultati anche i per le giovani generazioni sono a volte senza sacrificio, allora chiudo dicendo questo: per me è fondamentale che questi senza, a livello culturale, possano diventare dei con in un lavoro fatto insieme ed è per quello che noi siamo qua per dire che voi, noi, siamo protagonisti del cambiamento se lo vogliamo assumere altrimenti ci cambiano le carte al di là di noi, ma questo non possiamo accettarlo, in una democrazia, ma anche in un’appartenenza ecclesiale. Il nostro principale impegno, che apparentemente sembra teorico, è quello di costruire una griglia di discernimento in cui ci sono i principi costituzionali che parlano del lavoro, della dignità umana, del principio solidarista, del principio personalista, tutto quello che ci ha costruito e che ci ha fatto ricevere come dono quello che noi abbiamo ricevuto, anche come lavoro, e gli altri assi, i principii della dottrina sociale: la sussidiarietà (su cui non devo spiegarvi niente), la solidarietà, la costruzione del bene comune è una giustizia che sia equa.
La nostra tradizione non è statalista, l’uomo diventa persona nella società, nella famiglia, mentre lavora, in movimenti come il vostro: entri uomo ed usciamo persona. Essere in relazione, dove ci sappiamo perdonare conoscerci, sopportare e costruire insieme un futuro. Non possiamo rimanere soli perché altrimenti il conflitto diventa troppo alto e sono le comunità, l’antidoto alle spinte populistiche che dicono, una frasetta, che il lavoro si potrebbe cambiare domani con una piccola scelta politica, i populismi non accettano le minoranze, negano il populismo, negano le libertà, parlano con leader autoritari, parlano solo i leader non c’è democrazia interna, comunicano deformando la realtà o addirittura negandola e tutto ciò che è istituzionale come la Chiesa, è già corrotta, questo buio, noi non lo possiamo accettare, perché il lavoro ne risente, le politiche di lavoro sane e umane ne risentono, allora noi una risposta ce l’abbiamo: rilanciare gli enti intermedi che strutturano la società e che ripartono da comunità coese e solidali; è la comunione che aiuta a orientarsi in un mondo che è cambiato i carismi di ciascuno diventano non una competizione, ma una ricchezza, invece noi stiamo vivendo il lavoro come una competizione, ma pensate che nel crowdworking c’è la corsa dei velieri, viene chiamata così! Chi prima arriva, ma pensate alla competizione che c’è, come io considero l’altro come un nemico e non come un collaboratore. Allora davvero ho chiuso, questo piccolo libro io l’ho fatto ascoltando i giovani, con il loro linguaggio, dicendo che come loro stanno creando lavoro, perché lo creano di fatto ed io ne ho testimonianza e un memores che si chiama Di Stefano mi ha fatto la copertina, che è questo seminatore, che lancia semi, è il nostro compito, guardate né di più né di meno, però se li abbiamo li dobbiamo lanciare perché io sono figlio di una tradizione contadina la semente costa, ma è anche una potenza: nel vangelo di Luca è ¼ il seme che diventa regno di Dio. Tre muoiono e noi spesso ci concentriamo solo su questi tre che muoiono, ma ci dimentichiamo di uno, e questo uno su quattro semi, uno è tantissimo è ¼ e questo genera: genera vita, genera lavoro e genera anche permettetemi di dire, un modo nuovo di stare insieme.
PAOLO VIANA:
Grazie. Grazie a Padre Occhetta, che ha rivelato una grande preparazione oltre che empatia, ma trattandosi della civiltà cattolica non è una sorpresa. Grazie a padre Occhetta per essere qui e averci introdotto ancora di più nel tema, come sapete è un gesuita, ma è anche un giornalista, per cui la sintesi che ha fatto è particolarmente incisiva; ecco permettetemi, parlando di lavoro di parlare anche del mio lavoro, nel senso che sono diversi anni che vengo al Meeting come inviato di Avvenire e anni fa ho conosciuto Mons. Santoro che in quel periodo veniva come auditore, veniva come amico del Meeting, e veniva da lontano, veniva dal Brasile, e mi raccontava della sua diocesi una terra intrisa di proteste sociali, di veri drammi per il lavoro e della povertà. Mi raccontava di una Chiesa che non aveva paura a sporcarsi le mani a esercitare apertamente, pubblicamente, una mediazione sociale diretta a salvaguardare il valore del lavoro e soprattutto il valore del lavoratore, della persona umana. Ecco allora, lo confesso adesso, pensavo che fosse una cosa Sud- Americana, sostanzialmente che un magistero così carnale, possiamo dire, potesse esistere solo in Latino America, finché don Filippo, perché si dice così in Brasile, non è arrivato, a Taranto come arcivescovo e Taranto non è una diocesi qualsiasi in quanto a problemi sociali del lavoro e Taranto, ho scritto un altro articolo, è rossa del ferro, è ILVA. Ecco, Mons. Santoro lei è presidente delle settimane sociali che ci saranno il 26 ottobre a Cagliari, dalla sua esperienza così profonda, la domanda è impegnativa esattamente come quella che abbiamo fatto su Avvenire: realmente come pretendete di convertire un intero paese, per ricollegarmi a ciò che ha detto Magatti all’inizio. Grazie.
S. ECC. MONS. FILIPPO SANTORO:
Grazie. Innanzitutto a nome del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali, ringrazio il Meeting per ospitare questa tavola rotonda che presenta la settimana di Cagliari ed è un momento opportuno per far conoscere un lavoro che stiamo realizzando insieme.
In questa giornata prima di passare al tema vorrei ricordare le persone che ad Ischia sono morte. Il Vescovo Monsignor Pietro e poi soprattutto una preghiera per i due bambini che stanno estraendo e che possano ricevere la vita, li ricordiamo dinanzi al Signore e alla Madre di Dio.
Avete sentito il Professor Magatti e Padre Occhetta, loro sono componenti di questo comitato scientifico organizzatore, sono, avete visto, molto bravi, sono capaci di una incidenza straordinaria; il primo aspetto bello è che ci siamo trovati nella Conferenza Episcopale Italiana a svolgere un lavoro corale e sinodale in cui ci sono vari contributi, ci sono tre vescovi, poi ci sono i professori universitari, degli agenti sociali, si parla, si discute, eccetera. Ad un certo punto intervengo io e dico: io non entro né sui numeri né sulle analisi sociologiche e ho presente le facce delle persone, perché non sono numeri, non sono discorsi, non sono teorie, ma sono volti e particolarmente le facce delle persone che ogni mattina vengono da me. Ho detto varie volte che ci sono due file di persone, le persone che vengono piangendo per l’inquinamento dell’ambiente che ha portato morte nella loro famiglia o malattie e alcuni si trovano ricoverati nell’ospedale nord di Taranto e l’altra processione fatta dalle persone che cercano lavoro o che vedono che il loro lavoro è a rischio e quindi il nostro accento è sempre sui volti delle persone. Hanno già detto loro, il lavoro, la persona che lavora. E’ da qui che nasce poi l’interesse anche per l’innovazione, per trovare strade nuove e piste nuove. Dopo mezz’ora che queste persone vengono a parlare con me – ma anche nelle varie diocesi con i nostri fratelli vescovi è più o meno lo stesso, ma anche con i parroci – dopo mezz’ora che sono stati a parlare con me mi dicono: certo Lei Eccellenza non è l’ufficio di collocamento, comunque grazie perché per mezz’ora mi è stato ad ascoltare. Il primo livello è proprio quello dell’ascolto, del lavoro che vogliamo, e l’ascolto non è soltanto sentire, ma far proprio il dramma della gente, accoglierlo dentro di noi. Perciò l’esperienza fatta in America Latina, che di fronte ai problemi uno non sta a guardare e a dare un giudizio separato dalla realtà mi ha fatto subito entrare in gioco per le varie questioni, la questione dell’ILVA, la questione della città vecchia, le varie questioni ambiente e lavoro e poi soprattutto sulla questione giovanile. Noi abbiamo tanti esempi, persone adulte, un giovane sposato con un figlio, qual è il suo lavoro quotidiano? Portare a spasso il cane e nemmeno si preoccupa come vivere, come non vivere e io tutte le volte che vedo mi sento ardere e dico: nella nostra Settimana Sociale noi dobbiamo dare risposta a questi. Poi quando vengono da me mi lasciano il curriculum, ho nel mio cassetto duecento curriculum, la maggioranza di loro sono laureati e quindi mi dicono: “lo so che non è compito sui, però se ci può aiutare…”. Ho presentato la Settimana Sociale in Parlamento a Montecitorio e in un intervallo c’erano nella sala stampa una cinquantina d deputati e io ho detto: “scusate deputati carissimi, voi avrete fatto il vostro compito, anche gli scienziati dell’economia, eccetera, avranno fatto il loro compito, se vi aiutano a sbolognare questi duecento curriculum; se riuscite avrete fatto qualcosa!”. Poi si alza un nostro amico e dice: “ecco, questo traffico di influenza!”, no caro Maurizio Lupi, non è questo che io volevo, cioè non voglio la raccomandazione da te, visto che non me l’hai mai fatta, ma voglio che sia un cammino legale e cioè che sia indicato un percorso per cui queste persone possano fare non la raccomandazione ma proprio il cammino giusto per cui a uno possa arrivare non un favore…quindi questa è la ragione per cui la nostra Settimana Sociale di Cagliari parte dai volti delle persone, e si fa provocare dai volti. Perciò non abbiamo la pretesa in questa settimana di risolvere tutti i problemi, già il Professor Magatti e Don Francesco hanno collocato dei punti di riferimento preziosissimi che ci sono stati dati, il riferimento culturale e l’insistenza sulla comunità come motore del cambiamento e questi due aspetti li stiamo già vivendo, li abbiamo vissuti interrogando le diocesi. Le diocesi sono state interpellate per mandare dei video sul lavoro che non c’è o che non funziona, ma anche dei video sulle buone pratiche, che indicano che è possibile anche dove c’è il deserto di creare qualcosa di nuovo, è già in atto. Il lavoro che vogliamo non è un sogno, il lavoro che vogliamo parte da dei fatti già realizzati e parte da esperienze in atto e non da discorsi. Il metodo che stiamo usando è un metodo sinodale. Già nella nostra commissione nella Conferenza Episcopale Italiana abbiamo portato avanti questo lavoro in modo che non ci fermiamo l lamento e alle denunce, ma cerchiamo di aprire itinerari percorribili, che rendano possibile lo sviluppo del lavoro. Ma nel contesto del Meeting io ho sentito la necessità di riprendere la questione fondamentale, che si declina poi con le buone pratiche: la questione del senso del lavoro, perché è grande questa dimensione. Rileggevo “L’io, il potere e le opere” di Don Giussani, che parte dai fatti pure lui e non da discorsi: “La stima sincera per il lavoro ha una prova del nove, ed è l’insofferenza” – poi tra parentesi lui dice ‘(non nel senso rabbioso, ma nel senso etimologico della parola)’- per la disoccupazione di tanti altri, tanti altri che non abbiano lavoro non può lasciare tranquillo me e nessuno di noi” poi citando San Tommaso d’Aquino prosegue: “Un uomo conosce se stesso solo in azione, durante l’azione e mentre è in azione conosce se stesso, perciò se la vita non ha lavoro uno conosce meno se stesso, smarrisce il senso del vivere, tende a smarrire il senso del perché vivere. Dobbiamo fare di tutto per collaborare alle forze sociali e politiche che mirano a trovare un lavoro per tutti”. E poi il punto di partenza, dice Don Giussani, è il bisogno. Il bisogno, un aspetto strutturale della condizione umana, “è necessario capire perché quelle sottolineature, diritto, dovere, modo di produzione, prestazione inevitabile per poter mangiare, sono parziali, mentre la parola ‘bisogno’ apre la questione in modo giusto. La parola ‘bisogno’ indica quel fenomeno costitutivo della persona viva, il mio bisogno, di una umanità a cui è dato vivere una a spinta profonda che è dentro di noi che la Bibbia chiama ‘cuore’”. Quindi il pilastro fondamentale della dottrina sociale della Chiesa, la sottolineatura fatta da Don Giussani, possiamo identificarlo in questi termini: la persona in azione. Se manca la seconda parte da San Tommaso in avanti, ma anche prima di lui, è come se venisse a mancare l’azione, l’atto in cui la persona si realizza in questo. E poi dice “il bisogno che sta dentro di noi, che la Bibbia chiama cuore” e qui Don Giussani fa il passaggio: “il cuore identificato con il senso religioso: questa apertura all’infinito sottende, spiega, sostiene, dilata, potenziandolo senza limiti ogni bisogno dell’uomo. Il senso religioso dunque, il fattore ultimo dei bisogni umani e quindi anche del bisogno che è il lavoro. Per questo ogni governo puramente tecnocratico di una convivenza umana è un delitto contro l’uomo, se tutto si riduce a tecnica, perché l’uomo non può ridursi a fattori di un’analisi tecnica o a funzione di un particolare scopo produttivo. Tutto rientra nella considerazione della persona intera.” Perciò partiamo dal cuore, partiamo dal senso religioso in azione, non una teoria, non una metafisica, ma un’esperienza continua quotidiana. E poi aggiunge: “perché c’è questo nesso tra il lavoro e il senso religioso? Perché il lavoro è l’espressione totale della persona. Si chiama lavoro tutto ciò che esprime la persona col suo rapporto con l’infinito” – anche una persona che è ammalata vive il lavoro, il rapporto col Mistero, per cui uno dei nostri capitoli sarà anche il lavoro dei disabili, sarà anche il lavoro dei migranti perché l’integrazione non l’avremo se semplicemente noi li accogliamo e non si aprono le porte anche al portatore di disabilità, al migrante, ai bisogni che ci sono, perché la dimensione dell’infinito si trova in ciascuno di noi e la dimensione va avanti, ma poi continua e aggiunge – “perché tutti devono essere rispettati, per questo devono essere oggetto di una giustizia reale, di amore e quindi di aiuto, perché? Perché sono lavoratori, sono esseri chiamati ad amare Cristo. Perché c’è questo senso, questo nesso tra amare Cristo e il lavoro? Perché il lavoro è la forma espressiva della personalità umana, del rapporto che l’uomo ha con Dio. Gesù definisce Dio l’eterno lavoratore”. Quindi il lavoro come questa espressione totale della persona umana, particolarmente nella azione. La centralità della persona che lavora, la partecipazione all’opera creatrice di Dio, ma anche il bisogno che il lavoro sia redento, della redenzione del lavoro, è necessaria la redenzione del lavoro. Leggevo domenica scorsa San Giovanni Crisostomo, un grande difensore della povertà della Chiesa e della sua libertà nei confronti dell’imperatore. San Giovanni Crisostomo diceva, commentando il brano del vangelo “sale della terra luce del mondo”: voi siete il sale della terra, vi viene affidato, a ciascuno di noi, il ministero della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. Non vi mando a due, a dieci, a venti città o un popolo in particolare, come al tempo dei profeti, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero per questo mondo così corrotto. Dicendo infatti “voi siete il sale della terra” fa capire che l’uomo è snaturato e corrotto dai peccati, è l’opera di Cristo che libera gli uomini dalla corruzione del peccato, impedisce di ricadere. Ma l’impedire di ricadere nello stato di miseria spetta la sollecitudine allo sforzo degli apostoli .
Perciò voglio che non vi limitiate ad essere santi per voi stessi, ma facciate gli altri simili a voi; senza di ciò non basterete neppure a voi stessi. E quindi il nostro compito è proprio quello del lavoro e di un lavoro degno.
Hanno già parlato di lavori indegni e di lavori degni.
I lavori degni sono quelli che fanno crescere la persona, la famiglia e la società.
È chiaro che se io sono commerciante di droga o sono commerciante di pornografia o sono commerciante di guerra e di queste cose qui sicuramente non costruisco l’umanità, la distruggo. È stato già detto.
E quindi da questa visione che ho sintetizzato nasce l’esperienza, il fatto del lavoro degno.
Per spiegarlo mi ha aiutato tanto l’invito, che mi è stato fatto, dal pontificio consiglio per la giustizia e pace, ad un incontro dei movimenti popolari.
Papa Francesco ha invitato movimenti popolari, insomma i più disperati che ci sono nel mondo li ha invitati. Se ne sono fatti tre, al terzo sono andato anch’io.
In questo incontro c’erano i Cartoneros, i raccoglitori di cartone dell’Argentina, della Colombia. Poi dopo c’erano i senza-terra del Brasile, ma non gli amici nostri senza-terra di Marcos e Cleuza, c’erano i duri, proprio i veteromarxisti. E Papa Francesco li chiama perché tutti possano avere un punto di riferimento. E poi c’erano portatori di risciò.
In quell’incontro c’erano dei sindacalisti; i sindacalisti italiani, spagnoli hanno detto a questi dei movimenti popolari: il vostro lavoro carissimi è un lavoro, è un’economia informale
E questi hanno detto: no, la nostra non è economia informale perché la nostra è un’economia popolare.
Si è alzato uno del Bangladesh, portatore di risciò, e dice:
“Come fa ad essere informale? Guadagno, per essere buoni, dieci euro alla settimana. Se gliene devo dare sei al governo, come faccio a vivere? Questa non è economia informale questa è economia popolare perché voglio un lavoro degno”.
Allora gli ho detto – io sono intervenuto perché mi ha sollecitato: che ne pensa eccellenza? – “certo io sono vescovo e faccio un lavoro degno; tutte le mattine mi sento i dolori della gente , mi sento varie cose e che mi affliggono, li ascolto. Ed è un lavoro degno perché fa crescere me, fa crescere gli altri, ma anche il tuo, portatore di risciò, tu che porti la carrozzella lì, il tuo lavoro è degno perché degna è la persona”
La grandezza, quello che diceva, rapporto con l’infinito. Degna è la persona
Rapporto con l’infinito, immagine e somiglianza di Dio, perché la tua persona è degna .
Dopo che gli ho detto così quello lì quasi quasi mi baciava.
“Ma veramente non avrei mai pensato che fare questa cosa qui fosse la realizzazione, il degno, perché pensavo solo alla famiglia – già è molto .
Ma tu mi dici che degna è la persona quindi la dignità della persona introduce nell’opera che io faccio, nel lavoro, un significato straordinario”.
Per motivi di sintesi passo a dire: il lavoro degno, la dignità della persona, si sviluppa in vari aspetti che sono stati citati.
Un aspetto che voglio citare: è degno il lavoro che rispetta la vita, è degno il lavoro che non ammazza, è degno il lavoro che fa crescere la vita, è degno il lavoro che rispetta l’ambiente.
E qui tutto il problema nostro particolare, ma non è solo di Taranto, è di tutta la realtà italiana e mondiale.
Se un lavoro distrugge l’ambiente, la vita, non è un lavoro degno.
Quindi tutta l’insistenza che stiamo facendo sia con il governo, sia con i nuovi acquirenti dell’ILVA, è che sia garantito un lavoro degno che renda possibile l’aria, la terra, il mare puliti, salutari, salubri e che poi, ancora, sia garantito il lavoro perciò sia garantito il lavoro senza sorprese negli esuberi.
Il ministro Calenda sta facendo adesso la sua conferenza, lo raggiungerò dopo per dirgli “mi raccomando ha promesso che esuberi non ce ne saranno, mantenga la parola così che questo possa realizzarsi”
Volevo concludere semplicemente citando, a proposito di lavoro degno, ciò che ci ha comunicato il Cardinal Parolin come messaggio del santo padre e prima ancora un riferimento a giovani, poi ritornerò nella ripresa sui giovani perché il punto nevralgico questo qui, il punto in cui è possibile una fusione tra la scuola, l’università e il lavoro che adesso disconnessi particolarmente in cere situazioni del sud Italia: uno è, vai alle università del nord o vai fuori Italia per studiare e poi rimane li e la ricchezza non ritorna e l’innovazione non si realizza, quindi creare un circolo virtuoso, spinto dalla comunità, esempi positivi ce ne sono, queste quattrocento buone pratiche e poi c’è una lavoro interessantissimo della fondazione per la sussidiarietà, un’opera di Giorgio Vittadini, far crescere la persona: la scuola di fronte al mondo che cambia. Ed è questo il senso della dottrina sociale della chiesa particolarmente a partire da Benedetto XVI nella Caritas in veritate da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium. Nel messaggio al Meeting letto dal cardinal Parolin di Papa Francesco abbiamo ascoltato l’invito a recuperare una vera gioventù. Il tema di quest’anno è la generazione che recupera e che vive nel presente. Come evitare questo Alzheimer spirituale? C’è una sola strada: attualizzare gli inizi, il primo amore, che non è un discorso o un pensiero astratto, ma una persona, la memoria grata di questo inizio assicura lo slancio necessario per affrontare le sfide sempre nuove che esigono altrettanto nuove risposte. E continuava – come arriva a noi la grande tradizione della fede? Il risveglio del primo amore. Come l’amore di Cristo ci raggiunge oggi? attraverso la chiesa, la vita della chiesa, attraverso una moltitudine di testimoni che da duemila anni rinnovano l’annuncio dell’avvenimento del Dio con noi e ci consentono di vivere l’esperienza dell’inizio. Prendendo sul serio questo invito – fatto qui al Meeting – la settimana di Cagliari vuole rispondere ai bisogni reali della persone, ai volti, alle facce. Riproporre il senso del lavoro, un lavoro degno aperto alle innovazioni e alla tecnologia, mettere al centro il senso del lavoro. E però tutto questo esige che ci sia qualcosa che viene prima dell’economia, che viene prima della stessa politica che è legato all’origine: il nostro contributo non può essere ripetere teorie, utilizzarle sì, ma a partire da un prima che è stato indicato nel messaggio del papa che è legato alle ragioni più ere della vita ragioni che diventano buone pratiche, che indicano promessa e speranza per il nostro futuro, accende ed offre una speranza vera per il nostro popolo. Il Meeting è un luogo in cui cosa successe: sia riaccende il primo amore, tutte le volte che sono venuto qui è stata un’esperienza bella in cui il primo amore che ci tocca tutti, che tocca tutti i campi della vita e specificamente il campo del lavoro, anche il Meeting è anche il grande antidoto all’Alzheimer spirituale perché si confronta con le questioni reali del nostro quotidiano e ci dà il cuore per affrontarle. Così noi vogliamo che sia questa nostra convivenza e così sia anche la settimana sociale fondata 110 anni fa da Beato Toniolo. Grazie.
PAOLO VIANA:
Veramente grazie perché oggi noi abbiamo contezza, abbiamo una comprensione veramente chiara di che cosa ci aspetta, non solo del tema del lavoro, che è amplissimo, ma di cosa ci aspetta a fine ottobre con le settimane sociali. Ciò non ci esime dal parteciparvi naturalmente, ma i contribuiti dei relatori sono stati davvero esplicativi e li ringraziamo. Ora per ragioni di tempo il dibattito darà un po’ rimodellato, i relatori mentalmente avranno molto malumore nei confronti del moderatore, ma non lo esprimeranno, sarà leggermente rimodellato e da cronista io mi fisserò solo su un punto chiedendo loro di commentarlo: pochi giorni fa qui al Meeting è venuto, come sapete il Presidente del Consiglio ce proprio sul tema del lavoro ha fatto delle affermazioni impegnative: Gentiloni ha detto nella legge del bilancio c’è una passaggio chiave, ha previsto risorse che consentiranno alcune limitate misure per accompagnare la crescite, ha promesso interventi molto selettivi, in primo luogo sul lavoro per i giovani. Ha promesso incentivi permanenti, stabili all’assunzione consolidando i risultati del jobs act. Con un impegno straordinario per le politiche attive sul lavoro. Anche con alcune norme shock. Ecco, Magatti, ci crede? Che giudizio ne dà?
MAURO MAGATTI:
Queste misure mi vedono sicuramente d’accordo, vanno nella linea che ho richiamato prima circa la necessità di costruire un uovo patto per le generazioni in questo paese che passi anche attraverso delle misure fiscali e istituzionale. Però sarò brevissimo in questa mia ripresa, i paesi sono un po’ come un transatlantico, non è che si può immaginare che con uno schiocco di dita cambino l’assetto, se dovete spostare un transatlantico, e immagino che tutti voi tutti i giorni guidate un transatlantico, ma se immaginiamo di guidare un transatlantico capiamo che il transatlantico si muove un po’ per volta, spostarlo è un’operazione che richiede i suoi tempi. Ecco noi dobbiamo spostare il transatlantico Italia. La dico e mi fermo qui, cosa vuole dire. Vuol dire che noi veniamo da una stagione in cui la logica è stata: consumo, sostenuto dalla rendita finanziaria , statalismo, dalle tasse tante cose, e per ultimo veniva il lavoro questa cosa ha avuto una sua giustificazione storica, in particolare da 2008 non sta più in piedi. Dobbiamo passare da questo orientamento a un nuovo orientamento che para dal lavoro inteso in senso ampio non solo inteso in senso strumentale, inteso in senso umano come luogo della realizzazione di sé. Cioè il lavoro, non il consumo al centro come luogo di realizzazione della persona. Quindi il lavoro che si lega alla partecipazione di ciascuno a una produzione di valore, di benessere collettivo e solo alla fine, come terzo, vengono i consumi che non sono male, ma sono i frutto di una ricchezza che è stata creata prima. Questo è lo spostamento che dobbiamo fare, guardate questo è il tema che da dieci anni è in giro per il mondo e i paesi che l’hanno capito, e stanno lentamente riorientandosi, stanno già raccogliendo i primi frutti. Questo passaggio è un passaggio che sicuramente queste misure, come dire, vanno nella giusta direzione, però è necessario darsi un obbiettivo e nel giro di qualche anno riassettare il paese in questa nuova condizione che ci è richiesta dall’epoca che stiamo vivendo.
PAOLO VIANA:
Grazie Magatti. è lo stesso quesito che pongo a Padre Occhetta che ha indagato i nuovi lavori nel suo libro e che quindi, gli chiedo di leggere le parole del Presidente del Consiglio, forse meno da una punto di vista politico, il quale lo intrigherebbe, ma proprio dal punto di vista dell’evoluzione del mondo del lavoro e cioè: queste misure in qualche modo potrebbero innescare processi positivi in quelle professionalità e in quelle frontiere del lavoro che conosciamo meno e che tuttavia sembrano più promettenti?
FRANCESCO OCCHETTA:
Si, anche io sono contento di quello che il Presidente ha promesso qua, però dobbiamo capire se è una grande bombola d’ossigeno o una flebo oppure un ricostituente per rilanciare vita e dare forza al paese. Perché questo lo possiamo solo valutare se la politica del lavoro va insieme ala politica della famiglia e alla gestione della scuola, evidentemente, che sono i grandi temi. E poi è chiaro che per la nostra tradizione il lavoro, in senso stretto, non lo deve creare lo stato, questo lo dobbiamo ribadire, lo devono fare le imprese, la società. Tuttavia con il professor Magatti e Mosignor Santoro abbiamo molto discusso sulle condizioni che lo stato invece, a livello politico, deve scattare per far sì che il lavoro si possa – è il nuovo lavoro di cui adesso accenno qualcosa – possa partire. Quindi i tempi della burocrazia, fare arrivare la rete dappertutto, le norme, detassare, c’è troppa tassazione, i tempi lunghi della giustizia, sono tutte quelle dimensione che bloccano a volte. Allora sul nuovo lavoro, la jeep working e lo smart working, penso al crow working, che sono i grandi lavori che stanno facendo i giovani e non solo che si dice, si prevede che in America saranno il 10% nel 2020, quindi tra tre anni, ame preoccupa solo una cosa grande e vera e di cui non chiederemo entreremo in dialogo col governo….
PAOLO VIANA:
Occhetta ci spieghi un attimo cosa sono perché non tutti…
FRANCESCO OCCHETTA:
Lo smart working è… stanno entrando dei lavori che stanno praticamente facendo si che i tempi di lavori, i luoghi di lavoro e anche l’intermediazione non siamo più le stesse, sono dei lavori che si possono fare da casa, o molti lavori che si fanno già con chi gestisce le imprese e ina dimensione meno di subordinazione così aprono molti percorsi. Qual è il problema di questi nuovi percorsi che stanno uscendo lavori che non sono tutelati perché dalla giurisprudenza europea si sta, diciamo così, proteggendo quello che loro chiamano il worker, il lavoratore puro, che non è il lavoratore dipendente. Allora siccome noi nel nostra associazione tutto è riconducibile e ricondotto al lavoro dipendente, se noi continuiamo in questo schema lasceremo fuori migliaia, migliaia e migliaia di nuovi lavoratori che non hanno tutele. Allora su questo, come chiesa noi, possiamo dire qualche cosa e lo diremo e poi è tutto un lavoro di cura che è legato anche ai nuovi lavoro che sono lavori di flessibilità, ma di cui come dicevo è anche necessario un cambiamento culturale. Per far si che la cura non sia qualcosa che si dà in più ma che investa e che rientri anche proprio nell’orario lavorativo. Monsignor Santoro ha appoggiato una proposta di una professoressa canadese che è venuta a parlare anche in parlamento: lei propone di ridurre l’orario di lavoro per aggiungere la riduzione dell’orario a lavori di cura che chiaramente vanno certificati. Tanti auguri, dobbiamo farlo insieme però questo.
PAOLO VIANA:
È evidente che non posso chiedere un giudizio politico a Monsignor Santoro sul Presidente del Consiglio, però gli chiedo comunque di commentare questa promesse perché nell’intervento che ha fatto Sua Eccellenza ha esplicitato, non dico una riserva, ma una preoccupazione cioè quella che accanto alle misure più dirette per il mondo del lavoro ci sia anche un impegno formativo e un impegno educativo perché quello è un fronte scoperto, è così?
S. ECC. MONS. FILIPPO SANTORO:
Certo. Ci sono due aspetti: uno è che più fondamentale ed è l’origine di questa conversione culturale di cui si parlava e quindi di questo coinvolgimento comunitario in un’opera così grande per far andare il lavoro che vogliamo. Questo è possibile, cioè ci vuole proprio un lavoro corale, un lavoro comun, da dove incontrando l’assemblea generale della CISL dicevo loro, ma da dov’è possibile trovare l’energia perché noi come chiede Papa Francesco, non ci identifichiamo con i partiti che i sindacati abbiano qualcosa di originale. Che siano critici i partiti, che sia critica la politica, ci vuole un’altra origine, ci vuole un altro punto di partenza, perciò quello che abbiamo detto sul lavoro, sulla centralità della persona in azione che lavora è un punto, è la qualità della vita, le ragioni grandi della vita che innestano una conversione culturale, un cambiamenti culturale se no…allora dicevo alle persone della CISL: voi fate origine giuste, prendete origine dalla dottrina sociale della chiesa, pur essendo un movimento laico, ripigliate l’origine con le vostre parrocchie, con i vostri movimenti, con le associazioni che vi danno questa visione diversa che guarda la persona, che cura la persona. Allora a me sembra importante proprio in questo nostro contesto che noi ci facciamo promotori di una conversione personale che ha il suo influsso in ogni gesto che facciamo e quindi anche nel gesto del lavoro e nel creare lavoro dando alle imprese e ai luoghi in cui lavoriamo un contesto più umano. È necessaria un’origine diversa che si declina nel lavoro quotidiano che facciamo e perciò non solo delle premesse teoriche.
Ciò che leggevo di don Giussani è il cuore di ogni gesto è il cuore di questa prospettiva, quello che è il vangelo, la dottrina sociale della Chiesa. Ed è importante in questo cammino nostro di Cagliari, un lavoro che metta insieme i vari soggetti presenti del mondo cattolico, non per farne un nuovo partito cattolico ma un elemento profetico in tutta la nostra società, un elemento profetico che contesta, che propone che fa andare avanti; quindi un’origine recuperata nella nostra esperienza, rivissuta nell’oggi, nella guida del movimento nella guida dei movimenti nel nostro presente e che mettono insieme le varie esperienze per la significanza. Ed è giustissimo quello che sentivo dire ieri sera da Vittadini quando dice, ma voi non vi siete schierati né di qua né di là, esattamente quello che vogliamo. Non schierarci di qua e di là ma manifestare una originalità che ci contraddistingue: questa è la prima contestazione umana e politica.
PAOLO VIANA:
Direi proprio che possiamo solo dire grazie, non c’è proprio altro da aggiungere perché a questo punto tutto ciò che va aggiunto è partecipare, partecipare alla settimana sociale di ottobre a Cagliari per capire di più dove sia e come sia il lavoro che vogliamo, libero, creativo, partecipativo solidale che della settimana è il titolo.
Per arrivarci preparati qualche consiglio, per sapere davvero cosa significhi lavorare per un giovane italiano, visitate la mostra “ognuno al suo lavoro” mostra del meeting al padiglione B1 e vi anticipo che ci sarà un’altra mostra, promossa dalla fondazione per la sussidiarietà, ma questa volta a Cagliari, così ho un buon motivo per andarci, una mostra che invece affronterà le criticità del mercato del lavoro, parlerà dei NET, parlerà del precariato, parlerà di temi che avete ascoltato stamane, naturalmente non posso svelarvela completamente.
Ciò che è importante è che si riesca a dare una risposta ai dubbi di coloro, dei giovani che leggono il tema alle mie spalle si chiedono: “già, ma quale eredità?” il professor Magatti ci ha dato uno scenario veramente preoccupante. Ecco la chiesa con coraggio a Cagliari darà delle risposte e di ciò, soprattutto di ciò ringraziamo i relatori che ci hanno accompagnato in questo cammino.
Ora per tutti un promemoria: anche quest’anno è possibile contribuire alla costruzione del meeting attraverso donazioni, a questo scopo all’interno di numerosi padiglioni troverete le postazioni “dona ora”: questo sì è uno spot ma uno spot buono. Le donazioni vi ricordiamo dovranno avvenire unicamente presso i desk dedicati dove saranno raccolte da volontari che indossano la maglietta verde “dona ora”. A parte l’annuncio per gli acquisti ma non è un acquisto, in questo caso, grazie a tutti per la vostra grande attenzione, grazie ai relatori e buon meeting.