GIOCO: RESPONSABILITÀ E COMUNICAZIONE. I PRIMI RISULTATI DI UNA RICERCA

Gioco: responsabilità e comunicazione. I primi risultati di una ricerca

22/08/2011 - ore 19.00 Partecipano: Giovanni Emilio Maggi, Direttore delle Relazioni Istituzionali di Sisal e Presidente ACADI; Marco Pedroni, Sociologo, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Centro di Ricerca ModaCult; Giancarlo Rovati, Professore Ordinario di Sociologia Generale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Intervento di saluto di Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera dei Deputati. Introduce Sergio Luciano, Giornalista.

Partecipano: Giovanni Emilio Maggi, Direttore delle Relazioni Istituzionali di Sisal e Presidente ACADI; Marco Pedroni, Sociologo, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Centro di Ricerca ModaCult; Giancarlo Rovati, Professore Ordinario di Sociologia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Intervento di saluto di Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera dei Deputati. Introduce Sergio Luciano, Giornalista.

 

SERGIO LUCIANO:
A tutti grazie di essere qui. Mi contraddico ma nel senso che l’onorevole Lupi arriverà qui a momenti e quando arriverà gli chiederemo quanto può trattenersi, se rivolgere un saluto o una conclusione vedremo. Nel frattempo cominciamo il nostro incontro denso di fatti e soprattutto un incontro con un’opportunità informativa preziosa per tutti noi che siamo interessati a questo mondo, a questo settore del gioco responsabile, del gioco legale che sta vivendo nel nostro Paese una fase di grande importanza. E l’addentellato più ovvio che sarà in mente a tutti voi è quello con la manovra economica, sulla quale il Paese si sta dibattendo in questo così concitato periodo, dove in effetti il ruolo che ad oggi le società concessionarie svolgono di fatto a vantaggio delle radio, drenando risorse e convogliandole verso le casse statali, è un ruolo molto significativo. Siamo nell’ordine a ridosso di dieci miliardi di euro di introiti erariali diretti, senza pensare quindi alle tasse sulle imprese, sugli esercenti questi mestieri, quindi stiamo parlando di qualcosa di molto importante. Qualcosa di molto importante per la nostra società. Un fenomeno diffuso a tutti i livelli, con tantissime articolazioni e tantissime modalità di espressione, di cui il nostro sistema ha preso in qualche modo coscienza in maniera strana, strutturata, consapevole da poco tempo, da pochi anni, da quando in effetti, per dire anche le cose buone che accadono, le eccellenze che registriamo nel nostro Paese oltre alle mille difficoltà, si è preso atto della necessità, opportunità di accentuare, enfatizzare, accelerare la regolarizzazione di un fenomeno che aveva una profonda radice popolare, ma anche una profonda radice clandestina. Quello che oggi abbiamo di fronte a noi è comunque una congiuntura epocale, perché è un mondo che sta cambiando un mondo globalizzato, un settore industriale estremamente competitivo, con attori di tutto il mondo. Abbiamo anche una discontinuità tecnologica che si fa sentire e abbiamo poi delle forme di comunicazione che da una parte inducono comportamenti, dall’altra li rilevano nella società e li utilizzano in maniera professionale per proporre soluzioni di gioco sempre più vicine all’esigenze dell’immaginario collettivo di tutti noi. Quindi un mondo estremamente variato, estremamente importante. In questo contesto si inserisce un’iniziativa unica di cui parliamo oggi, dettagliandone una prima parte di risultati, una ricerca. Una ricerca che servirà non solo quest’anno, non solo oggi qui, ma d’ora in poi a raccontare a tutti noi, per gli interessi che ciascuno può avere, quindi da quelli sociali a quelli giornalistico – culturali, a quelli imprenditoriali, a quelli amministrativi, che cos’è il gioco in Italia, come gli italiani vivono il gioco, come si può conciliare la necessità di garantire responsabilità e correttezza in questo settore con il diritto di chi vuol giocare, di chi ama giocare, come praticare uno svago vecchio come il mondo con le esigenze erariali, con le esigenze di trasparenza e anche con le esigenze, diciamo così, di responsabilità e di sicurezza collettiva. Quindi un mondo che spazia veramente a trecento sessanta gradi su tantissimi aspetti della vita quotidiana delle famiglie e degli individui. Io pensavo di non andare oltre perché abbiamo veramente parecchie cose, anche sorprendenti, da dire e quindi nell’attesa, poi vedremo di organizzarci al momento dell’arrivo dell’onorevole Lupi. Io senz’altro darei la parola a Giovanni Emilio Maggi, Gimmi per gli amici, che è responsabile della sede istituzionale Sisal SPA e presidente di ACADI che è l’associazione degli operatori. Prego.

GIOVANNI EMILIO MAGGI:
Grazie Sergio, grazie a tutti voi che siete venuti a questo convegno. Credo che sia la prima volta che qui al Meeting si parla di gioco e questa è una piccola scommessa che abbiamo fatto, noi come operatori di gioco, un paio di anni fa con i nostri amici del Meeting, della Fondazione di Sussidiarietà. Io rappresento in questo momento l’azienda per cui lavoro, cioè Sisal, ma rappresento anche gli altri committenti di questa ricerca, che poi il professor Rovati e il professor Pedroni presenteranno, che sono Lottomatica, che sono l’associazione ACCADI, che raggruppa i concessionari degli apparecchi da intrattenimento e l’associazione Gioco Società, che raggruppa altri concessionari delle scommesse. Forse qualche anno fai parlai di gioco, parlai scommesse. Qui a Rimini potrà essere considerato un po’ un azzardo. E uso un altro termine in tema, però credo che la nostra volontà, il nostro interesse di leggere il settore in un modo un po’ diverso dal solito, abbia poi trovato all’interno della Fondazione, in particolare all’interno dell’Università Cattolica che ci ha seguiti, un terreno molto fertile. Insieme abbiamo scoperto poi delle cose diverse, delle cose interessanti e un modo veramente diverso di leggere il settore. Io faccio una breve introduzione per contestualizzare, se volete, il settore. Forse dirò cose per chi lo conosce abbastanza, scontate, forse dirò cose abbastanza sorprendenti per chi il settore non lo conosce. In primo luogo il gioco è certamente connaturato alla natura umana e come tale esisterebbe comunque anche se non fosse regolamentato. La consapevolezza che il gioco necessiti di particolari controlli, ha spinto gli stati a regolamentare il settore al fine di tutelare i consumatori, garantire lo sviluppo di politiche responsabili, attente a prevenire comportamenti scorretti, proteggere il settore, i consumatori dagli operatori illegali, sottraendo proventi dalla gestione del gioco alla criminalità che, altrimenti, se ne impossesserebbe per altri motivi. Essendo arrivato Maurizio Lupi, lo saluto in primo luogo e gli chiedo quanto tempo ha da dedicarci e se … Continuando, la realtà degli ultimi vent’anni è stata caratterizzata da un costante sviluppo del settore del gioco essenzialmente legato a tre fattori. Un forte contributo offerto da tecnologia in chiave di sicurezza, velocità e trasparenza; l’ampliamento delle reti di vendita, che hanno consentito ai consumatori un facile accesso al gioco e un’elevata gamma di prodotti, sviluppati dallo stato, che ha soddisfatto, che ha consentito di mettere in campo un’offerta ampia e diversificata. Il motore fondamentale di questo processo di sviluppo e di crescita è stato il ruolo svolto dalle istituzioni internazionali e nazionali e, per quanto riguarda l’Italia, il Monopolio di Stato, che ha consentito l’elaborazione di strategie orientate a far emergere il gioco illegale o irregolare, trasformandolo in gioco sicuro, legale e controllato, affidato a concessionari individuati attraverso gare e procedure di evidenza pubblica. La creazione di una industria del gioco italiana, che occupa per competenza, fatturato, innovazione e investimenti le prime posizioni al mondo, costituisce un esempio di eccellenza italiana del tutto ignota al di fuori del nostro mondo di addetti ai lavori e questo devo dire che è certamente una colpa e una manchevolezza di noi operatori. Senza dilungarmi in tanti dati e in tanti numeri, vorrei solo rammentare alcuni dati fondamentali del settore. Negli ultimi dieci anni il settore del gioco lecito ha prodotto introiti erariali per oltre 64 miliardi di euro e solo per il 2011 è atteso un introito vicino a 10 miliardi di euro. Questo, in momenti di crisi, di finanziarie, di tagli e via dicendo, credo che sia un forte contributo. Ripeto, è solo la parte erariale, in più c’è la parte aziendale e tutte le imposte versate dalle aziende all’erario. In questo settore si è creato un indotto composto da circa 150.000 punti vendita e tra punti vendita e micro imprese da almeno 100.000 occupati diretti che si occupano di gioco in Italia. E’ stata sviluppata una regolamentazione da parte del Governo che fa sì che parte dei proventi raccolti siano restituiti alla comunità in termini di finanziamento ad importanti settori della società civile. Qualche esempio in questo caso è il finanziamento del CONI: 450 milioni all’anno vengono dirottati da quei 10 miliardi di cui parlavo prima a finanziare lo sport olimpico e questo dal 2006; il parziale finanziamento del patrimonio culturale italiano attraverso il gioco del Lotto; il finanziamento – e questa è una cosa triste, però nella quale si era intervenuti, il Governo è intervenuto e noi subito insieme – di momenti di particolare criticità, come ad esempio il terremoto dell’Abruzzo, per il quale complessivamente il settore del gioco ha creato un finanziamento attraverso varie forme di oltre un miliardo di euro. Alla luce di questa breve introduzione, credo sia evidente che il settore gioco può avere molte chiavi di lettura o chiavi d’accesso. Può essere visto come una leva fiscale e certamente lo è, visto che porta quasi 10 miliardi di euro all’anno allo stato. Può essere visto come un vizio e anche in questo caso ci può essere del vero, perché sicuramente alcuni consumatori, alcuni giocatori non riescono a limitarsi e di conseguenza è un vizio o forse è più corretto chiamarlo una malattia. Può essere visto come un modo per incanalare nella legittimità un comportamento umano che, se lasciato libero, spesso sfocia in comportamenti criminali ed illeciti. Può essere visto come opportunità, in effetti non molto sfruttata ancora, per indirizzare risorse verso occasioni socialmente utili. Può essere visto come un divertimento e questa è la chiave di lettura che ci piace di più sottolineare e che cerchiamo di portare avanti, perché come tutte le attività umane fatte con moderazione e raziocinio rappresenta o può rappresentare un momento di liberazione o un momento di sogno. Il gioco dunque può avere molte forme di valutazione e giudizio e per noi che ce ne occupiamo professionalmente, sia come aziende che come associazione di categoria, uno dei problemi che più spesso ci siamo posti è come rappresentare correttamente nella società il nostro lavoro, che è quel lavoro di migliaia di individui che, come tanti, producono ricchezze per l’azienda in cui lavorano, per le loro famiglie, per la collettività, per lo stato. Da molti anni abbiamo il piacere e l’onore di partecipare al Meeting e anno dopo anno, discorso dopo discorso, incontro dopo incontro, ci siamo resi conto che, seppur apparentemente lontani, i nostri mondi, quello del gioco e quello che ruota intorno ai concetti di solidarietà e di sussidiarietà, hanno dei punti di contatto. Secondo noi entrambi, nel quotidiano, nell’operatività quotidiana, pongono al centro dell’attenzione il sociale. Come concessionari del gioco e quindi come parti attiva, responsabile del settore del gioco lecito per conto dello stato, ci sentiamo investiti di una responsabilità sociale che per noi è importante tanto quanto l’attività di business e deve svilupparsi parallelamente a questa, affinché il gioco possa essere sempre associato a comportamenti corretti. Infatti, l’impegno strategico rappresentato dalla responsabilità sociale, dalla sostenibilità e dalla diffusione di un’ampia cultura e conoscenza del gioco responsabile, sono elementi centrali della strategia dei monopoli di stato e delle grandi aziende del settore. E quindi la tutela del consumatore e la prevenzione verso forme del gioco patologico e il controllo della assoluta non partecipazione da parte dei minori al gioco sono elementi centrali delle nostre strategie. Partendo da queste idee, un anno fa, proprio qui a Rimini, abbiamo preso la decisione di provare a leggere, come dicevo prima, e raccontare il settore con occhi un po’ diversi dal solito, mettendo da parte tutte le idee preconcette, i sospetti, gli imbarazzi e tutto quel complesso di idee che spesso e volentieri il nostro settore impone, implica e si porta dietro. Volevamo ipotizzare e verificare il nuovo modo socialmente corretto di mettere in relazione il settore del gioco con il pubblico e in particolare con il pubblico dei giovani adulti che sono, dal nostro punto di vista, se volete i consumatori del futuro, ma sono anche le persone che più di tutte possono essere soggette ai cattivi messaggi che possono nascere dal settore del gioco. La Fondazione della Sussidiarietà non solo ci è sembrato da subito il partner ideale e loro a loro volta sono stati entusiasti di questo tipo di idea con cui condividere un percorso di studio, avvicinamento e comprensione dell’individuo e dei comportamenti dell’individuo rispetto al gioco, ma abbiamo trovato anche da parte loro nuovo entusiasmo che poi, con il supporto dell’Università Cattolica di Milano, del professor Rovati e del professor Pedroni, si è trasformata in questa ricerca. Ricerca che prende le mosse dalla necessità di comprendere come il mondo del gioco è percepito dal mondo dei giovani, un mondo che più di altri può risultare affascinato dal nostro mercato e in qualche modo subirne le tentazioni e proprio per questo riteniamo fondamentale investire risorse ed intelligenze per proporre un modello che sia centrato sulla logica del divertimento sano. Il punto di partenza della ricerca, però non voglio anticipare cose che diranno i professori dopo, è stato lo studio del linguaggio utilizzato nella comunicazione del gioco in Italia, per capire come questo venga percepito dai giovani e come questo possa influenzare il comportamento dei giovani stessi verso il settore dei giochi. Questo passaggio è stato effettuato dal focus group e poi adesso, nella seconda parte, attraverso dei blog, con i metodi tipici dei giovani di comunicare. La ricerca è una ricerca triennale, oggi il professor Rovati e il professor Pedroni presenteranno il primo anno o il primo step di questa ricerca; la seconda fase è appena partita, partirà il prossimo settembre, durerà un anno e contiamo fra dodici mesi, qui a Rimini, di poter presentare i nuovi risultati e l’avanzamento delle conoscenze che emergeranno da questo secondo anno di ricerca. I risultati che abbiamo ottenuto in questa prima fase e che abbiamo apprezzato e conosciuto mese per mese, durante lunghe riunioni che abbiamo fatto con i professori e con la Fondazione, ci hanno caricati di entusiasmo e di aspettative. Credo che quello che vediamo oggi è proprio la punta dell’iceberg, sotto ci sono un sacco di altre cose che devono emergere e che cercheremo di fare emergere nel modo più interessante e positivo e so anche per certo che il tipo di lavoro svolto, sia per i soggetti coinvolti sia per l’utilità delle conclusioni, possa rappresentare per le nostre aziende un punto estremamente importante per iniziare a modificare o correggere delle strategie aziendali che, fino a oggi, hanno certamente visto il gioco responsabile come uno degli elementi importanti e di guida del nostro sviluppo, che francamente vorremo fare diventare ancora più rilevante e ancor più centrale. Questo è un po’ diciamo il punto di partenza da cui ci siamo mossi, non mi dilungo neanche io, poi semmai alla fine faremo qualche ulteriore ragionamento, anche perché mi farebbe piacere se l’onorevole Lupi ci potesse dare anche una sua visione sul settore del gioco e sul modo in cui noi, le nostre associazioni, lo stiamo interpretando, in un modo credo un po’ diverso dal passato e certamente più attento anche a tutto quello che si svolge intorno a noi. L’appuntamento, per quanto mi riguarda, è certamente fra dodici mesi qui a Rimini per la seconda sessione e per il momento mi fermo qui. Grazie.

SERGIO LUCIANO:
Allora, onorevole, prego.

MAURIZIO LUPI:
Innanzitutto ringrazio Maggi per la sintesi. Ho accettato volentieri di venire a rivolgere un brevissimo saluto e intervento a questa prima presentazione del primo step della ricerca, perché eravamo insieme, lo ricordo, l’anno scorso, alla cena in cui, dopo anni in cui anche il mondo tra virgolette dei giochi è presente al Meeting, si incominciò a capire l’importanza di quello che qui al Meeting accade, di come sostenere e aiutare le realtà che qui vengono presentate. È facile fare impresa rispetto alle proprie certezze e rispetto agli obiettivi che si hanno, ma l’imprenditore, quello che capisce il ruolo di che cosa vuol dire fare impresa, comprende che non è solo giocare, scommettere sulla propria intuizione, metterci le energie, le risorse, fare ottimi risultati e quindi fare anche profitti, ma contribuire attraverso il proprio lavoro, in qualsiasi settore questo avvenga, alla costruzione di una comunità. Il vero imprenditore si domanda sempre se nel fare, nel costruire, nel fare impresa, raggiunga lo scopo di dare il proprio contributo allo sviluppo della comunità. Questi giorni appunto abbiamo parlato di bene comune, ieri e oggi, e il fatto che voi vi siate rimessi in discussione non nel fare impresa, non nel rispondere agli obiettivi delle vostre imprese è positivo. Siccome poi siete concessionari dello Stato, è inutile girarci attorno, tante criticità ci sono, anche discussioni all’interno del Parlamento, compreso nelle manovre finanziarie; è evidente che se poi lo Stato che è il vostro concessionario, vi dà degli obiettivi di aumentare gli introiti, di aumentare le risorse che poi devono andare a disposizione, voi fate gli imprenditori. Ma la domanda è: è possibile, in un settore come questo, rispondere agli obiettivi che il tuo padrone, il tuo concessionario in questo caso, perché poi voi siete aziende private, vi dà e nello stesso tempo mantenere quella responsabilità che appartiene al concetto di fare impresa, anche nel settore dei giochi, che è sempre una responsabilità sociale? Sempre il fare impresa è una responsabilità sociale, perché voi non a caso, quando poi parlate del gioco, dite le persone che occupate, dite la ricchezza che generate, dite chi volete e potete aiutare. Questo è l’elemento comune che conduce a superare una barriera, ed è il bello anche del Meeting: non c’è un’impresa buona e cattiva a seconda del settore dove agisce, c’è l’impresa buona e cattiva a seconda che abbia presente sempre lo scopo e il ruolo di fare impresa e che lo svolga non solo correttamente, ma sviluppando questo percorso. Allora il fatto che, anche dalle tue parole, vi siate rimessi in discussione indica che la ricerca non è del gioco responsabile solo formale. Mi è piaciuto il passaggio che dice: iniziamo a cogliere alcuni elementi che possono modificare, nel senso di correggere come fanno tutte le ricerche di mercato, il nostro modo di fare impresa. Mi sembra che ciò dica quanto il lavoro che state facendo con la Fondazione per la Sussidiarietà e l’Università Cattolica, non sia formale. Non bisogna fare la ricerca per farla; noi non siamo abituati a fare nessuna delle cose per forma; o servono o non servono. Si usano bene le risorse se servono; se non serve una ricerca, come se non serve una azione, si buttano via le risorse, sia che siano private sia che siano del pubblico. E quindi questo era il primo aspetto che volevo sottolineare. Mi permetto però, e il professor Rovati sa che da studenti dell’Università Cattolica e di Scienze politiche siamo poi rapidi a leggere alcuni contenuti, di fare due passaggi nel merito, perché a me piace questa idea di gioco responsabile e non piace l’idea per cui siccome ci sono delle patologie, le patologie definiscono la realtà. La realtà è positiva e proprio partendo dalla realtà che è positiva, bisogna aiutarci per combattere le patologie. Quando il Parlamento legifera sulle patologie, fa le peggiori leggi che possa mai fare, perché si parte sempre e si deve sempre partire dalla positività della legislazione, perché io voglio liberare le risorse, voglio rispondere ai bisogni, voglio permettere di realizzare e di costruire l’obiettivo che mi è dato; poi, nel fare questo, incontro delle patologie e come Stato, come cittadini, ecc. dobbiamo aiutarci. Per cui è evidente che, in particolare nel gioco, ci sono delle patologie, ma io stesso ho visto che sono state ben identificate nella matrice che verrà presentata, perché c’è l’aspetto interessante che è il motivo per cui ognuno di noi si è sempre approcciato al gioco, a qualsiasi categoria sociale appartenga, dal Totocalcio al Superenalotto, al gioco, a tutti quei giochi che l’aspetto di convivialità, di scommessa, di possibilità di vincita contemplano. Ci sono però anche le due patologie che sono la dipendenza e il rischio dell’azzardo. Allora, io voglio sottolineare un aspetto: primo, che è nella natura del gioco la dipendenza e non riguarda solo il gioco di cui stiamo discutendo. Io ho presente, avendo tre figli, la preoccupazione educativa nei loro confronti, che se si mettono a giocare alla playstation e stanno dipendenti tutto il giorno davanti alla playstation, questo ha lo stesso effetto, la stessa natura drammatica di chi drammaticamente poi ha conseguenze anche economiche, diventa dipendente dal gioco e passa tutto il giorno alla macchinetta piuttosto che diventare dipendente dal Lotto ecc. ecc. Quindi il punto principale è la scommessa educativa che entra in gioco, da parte di chi è l’attore, quindi dei concessionari e da parte di chi è invece il fruitore, che non può mai essere lasciato solo e quindi c’è il gruppo, la società, la famiglia, ecc. E questa era la prima considerazione. La seconda, invece, è che mi è piaciuta molto questa idea di aver aperto un blog, perché noi dobbiamo abituarci al fatto che non è realtà virtuale, poiché anche la realtà, quella reale, vera, passa attraverso i nuovi strumenti e quindi le osservazioni ecc. E mi hanno colpito due o tre frasi che ho letto, che avete sintetizzato e concludo. Il mio non è stato un intervento formale, perché credo che quello che state facendo è una buona cosa e quindi ci crediamo tutti. Ricordatevi che più si affronta, essendo concessionari dello Stato e quindi prendendo le risorse, l’aspetto sociale, più questo viene identificato come positivo; è positivo che una quota delle nostre risorse possano essere migliorate allo scopo dello Stato e quindi non solo a colmare il debito ma anche a fare beneficenza, a contribuire al mondo del volontariato ecc. Importante è anche la comunicazione. Lì secondo me da subito potete fare qualcosa, perché dipende da voi, non dipende da…; mentre la prima cosa dipende anche dalla collaborazione, dalla discussione con lo Stato, la seconda dipende dalla vostra responsabilità. Non bisogna avere paura di comunicare, di educare comunicando, cioè richiamare alla responsabilità, perché della responsabilità non bisogna mai aver paura. Non pensate che non comunicando responsabilmente fate più utili o più profitti, è l’inverso e quindi, per esempio quel bello slogan “giocare è facile, perdere anche, rifletti prima di agire” mi sembra di una semplicità di un ragazzo, che ha identificato esattamente tutte le questioni, uno degli elementi. A proposito della utilità della ricerca, io che ho ascoltato e ho letto velocemente, devo dire che ringrazio la Fondazione per la Sussidiarietà e l’Università Cattolica, perché mi sembra ancora una volta che anche su un tema come questo si può essere responsabili e seri. E quindi mi auguro che facciate una buona presentazione e un buon lavoro. Io non ascolto ma vi lascio.

SERGIO LUCIANO:
Un forte grazie all’onorevole Lupi per questa sua sintesi incisiva e molto felice, soprattutto là dove richiama all’opportunità di un pensiero positivo sul valore dell’iniziativa di chi gestisce il gioco, perché è positivo il saldo socio-economico di questa impresa. Entriamo nel merito della nostra ricerca e comincerei col dare la parola al professor Giancarlo Rovati, professore ordinario di sociologia a Milano nonché, notavamo prima, unico relatore con cravatta, il che gli conferisce un po’ l’aureola del martirio…

GIANCARLO ROVATI:
Certo, ha una spiegazione, i miei colleghi se la sono già giocata, io aspetto dopo l’incontro e quindi …però resta il fatto che mi sento un po’, come dire, un animale in estinzione, perché tranne un altro del pubblico, siamo soltanto in due con cravatta.
Sono già state dette molte cose a cui devo solo riallacciarmi. Innanzitutto questa ricerca è stata affidata alla Fondazione per la Sussidiarietà, di cui io sono, non soltanto un estimatore e un osservatore, ma anche un collaboratore da tempo. E proprio l’anno scorso in questa stessa occasione abbiamo presentato un’altra ricerca, fatta l’anno scorso con la Fondazione per la Sussidiarietà, con AVSI, un progetto di durata pluriennale, per monitorare un intervento di tipo educativo in Africa, in Uganda, Ruanda e Kenia. E questo è un altro elemento che spiega perché io poi sono stato coinvolto dalla Fondazione nel presentare il progetto. E ho pensato che poi, nello svilupparlo, fosse interessante coinvolgere dei giovani promettenti studiosi che con me lavoravano e lavorano in Università Cattolica. Da qui è nata la partnership scientifica dell’Università Cattolica con la Fondazione per la Sussidiarietà. Con un evidente anello di congiunzione: quella preoccupazione ad interrogarsi sul versante della responsabilità di fronte al gioco ha in due soggetti, la Fondazione per la Sussidiarietà e l’Università Cattolica, due evidenti partners interessati alla dimensione educativa, alla responsabilità umana. In questo senso credo che nessuno più di questi due interlocutori potesse interpretare adeguatamente l’intento originario che è già stato illustrato dal dottor Maggi. Per altro, c’è un passaggio nella presentazione del tema del Meeting che mi ha colpito, perché nel secondo capoverso della presentazione dice: “quando pensiamo al senso della nostra esistenza, non siamo forse tutti tentati, come figli del nostro tempo, di ritenere che la nostra origine e la nostra destinazione siano in balia della sorte e che in definitiva nulla possiamo rispetto alle forze incontrollabili di un fatto cieco e di un insensata casualità?”. C’è un nesso, un aggancio immediato tra il tema che noi trattiamo, “il gioco”, sia pure nelle sue forme molteplici e il tema della sorte, perché c’è una casualità e una aleatorietà, una probabilità variabile nei giochi che noi abbiamo studiato, ma guai se anche il giocatore più incallito pensasse che la sua vita dipenda, come un fatto cieco, da quel che la sorte decide. Noi abbiamo, giusto l’anno scorso prima di iniziare la ricerca, discusso sul fatto che volevamo prendere in mano la sorte e non lasciarci guidare. E questa è l’idea di gioco responsabile o di responsabilità. Anche quando si gioca con la sorte e si gioca con l’incertezza, bisogna che il proprio cuore, oltre che il proprio portafoglio, non risieda su quella sorte e su quella incertezza. Potevamo sviluppare il nostro studio in tantissimi modi. Io vi dico come siamo partiti. La prima idea per studiare il gioco è stata quella di fare una visita ai luoghi del gioco. Allora insieme al dottor De Vita, che oggi non c’è, e il dottor Pedroni, io poi quel giorno ho avuto un contrattempo non ho potuto partecipare, abbiamo deciso di fare a Milano il giro dei luoghi dove la gente si incontra per giocare. Questo vorrebbe poi essere uno sviluppo per il prossimo anno della nostra ricerca, cioè osservare la gente mentre sta giocando. Sono state visitate varie sale, siamo partiti dal bingo di viale Zara, che è un luogo di ritrovo soprattutto di sudamericani, donne, che passano il loro tempo tra una chiacchiera e l’altra e un gioco. Dunque questa idea della socialità, non come idea astratta ma come visita ai luoghi concreti in cui delle persone decidono di andare insieme a giocare. In questo giro ci manca il galoppatoio, prossimamente dovremmo andare anche là, perché in realtà ogni luogo che visiti è anche umanità che incontri. Luogo che visiti è tipologie non solo di giocatori ma tipologie umane. Questo per dire che la parola socialità non è appiccicata, ci sono luoghi dove la gente si ritrova e qui ci sarebbe anche molto da dire su come sono questi luoghi: alcuni sono tendenzialmente bui, nascosti, danno l’idea che alla luce del giorno non faremmo ciò che lì si fa; altri sono invece più luminosi sono più deistituzionalizzanti questa idea un po’ oscura e colpevole del gioco, ma questo è un altro dei temi che vorremmo esplorare. Che cosa abbiamo fatto, abbiamo deciso di studiare principalmente le molte forme con cui si discorre attorno al gioco, attraverso la comunicazione che le imprese concessionarie fanno al loro pubblico di utenti, reali o potenziali, circa le promesse che il gioco proposto in quel momento può mantenere o meno. Da qui l’analisi degli spot che in un anno sono stati confezionati e diffusi in vari modi, settecento (ma di questo vi parlerà il dottor Pedroni), arrivando ad identificare una tipologia di forme di comunicazione, e siccome attraverso la comunicazione passano le cose che ci interessano, analizzare la comunicazione è anche un modo per vedere ciò che viene messo in primo piano e anche il modo con cui viene messo in primo piano: da questo punto di vista, non ogni forma di comunicazione è al riparo da critiche. E ci sono delle forme di comunicazione che declinano bene quell’interesse alla responsabilità, e quindi al gioco responsabile, altre che invece non sembrano prenderlo particolarmente in considerazione. Un’altra cosa, che però ci interessava, non è solo come comunicano le imprese, ma come ragionano tra di loro, del gioco, i giocatori. E dunque abbiamo utilizzato una tecnica, molto frequente nelle scienze sociali, ma anche nell’analisi di mercato, abbiamo creato dei focus group (dei gruppi di discussione), rivolti a dei giovani adulti, cioè oltre i diciotto anni, scegliendoli in tre ambienti diversi: negli istituti tecnici, in università e in un master di comunicazione, ma anche di questo poi nel dettaglio dirà Marco Pedroni. Per dire che a noi interessava vedere come vengono recepiti i messaggi e con quale padronanza critica questi messaggi sono interpretati dai destinatari. Però ci interessava mettere a tema degli argomenti in un modo il più possibile gradevole e stimolante, da qui la decisione di costruire un blog sperimentale, che poi vorremmo implementare, un blog libero, non legato a nessuno dei committenti, amministrato direttamente da noi ricercatori, per fare di questa arena, di questa agorà, di questa piazza virtuale, un’occasione di messa a fuoco delle nostre preoccupazioni, ma anche delle preoccupazioni che il pubblico partecipante ha manifestato. La ricerca non ha la durata di un solo anno, è già stato detto, ma avrà una durata triennale. In questo primo anno abbiamo compiuto un certo percorso, per l’anno avvenire abbiamo già in mente come proseguire. Intanto potenziare i gruppi di discussione online, quindi passare dalla fase sperimentale a una fase più sistematica, creando dunque un forum di discussione che ci servirà per monitorare come cambiano le opinioni a seconda delle circostanze e a seconda anche dei messaggi che immetteremo noi. Ma come è stato detto, la parola gioco ricorre in tante attività. D’obbligo è il riferimento alla borsa: giocare in borsa è espressione che si usa molto, quanto sia il margine di certezza e incertezza in questo giocare in borsa lo sappiamo, quanto meno dalla cronaca, e quanto sia rischioso e alla fine penalizzante questo stesso gioco, anche qui lo sappiamo dalla cronaca. Ma in tutti i casi noi vogliamo vedere come sono all’opera, nella decisione di giocare, alcune dimensioni senza delle quale non si capirebbe perché la gente gioca. Qualcosa ha già alluso l’onorevole Lupi, ma è bene segnalare che, un primo aspetto del gioco, è quello della compagnia e della convivialità. Ho citato di proposito il nostro punto di partenza, i luoghi in cui si gioca insieme, ma è esperienza di piccoli gruppi o nelle proprie case il trovarsi con gli amici a fare una partita a carte, poi con variazioni che possono essere il bridge o il due o il ruba mazzetti. Ma in ogni caso qui è evidente la dimensione della compagnia e della convivialità. L’altro elemento è che giocando si impara, c’è una dimensione di apprendimento nel gioco. Gioco di abilità, gioco di intelligenza, gioco di problem solvine, qui basti pensare alla settimana enigmistica e ai milioni di fans della settimana enigmistica, per capire quanto la componente dell’apprendimento sia importante. Ma se io penso all’esperienza dei miei figli, hanno imparato ad usare il computer e si sono poi familiarizzati con il computer mediante i video giochi. Devo dire che le innovazioni tecnologiche nella nostra famiglia, attorno al computer, sono sempre state determinate dai figli che giocavano, così la scheda video a colori, quella più veloce ecc… Ancora la dimensione del rischio e dell’azzardo e la dimensione del gusto del mettersi alla prova, che sono tanto importanti quanto il guadagno. Non si spiegherebbe la folta schiera di giocatori, che nel nostro Paese riguarda qualche milione dei 42 milioni in maggiore età, o in diritto di voto. Quanti sono quelli che hanno giocato almeno una volta? 30 milioni almeno. Perciò c’è anche tutto il tema della preferenza per i giochi e anche delle aspettative e delle aspirazioni sui giochi. Chiudo semplicemente con questa differenza, che poi il dottor Pedroni credo illustrerà maggiormente: i giovani nel gioco amano la combinazione tra abilità e soldi, non solo la sorte, ma i giochi in cui l’esito dipenda anche da te. Invece, quanto più va avanti l’età tanto più ci si adatta maggiormente a consegnarsi alla sorte. Perciò nei giovani la componente dell’azzardo si lega fortemente al senso delle proprie abilità e questo è anche un elemento che fa da controllore e da calmieratore nell’eccesso e appunto nel rischio che è stato indicato. Io darei la parola al dottor Pedroni per soddisfare le curiosità che ho cercato di destare, passando attraverso il nostro moderatore.

SERGIO LUCIANO:
Traversone dalla destra del campo, colpo di testa, al dottor Pedroni.

MARCO PEDRONI:
Buonasera a tutti, innanzitutto. Io volevo cominciare facendo outing, rivelando – e credo che si possa estendere anche al professor Rovati – che né io né lui siamo quelli che si possono chiamare “accaniti giocatori”. Perché questo è stato importante nella nostra ricerca? Perché ci ha permesso, per il tempo di quasi un anno, di osservare il mondo del gioco scommessa con uno sguardo che io definirei neutro. Mi riallaccio all’aneddoto ripreso dal professor Rovati, questa visita ai luoghi del gioco a Milano. In un solo pomeriggio ci è stato possibile conoscere una varietà di situazioni e subito ci è stato chiaro che non è possibile etichettare il gioco in maniera dicotomica, pensare al gioco da una parte come una fonte di patologia o dall’altra come una fonte di entusiasmo o di divertimento. Ci siamo accorti nel corso della ricerca, ed è quanto adesso cercheremo di documentarvi, che tra i due estremi esistono una quantità di situazioni intermedie molto complesse e altrettanto numerose sono le tipologie di giocatori, soprattutto tra i giovani, che sono dei giocatori molto attenti e molto più consapevoli di quanto possiamo immaginare. Il professor Rovati ha già ricordato i tre strumenti principali della ricerca condotta quest’anno. Entro subito nel merito. Cominciamo innanzitutto con l’analisi di natura socio-semiotica delle campagne di comunicazione dei principali operatori del mondo del gioco-scommesse. Ci riferiamo all’anno 2010; abbiamo preso in considerazione circa 700 spot, un numero impressionante di spot passati per televisione, radio, giornali e internet e che hanno avuto come tema i vari giochi del mondo complessivo del gioco-scommesse. Vi spiego brevemente questa mappa che sta alle mie spalle, che è una mappa di natura socio-semiotica: proviamo a immaginare ciascuno di noi come un consumatore, come un soggetto che ha come obiettivo quello di acquisire un oggetto, in questo caso l’oggetto di consumo è il gioco, il simbolo gioco. Che spazio intercorre tra il soggetto e l’oggetto? È lo spazio di un’appropriazione, e quindi la domanda è: come io mi approprio dell’oggetto? Come mi approprio del gioco? Lo posso fare in quattro modi molto diversi. Lo posso fare attraverso una valorizzazione ludica, l’appropriazione dell’oggetto crea in me un piacere, crea in me un’emotività; lo posso fare attraverso una valorizzazione pratica, ovvero scelgo l’oggetto in base al suo valore d’uso, come quando scelgo una lavatrice o scelgo un altro elettrodomestico, lo faccio perché mi serve oggettivamente e funzionalmente; e poi la valorizzazione critica, qui l’esempio forse più calzante, al di fuori del mondo del gioco, è quello del “tre per due”, scelgo l’oggetto per la sua convenienza; infine, ed è la parte forse più interessante, c’è la valorizzazione utopica, ovvero noi consumatori, noi soggetti scegliamo un oggetto perché questo soddisfa i nostri valori. In questo caso mi viene in mente l’acquisto di un’automobile, sicuramente la scegliamo in funzione del numero di figli che abbiamo, del tipo di lavoro, dei viaggi che dobbiamo fare, ma c’è qualcosa che non appartiene a nessuna di queste dimensioni, ed è la capacità dell’automobile di soddisfare la nostra idea di…. molte cose. Se proviamo a riempire questo spazio, generiamo due mappe, che vi illustro in estrema sintesi. La prima riguarda i due principali operatori del mondo del gioco-scommesse in Italia, che sono evidentemente Sisal e Lottomatica. E qui la domanda diventa: attraverso gli spot, Sisal e Lottomatica, che tipo di racconto fanno, quale tipo di comunicazione indirizzano ai loro consumatori? Attraverso l’analisi dei loro spot, la risposta è stata che le narrazioni principali sono cinque. Vicino al polo della valorizzazione utopica abbiamo il racconto di una magia avvolgente, immaginate la pioggia d’oro che ci casca in testa come nello spot di alcuni gratta e vinci, quindi un invogliarci al gioco attraverso la creazione di un mondo magico, fatato, incantato, che non ha le caratteristiche del reale. Nelle narrazioni vi sono poi due tipi diversi di sogno: li abbiamo chiamati da una parte, vicino alla valorizzazione critica, il sogno a portata di mano. Che cosa significa? Significa che la comunicazioni mi racconta che, attraverso un investimento relativamente basso e penso all’euro che occorre per giocare al Superenalotto, io posso raggiungere dei traguardi – il così detto big win – incommensurabilmente più alti. È un sogno, sì, ma è un sogno a portata di mano, che non crea un danno particolare nel portafoglio. Vi è poi un’altra narrazione, più vicina al polo ludico ed emotivo, se vogliamo, è il sogno oltre il quotidiano. In questo caso vi faccio pensare a quegli spot che ci raccontano: gioca, vinci, vincendo potrai abbandonare la tua vita solita, concediti lussi che non ti sei mai concesso. In questo caso, quindi, il sogno si proietta verso qualcosa che può cambiare la nostra routine, la nostra quotidianità.
Vi sono poi due tipi diversi di rassicurazione. Da una parte vi sono gli spot che invitano al gioco sicuro e responsabile e che rinchiudiamo nel cluster della rassicurante carezza, quindi l’invito è a giocare all’interno di un sistema di regole quali quelle predisposte dagli operatori, all’interno di un contesto controllato e legale. Il racconto della rassicurante passione, invece, chiama nuovamente in causa il polo ludico, perché ci racconta di un gioco che possiamo fare anche quotidianamente e senza rischi e che mette in moto le nostre passioni. E qui è sufficiente pensare a tutti i giochi e a tutti gli spot che hanno per oggetto il mondo della scommessa sportiva, ad esempio, e che normalmente hanno come teatro quello della ricevitoria o del punto scommesse. Quindi rassicurazione e insieme passione. Se allarghiamo lo sguardo invece ai competitors di Sisal e Lottomatica, troviamo una situazione ancora più articolata. Non abbiamo forse il tempo di entrar nei dettegli di ciascuno di questi cluster, prendiamone magari uno per quadrante. Ci sono alcuni spot che ci raccontano che il gioco ci permette di appartenere a un club esclusivo, è l’immagine della suite chiusa nella quale possiamo entrare attraverso il gioco, si promette una vita al massimo, una sfida non ordinaria. Tra il polo ludico e quello pratico abbiamo, invece, il racconto del gioco come performance, e qui torniamo nuovamente, se vogliamo, alle parole dell’On. Lupi, quando ricordava i suoi figli e la Playstation, ma pensate anche a qualsiasi altro gioco, anche nel quale non sia implicato denaro. Molti spot enfatizzano proprio la dimensione di performance, il fare, l’attivare, emozioni e pratiche. Vi è poi un rassicurante invito. Da questo punto di vista abbiamo notato che ci sono molti modi di raccontare come il gioco può essere una fonte di sicurezza, abbiamo individuato spot che dicono esplicitamente che non vi sono controindicazioni al gioco, l’uso della carta di credito è sicura, il montepremi è garantito e via di questo passo. Ed è in qualche modo il corrispettivo delle campagne AAMS sul gioco sicuro e responsabile. Infine, ed è forse l’area più problematica, la narrazione del gioco e del gioco d’azzardo come una professione, quindi, in qualche modo, il raccontare il gioco come una dimensione alternativa alla vita lavorativa ordinaria e quotidiana.
Veniamo ai focus group. I focus group, lo ricordava il professor Rovati, hanno coinvolto tre target diversi di giovani, che sono in primo luogo studenti provenienti da istituti professionali, un altro gruppo di studenti provenienti da licei ed infine un gruppo di studenti di master. Da altre indagini quantitative, sappiamo che si tratta di tre profili, di tre target molto diversi come propensione al gioco. Attraverso una serie di stimoli, abbiamo cercato di fare emergere dai nostri giovani partecipanti quali fossero i valori positivi e quelli negativi associati al gioco. Vedete alle mie spalle quelli positivi, che non abbiamo il tempo di commentare, che fanno da contraltare ad alcuni valori negativi. Vi faccio solo notare che lo stesso elemento può avere una valenza positiva o negativa. Posate lo sguardo sul tema del gioco on line. Il gioco on line è positivo per la sua praticità, per la comodità del gioco, ma diventa un elemento semantico negativo laddove si trasforma in solitudine e laddove diventa un sintomo di disagio. Ecco perché, nel darvi le principali evidenze dei focus group, vorrei cominciare con il sottolineare che il gioco è assolutamente un territorio di ambivalenze: non è possibile dire una volta per tutte che tutto il gioco è cattivo o tutto il gioco è buono, dipende dal gioco, dipende dai giocatori, dipende dal modo in cui il giocatore vive il gioco. Vi è poi un dato che ci è sembrato subito molto interessante e che riguarda i giovani, ma ho il sospetto possa coinvolgere anche molti adulti: i giovani non conoscono assolutamente gli operatori o, per meglio dire, non hanno assolutamente idea del loro ruolo o della funzione, il che non significa che non conoscano Sisal, Lottomatica, Snai e altri operatori concessionari, significa però che non associano correttamente il gioco al concessionario, significa che non fanno distinzione tra quello che è il ruolo e la responsabilità dello stato e quello che è il ruolo e la responsabilità dell’operatore, tanto che i più critici dei nostri giovani partecipanti, quando addossano violente critiche al mondo del gioco-scommessa, hanno più che altro in mente che esista un banco, una controparte rispetto al giocatore, che in qualche modo sta cercando di fregare il giocatore, ma non addossano questa responsabilità in modo preciso all’operatore o al gioco, piuttosto, se lo devono fare, allo Stato. Le campagne di sensibilizzazione al gioco responsabile sono giudicate ancora poco adeguate, ancora inefficaci, su questo il giudizio è abbastanza concorde tra i nostri intervistati. Quando i giovani giocatori iniziano a giocare? Non è un segreto per nessuno che, nonostante i divieti, nella maggior parte dei giocatori il gioco inizi in età minorile, e questo avviene molto spesso sotto la spinta della famiglia, all’interno di famiglie in cui il gioco è una prassi consolidata, ma in maniera ancora più crescente all’interno del gruppo dei pari, mi riferisco ai compagni di scuola, e mi piace citare l’esperienza raccontata da un gruppo di studenti ex istituto professionale, che mi raccontavano i loro intervalli passati interamente, tutti i giorni, a giocare a poker in quella che una volta si chiamava retro aula, con giocate significative per la loro età. Quello che stupisce, ma fino a un certo punto, è che lo spettro di opinione, sia positivo sia negativo, è del tutto simile a quello diffuso nel senso comune, quindi dal gioco come fonte di socializzazione nella ricevitoria, allo Stato come soggetto che depaupera i giocatori. Gli stereotipi, i luoghi comuni sono assolutamente simili a quelli diffusi nel senso comune.
Avete notato che amiamo le mappe, e allora proviamo a proporne un’altra. Proviamo a mettere in relazione i significati positivi e quelli negativi attribuiti al gioco, con la frequenza di gioco, quindi da sinistra una bassa frequenza di gioco e a destra un’alta frequenza di gioco. All’interno di questa mappa abbiamo provato a identificare quelli che a lezione io e il professore Rovati chiameremmo gli “idealtipi”, cioè delle figure ideali di giocatore che non corrispondono a un giocatore specifico, ma che sono delle astrazioni che ci raccontano quali sono le pratiche e i comportamenti di gioco. Si tratta di 16 idealtipi, ne leggiamo qualcuno e, per vostra curiosità, vi mostro la mappa nella sua interezza. Proviamo a vedere questi: tra i giocatori che attribuiscono significati positivi al gioco e che non giocano molto spesso, abbiamo identificato i cosiddetti “avventurieri per caso”. Sono coloro che giocano per divertimento, però non cercano l’occasione. Cosa significa? Che se capita l’occasione giocano, se non capita, non giocano, quindi sono dei giocatori, da questo punto di vista, molto saltuari. Abbiamo poi individuato i “gaudenti”, hanno una maggior frequenza di gioco, si divertono, ma giocano soprattutto perché il gioco è un’occasione di ritrovo soprattutto con gli amici. Tra i giocatori ad alta frequenza, nella polarità invece meno positiva, abbiamo individuato i solitari, coloro che giocano da soli e che sono tendenzialmente ripetitivi e assidui, non sono ancora ludopatici, potrebbero diventarlo, in questa fase della loro vita di gioco, giocano da soli. Infine, nell’ultimo quadrante, vi mostriamo gli “ostili”, coloro che proprio mostrano una netta ostilità al gioco pubblico, perché lo vedono come una pratica ingannevole perpetrata dallo Stato nei confronti dei giocatori. Come vedete, posizioni molto varie e che sono solo una selezione di questa mappa ben più particolare.
In chiusura, ultima slide, il blog recentemente avviato e che, come ricordava il professor Rovati, avrà più lunga vita nel prosieguo della ricerca. Esso ci ha permesso di passare dalla fase della rilevazione alla fase della proposizione. In altri termini, i commentatori del blog, che sono sempre giovanissimi e che qui sono protetti dall’anonimato, hanno avuto anche la possibilità di intervenire con proposte creative, ad esempio per dare suggerimenti sulla comunicazione responsabile. Che cosa chiedono sinteticamente? Che cosa hanno chiesto in questa prima fase della rilevazione? Hanno chiesto innanzitutto uno Stato che si impegni per il benessere dei cittadini, in altri termini, uno Stato che mostri chiaramente quali sono le cause sociali alle quali vengono devoluti parte degli introiti derivanti dal gioco, e hanno fatto anche molte proposte in questo senso. Un altro tema molto importante nei loro racconti è la richiesta di un’azione educativa nelle scuole, e qui l’esempio citato da molti riguarda la droga. Dicono: sulla droga e sull’alcool, nelle scuole superiori, ci viene ad ogni occasione ricordata la dannosità, i pericoli, ci sono azioni mirate, non c’è nulla di tutto questo per quanto riguarda il gioco-scommessa. Questo tipo di azione educativa dovrebbe, secondo gli studenti, coinvolgere anche i docenti. In generale – e chiudo – sulla comunicazione gli studenti chiedono un approccio più incisivo, ad esempio attraverso l’ironia e il paradosso, e una comunicazione più attrattiva, valutano di buon grado quanto è stato fatto finora in direzione del gioco sicuro e responsabile, ma dicono: è solo l’inizio, serve molto di più, serve insistere molto di più.

SERGIO LUCIANO:
Ringraziamo il dottor Pedroni. Effettivamente sono tutte sollecitazioni molto interessanti. Io, certamente rispettando il termine del nostro incontro, avevo in mente un paio di questioni da porre ai nostri relatori velocemente, che mi sembrano abbastanza pertinenti. Una la rivolgerei al dottor Maggi, ma anche ai ricercatori, ed è una domanda per capire, per sapere: fatto cento il gioco legale oggi in Italia, la parte ancora drenabile del gioco illecito, ammonta a dieci, ammonta a venti, ammonta a cinquanta, o altrettanto a cento? Tenendo conto che il nostro è un Paese dove la stima ufficiale del nero è del 17% del Pil, quindi stiamo parlando di 260/270 miliardi di euro. Allora ai ricercatori chiederò se loro hanno avuto sentore nei loro blog, nei loro focus group se sia chiaro ai giovani che c’è tanto gioco illecito, oppure no. E chiedo a Maggi, per quel che ne sa lui, per la sua doppia funzione aziendale e di categoria, che cosa c’è ancora da drenare a da bonificare nel settore.

GIOVANNI EMILIO MAGGI:
Diciamo che lo stato italiano, dal 2002 in avanti, ha fatto un’opera eccezionale di drenaggio e di pulizia. Lo scorso anno la raccolta complessiva era di 60 miliardi di euro e 10 anni fa era intorno ai 15 miliardi di euro. Certamente non c’è stato un aumento della propensione al gioco di quattro volte, quindi buona parte di questi 45 miliardi di euro sono derivati, incrementali, sono derivati da emersione di gioco illegale, gioco illecito, gioco nero. Pensiamo solo alle macchinette: le slot machine nel 2003 erano illegali, però stime della guardia di finanza parlavano di 600-700mila apparecchi illegali, presenti sul territorio italiano, che producevano zero dal punto di vista di getto fiscale; dal 2004 al 2010, in sei anni, gli apparecchi illegali sono diventati 450mila, con un gettito fiscale di 3 miliardi e mezzo. Questo non vuol dire che sia scomparsa del tutto l’illegalità, anzi, citando sempre gli apparecchi, è chiaro che ci sono alcune zone d’Italia, facilmente immaginabili, nelle quali c’è ancora un’ampia fascia di illegalità, che sta riducendosi anno per anno. La scelta dello stato italiano, che poi è diventato una sorta di Benchmark per molti altri stati europei, è stato quello di far emergere più possibile il legale, affidandolo al monopolio di stato, come centro della gestione del gioco, e a concessionarie dello stato italiano che mantiene una funzione specifica nella conduzione dell’attività del gioco. Quindi non so darti onestamente un numero, è difficile, posso dire però che certamente c’è ancora una frangia, e, butto lì una cifra giusto per dare un’idea, ma prego i miei amici giornalisti di non pubblicarla, perché non è una stima di mercato, credo che almeno l’80%, 75% dell’illegalità sia stata pulita nel corso, sia emersa nel corso di questi anni. C’è ancora del lavoro da fare ma con il monopolio di stato e con l’attuale finanza credo che si possa fare ancora qualcosa nei prossimi anni.

MARCO PEDRONI:
Per quanto riguarda i giovani, perlomeno quelli che noi abbiamo contattato e intervistato, l’unico fenomeno che possa emergere, e non è illegale in nessun modo, è il gioco del poker tra amici. Comportamenti più gravi e più pericolosi che espongano i giovani alla criminalità organizzata non ne sono emersi, ma va anche precisato che non è probabilmente una delle cose che verrebbero a raccontare a noi ricercatori, per quanto affinate possano essere le nostre tecniche d’intervista. Presumiamo che l’ingresso in quel tipo di illecito possa eventualmente avvenire in più tarda età, tra i giovanissimi non abbiamo segnali in questo senso.

GIANCARLO ROVATI:
La domanda chiedeva delle stime quantitative, colgo l’occasione per dire che la nostra parte di ricerca non è di tipo quantitativo. Ci sono altre ricerche che sono già state fatte, ma questo lo dico per il pubblico, perché, come avete visto, noi abbiamo cercato di identificare degli atteggiamenti culturali o delle dimensioni sottostanti ai comportamenti, ma non le abbiamo contate, perché avremmo dovuto fare un’indagine estensiva, saremmo in grado di farla, ma qui dipende dall’interesse a farlo del committente. Volevo solo ribadire che la scelta è stata di capire i significati e il senso che vengono dati all’azione, perciò ci muoviamo su un terreno tipicamente qualitativo, e così penseremmo di continuare anche coinvolgendo degli esperti. Quel group che abbiamo fatto con degli studenti, lo vorremmo fare anche con degli addetti ai lavori, attenzione, non del settore gioco, ma con addetti ai lavori abituati a gestire l’incertezza, il rischio, per esempio i risk manager, oppure i responsabili di fondi di investimento, o ancora educatori, perché c’è anche un rischio nell’ educazione, uno semina, ma il raccolto non è nelle mani di chi insegna. Dunque anche da questo punto di vista noi vorremmo tenere, continuare a tenere, un profilo qualitativo ed è anche questa la ragione per cui è stato coinvolto nell’ambito della Cattolica il Centro Moda Cult, il centro per lo studio della moda e della produzione culturale, perché ha affinato nel tempo una sua metodologia qualitativa, che lo ha reso anche abbastanza famoso.

SERGIO LUCIANO:
Ecco, io credo che non dobbiamo abusare del tempo di nessuno, però avevo ancora una curiosità da togliere, forse condivisa da qualcuno. Mi rivolgo a Maggi e mi riallaccio al saluto di Lupi, quando Lupi parlava prima, da politico bravo qual è, sintetizzando della necessità della correttezza, di un approccio positivo, un approccio positivo degli operatori del settore del gioco legale versus la denuncia e il contenimento e la gestione delle patologie, che possono palesarsi in questo settore come in tutti i settori dell’attività umana. Allora io ti volevo chiedere per capire e anche un po’ per provocare, stuzzicare. Da osservatore attento di questo mondo da un po’ di anni, io continuo a riscontrare ogni tanto, indistintamente, in tutti gli operatori, una sorta di contrizione. Voglio dire, il gioco non è una cosa brutta, una cosa cattiva, scommettere 10 euro, 5 euro, un euro al gratta e vinci è una roba normale, non è questo il problema, certo il problema è se uno ha una dipendenza, e ci rimette lo stipendio. E’ pazzo, però se arrivasse il proibizionismo e non si potesse più giocare e non esistesse neanche il gioco clandestino, in qualche altro modo li butterebbe via ugualmente i soldi, perché è un problema suo di essere dipendente. Allora la domanda è: non c’è del vero in questa falsa coscienza, e qui la dico grossa, scusatemi, nell’enfatizzare la solidarietà, la responsabilità sociale, la sostenibilità, non è che avete qualcosa di cui farvi perdonare?

GIOVANNI EMILIO MAGGI:
Domanda divertente, potremmo parlarne per due ore, cerchiamo di fare un paio di minuti che mi sembra sufficiente. In primo luogo una battuta che faccio, mettendo il cappello di Sisal, in questo caso, ed è una cosa che ho sempre detto: a noi ha sempre fatto piacere un milione di giocatori che giocavano un euro, piuttosto che un giocatore che gioca un milione di euro, e questa credo che sia la logica assoluta e credo di poter parlare tranquillamente anche per i miei amici e colleghi delle altre aziende che hanno supportato tutto questo lavoro. E questa è la cosa fondamentale, per cui non bisogna mai insistere su certi tipi di esagerazioni, patologie, e via dicendo, bisogna stare molto attenti da questo punto di vista. Credo che abbiamo fatto in questi ultimi anni un grandissimo salto culturale, e mi riferisco ad una attività importante, che non c’entra niente con quello che vi ho detto fino adesso, ma che credo significativa per dare l’idea di come vogliamo fare impresa nel futuro. Abbiamo costituito, pochi mesi fa e diventerà operativa da settembre, una federazione all’interno della Confindustria, quindi il settore del gioco è presentato a questo punto in un modo politicamente e associativamente molto pesante e molto concreto, proprio perché siamo un po’ stufi di fare dei piccoli percorsi, un po’ da soli, un po’ individuali e via dicendo. Credo che uno dei modi migliori per poter rispondere in modo positivo alle istanze che possono nascere, alle preoccupazioni, alle preoccupazioni politiche, alle richieste politiche anche di organizzarci in termini strutturati per dare risposte pratiche a certi problemi che ci sono, sia quello di farlo insieme. Allora stiamo lavorando insieme a diverse associazioni e lavoreremo anche in termini di comunicazione, in modo organizzato, in modo tale da rispondere meglio e fare le cose che sono utili, che noi pensiamo possano essere utili, per dare ai nostri concedenti, Stato, ai nostri clienti, giocatori, il contesto giusto nel quale muoversi. Noi facciamo business, però dobbiamo anche stare attenti, a quelle altre cose.

SERGIO LUCIANO:
Benissimo, grazie. Allora, appuntamento all’anno prossimo, con la seconda parte della ricerca e un buon lavoro a tutti gli operatori di questo importante settore. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

22 Agosto 2011

Ora

19:00

Edizione

2011

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Focus