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GENERAZIONE LAVORO. CAPIRE I CAMBIAMENTI
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A cura di Fondazione per la Sussidiarietà.
Marina Calderone, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali; Piero Cipollone, Vicedirettore Generale Banca d’Italia; Mario Mezzanzanica, Professore di Computer Science and Engineering, Università Milano Bicocca; Massimo Monacelli, General Manager di Generali Italia. Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Conducono Enrico Castelli e Irene Elisei.
Il lavoro negli ultimi decenni sta subendo importanti cambiamenti, a partire dalla rilevanza del welfare aziendale. Non sono in discussione solo gli aspetti strutturali, ma anche il suo significato. Emblematica è la situazione di giovani e donne e in modo particolare degli immigrati. Su questo tema si focalizzerà il Talk 2023 della Fondazione per la sussidiarietà. La prima puntata delineerà il quadro istituzionale, il contesto e i problemi attorno a cui ruota il dibattito. Servizi e approfondimenti animeranno il dialogo.
Con il sostegno di TIM, Generali-Cattolica e Forma.Temp.
GENERAZIONE LAVORO. CAPIRE I CAMBIAMENTI
GENERAZIONE LAVORO. CAPIRE I CAMBIAMENTI
Lunedì 21 agosto 2023 Ore 17:00
Sala Conai A2
Partecipano:
Marina Elvira Calderone, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali; Piero Cipollone, Vicedirettore Generale Banca d’Italia; Mario Mezzanzanica, Professore di Computer Science and Enginee-ring, Università Milano Bicocca; Massimo Monacelli, General Manager di Generali Ita-lia. Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
Conducono:
Enrico Castelli e Irene Elisei.
Video (Inizio al minuto 11.07 dal youtube)
Per me il lavoro è una forma di emancipazione e di realizzazione personale. È un modo di espri-mere te stesso e fare ciò che ti piace in base alle tue scelte.
E il lavoro e poter mettere in campo le mie capacità in un ambito che mi interessa e in cui posso esprimere le mie potenzialità a 360 °.
Penso che il lavoro sia come una forma di autodetermina.
Eh, bella domanda, dovrebbe essere qualcosa di gratificante.
Continuare ad imparare e continuare a crescere, perché abbiamo bisogno di nuova formazione a 360 °.
Che cos’è per te il lavoro?
Per me il lavoro è la cosa principale, una cosa che non può mancare, perché se non c’è lavoro non c’è vita.
Per me il lavoro è un’affermazione dell’uomo all’interno del suo contesto per contribuire a qualco-sa di più grande.
Quindi la retribuzione è importante, però la soddisfazione in senso lato, quindi anche sapere che il tuo lavoro ha un senso e viene apprezzato.
Ma credo che sia il modo più concreto per contribuire in positivo alla costruzione del mondo. E poi anche un modo per essere felice io.
Poco spesso ci sono persone fiere del proprio lavoro o comunque che si sentano realizzati in que-sto e dunque mi domando, cosa c’è per me qui fuori?
Castelli. Buon pomeriggio, buon pomeriggio a tutti. Grazie per essere qui così numerosi. Buon pomeriggio a Irene.
Elisei. Buon pomeriggio Enrico e bentrovato, a voi, al pubblico in sala, a chi ci segue in diretta streaming in questo momento per il primo incontro del talk della Fondazione per la sussidiarietà.
Castelli. Allora quello che avete sentito sono voci che abbiamo raccolto spontaneamente quasi per le strade un po’ di tutta Italia, dal nord al sud. Sono voci di giovani a cui abbiamo chiesto: cos’è per te il lavoro? Queste sono risposte abbozzate un po’ tagliuzzate, ma insomma quella la sostanza. E diciamo che … C’è un’esigenza oggi emergente tra i giovani. Noi abbiamo dedicato con la Fonda-zione per la Sussidiarietà queste tre giornate al mondo del lavoro. La prima è questa, a livello isti-tuzionale presenteremo tra poco gli ospiti e poi parleremo soprattutto nella seconda giornata di giovani nella terza di donne, il lavoro femminile. Il tema del lavoro è un tema particolarmente caldo non solo per le polemiche estive sul salario minimo, ma perché c’è un’inflazione con tutti sappiamo erode gli stipendi. C’è un post pandemia che ha creato profonde cambiamenti nel mon-do del lavoro. Cercheremo di capire insieme perché, per come di questi cambiamenti. Irene.
Elisei. Allora lo facciamo con il dialogo con i nostri ospiti. Passa subito a presentarveli: anzitutto il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, grazie per essere con noi. Accanto a lei Piero Cipollone, vicedirettore generale della Banca d’Italia. Bentrovato. E ancora, Massimo Monacelli, General manager di Generali Italia. E non da ultimo, il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini. Abbiamo voluto iniziare questo incontro scattando una fotogra-fia del mercato del lavoro, oggi della sua evoluzione negli ultimi anni. Per noi lo ha fatto Mario Mezzanzanica, che è professore di Computer Science Engineering all’università Bicocca di Milano, studioso da tempo delle dinamiche del mercato del lavoro. e a lui lasciamo la parola prego.
Mezzanzanica. Grazie Irene. Buongiorno a tutti. Io ho preparato alcune slide per rappresentare al-cuni flash velocissimi, per da dare alcuni spunti su quello che è il tema del mercato del lavoro, in particolare dei giovani e quindi mi aiuterò con queste slide per dare un po’ di contenuti su quello che succede.
Il focus della prima parte del mio intervento è legato al concetto di partecipazione dei giovani al mercato del lavoro, ma per fare questo prima voglio mostrarvi alcuni dati di sintesi in questa slide che rappresentano il tasso di occupazione generale del nostro paese pre-Covid dove avevamo nel 2018 circa il 58,5%, arrivando poi al post-Covid nel 2022 al 60,1%. E nel secondo trimestre del 2023 siamo arrivati al 61,5%. Un risultato che non è stato mai raggiunto in Italia negli ultimi vent’anni. Quindi vuol dire che sta aumentando, sta crescendo la partecipazione in generale nella popolazione in età lavorativa 15, 64 anni al mercato del lavoro.
Ma scendiamo un pochino sui giovani. In questa diapositiva vi presento quelle che sono il confron-to fra alcuni dati sul tasso di occupazione dei giovani tra 20 e 29 anni nel 2022. Quello che vedete è il confronto tra Italia, Spagna, Francia e Germania e i principali paesi in termini di popolazione, che possiamo confrontare col nostro paese. Vedete che l’Italia è al 48,2%, sostanzialmente circa 28 punti in meno della Germania. Vuol dire che la partecipazione al mercato del lavoro da parte dei giovani in questa fascia d’età tra i 20 e i 29 anni è decisamente molto più bassa che negli altri paesi europei. Con quelli ci stiamo confrontando.
Ma siamo andati oltre, cercando di capire questo tasso d’occupazione, come correlato col concet-to dei titoli di studio e in queste diapositiva vi mostro che coloro che hanno un titolo di studio fino alla licenza media hanno un tasso di occupazione del 29%. Questo tasso sale per chi è diplomato e arriva al 43,5% per poi salire ancora di più al 53,6% per coloro che possiedono una laurea o un ti-tolo post laurea. Questo dice sostanzialmente che il titolo di studio influenza significativamente la partecipazione al mercato del lavoro, è una grande opportunità per partecipare. In questo senso, oltre a questo, possiamo notare che, per coloro che sono laureati o hanno un titolo post laurea, in questi anni tra il 2018 e il 2022, questo valore è cresciuto del più 5,5%.
Andiamo a vedere che cosa, qual è la differenza di genere, sempre in Italia, anche qui, in base al titolo di studio e vedete la grande differenza nei primi blocchi tra coloro che non hanno titolo di studio del genere femminile, partecipano al mercato del lavoro solo circa il 18%. Mentre la popo-lazione maschile, sempre della stessa fascia d’età, è sul 37%; per il diploma, andiamo dal 36 al 50% il confronto tra maschi e femmine e da ultimo, molto interessante, per coloro che hanno un titolo di studio di laurea o post laurea, i valori si equivalgono, vuol dire che in questo caso anche il genere femminile arriva ad avere gli stessi valori del genere maschile.
Non potevo però non affrontare il tema dei Neet, dei giovani che non studiano e non lavorano. Sto parlando di giovani tra i 15 e i 29 anni nel nostro paese, sono circa 1.600.000: è l’unico valore as-soluto che ho portato. Però il dato è in diminuzione, per fortuna, negli anni in Italia nel 2022 siamo a circa il 19% della popolazione di questa fascia d’età. La crisi maggiore riguarda il sud e le isole, dove siamo all’intorno del 30%. Mentre nel nord del paese questo problema, comunque estrema-mente significativo, è nell’intorno dell’11-12%.
A questo punto vengo, scusate, a un’analisi più quali-quantitativa, che vorrei mostrarvi sul tema, in particolare dei laureati. Ho chiamato questa parte del mio intervento: opportunità, mobilità, com-petenze e valore. Sono quattro aspetti che sono credo interessanti in quello che sta succedendo nei giovani verso il lavoro. Il concetto di opportunità: non tutti i giovani che si laureano hanno la stessa opportunità. Questo è un dato della ricerca Almalaurea del 2023, presentata un mese fa a Paler-mo, dove si vede quali sono i gruppi più favoriti: quindi informatica e tecnologia, ICT; coloro che hanno una laurea in ingegneria industriale o dell’automazione, coloro che hanno una laurea medi-co sanitaria o nell’ambito farmaceutico per poi scendere all’ambito scientifico ed economico. La scala che ho mostrato o meglio la gradazione che ho mostrato delle dei profili, vanno dal più alto come opportunità al più basso. Ma ci sono poi i gruppi meno favoriti che sono quelli che si laurea-no nelle discipline psicologiche, nell’arte del design, del letterario-umanistico e giuridico. Meno favoriti non vuol dire che non trovano occupazione, hanno meno opportunità. Questo fatto, però, ha una grande differenza nel nostro paese: il nostro paese è diviso sostanzialmente in due, in mo-do estremamente significativo. I laureati al Nord, dall’indagine Almalaurea – 78 atenei -, mostrano sostanzialmente una probabilità del 43% superiore rispetto ai laureati al sud di trovare lavoro.
Qual è la conseguenza di questo fatto? La conseguenza di questo fatto è che molte persone si spo-stano per lavoro, anche al Nord si spostano per lavoro, ma sono l’8,2% i giovani laureati che cam-biano residenza per motivi di lavoro; al centro sono il 21,3%, ma al sud sono il 47,4%. È evidente che i laureati rappresentano una grande opportunità per i territori del nord, nei quali vengono a lavorare, ma nello stesso tempo rappresentano una grande perdita per i territori del Sud che ven-gono abbandonati.
Proseguo con un dato che invece arriva dagli annunci di lavoro del web. Da diversi anni con Euro-stat e Cedefop, stiamo collaborando nel raccogliere annunci di lavoro in tutta Europa; in Italia ne-gli ultimi anni abbiamo raccolto 5 milioni di annunci di lavoro. Sulla base di questi abbiamo cerca-to di cogliere diversi aspetti, ma oggi mi focalizzo sul far vedere come cambiano le competenze o meglio quali sono i driver di cambiamento delle competenze. Le competenze sono uno degli ele-menti caratteristici, le skill, che definiscono una professione. Oggi queste sono sempre più impor-tanti nell’inserimento lavorativo.
Nello studio che abbiamo fatto, vi mostro solo un flash e una diapositiva dove le competenze digi-tali e le competenze trasversali o soft-skill sono quelle che stanno trainando il cambiamento. In quali aree? Nell’area dell’analisi dei dati per supportare i processi, nell’area dell’innovazione dei processi di automazione o dei servizi, nell’area della gestione delle relazioni (interne alle organiz-zazioni piuttosto che delle relazioni con i clienti o i prospect).
Ma l’altro dato che è estremamente rilevante, è il concetto che ho chiamato sviluppo della perso-nalità: le competenze trasversali o soft skill (lavorare in gruppo, creatività, adattarsi al cambia-mento, dimostrare responsabilità), sono tra gli elementi che caratterizzano di più la domanda di lavoro, che viene esposta sul web dalle imprese. E tutto questo è perché oggi, per affrontare la complessità del mercato del lavoro, non serve solo la specifica competenza, ma serve una perso-nalità tutta tonda, che è capace di affrontare fino in fondo la complessità del mercato.
L’ultima diapositiva che voglio mostrarvi è una cosa che mi ha molto colpito: nell’analisi di Alma-laurea vengono chiesto ai giovani quali sono gli elementi che stanno crescendo di più. E qui l’ana-lisi presenta la variazione dal 2017 di quelli che sono gli elementi di cambiamento nella visione del lavoro dei giovani e ne emergono tre in modo significativo. Autonomia, che significa mettersi in gioco, essere capaci di mettere in gioco la propria capacità, le proprie competenze, le proprie responsabilità all’interno del lavoro; l’importanza delle relazioni coi colleghi, perché il lavoro è re-lazione e l’utilità sociale del lavoro: questo devo dire quello che mi ha colpito di più. È stato citato poco fa in una delle interviste che è state fatte: il bisogno dei giovani di vedere il proprio lavoro come utile al contesto sociale. Grazie.
Castelli. Grazie professore, grazie professor Mezzanzanica. Allora premettiamo che questo incon-tro è possibile, naturalmente rivederlo in streaming sul sito del Meeting sul sito della Fondazione. Se io avessi qualche figlio terrei conto di alcune tendenze che il professore ha messo in evidenza. Altri documenti saranno poi allegati allo streaming, per cui sono indicazioni utili. Abbiamo chiesto al professor Mezzanzanica un piccolo sacrificio, quello che solitamente lo racconta in un paio di ore, cioè una lezione universitaria, l’abbiamo condensata in dieci minuti, quindi più estesamente potrete trovarla sul sito.
Ministro Calderone, buongiorno, grazie di aver accettato il nostro invito. Allora, nel decreto di maggio, voi avete introdotto e annunciato alcune misure anche per favorire l’assunzione di giova-ni. Noi vogliamo concentrarci in questo dibattito su giovani e donne. Ecco, sono previste altre mi-sure, avete già qualche segnale di cambiamento, di come dire, come sta andando o no, ci dica.
Calderone. Buongiorno a tutti, innanzitutto. Devo dire che, al di là di quelle che sono le misure che sono state introdotte con il Decreto Lavoro, io credo che sia importante valutare quello che è l’approccio che poi un po’ richiama anche le cose che ha illustrato il professore. Cioè io credo che sia importante accompagnare con gli strumenti giusti quelle che sono poi le grandi transizioni in atto e soprattutto anche ciò che poi i giovani in questo caso si aspettano da noi. Perché mi sembra di rilevare nelle slide che abbiamo visto, prima di tutto, il fatto che molti luoghi comuni sono cadu-ti, visto e considerato che spesso ci vengono rappresentati i giovani come lontani dal mondo del lavoro o perlomeno da quello che può essere un impegno lavorativo, disinteressati e soprattutto disaffezionati a un ideale alto di inclusione lavorativa, che poi abbia una ricaduta sociale impor-tante. Invece voi avete messo in evidenza, il professore ha messo in evidenza esattamente il con-trario: cioè il bisogno di essere ingaggiati in qualcosa che si sa, che ha un peso e che dà un contri-buto importante alla crescita e al progresso della società. Avere la sensazione di essere parte di un qualcosa di più grande, ma di dare con il proprio lavoro un contributo a renderlo ancora più importante. Allora noi possiamo accompagnare questi processi con tutti gli strumenti, anche di in-centivazione alle assunzioni, che abbiamo messo in campo anche soprattutto per i datori di lavoro, che scommettono sui giovani che in questo momento non lavorano, non studiano e non si formano (i Neet di cui si parlava), però non esiste uno strumento efficace dal punto di vista economico e fi-nanziario, che poi possa avere una ricaduta sociale così importante. Quello che è importante, in-vece, è guardare a quelli che sono i dati tendenziali e cercare di capire come evolveranno. Allora, ecco che ci sta tutto il tema della formazione, della riqualificazione, del fatto anche di far com-prendere ai ragazzi che, nel momento in cui ti presenti con un percorso formativo solido alle spal-le, hai delle opportunità in più e soprattutto che vengono meno quelle che sono invece le condizio-ni di divario lavorativo tra uomo e donna. Perché il professore metteva in evidenza il fatto che se le donne sono più scolarizzate hanno identiche probabilità e possibilità di lavoro rispetto agli uo-mini. Allora, ecco, i dati ci dicono che certamente gli incentivi che abbiamo messo in campo stan-no producendo dei risultati. Però io non vorrei che si continuasse a ragionare solo nell’ottica di uno sconto su quello che è il costo del lavoro, che indubbiamente è molto importante in Italia e che deve essere affrontato in modo strutturale, magari anche, anzi giustamente, nella manovra di bilancio. Ma qui è proprio un ragionamento di sistema che poi è anche alla base di altri interventi che noi abbiamo fatto e di cui parliamo magari.
Elisei. Sicuramente abbiamo bisogno, il mercato del lavoro italiano ha bisogno di interventi di lun-go periodo, appunto una visione strutturale, non sicuramente solamente contingente: il PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, sicuramente aiuta in questa direzione. Vengo da lei, Cipol-lone, perché con la Banca d’Italia avete condotto uno studio specifico su questo. Cioè, per far capi-re l’importanza appunto delle ricadute occupazionali che il PNRR può generare, avete in qualche modo cercato di fare un po’ la somma di tirare un po’ le fila. Quali sono i risultati?
Cipollone. Intanto buonasera e anzi buon pomeriggio a tutti e grazie di nuovo per l’invito. Rapi-damente. Alcuni colleghi del dipartimento di ricerca hanno cercato di tradurre in numeri in occu-pati la spesa che è prevista con il PNRR, stiamo parlando della versione di gennaio del PNRR. È stato un lavoro complicato perché si tratta di partire dalla spesa e tradurlo questo in numero di persone. Adesso ho risparmio le technicalities al pubblico, perché, insomma è complicato, perché non basta allogare la spesa alle sei missioni, va visto poi quale di queste singole missioni, dove si traduce. Per esempio faccio un esempio per capirci: gli asili nido non sono imputati ovviamente alla scuola, ma hanno a che fare con la costruzione, perché ovviamente bisogna farle quegli asili nido. Ecco come si dice, invertendo la matrice input output, perché questi hanno fatto i colleghi, sono riusciti a dimensionare l’impatto. Ecco le cose interessanti che escono fuori è che l’impatto e notevole. Nel 2024, che è l’anno di picco della spinta, l’attesa è per circa 300.000 lavoratori in più, stiamo parlando di un numero importante, di 1,7% dello dell’occupazione, quindi un numero non banale. Ancora più interessante però secondo me, è la scomposizione per tipologie: l’impatto fon-damentale è sul ‘settore delle costruzioni: di questi 300.000, circa 100.000, un po’ meno. vengono dal settore delle costruzioni. Ma con mia grande sorpresa perché è un dato che non mi aspettavo, un pezzo importante ha anche a che fare con le professioni molto avanzate: computer analytics, sviluppo e ricerca. E qui si pone qualche domanda, più che problema.
La prima domanda è, va bene, supponiamo di averli questi 100.000 lavoratori in più nelle costru-zioni prontamente disponibili. E poi il PNRR finisce. E lì avremo un settore che si trova ingrassato da questa fortissima domanda, molti di questi sono lavori manuali routinari. Avremo un problema di ricollocamento di queste persone. L’industria non potrà, io penso che il settore non potrà conti-nuare a tirare in eterno a questi ritmi. Quindi si pone una domanda di che faranno queste persone all’indomani e quindi già adesso cominciare a prefigurare, come il Ministro diceva, dei percorsi di retraining per ospitare questi lavoratori in altri settori è molto utile. L’altro elemento interessante, dicevo, è questo aumento della domanda in settori che non ci saremmo aspettati, appunto, li chiamo per brevità settori avanzati. Stiamo parlando di 45.000 lavoratori che sono tantissimi, con-frontati ai record storici. Cioè storicamente la domanda di questo tipo di lavoratori era molto me-no intensa. Ecco, parliamo di, ripeto 45.000 lavoratori, che sono altamente istruiti, stiamo parlan-do di matematici, ingegneri, fisici, gente di questa portata. Io sono andato a dare un’occhiata ai numeri, a quanti sono gli iscritti oggi nelle facoltà scientifiche in questo. Allora, se non mi ricordo male, noi lavoriamo ogni anno circa 8000 persone in matematica, quello che chiamano il gruppo Analytics, che credo ci sia dentro matematica e fisica; quindi 8000 persone l’anno. Tenete conto che le cattedre, tenete conto che le cattedre di matematica , matematica fra la scuola media e superiore sono circa 50.000, quindi laureiamo 8000 persone. C’è un numero di posizioni da coprire altissimo. Degli ingegneri credo che siamo intorno a 40.000 l’anno. Quindi avremo un boost di domanda molto forte e la domanda è saremo in grado, con gli attuali iscritti di soddisfare questa domanda?
Questo – e chiudo perché non vorrei esagerare il tempo -, questo è un esempio di quello che ci aspetteremo in futuro. La trasformazione della società richiederà sempre di più figure di questo tipo. E se però uno guarda alle iscrizioni nelle facoltà STEM, negli ultimi dieci anni la composizione non è molto cambiata, cioè noi non vediamo una ricomposizione delle iscrizioni all’Università nella direzione di una domanda di lavoro che probabilmente si manifesterà intensa in questi settori più importanti. E quindi creare lavoro è importante, ma è anche importante, come dire, essere in grado di aggiustarsi ai trend che intravediamo.
Castelli. Grazie dottor Cipollone, allora non abbiamo naturalmente la pretesa, noi vogliamo met-tere, lanciare degli stimoli, delle considerazione, accendere il faro su alcune problematiche che caratterizzano del mondo del lavoro, oggi. Monacelli – leader al vertice del gruppo leader in Italia, gruppo assicurativo, Generali – una risorsa che può aiutare l’occupazione, soprattutto femminile, è quella destinata al welfare. Voi siete il leader in questo campo: ogni anno fate questo Index con 6500 piccole e medie aziende. Ecco, che cosa vi chiedono le aziende per come dire, essere propo-sitivi e positivi nei confronti dei dipendenti. Grazie.
Monacelli. Ehi grazie, grazie, Buonasera a tutti, anche da parte mia. Di sicuro il welfare aziendale sta assumendo un ruolo sempre più importante di fronte a tantissimi cambiamenti, molto profondi e molto veloci che attraversano la nostra società. In questi ultimi anni il welfare aziendale ha aperto molto l’ampiezza dei propri dei propri servizi, delle proprie coperture.
Tocca temi che riguardano la salute – e sappiamo quanto la salute sia diventata oggi centrale nell’agenda del paese -, ma non solo, affronta i temi legati al cambiamento dei modi di lavorare delle persone, la formazione. La formazione è diventata importantissima di fronte ai cambiamenti enormi che stiamo affrontando (la digitalizzazione, l’avvento della intelligenza artificiale, l’auto-mazione dei processi). Tutto questo richiede che le persone vengano continuamente ri-formate, rispetto a quello che accadeva in passato. Cambiamenti che riguardano gli stili di vita delle perso-ne. Quindi un’ampiezza di interventi su cui il welfare aziendale diventa un interlocutore fonda-mentale, intermedia i bisogni delle persone. I cambiamenti demografici, con tutti i servizi che questo implica e che porta con sé. E quindi da questo punto di vista le aziende stanno facendo dei progressi enormi. Il nostro welfare Index è un’iniziativa che Generali ha lanciato alcuni anni fa, nel 2016. Partimmo con poche centinaia di piccole e medie imprese, che aderivano a questa iniziati-va, che è un sondaggio, una verifica, un’indagine sul livello e sulla qualità di welfare che la piccola media impresa ha sviluppato.
Oggi, nel 2023 abbiamo raggiunto quasi 7000 piccole e medie imprese che hanno partecipato e abbiamo visto una trasformazione in termini di quantità e di qualità di welfare erogato dalle im-prese incredibile. Quello che a me colpisce molto è anche la creatività di servizi che vengono ve-ramente adattati alle esigenze della singola impresa e alle esigenze dei singoli dipendenti.
E poi ci sono dei fatti molto chiari: le piccole e medie imprese, le aziende in genere che hanno un welfare sviluppato generano più profitti. C’è una correlazione diretta quindi tra il welfare e la ca-pacità di produrre valore di un’azienda; e all’interno di queste società e di queste compagnie, tro-viamo molte più donne in ruoli manageriali e ruoli di vertice. Quindi io non so mettere in ordine questi fattori (la generazione di valore, la presenza femminile nei ruoli manageriali, la presenza di welfare), ma è certo che questi fattori sono correlati tra di loro.
Elisei. La ringrazio per averli messi tutti sul tavolo perché appunto, come è il titolo del nostro mo-mento insieme vogliamo capire i cambiamenti in corso in questo momento. Arrivo dal Presidente Vittadini. Prima però, proprio perché vogliamo centrare il punto sui giovani e il mercato del lavo-ro, vi faccio ascoltare che cosa hanno detto ai nostri microfoni alcuni HR del nostro paese, di alcu-ne aziende del nostro paese, piccole e grandi, insomma, chi concretamente poi va ad assumere i ragazzi in questo momento, sentite.
Video da 39.14 a 41.21
Io credo che la pandemia abbia insegnato a tutti e in particolare ai giovani, che la necessità di conciliare vita professionale, vita personale è ormai una priorità e quindi dobbiamo metterci in di-scussione, anche trovare delle nuove formule.
La voglia in qualche modo di far sì che il lavoro sia vivere, non diciamo sia soltanto qualcosa di uti-le alla sopravvivenza.
Perché oggi non è solamente richiesta di una prestazione, ma richiesta anche di una motivazione e di una soddisfazione che passa ovviamente attraverso il sentirsi parte del progetto, sentirsi parte del gruppo.
Accanto però a un aspetto retributivo, c’è sicuramente l’elemento di una crescita, una richiesta di una crescita professionale, di prospettiva e il fatto di poter vivere mentre si lavora, che devono cambiare profondamente il settore in questione.
E noi ci confrontiamo con persone che in fase di selezione ti chiedono se c’è o non c’è il lavoro da remoto e se non c’è non ti scelgono.
In regioni meno forti dal punto di vista industriale ed economico i giovani hanno meno aspettative di corrispondenza tra i loro studi e il ruolo e l’attività e il lavoro che accettano. Accettano per ini-ziare qualsiasi tipologia di attività per poi entrare nel mondo del lavoro. Così non è invece in altri contesti più industrializzati.
Una cosa che i giovani spesso ci dicono è che per loro un orizzonte temporale di un piano di cresci-ta a due o tre anni è un orizzonte lunghissimo, loro ogni sei mesi vogliono fare un’esperienza di-versa e apprendere cose nuove e questa è una cosa di cui noi stiamo tenendo considerazione.
Fine video
Elisei. Allora, Presidente Vittadini, l’ultimo numero di nuovo Atlantide, la rivista della Fondazione per la sussidiarietà, è dedicata ai giovani. Ora ve la mostro con un titolo emblematico: “Chi siete e chi siamo?” Queste domande quanto c’entrano con le nuove esigenze dei ragazzi che entrano nel mercato del lavoro che abbiamo appena sentito descritte?
Vittadini. Io dico una parola sola, da quello che ho sentito, così che è la parola “personalità”: per-ché parlare di non cognitive skill vuol dire passare da competenze a creatività, capacità di lavora-re insieme, apertura alla realtà, motivazione. E questo è un aspetto della personalità, di un essere. Ma ce n’è un secondo che non basta questo: c’è proprio bisogno di una personalità. Non più lo schema, non c’è, il giovane non è uno schema, c’è una casella di un’impresa e ci metto dentro un punto. Ma è proprio la libertà, la originalità, direi addirittura la irripetibilità, per usare la parola di Giovanni Paolo II di ogni persona, che sta incombendo nel mercato del lavoro. Chi capisce questo, l’impresa capisce il cambiamento, chi non lo capisce rimane indietro a una forma di neoliberismo che è morto.
Castelli. Grazie professor Vittadini. Signor Ministro, allora, tra i molti dati emersi dalla relazione professor Mezzanzanica c’è n’è uno in particolare su cui vorrei soffermarmi: c’è una difficoltà in Italia strutturale, cioè questo famoso mismatching tra le competenze e le richieste del mondo del lavoro. C’è una diversità che crea problemi, che crea disoccupazione. A settembre, il 1° settembre, lei ha annunciato che partirà questa nuova piattaforma gestita dall’Inps che metterà insieme una serie di banche dati. La domanda un po’ cattivella è questa: di banche dati, come dire, cioè sono già state dalla legge Biagi in poi, una serie di banche dati, in che modo lei crede di poter essere cosi fiduciosa e questa sua banca dati funzione? Grazie.
Calderone. Devo dire che questa domanda è provocatoria perché mi porta a dover fare ovvia-mente un po’ di excursus e quindi tornare indietro negli anni, perché lei ha perfettamente ragio-ne. Si parla di incrocio tra domanda e offerta di lavoro, ormai da oltre vent’anni, visto e considera-to che la Banca continua nazionale del lavoro è un progetto inserito nella legge Biagi., che poi sappiamo perfettamente che ha avuto, non ha visto la luce, ma per una serie di motivi che sono legati certamente a tutte quelle che sono le difficoltà strutturali di gestione di un mercato del la-voro che non è uno solo perché indubbiamente noi abbiamo tanti livelli decisionali e soprattutto abbiamo tanti centri di responsabilità. Perché oggi il nostro lavoro dovrebbe essere diverso se non è cambiato l’assetto costituzionale? Perché noi abbiamo lavorato su un tema che credo che poi sia caro anche al pubblico del Meeting: sulla sussidiarietà e sulla capacità di collaborare tra soggetti che hanno competenze specifiche che sono inserite nelle norme, quindi nel decreto lavoro che ab-biamo approvato il 1° maggio, voi trovate una cooperazione tra soggetti che mettono a sistema, e che quindi danno un contributo, in termini di interoperabilità dei dati e delle informazioni, che fi-nora non era e non è scontato, ovviamente che avvenga, perché molto spesso, anche guardando solo all’archivio dei rapporti di lavoro e delle comunicazioni di lavoro, spesso quando si va a ri-chiedere una scheda anagrafica, se quel lavoratore o quella lavoratrice che la richiede ha lavorato in più territori e in più regioni, potrebbero non essere riportate tutte le informazioni. Però c’è un soggetto che invece in Italia quelle informazioni ce le ha, anzi due. Uno il Ministero del Lavoro, che ovviamente detiene gli archivi e quindi ha la visione centrale di quelle che sono le informazio-ni; l’altro è l’INPS, perché se un chiunque di noi ha avuto anche un giorno un rapporto di lavoro della durata di una giornata in Italia quello è censito, perché è stata fatta una comunicazione all’INPS di un imponibile previdenziale. E questo non è un dato di poco conto. Ecco perché oggi noi siamo partiti da mettere a sistema la banca dati dell’Inps con tutte le altre banche dati e integrar-le. E poi abbiamo portato a bordo le Agenzie per il lavoro, quindi coloro i quali hanno il polso di quelle che sono le richieste di lavoro in Italia e le Agenzie di somministrazione che hanno ovvia-mente anche il polso di quelle che sono le attività di lavoro temporaneo. Non guardiamo alla piat-taforma per il supporto, per la formazione e il lavoro che partirà il 1° settembre solo ed esclusi-vamente come la piattaforma che gestirà il passaggio dal reddito di cittadinanza al supporto per la formazione e il lavoro dei soggetti cosiddetti occupabili, cioè che non proseguiranno con il so-stegno al reddito del reddito di cittadinanza e poi dell’assegno di inclusione. Questa piattaforma, gestirà certamente anche la formazione e la riqualificazione di questi soggetti, ma li metterà an-che nelle condizioni di guardare a quelle che sono le offerte di lavoro e intercettare quindi quelle che sono le proposte che in questo momento si possono mettere a disposizione. Ma il nostro obiet-tivo è quello, invece di farne veramente il luogo di incontro e di incrocio di tutte quelle che sono le occasioni di lavoro e di formazione che noi possiamo mettere a disposizione in Italia e vorrei che venisse anche intesa come una forma di competizione al rialzo, nel senso che tanti mi hanno sem-pre fatto la domanda, ma lei vede quindi una competizione pubblico-privato? Una concorrenza? Io dico che quando si compete per arrivare a un valore e a un risultato comune, non bisogna avere paura delle parole, bisogna avere paura invece dei falsi miti e soprattutto di quelle che sono le si-tuazioni, come dire, preconcette a prescindere. A me l’idea che si possa dire, ma visto che non ha mai funzionato, non funzionerà neanche stavolta, è un modo per cercare ancora una volta di vede-re e di leggere in negativo quelli che invece devono essere sforzi che facciamo non nell’interesse del Ministro del lavoro, del Governo, ma nell’interesse di quei giovani che ci hanno detto chiara-mente, noi vogliamo metterci in gioco, vogliamo salire a bordo, vogliamo essere anche come dire, intercettati e soprattutto convinti e soprattutto contrattualizzati su qualcosa di più alto che non è solo ed esclusivamente un inquadramento contrattuale, perché poi invece limitare la lettura delle dinamiche del mondo del lavoro solo alla questione salariale, io credo che sia un modo per non ascoltare ancora una volta quelli che non sono più segnali deboli, ma sono segnali fortissimi che vengono dai ragazzi.
Castelli. Ministro, si ritenga già invitato per l’anno prossimo, l’anno prossimo la inviteremo a fare il primo bilancio di questa di questa borsa che parte il 1° settembre.
Calderone. Ma io guardi siccome sono abituata perché vengo dal mondo delle professioni e quindi noi sul campo siamo valutati per la bontà dei consigli e dei risultati che portiamo alle persone che si affidano a noi. Io penso che un bilancio lo dovremmo fare molto prima di un anno e perché cre-do che sia importante perché ci dirà anche in che modo poi possiamo lanciare altre sfide, che de-vono andare a coinvolgere anche le tante realtà del terzo settore, che possono esserci di grande aiuto soprattutto sulla linea che poi è legata alla inclusione sociale con l’assegno di inclusione.
Castelli. Grazie. Dottor Cipollone, nella sua precedente vita, se così possiamo dire, lei è stato il Presidente dell’Invalsi, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione e formazione, quindi, se ne intende di formazione, il PNRR destina nella sua quinta missione risorse ingenti in questo settore. Qui è un’occasione che stiamo sfruttando o la stiamo perdendo?
Cipollone. È interessante questa cosa perché è veramente un déjà vu, io forse otto anni fa io ero in questa stessa sala a discutere esattamente degli stessi problemi e devo dire che la sensibilità del professor Vittadini su questo è massima e lui è stato uno di quelli che ci aiutò i primi anni dell’Invalsi a porre questo problema della qualità dell’istruzione al centro della discussione. Perché noi come paese siamo vissuti per lungo tempo in una condizione quasi di denial, nel senso che vi-vevamo nell’illusione che la nostra scuola fosse una scuola di eccellenza e in parte lo è (le scuole elementari continuano a essere delle scuole di eccellenza, come dicono i risultati dell’ultima inda-gine dell’indagine PIRLS. Però in tutto questo percorso – io adesso lo guardo con un po’ di distacco, visto che faccio un altro mestiere – ci sono due elementi che noi all’epoca mettemmo a fuoco, che poi sono diventate questione di dibattito: uno è la quantità. Cioè noi abbiamo un serissimo pro-blema di capitale umano in termini di quanti giovani fisicamente studiano. C’è un lento progresso, però ancora siamo lontani dalle dai risultati dei nostri partner europei. Ma ancora più grave è il ritardo in termini di quello che questi ragazzi imparano, in termini di conoscenze e di competenze. Adesso so che nei prossimi giorni avrete il Presidente dell’Invalsi, lui si potrà dilungare a lungo su queste questioni. Quello che vediamo è che comunque ancora i risultati sono, abbiamo delle serie carenze nella capacità dei ragazzi di avere le conoscenze di base e le competenze di base. E poi c’è una terza dimensione che noi non siamo ancora in grado di misurare, che è esattamente quel-la di cui faceva cenno al professor Vittadini, cioè la capacità delle persone di mettersi in gioco, questa personalità che permetterà loro di essere cittadini capaci di partecipare alla vita lavorativa nell’intero arco della loro vita. Questo è un dato centrale, perché le trasformazioni tecnologiche sono tali che rendono obsolete le cose che impariamo nel giro di pochissimo tempo. Allora la do-manda fondamentale è: che cosa ci hanno dentro questi ragazzi, come produciamo a instillare lo-ro quella personalità che gli permetterà ogni tre anni di rimettersi in discussione? Perché noi ve-niamo da un mondo dove, come dire, le trasformazioni erano molto più lente. La generazione dei nostri padri ha cambiato lavoro, una forse due volte. Ecco, qualcuno diceva che i giovani adesso ogni sei mesi vogliono cambiare lavoro. Quindi, questa dimensione è quella che meno conosciuta e forse la più importante. Io non so come si potrà fare a misurarla, ma certo è un grandissimo in-terrogativo e sul quale dobbiamo riflettere.
Elisei. Ecco Monacelli torno, torno da lei, perché se questa personalità riesce ad essere valorizzata è perché c’è anche poi ovviamente un’azienda, un imprenditore che è capace di coglierla, diceva il presidente Vittadini sicuramente è in qualche modo un talento che può una personalità, viene va-lorizzata nel talento, ovviamente solamente se l’imprenditore è capace di cogliere quei segnali di-stintivi come esperienza, quindi come esempio concreto. Penso ovviamente anche ai tanti impren-ditori che ci stanno seguendo in questo momento. Qual è la vostra concreta esperienza rispetto a questo, cioè come attrarre quei talenti in questo momento?
Monacelli. In generale noi stiamo lavorando già da tanti anni su questi temi, prima parlavamo di welfare dal punto di vista della piccola e media impresa, ma noi è già da tanti anni che facciamo welfare per le nostre persone e avendo 15.000 dipendenti in Italia è una palestra molto significati-va, perché naturalmente le nostre persone ci restituiscono dei feedback, dei consigli, delle idee nuove e quindi c’è una co-creazione di welfare insieme a tutti i nostri collaboratori, a tutti noi, che rende questo modello particolarmente efficace e particolarmente vincente. È vero quello che ab-biamo ascoltato sin qui, che le aspettative dei giovani sono molto cambiate. Noi questo lo vediamo chiaramente, semplificando: fino a poco tempo fa i giovani che entravano in azienda chiedevano essenzialmente due cose, remunerazione e carriera. Oggi non è così, oggi queste non sono le pri-me due cose. E quello che ci viene richiesto è autonomia – abbiamo sentito prima – flessibilità, percorsi di crescita professionale che abbiano una loro logica e un loro percorso ben definito, ci viene chiesto di vivere l’azienda a 360 gradi; l’equità, l’inclusione che tante volte nelle aziende trattiamo ancora come un progetto, vengono dati come dei valori scontati e acquisiti. Ecco tutto questo ha cambiato profondamente il modello attraverso i quali i giovani entrano in azienda e noi come cerchiamo di rispondere? Cioè qual è la soluzione? La soluzione è quella di costruire dei pat-ti di collaborazione e fiducia diversi nel rapporto tra datore di lavoro e collaboratore, diversi ri-spetto al passato. Un patto di collaborazione e fiducia che non è lo smartworking – spesso si limita tutto a dire, adesso c’è il dibattito, il lavoro a distanza, il lavoro in remoto -, ma questo è solo uno strumento di flessibilità all’interno di un modello di relazione, che deve essere completamente di-verso ed è su questo che bisogna continuare, continuare ad investire noi.
Elisei. Secondo lei questa è la chiave insomma, giusta in questo momento, sicuramente il welfare, che è uno dei delle parole d’ordine e anche di questo appuntamento insieme di oggi pomeriggio. C’è sicuramente un fenomeno che vogliamo guardare assieme a partire da questo che, iniziato in America, poi si è diffuso anche in Europa, che è quello che viene definito quello delle grandi di-missioni, cioè i giovani decidono di lasciare il posto di lavoro e lo fanno per cercare un maggior equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Qualcosa che probabilmente era impensabile per geni-tori o generazioni precedenti. Uno studio proprio su questo perché in qualche modo anche in Italia si è verificato. Lo ha fatto il Politecnico di Milano, tra i curatori, il professor Mariano Corso, che per noi ha intervistato Annalisa Pomponio, ci racconta alcune delle evidenze che emergono e qualcosa è davvero sorprendente. Sentite.
Video dal minuto 57.56
Alla base del fenomeno delle grandi dimissioni, soprattutto nel nostro paese, c’è un desiderio in-soddisfatto di realizzazione, di felicità, cioè la ricerca di un rapporto col proprio lavoro e con i pro-pri talenti diverso, e questo spinge le persone a cercare un nuovo lavoro. In Italia sono il 46% i la-voratori che o hanno appena cambiato o cercano di cambiare, vogliono cambiare nei prossimi mesi e questo dato diventa addirittura il 77% quando ci riferiamo ai giovani, alla generazione Z. Ma alla base di tutto questo c’è soprattutto un desiderio di significato, questo desiderio di senso e il questo rappresenta sicuramente una crisi, ma anche una grande opportunità per le aziende di acquisire un nuovo vantaggio competitivo, di dare una nuova proposizione sul mercato dei talenti.
Dopo aver cambiato lavoro, uno si sente davvero più soddisfatto e realizzato o no? Cosa emerge dalla vostra ricerca?
Dalla nostra ricerca emerge come il 41% dei lavoratori che hanno cambiato lavoro a un anno di distanza, in realtà rimpiangono quello che era il loro lavoro precedente. Questo è un segnale che ci fa capire come questa ricerca di senso di significato oggi spesso non trovi soddisfazione, perché in fondo quello che soprattutto i giovani ricercano, è qualcosa che sta più dentro di loro, una self trascendence, è un dare significato. E le organizzazioni, soprattutto quelle più tradizionali, fanno fatica a offrire questa opportunità e quindi si crea questo gap, questa insoddisfazione, che poi to-glie ingaggio e toglie felicità ed efficacia a questi talenti.
Elisei. Insomma, emerge che almeno per un ragazzo su due, ad un anno dall’aver lasciato il primo posto di lavoro, il problema non si risolve, resta in qualche modo una insoddisfazione di fondo. A questo lego quello che ci raccontava il professor Mezzanzanica, una delle ragazze, all’inizio che abbiamo fatto ascoltare proprio prima di iniziare il nostro dialogo insieme. Cioè vorrei fare qual-cosa nella vita, un lavoro che sia anche utile in qualche modo socialmente utile. Ora, professor Vittadini, presidente. Parliamo di questo. Che cosa dà realmente soddisfazione anche nei lavori più umili, magari.
Vittadini. Vi ricordate Michael Douglas, Wall Street, la performance? Adesso invece della per-formance è l’idea, l’insoddisfazione sul lavoro, ma diciamo la verità, non è il lavoro che ti risponde a questo. È una posizione sulla vita ideale e noi per anni abbiamo teorizzato che il lavoro e la vita non c’entrano niente. Questo è l’esito. Il problema ideale viene prima, viene in famiglia, viene nell’educazione, nel fatto che uno capisce che il lavoro è uno strumento inevitabile, ma non è tut-to. Fino a quando noi continueremo con queste teorie e non riprenderemo una posizione ideale che viene prima, chi cerca la performance, chi cambia lavoro, ma dà al lavoro una responsabilità che il lavoro non darà: l’insoddisfazione, qualcosa che si risponde altrove. Qui nel Meeting se ne parla molto.
Castelli. Monacelli, voi siete, avete migliaia di dipendenti, siete stati investiti anche voi dal feno-meno delle grandi dimissioni o no? Ma più specificatamente: con quali strumenti? Prima le ho chiesto come attrarre i talenti. Adesso le chiedo: come trattenere i talenti? Perché oggi questo è un po’ la sfida aziendale che molte aziende hanno o no?
Monacelli. Non c’è dubbio, ma intanto devo dire che in Generali abbiamo un turnover molto bas-so, quindi questo fenomeno delle dimissioni non lo sentiamo. Evidentemente siamo, proprio per il lavoro che abbiamo fatto che descrivevo prima in questi anni e siamo capaci di trattenere oggi i nostri i nostri migliori talenti con una con una frequenza molto molto alta. Credo che la chiave sia un po’ la sintesi delle cose di cui abbiamo parlato questa sera. Di sicuro c’è un aspetto legato al proposito, alla missione del lavoro e da questo punto di vista il mestiere dell’assicurazione si pre-sta molto bene, perché anche se è un settore qualche volta di cui non si parla benissimo, o non viene letto, per la verità, in realtà è un mestiere bellissimo, perché ha a che fare con la sicurezza delle persone e quindi porta naturalmente con sé una missione molto profonda, un ruolo sociale molto profondo. A fronte di questo, l’ingaggio delle persone, come dicevo prima, con un patto di collaborazione e fiducia, strumenti di autonomia, la flessibilità negli orari di lavoro e nello svolgi-mento dell’attività lavorativa in remoto, piuttosto che in presenza, il ripensare i luoghi di lavoro in modo tale che la presenza abbia un senso (perché chiedere alle persone oggi di essere in una sede di lavoro significa anche dare un senso a quella presenza) e quindi la riorganizzazione degli spazi. E tutti gli strumenti di welfare di cui abbiamo parlato, contribuiscono a dare quel senso di centrali-tà alle nostre persone all’interno dell’azienda, che è quello che secondo noi fa la differenza per trattenere i migliori talenti.
Castelli. Lo capiamo vedendo insieme questo servizio qua. Siamo andati a Mantova in un’azienda storica, con una maggioranza di occupazione femminile in cui il welfare di cui abbiamo tanto par-lato oggi perché lo riteniamo un fattore molto importante. Vediamo come e cosa è successo in questa azienda. Poi torniamo col ministro, grazie
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Io ho due bambini. Quindi nei colloqui precedenti, già quando dicevo che ero una madre con due bambini già li cambiava tutto e con la LUBIAM invece è successo tutto diverso.
Naturalmente quando si diventa mamma e non è giusto far scegliere una donna, se fare la mam-ma o se lavorare. E qui ho trovato diciamo il giusto equilibrio per coniugare famiglia e lavoro.
Mantova, fine giugno 2023. Eppure queste interviste potrebbero avere un secolo, perché LUBIAM, azienda di alta sartoria per moda maschile fondata nel 1911, le politiche di welfare in favore dei dipendenti cominciarono già tra le due guerre mondiali e ora sono portate avanti dai discendenti del fondatore Luigi Bianchi.
La nostra azienda è composta da circa più di 300 dipendenti, in gran parte del personale femmini-le. Siamo oltre l’ottanta di donne e per noi il capitale umano è il più grande patrimonio aziendale, quindi il nostro, il nostra missione, cercare di tutelare al massimo quello che è il benessere dei no-stri lavoratori e cercare di lavorare per conciliare quelle che sono le esigenze famiglia lavoro che per il personale femminile sono particolarmente sentite.
Tutto a inizio quasi cent’anni fa, mensa aziendale, infermeria interna. Poi negli anni del boom, va-canze organizzate per dipendenti e famiglie e spazi residenziali realizzati vicino alla fabbrica dopo l’autunno caldo del ‘68, arrivano i primi part-time e la flessibilità oraria in entrata e in uscita, a metà anni ‘90, nuova svolta: psicologo aziendale, visite mediche specialistiche a carico dell’azien-da e altro ancora, come ricorda la moglie dell’allora proprietario.
E abbiamo iniziato a fare quello che abbiamo chiamato il baby-LUBIAM. Una un’assistenza, un ac-cudimento per i figli dei dipendenti nel periodo in cui le scuole sono chiuse, ma LUBIAM, comun-que continua a lavorare, tipo vacanze di Natale le vacanze di Pasqua e questa cosa ha avuto im-mediatamente un’enorme successo tanto da diventare sempre più strutturato e prendere le for-me, nel 2010, di un asilo nido aziendale.
Mi ha cambiato la vita, cioè io facevo delle corsa per arrivare ad arrivare alle 8 e arrivavo già in ansia perché, ma arrivo in ritardo e adesso no, arrivo al lavoro tranquilla, riesco a lasciare i miei bambini tranquilli e arrivo tranquilla, faccio il mio lavoro tranquilla, serena, senza nessun proble-ma.
Quella più serena, perché so che la mia bambina è qui, è vicino a me. E nel caso in cui abbia biso-gno di qualcosa, sono veramente a un minuto di distanza.
A queste iniziative si devono infine aggiungere sostegni al reddito, rimborsi per attività sportive e culturali extra lavorative per dipendenti e figli, un ambulatorio di fisioterapia, bonus natalità e per il doposcuola, borse di studio, formazione tramite una Academy. Tutte misure che in LUBIAM sono sotto la voce “Investimenti”.
Per noi è un fattore strategico di sviluppo avere personale che lavora in condizioni ottime e per noi molto importante e ci permette avere una retention molto alta e ci permette di attrarre i mi-gliori talenti del territorio. Quindi per noi è un elemento fondamentale.
Ora basta, son sicura che hai passato la misura, ma perché tu sei ribelle?
Perché voglio il mondo L!
Elisei. Ringraziamo Davide Giuliani per il servizio. Una bella esperienza, ve l’abbiamo mostrata so-prattutto perché è possibile, è qualcosa di già concreto oggi, di realizzabile ancora in altre espe-rienze imprenditoriali. Ministro Calderone, vengo da lei perché in un’intervista recente ha dichia-rato: “Dopo la pandemia il welfare è un tema centrale”. Allora vogliamo chiederle se prevede di introdurre nuovi aiuti alle aziende in favore di una maggiore conciliazione tra vita privata e lavo-ro.
Calderone. Guardi quello che abbiamo visto è proprio la risposta a chi oggi chiede qual è la solu-zione sul salario minimo. La dimostrazione del fatto che non è solo un importo orario, che fa la dif-ferenza. La differenza la fa un sistema aziendale in cui si lavora e si hanno tutta una serie di servi-zi. Quindi la risposta è sicuramente sì. La scelta di sostenere la buona contrattazione e soprattutto sostenere la contrattazione di prossimità, il welfare aziendale, credo che risponda all’esigenza proprio di dare delle risposte concrete a quelli che sono i bisogni reali. Io ho condiviso molto ciò che ha detto Vittadini sul fatto che non si può scaricare sul lavoro quello che invece deve essere una dimensione, un progetto di vita, che deve trovare una sua dimensione più ampia. E allora mi ricordo quando gli anziani dicevano: “Si lavora per vivere, non si vive per lavorare”. Io credo che si debba mettere a sistema tutto quanto e si debba lavorare proprio per rendere la comunità lavora-tiva un ambiente in cui si cresce e si può anche trovare soddisfazione in quelli che sono bisogni più ampi. Ecco avere un sostegno anche alla genitorialità, avere un sostegno con un asilo nido azien-dale o di distretto. Questo è uno dei temi che poi, collegati ad altri interventi che faremo sul wel-fare, troverete sicuramente in un futuro prossimo.
Castelli. Ci sono risorse Ministro per ulteriori sgravi per aziende che vogliono investire nel welfa-re?
Calderone. Ma guardi, noi abbiamo già fatto l’intervento di detassazione sulla manovra di bilan-cio, dell’anno passato, abbassando al 5% la tassazione sui premi di produttività. E’ da lì che ovvia-mente ripartiamo, io dico che bisogna ampliare il paniere degli elementi che possono essere sot-toposti a detassazione e soprattutto bisogna investire su alcuni asset importanti, che poi rispondo-no ai bisogni che ci vengono manifestati. Quindi c’è tutto il tema anche dell’assistenza alla fami-glia, ai familiari non autosufficienti, alla long term care in quanto tale, cioè il tema della salute, che è un tema che sta a cuore anche a tantissimi ragazzi intervistati dopo la pandemia.
Elisei. Quindi possiamo aspettarci insomma qualche novità anche in questa direzione?
Calderone. E’ nella mia lista.
Elisei. Perfetto. A proposito di questo, dato che il lavoro è sicuramente, ne ha parlato moltissimo caldo su questo, … il salario minimo l’abbiamo citato più volte, è sicuramente centrale in queste settimane ha risposto a più interviste anche nelle ultime ore. Quello che voglio chiederle, vedre-mo quello che sarà poi il responso del CNEL, ma il ministro Marina Calderone che cosa si augura? Come andrà a finire secondo lei?
Calderone. Io penso e ragiono in un’ottica di stabilità del mercato del lavoro e soprattutto anche di prospettive. Se dovessimo individuare, come dicevo prima, un unico parametro che vale per tut-ti, quindi un unico punto di riferimento, che a quel punto è una cifra, questo creerebbe sicuramen-te delle difficoltà nella gestione invece di quelle che sono le dinamiche salariali e contrattuali che fanno sì che poi si possa veramente invece investire in termini di produttività e di restituzione ai lavoratori anche del valore della loro produttività. Io credo che si debba guardare nel complesso al valore del contratto e di tutte quelle che sono le potenzialità che può esprimere anche con tutti gli altri istituti contrattuali. Io penso che si debba parlare di salario adeguato e di salario giusto, questo credo di sì, si debba fare veramente una lotta al lavoro povero che però deve essere inteso anche come una lotta al lavoro sommerso e al caporalato. E spesso, quando si sente dire che le persone lavorano per pochi euro l’ora, ma attenzione che non ci sono contratti collettivi che pre-vedono una paga oraria di 3 euro. Ci sono sicuramente delle situazioni in cui qualcuno non applica il contratto e non assicura le persone. Ma per quello abbiamo gli ispettori del lavoro e abbiamo tutte le forze ispettive da mettere in campo.
Castelli. Grazie Ministro, siamo in conclusione. Qui abbiamo fatto, abbiamo fatto vedere alcuni ti-toli che hanno un po’ tempestato i giornali in queste ultime settimane. Professor Vittadini, lei è padrone di casa, a lei spetta la conclusione. Il titolo di questo Meeting richiama il tema dell’amici-zia. Uno solitamente pensa che l’amicizia riguardi, come dire, la sfida privata, mentre qui centrale è diventato, nel Meeting il tema del lavoro. Che relazione c’è tra amicizia e lavoro?
Vittadini. È quello che abbiamo sentito oggi, diciamo una parola: il lavoro è un incontro. E nell’in-contro la persona e l’impresa si devono incontrare, si devono venire intorno, si devono venir vicini, si devono capire. Questa è la dinamica della modernità. È finita “Il padrone delle ferriere”, è finita il tempo della catena di montaggio, è finita l’idea del posto fisso e del ruolo. L’incontro costruisce il futuro e questo unisce l’idea di amicizia all’idea di lavoro..
Elisei. Grazie ai nostri ospiti, Marina Calderone, Piero Cipollone, Massimo Monacelli e n e giovedì 24, dedicati a giovani e a donne. Grazie ancora, buona serata.