FORMAZIONE LAVORO, LA VIA PER FAR INCONTRARE DOMANDE E OFFERTA DI MANODOPERA STRANIERA

Organizzato da AVSI e Compagnia delle Opere
Rose Busingye*, infermiera e responsabile Meeting Point di Kampala; Massimo Dal Checco, presidente Assafrica & Mediterraneo; Andrea Dellabianca, presidente Compagnia delle Opere; Giampaolo Silvestri, segretario generale AVSI. Conclusioni a cura di Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale. Modera Giannino Della Frattina, giornalista de Il Giornale

La formazione al lavoro nei paesi di provenienza dei potenziali migranti, anche in virtù di nuovi meccanismi legislativi, si sta confermando come una modalità fondamentale da un lato per favorire la migrazione regolare dei lavoratori stranieri che intendono raggiungere il nostro Paese, dall’altro per rispondere alla domanda di manodopera delle imprese italiane. Ma la traduzione pratica di questa possibilità incontra sia opportunità che criticità. In questo dialogo multistakeholder si darà voce a vari soggetti coinvolti per capire come procedere al meglio verso uno sviluppo sostenibile per tutti. Si presenterà l’accordo sottoscritto da AVSI con il governo tunisino per avviare progetti di formazione lavoro di cittadini tunisini da inserire nelle imprese italiane; si ascolteranno le esigenze e difficoltà delle imprese e di chi offre percorsi di formazione.

FORMAZIONE LAVORO, LA VIA PER FAR INCONTRARE DOMANDE E OFFERTA DI MANODOPERA STRANIERA

FORMAZIONE LAVORO, LA VIA PER FAR INCONTRARE DOMANDE E OFFERTA DI MANODOPERA STRANIERA 

Organizzato da AVSI e Compagnia delle Opere 

Sabato 24 agosto 2024 ore 16:00 

Arena Internazionale C3 

Partecipano: 

Rose Busingye, infermiera e responsabile Meeting Point di Kampala; Massimo Dal Checco, presidente Assafrica & Mediterraneo; Andrea Dellabianca, presidente Compagnia delle Opere; Giampaolo Silvestri, segretario generale AVSI. Conclusioni a cura di Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale.  

Modera:  

Giannino Della Frattina, giornalista de Il Giornale 

 

Della Frattina. – 0:07:02 – È un’altra cosa. Buonasera, buonasera a tutti. Iniziamo questo incontro che fa parte dei panel organizzati da Compagnia delle Opere e AVSI. Il titolo dell’incontro, che è alle mie spalle, è “Formazione e lavoro, la via per fare incontrare domanda e offerta di manodopera straniera”. Come vedete, il titolo sotto cui si svolgerà questo dibattito è particolarmente interessante, perché spesso si parla della necessità di far incontrare domanda e offerta di lavoro, ma poche volte si è parlato di far incontrare domanda e offerta di lavoro straniera. 

Come spesso succede, il Meeting anche quest’anno ha dettato l’agenda politica e giornalistica di questi giorni, di questa ripresa dell’anno. Il governatore Panetta, solo qualche giorno fa, ha detto delle cose molto importanti. Ha detto due cose importanti: ha detto che l’Italia spende per la formazione, per la scuola, quanto spende di interessi per il debito pubblico. E ha detto che l’Italia avrà necessità di manodopera straniera. Io l’ho detto a mia figlia. Mia figlia ha studiato alla Bocconi, è molto giovane, e spesso con lei discuto di queste cose. Lei ha una visione diciamo molto giovanile del tema e potete immaginare cosa questo significhi. Lei mi ha risposto: “Ma il governatore della Banca d’Italia non sarà un pericoloso comunista a dire una cosa del genere?”. E effettivamente io ho dovuto dire di no. Il governatore, che non è un pericoloso comunista, ci dice oggi che l’Italia, in futuro, per potersi sviluppare, ha bisogno di manodopera straniera. Domandarsi come questa manodopera straniera potrà arrivare in Italia è l’argomento di questo dibattito importante. Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato a moderarlo, ringrazio l’ottimo Orsi che ha organizzato questo panel e questa straordinaria serie di incontri che hanno riempito il Meeting, e passo immediatamente alla presentazione dei relatori. 

Inizio dal presidente della Compagnia delle Opere, Andrea Della Bianca, che in questi giorni è stato un vero maratoneta perché era ovunque, in qualunque convegno è comparso, in quasi qualunque convegno ci sia stato. Quindi, il presidente Andrea Della Bianca, il segretario generale di AVSI, Gianpaolo Silvestri, un personaggio straordinario e chi non lo conosce capirà quanto è straordinario. Come Rose Bousinguet, che sarà una parte veramente emozionante di questo incontro; vi renderete conto di quante emozioni riuscirà a trasmetterci. Massimo Dal Checco, presidente di Assafrica, e ringrazio in particolare l’onorevole Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari Esteri. Ci dimentichiamo spesso della cooperazione internazionale; poche volte pensiamo agli Esteri e poche volte parliamo di cooperazione internazionale, che invece sta diventando, come ci dirà, uno degli elementi fondamentali del futuro e del nostro futuro, soprattutto. Inizieremo immediatamente dal Presidente Della Bianca, che introdurrà questo dibattito. 

Dellabianca. – 0:10:31 – Sì, grazie. Devo dire che questo Meeting è stata anche l’occasione per approfondire questa tematica, che ha due risvolti. Uno è come oggi, già all’interno della Compagnia delle Opere, imprese, realtà sociali e realtà educative collaborino per l’educazione e la formazione dei giovani all’interno di un percorso dove tutti e tre i soggetti sono utili a far sì che i ragazzi possano incontrare degli educatori che li ingaggiano e dei contenuti forniti dalle imprese. L’altro tema che abbiamo visto anche in alcuni incontri di questo Meeting è come in un incontro Banca d’Italia ha mostrato con una ricerca che il tema del fabbisogno lavorativo non è un tema che si attuerà fra 40 anni, ma è già attuale oggi e nei prossimi 10-15 anni. La necessità delle aziende è superiore sia a quanto l’aumento demografico sia la quantità di forza lavorativa potrà supportare. Quindi il tema è o diminuire la produttività o trovare persone che possano entrare nel mondo del lavoro attivo, ed è un tema già attuale su cui anche il governo si sta muovendo, come vedremo in questi incontri. 

Ci sono dei termini nel titolo, come “formazione stranieri”. Già oggi, anche nei percorsi formativi italiani, abbiamo qui alcuni soggetti, tipo Aslam, che riguardano la formazione professionale ITS. Già si vede la presenza di ragazzi figli di famiglie straniere che sono già qui, per cui questo percorso di formazione e integrazione, che si completa poi con l’inserimento nel mondo lavorativo, è qualcosa che già sia i percorsi formativi sia le aziende stanno affrontando, cioè è già un tema attuale. Oggi c’è la possibilità normativa di iniziare anche un percorso di formazione direttamente nel Paese d’origine. Questo lo vediamo come un tentativo molto positivo, perché permetterebbe un arrivo nel Paese e un inserimento nel mondo lavorativo molto più coordinato, evitando anche percorsi di arrivo che oggi sono, in primo luogo, drammatici e pericolosi per chi li deve affrontare. 

Quindi, se un percorso del genere è virtuoso perché permette di trasmettere cultura d’impresa, capacità formativa e offre uno sbocco lavorativo immediato, è chiaro che questo non si risolve con una norma, seppur buona. Serve una collaborazione fra tutti i soggetti che, come dicevo prima, entrano in gioco per fare un percorso educativo vero e proprio. Cioè, un soggetto capace di formare, un soggetto capace di comprendere il Paese e crearne le condizioni, come AVSI, e il soggetto impresa, che oltre a identificare le necessità, ha le competenze tecniche e la capacità di trasferire i contenuti necessari a colmare questo fabbisogno. Come succede in Italia, anche questo percorso ha bisogno di una collaborazione tra pubblico e privato, e una collaborazione tra imprese, enti del terzo settore ed enti formativi. Questo è qualcosa che ha sempre caratterizzato la CDO e oggi sta diventando una sfida per un tema che non è più così facile, perché i contenuti lavorativi cambiano molto velocemente. Inoltre, la capacità di attrarre, ingaggiare e trattenere i giovani nel percorso lavorativo non è più così semplice; richiede una capacità di collaborazione che ne dà una ricchezza, come stiamo vedendo in questo Meeting. 

Della Frattina. – 0:15:38 – Grazie, Presidente. Chi ha vissuto queste giornate di Meeting avrà seguito molti dibattiti, avrà ascoltato molte parole, molti discorsi, e sono particolarmente felice di essere qui perché sotto il cappello della Compagnia delle Opere c’è questo termine “opera” che fa sì che ciò che è parola diventi cose. E approfitto della cupola di spiritualità che avvolge questo Meeting. La frase più rivoluzionaria della storia del pensiero è l’inizio del Vangelo di Giovanni, “En archè o logos estin.” All’inizio era il Logos, ma il Logos si deve fare carne e le parole devono diventare opere. Ecco, Compagnia delle Opere deve essere un luogo dove le parole diventano opere; altrimenti, se rimangono parole, rimangono vane. Come queste parole possono diventare opere? Posso chiederlo a Gianpaolo Silvestri, segretario generale di AVSI. Ora ricordo che AVSI è l’Associazione Volontari per il Servizio Internazionale, un’organizzazione no profit che si occupa di progetti di cooperazione. Sono, se non sbaglio, 355 al momento, in 42 diversi Paesi. Dopo il decreto Cutro mi dicono che c’è qualche elemento aggiuntivo che può essere utilizzato per formare la forza lavoro nei loro Paesi e lasciare perdere quelle polemiche che appunto sono ancora parole tipo “aiutiamoli a casa loro”, che può essere una bandiera sia per una parte che per l’altra, ma diventa solo polemica politica e non opere concrete.  

Silvestri. – 0:17:20 – Grazie. Dunque, dopo questa introduzione in cui “il Verbo si è fatto carne”, ci provo, ma non sono sicuro di riuscirci; diciamo così, è un tentativo ironico, però ci proviamo. Allora, inizierei appunto con una premessa: nel senso che noi, AVSI, siamo un’organizzazione della società civile che da più di 50 anni realizza progetti di cooperazione in diversi Paesi. Il cardine della nostra missione è l’educazione, intesa come accompagnamento della persona alla scoperta del proprio valore, insieme alla formazione al lavoro. Il lavoro non solo serve a garantire l’autosufficienza economica delle persone, ma è anche uno strumento per promuovere la dignità della persona. E quindi, nei Paesi in cui operiamo, realizziamo progetti di educazione e formazione al lavoro. Persone educate e formate sono fondamentali per lo sviluppo di un Paese, perché costituiscono la creazione di capitale umano. 

Nei Paesi dove è forte la spinta a emigrare, chiaramente proviamo a formare anche persone che poi verranno in Italia e in Europa. Però, le due cose devono procedere insieme: formare solo persone destinate o che vogliono venire in Europa non crea capitale umano per quei Paesi e, di conseguenza, non crea sviluppo, che è la nostra missione primaria. Se non c’è sviluppo in questi Paesi, come abbiamo detto molte volte in questi giorni, non ci sarà nemmeno sviluppo per noi, per l’Italia e per l’Europa. 

Partiamo da questo decreto. Vorrei raccontarvi un caso relativo alla Tunisia. A partire da quanto previsto dal “Decreto Cutro”, che modifica l’articolo 23 del Testo Unico, c’è un percorso per la migrazione regolare. Questo decreto permette l’ingresso regolare in Italia di chi ha seguito un percorso di formazione professionale rispettando alcuni standard. Quindi AVSI si è attivata e, dopo discussioni e verifiche, il 10 giugno scorso abbiamo firmato un Memorandum of Understanding con il Ministero del Lavoro tunisino, in particolare con due agenzie del Ministero: l’ANETI (Agenzia Nazionale per l’Impiego) e l’ATFIP (Agenzia Tunisina di Formazione Professionale). Questo per promuovere, secondo quanto previsto dal decreto, una formazione civico-linguistica, che comprende lingua e cultura italiana, e una formazione tecnica professionale per 150 persone. Chiaramente, è un progetto pilota. 

Questo fa parte di un più ampio Memorandum che esiste tra Italia e Tunisia dal 2023 e che include un protocollo che prevede l’entrata regolare in Italia di circa 12.000 tunisini. Noi siamo stati tra le prime organizzazioni della società civile a firmare questo tipo di accordo, nato da una conoscenza e dialogo con le autorità tunisine e dalle diverse organizzazioni, oltre che dalla conoscenza del contesto. Da decenni lavoriamo in progetti per sostenere migranti e rifugiati in diversi Paesi del mondo e collaboriamo con il settore privato, che in questo caso è fondamentale. 

Stiamo quindi partendo con un primo progetto pilota finanziato da Gi Group, una delle maggiori agenzie nazionali di intermediazione nel lavoro, che sosterrà la formazione di un primo gruppo di 30 persone, destinate a lavorare nel settore della logistica in Italia. Il progetto è molto semplice: c’è una fase di selezione dei beneficiari, che avviene insieme ai soggetti tunisini coinvolti, cioè le due agenzie menzionate. La scelta dei beneficiari non è un aspetto banale, perché queste persone devono essere realmente disponibili a venire in Italia e a formarsi. Successivamente, c’è la parte di formazione civico-linguistica, comprendente lingua e cultura italiana e elementi fondamentali per vivere in Italia, seguita dalla formazione tecnica professionale. Poi c’è l’intero percorso burocratico, che include la richiesta del nulla osta, il visto, l’attività di inserimento in Italia, che forse è la parte più complessa. Il progetto otterrà il giudizio di conformità del Ministero del Lavoro e del Welfare, perché così prevede il percorso. 

Vorrei evidenziare due o tre elementi di criticità. La possibilità offerta dal decreto è interessante, però ci sono delle criticità che, secondo me, è bene evidenziare in un’occasione come questa e che si possono provare a risolvere. Da una parte, abbiamo registrato un po’ di resistenza da parte delle imprese, più per motivi di tipo culturale ed economico, dovuti probabilmente a diversi fattori. C’è molta burocrazia, che crea un po’ di incertezza dal punto di vista delle imprese, poiché sono coinvolti diversi ministeri: il Ministero del Lavoro, il Ministero degli Interni per il nulla osta, e il Ministero degli Esteri. Questo già non facilita la questione. Giustamente, gli imprenditori che investono hanno sempre un po’ il timore di dire: “Questo arriva in Italia e poi, chi mi assicura che fra tre mesi non prenda e vada in Francia dai suoi parenti, tanto per banalizzare?” 

Un altro aspetto, che forse è il più rilevante, riguarda il tema della casa. Queste persone, se arrivano in Italia, hanno bisogno di una casa; l’impresa deve fornire l’alloggio per un certo periodo, e anche questo è un aspetto non semplice. Inoltre, al momento non esistono contributi pubblici che finanzino in modo significativo questo tipo di attività, il che rappresenta un’altra questione da affrontare. Ci sono poi alcuni settori in cui esistono ancora dei vincoli da superare. Ad esempio, sapete che uno degli ambiti con più richiesta di manodopera in Italia è quello degli autisti di camion. In Tunisia, ad esempio, è possibile fare il corso per ottenere la patente, che viene riconosciuta in Italia, ma non è così per quanto riguarda il passo successivo, cioè la CQC (Carta di Qualificazione del Conducente), che può essere ottenuta solo in Italia. Questo è un ostacolo che dovrebbe essere rimosso; andrebbe previsto anche in Tunisia. 

Riteniamo che la possibilità offerta dal “Decreto Cutro” sia molto importante e debba essere perseguita; è una grande opportunità. Per farla funzionare, come si evince dalle parole che ho detto rispetto al nostro progetto, è necessaria una grande alleanza, una collaborazione forte tra tutti i soggetti coinvolti, cioè ciò che rappresenta sempre l’approccio multi-stakeholder dell’Italia. Un’organizzazione della società civile che fa formazione, le imprese, i diversi ministeri: è chiaro che serve il concorso di più soggetti. 

Dall’altra parte, ci vuole una forte semplificazione del percorso normativo. Bisogna assolutamente ridurre i tempi e semplificare le procedure; forse si potrebbe creare uno sportello unico che raggruppi i passaggi dei diversi ministeri, questure, Ministero dell’Interno, consolati, perché altrimenti i passaggi diventano troppi. Inoltre, è necessario un cambiamento nel modo in cui pensiamo al lavoro e alla formazione, perché dobbiamo sempre ricordare che questa persona che viene a lavorare in Italia è una persona, non dobbiamo solo vederla come braccia, come forza lavoro. È una persona che ha bisogni e necessità, quindi dobbiamo considerarla innanzitutto come tale. 

Noi riteniamo che questa sia la chiave fondamentale per affrontare questo tipo di progetti, perché tutto ciò che è legato a loro non deve essere visto solo come un costo, ma come un investimento in capitale umano. Solo in questo modo riusciremo a dare un contributo allo sviluppo dell’Italia, ma soprattutto riusciremo a dare un percorso professionale, ma anche umano, a queste persone. Queste persone, un domani, potranno magari portare la famiglia, vivere, svilupparsi, avere una storia dignitosa. Questo progetto serve comunque a promuovere la loro dignità, perché poi è questo che ci interessa. Rispondiamo a un bisogno concreto delle imprese, ma dobbiamo farlo sempre con l’accento sulla dignità della persona umana. 

Della Frattina. – 0:27:00 – Grazie. Rose, cosa significa offrire del lavoro per la dignità di una persona in Africa?  

Busingye. – 0:27:14 – Saluto a tutti. Prima di incontrare Don Giussani, pensavo che il lavoro e il guadagno servissero a diventare ricchi. Ma incontrando Don Giussani, come anche il titolo del Meeting dice, ho capito che cerchiamo tutti qualcosa. Da Don Giussani ho imparato che cerchiamo qualcosa per cui siamo fatti. Cerchiamo perché esistiamo, perché viviamo, perché lavoriamo. Ho scoperto che il problema è essere veramente umani. Mi chiedo: chi è un essere umano? Come mi ha insegnato Don Giussani, è colui che ha un’urgenza di significato; tutta la vita dell’uomo è la ricerca del significato del suo essere. Quando si scopre il significato del vivere, tutto cambia. 

Ho cominciato a vivere e a lavorare quando qualcuno mi ha detto: “Tu hai un valore, tu sei mia.” Questa persona era Don Giussani. Qui ho cominciato a intravedere un significato per la mia vita. È stato come se una luce avesse illuminato tutto. Ho cominciato a capire la verità della mia stessa vita. Da qui è nata un’attrattiva, un’affezione e una tenerezza per la mia stessa vita e per la vita degli altri. Ho cominciato a vivere e a lavorare quando ho saputo rispondere concretamente alla domanda su chi sono, quando questa domanda ha assunto una faccia precisa, con un nome e un cognome. Paradossalmente sono diventata libera appartenendo, avendo un legame. Quando sei libera, finalmente puoi affrontare tutta la realtà senza paura, perché sai a chi appartieni. E chi è libero non pretende più nulla dagli altri, perché ha già tutto. 

Io lavoro con i malati di AIDS, con gli orfani e i poveri nei sobborghi di Kampala, la capitale dell’Uganda. All’inizio sembrava che avessi successo, perché davo molte cose agli orfani: davo da mangiare, fornivo medicine, risolvevo conflitti, divorzi, depressioni, la povertà. Mi esaltavo, pensavo di avercela fatta. Ma poi mi sono accorta che tutto il mio lavoro in realtà serviva a poco. Non serviva perché vivevo e lavoravo senza sapere perché. I malati a cui davo da mangiare vendevano il cibo per comprare l’alcol, le medicine non le prendevano, le buttavano nei cestini. Era come in una grande infermeria: preparavo le cartelle e, quando si prendeva una medicina, facevano una crocetta. Tante volte, quando aiutiamo la gente, pensiamo che siano stupidi, ma loro facevano la crocetta e poi buttavano la pastiglia nel cestino. Io vedevo la gente morire nonostante le medicine, vedevo che non mangiava nonostante il cibo, e sono andata in crisi. Sono andata in crisi perché pensavo che fosse ovvio: un malato prende le medicine, e invece non lo faceva; uno ha voglia di mangiare, e invece non mangiava. 

Quando sono andata in crisi, Don Giussani mi ha detto che il problema della vita umana deve essere affrontato con una posizione umana: “Chi sono io? Qual è il significato della vita?” Se non so chi sono io, non posso sapere chi sono gli altri. Invece di aiutare, li inganno. Ho iniziato il Meeting Point, un momento in cui ognuno lavorava, e lavorava bene, in un modo quasi perfetto, ma ognuno era concentrato sul suo progetto. Nessuno guardava la persona per cui faceva quel progetto. I poveri possono essere ridotti alla loro povertà, i malati alla loro malattia. Uno, per esempio, può venire da me con un mal di denti o mal di testa, e io mi trovo di fronte alla testa o al dente, non alla persona con i suoi denti. È molto facile confondere o sostituire la persona con ciò che conosciamo di lei o con ciò che facciamo per lei. Così riduciamo la persona a un progetto che stiamo mettendo in opera. 

Molte volte, quando vedevo i malati che venivano dall’ospedale con tutti i pacchettini intatti, pensavo che forse non stavano così male, ma poi vedevo quella persona morire dopo un mese. Questa domanda dei pazienti, questa vita e Don Giussani mi hanno portato a trattare me stessa come qualcosa di più grande e a guardare l’altra persona nella sua interezza. Toccare una parte, un qualunque organo di un essere umano, implica la totalità del suo organismo. Per esempio, c’è una donna che si chiama Lucy, che era in un centro di riabilitazione. Una volta è scappata dal centro ed è venuta da me. Mi ha detto: “Guarda, io sono stanca dei giornalisti che vengono e mi chiedono cosa mi è successo. E cosa racconto io? Io sto diventando un cestino dei problemi, ma io chi sono?” Chi era Lucy? Mi sembrava un orrore ciò che le era successo. Guardandola, non sapevo cosa dire, perché per me era un essere umano come me, anche se aveva combinato dei guai. 

Un altro paziente, Julius, mi ha chiesto di essere visitato da un medico, ma quando il medico ha visto la situazione ha detto: “Guarda, Julius, non c’è niente da fare, devi pregare Dio adesso, devi andare da Gesù.” Ma Julius ha risposto: “Dottore, vai a salutare Gesù prima di me. Io sto ancora qui. Tu mi vedi? Sembra che io sia morto, ma ho un valore più grande. Voglio mostrare ai miei figli che la vita non finisce qui, che non sono questa apparenza che vedono. Io sono Julius. Ho un valore infinito.” 

Sono queste le cose che mi spingono a pensare che ciò che stiamo vivendo è proprio perché conosciamo noi stessi e perché conosciamo gli altri. La crisi che vediamo non riguarda solo il lavoro; è una crisi educativa. Ieri dicevo agli italiani: dovete tenere viva la vostra umanità, perché c’è ancora, perché dentro ciò che fate c’è il cuore. Ma piano piano, come una moda, possiamo perderlo di vista. Facciamo le cose, facciamo le cose, ma perdiamo noi stessi. 

Perché io vedo che, anche per me, quando uno perde il riferimento che ha dato significato alla sua vita, quando uno perde una famiglia, una madre non sa più cosa fare e smette di vivere. Il suo “io” e tutta la sua personalità entrano in crisi. Uno comincia a trattare se stesso come un oggetto, mentre invece c’è qualcuno che ti educa a vedere che sei qualcosa che va al di là di ciò che sembra, di quella mentalità che invade la tua coscienza. Tu sei qualcosa di più grande di quanto puoi immaginare e puoi educare anche gli altri. 

La crisi, tante volte, diciamo che riguarda i giovani, ma è una crisi degli educatori. Perché è la famiglia che ci educa, sono le scuole che ci educano. Io sono stata educata da Don Giussani ad avere questa convinzione della scoperta di sé. Se non abbiamo questo significato di noi stessi, non possiamo comprendere neppure la realtà intorno a noi. Dipendiamo da ciò che dicono gli altri, dalla mentalità comune, dalla moda. È come uno dei miei bambini, quando gli ho chiesto: “Chi sono i padri?” E lui ha risposto: “I padri sono quelli che mettono i pantaloni.” Questo bambino non ha mai sperimentato chi è un padre; il padre è sempre fuori, viene tardi, confonde il padre forse con l’insegnante. È questo che entra in noi come per osmosi e ci rende ciò che siamo. 

Nel Meeting Point International ho scoperto che non basta questa ricerca essenziale, non basta neppure la reazione istintiva, perché non ci fanno uscire dalla confusione che caratterizza la nostra giornata. Questa persona che stiamo curando, questo “io” che sono io stessa, che è sempre annientato di fronte alla sofferenza, alla morte, alla povertà, può essere se stesso solo se appartiene. Se non appartiene a nessuno, afferra di qua e di là, secondo ciò che gli capita, secondo ciò che riesce ad afferrare, ma uno resta un pezzo di reazione che lo divide dagli altri. Lo divide dagli altri anche dentro di sé. L’attrattiva originale cade nello smarrimento, nell’orgoglio, nella pretesa di misurare tutto da sé, e resta solo nella confusione. 

Il lavoro del Meeting Point è un rapporto che offriamo, un luogo dove ogni persona può essere se stessa, dove può scoprire che è qualcuno, può scoprire di avere una consistenza, una dignità. Qui la persona può vivere un’appartenenza. Non dico che lo faccio da sola, eh? Ho sempre detto che cammino sulle gambe degli altri, perché siamo partner di AVSI. Quindi non è che io stia in piedi da sola, senza AVSI, senza Gianpaolo. Il Meeting Point usa tutto per educare le persone. Ovviamente facciamo progetti, ma con grande attenzione affinché il progetto non sostituisca la persona, affinché il progetto faccia fiorire la personalità propria di ognuno, che sia un adulto o un bambino. Dove ogni persona possa essere se stessa, possa sperimentare liberamente; anche i bambini possono crescere in questo luogo scoprendo chi sono. Non basta fare il progetto; è necessaria la presenza di persone che vogliono bene e permettono agli altri di dare un vero significato agli standard e agli indicatori richiesti dai progetti, così ognuno può superare la falsa dicotomia tra dati oggettivi e persona.  

Della Frattina. – 0:43:38 – Presidente Dal Checco, lei rappresenta Assafrica, l’associazione per lo sviluppo delle imprese italiane in Africa e nel Mediterraneo. Com’è questo rapporto tra domanda e richiesta di manodopera?  

Dal Checco. – 0:43:54 – Intanto, diciamo che l’aspetto formazione-lavoro è uno degli aspetti più caldi in questo momento in Italia, perché sappiamo benissimo che ci manca mano d’opera e, in modo particolare, mano d’opera qualificata. Tenete conto che solo nel settore digitale, nel 2023, su 200 mila richieste ne sono state evase 40 mila; quindi, le opportunità di lavoro qualificato sono veramente altissime. Per le aziende che lavorano in Africa, in modo particolare le aziende italiane che lavorano in Africa, questa è una grandissima opportunità, perché sappiamo che la popolazione africana è molto giovane e quindi il digitale potrebbe essere una delle vie su cui partire in maniera importante per la formazione. Formazione che non deve essere, perché quando si parla di formazione in Africa bisogna tenere conto che si parte praticamente quasi da zero. Quindi, non è una formazione che io faccio e poi, quando è fatta, funziona e le persone possono essere impegnate nell’impresa; è una formazione che deve essere continua. Cioè, la parola “formazione” deve essere abbinata alla parola “continuità”. Quindi, una formazione continua può portare grandissimi benefici alla competenza delle persone che andiamo a formare in questi paesi. Non ne parlerei esclusivamente come persone da portare in Italia per colmare la carenza di manodopera che abbiamo qui. Questa è sicuramente una grandissima opportunità che deve essere colta, ma ancora più grande è l’opportunità per le nostre imprese di formare persone lì, in modo da avere nel futuro persone che conoscono la nostra cultura, la nostra lingua e quindi una grandissima opportunità di sviluppo per le nostre imprese in un continente che sta comunque crescendo in maniera esponenziale. Tenete conto che l’Africa subsahariana cresce ormai dall’inizio degli anni 2000 di oltre il 4-5% all’anno e le previsioni per i prossimi anni sono circa del 6% all’anno. Quindi, abbiamo una grandissima opportunità per le nostre imprese di poter sviluppare questo mercato. 

E abbiamo un’altra grandissima opportunità in questo momento, che è il piano Mattei. Il piano Mattei, che è riconosciuto ormai a livello internazionale sia dalla parte europea che dalla parte americana come l’unico vero piano di sviluppo per l’Africa. Quindi, noi abbiamo in questo momento, come imprese italiane, una doppia opportunità: un continente vicino che ci permette di crescere in maniera importante e un piano reale che ci può aiutare e sostenere in questa crescita. Il piano Mattei ha come base quella di lasciare ricchezza sul territorio. La storia la sappiamo tutti, la storia di Mattei e da dove parte. Quindi, per noi è fondamentale abbinare la formazione ai progetti che facciamo. Cosa intendo con questo? Ad ogni attività che viene fatta sul territorio africano deve essere abbinato un piano di formazione importantissimo, qualunque tipo di progetto si vada a fare. Questo che cosa comporterà nel futuro? Comporterà di avere in questi territori persone che conoscono la nostra lingua, la nostra cultura, il nostro modo di lavorare. Per le piccole e medie imprese, ciò può creare delle persone sul territorio che possono diventare dei loro agenti, per esempio, che possono fare la manutenzione sui propri macchinari, che possono essere dei partner. Anche la partnership con le aziende locali è molto importante per noi e quindi tutto questo porterebbe una grandissima ricchezza al territorio e alle nostre aziende; quindi, è veramente un progetto win-win. Dobbiamo tenere conto che non è solo una questione economica di progetti o di far crescere economicamente l’Africa, perché l’Africa crescerà comunque. L’obiettivo è farla crescere con una visione occidentale e quindi molto sostenibile, non solo dal punto di vista energetico ma anche dal punto di vista della persona, dei governi, quindi a 360 gradi. Questo può significare per noi avere un vicino molto comodo in termini di crescita per il futuro. Se invece dovesse prendere una via non occidentale, e vediamo che i rischi ci sono, quindi più russofona, più modello cinese, per noi potrebbe essere nel futuro un grandissimo problema, sia in termini economici ma anche di migrazione non qualificata. Siccome i flussi migratori non si possono bloccare, è meglio averli qualificati che non qualificati. Teniamo conto che abbiamo un’opportunità, essendo la popolazione molto giovane, con la formazione sul digitale, di avere delle grandi opportunità anche per le nostre imprese in Italia, perché sappiamo che la digitalizzazione sta crescendo tantissimo anche all’interno della manifattura. È per questo che c’è una forte carenza di manodopera qualificata. Avere l’opportunità di avere giovani già formati nel settore digitale in Africa — pochi lo sanno, ma è uno dei settori forse più avanzati — la maggior parte delle persone usa lo smartphone. Se andiamo a vedere in Sudafrica, le più grandi competenze di pagamenti digitali sono in Sudafrica. Ci sono quindi una serie di vantaggi non indifferenti che possiamo sfruttare, e questa potrebbe essere una grandissima opportunità. Tra l’altro, in tutto questo, come Confindustria stiamo lavorando tantissimo con il Ministero degli Esteri in tutte le sue sfaccettature, in modo particolare anche con la parte di cooperazione, proprio per sviluppare queste tipologie di piani. C’è un piano sul digitale molto importante per l’Africa occidentale, fatto insieme alla cooperazione italiana e all’UNDP, proprio per la formazione sul digitale. Quindi, c’è questa grandissima opportunità. Sul piano della formazione, il consiglio che posso dare alle aziende italiane che magari non si appoggiano al sistema Paese è di appoggiarsi al sistema Paese. Abbiamo un sistema che funziona: è vero, è complicato e burocratico, ma per le aziende che lavorano in Africa, utilizzare la diplomazia economica, anche per il fatto di far arrivare i lavoratori in Italia, diventa molto, molto più semplice. È complicato, ma non impossibile. Il consiglio che diamo a tutte le imprese è quello di utilizzare in maniera pesante il sistema Paese. Se utilizziamo il sistema Paese, le problematiche si riducono in maniera significativa. Abbiamo una grandissima opportunità in questo territorio, sia per sviluppare le nostre imprese, sia per poter accedere a manodopera per il nostro futuro, visto che abbiamo visto che in Europa, e in Italia in modo particolare, il problema demografico inizia ad essere molto sentito e questo impatta in maniera significativa sulla competitività di tutte le nostre imprese e quindi sulla competitività del Paese. Per noi, quindi, è una grande opportunità quella della formazione in questo ambito. 

Della Frattina. – 0:50:19 – Presidente, lei prima mi diceva di non cedere alla tentazione del fai da te, ma di affidarsi comunque alle istituzioni, all’ambasciata, ai ministeri, al personale qualificato, di non fare da soli.  

Dal Checco. – 0:50:32 – Questo è fondamentale. Lo dico perché spesso, nel passato, si sentiva dire che gli ambasciatori italiani non funzionano bene. Non è vero, per chi lavora in questi territori — io lo sperimento quotidianamente. Noi abbiamo un’azienda che ha una sede anche in Africa e il Ministero della Diplomazia Economica funziona benissimo e va utilizzato. Certo, se uno non lo utilizza, poi è come le vacanze fai da te: certo non riesce a sfruttare le potenzialità che abbiamo in questo momento. Tra l’altro, oltre ad avere un ministero che funziona — adesso non vorrei esagerare — ma abbiamo la fortuna, perché questo è un momento storico, fortunato per l’impresa italiana, del piano Mattei. Perché questo piano è riconosciuto come l’unico vero piano di sviluppo per il continente africano. Quindi, tutti stanno guardando al piano Mattei. Ci sarà una convergenza di fondi europei, da parte dell’ONU, statunitensi, tutti su questo ambito. Per noi, come imprese italiane, è una grandissima opportunità di crescita all’interno, quindi, del nostro Paese, visto che siamo sempre stati il Paese delle grandi multinazionalità, quindi per noi questa è una grandissima opportunità. Tra l’altro, in termini di filiera, abbiamo delle aziende italiane che da anni ormai sono presenti sul territorio africano e quindi anche il tema della filiera è un argomento molto interessante per aiutare le medie e poi le piccole a crescere nel futuro in questo ambito.  

Della Frattina. – 0:51:58 – Per il lavoro straordinario che svolgono, a tutto tondo, in Africa sicuramente, ma nel mondo anche in…  

Cirielli. – 0:52:27 – Ho ascoltato con attenzione un po’ tutte le cose che sono state dette e cercherò, nelle conclusioni, di non ripetermi ma di dare un approccio politico, nel senso di fornire una spiegazione dal punto di vista dei governi e della politica estera. Come è stato ricordato, la politica estera ha come parte qualificante uno dei modi più importanti per creare relazioni nel mondo, soprattutto con il Sud Globale, e sostenere lo sviluppo sulla base di vantaggi reciproci. Purtroppo, siamo in una fase molto delicata del mondo, se non drammatica, con due conflitti: quello della Russia contro l’Ucraina e quello in Medio Oriente, scatenato dal massacro avvenuto il 7 ottobre in Israele, che rappresentano gravi minacce e rischi per l’umanità. Se dovesse passare il principio che uno Stato più forte può calpestare uno Stato vicino, significherebbe entrare in un’era di guerre. Se dovesse passare il principio che, anche per una legittima aspirazione alla propria libertà e indipendenza, si possano massacrare civili, rapire persone, stuprare donne, entriamo in un mondo di barbarie che non vedevamo da molto tempo. 

Ho fatto questa premessa non perché voglio buttare “camperlaia”, ma per dire che, quando ci sono le guerre, le potenze pacifiste, come l’Italia – che è una grande potenza economica, tra le prime 20 economie del mondo e le prime 7 dell’Occidente, e fondatrice dell’Unione Europea – non sono una potenza imperialista. Non intendiamo imporre ad altri stili di vita o creare influenze, né determinare quello che devono fare a casa loro. Il nostro obiettivo è vivere in un mondo di pace perché siamo un popolo di imprenditori e commercianti, quindi ci piace avere rapporti positivi. Nei momenti difficili, Stati, nazioni e popoli come il nostro devono impegnarsi a parlare con tutti e cercare di trovare le ragioni della pace. Le ragioni della pace non si trovano solo nel momento in cui ci sono le guerre; si costruiscono nei secoli, nei millenni. La cooperazione internazionale è un modo, soprattutto per nazioni come l’Italia, per tenersi lontane dalle guerre. Lo dico perché spendiamo molti miliardi di euro all’anno per la cooperazione. Non lo facciamo senza avere uno scopo di politica diplomatica. Sicuramente, l’imperativo morale è fondamentale, nel senso che i popoli che aiuti e sostieni, se non c’è un fine umanitario vero alle spalle, pensano che tutto ciò che fai sia solo per interesse o per una forma di scambio. 

Devo dire che, grazie soprattutto all’organizzazione e alla società civile, come l’AVSI per esempio, siamo bravissimi e siamo accettati veramente in tutto il mondo. Ma anche i governi italiani, non solo l’ultimo, ma tutti quelli che si sono succeduti, hanno sempre mantenuto una linea molto importante. Venendo al nostro governo e al Piano Mattei, voglio chiarire alcuni punti. È stato giustamente ricordato dal moderatore la banalità dell’utilizzo del termine “aiutateli a casa loro”. La verità è che l’aiuto non è messo in campo per rubare le risorse più importanti delle persone, quindi non possiamo immaginare di lavorare per la formazione, nel caso specifico degli africani, o di offrire loro borse di studio per poi trattenerli qui. Questo non è giusto moralmente e non è neanche ben visto. Esiste un diritto a non emigrare: una persona ha il diritto di rimanere, lavorare, vivere e crescere nella terra dei propri antenati. E c’è anche un diritto a emigrare, perché l’uomo è, come sappiamo – e noi italiani siamo l’esempio più importante – un essere migratorio. Anche se stai benissimo a casa tua, ci sarà sempre una percentuale di persone che vuole cambiare e fare altro. 

Ci sono poi dinamiche geoglobali: c’è l’invecchiamento della popolazione in Occidente e ci sono altre zone del mondo dove c’è un’esplosione demografica. Ma sappiamo molto bene che al lavoro, all’impegno, alla soddisfazione e alla realizzazione delle persone si accompagna anche una scelta consapevole della procreazione. Le curve demografiche si abbassano man mano che aumenta la capacità delle persone di realizzarsi. Ecco perché il tema centrale della persona in questa vicenda del lavoro, secondo me, è fondamentale. 

Allora, cosa intende fare l’Italia? Innanzitutto, l’Africa, come diciamo sempre, è un continente ricchissimo: ha il 60% delle terre arabili, delle risorse, degli idrocarburi, delle potenziali future energie alternative. Lo sviluppo economico, la risorsa umana, è in questo immenso continente che è l’Africa, che può essere una grande opportunità economica, innanzitutto per l’Africa, come è giusto che sia, ma poi per tutti gli altri. L’Africa potrebbe sfamare tutto il mondo con la sua capacità agricola, ma oggi non riesce a sfamare la sua stessa popolazione. L’impegno deve partire da questa consapevolezza. Il Piano Mattei, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non punta a frenare l’immigrazione in sé, al contrario, punta a favorirla quando è una scelta consapevole. E la consapevolezza viene quando sei una persona formata, che sa fare qualcosa e che pensa di poter giocare un ruolo in un’altra nazione, temporaneamente o per sempre. 

Ecco perché l’aspetto della formazione è centrale per noi. Sappiamo molto bene che la formazione delle persone crea ricchezza, crea valore. Se l’Africa cresce economicamente – ed è già oggi interessantissima per molte aziende italiane – può diventare, come parte del tema di questo panel, un’opportunità per chi vuole mettersi in gioco. Oggi è molto più facile migrare clandestinamente in Italia che non legalmente. Quindi, l’impegno fondamentale è costruire un percorso virtuoso che faccia crescere l’Africa e metta in condizione chi vuole cambiare, perché vuole fare qualcosa, non spinto dalla fame, dalla guerra, dalla miseria, dalla malattia, dai cambiamenti climatici o dai trafficanti di esseri umani. 

L’immigrazione illegale non è sbagliata in sé, ma già il termine “illegale” fa capire che è una cosa che non va bene. Senza leggi, saremmo nella giungla dei rapporti umani. Tutti abbiamo bisogno di leggi che regolino la convivenza. L’idea di avere il rispetto delle nazioni da cui si parte come regola di emigrazione e il rispetto degli Stati dove si vuole andare rappresenta una forza per le imprese, per le organizzazioni non governative, per le agenzie interinali, per tutto il mondo dell’economia che ruota intorno al Piano Mattei. 

Per concludere, credo che sia fondamentale il lavoro che è stato fatto in tanti anni e che oggi, con il Piano Mattei, viene messo a sistema, sia in Italia che in Europa, nelle potenze occidentali. Questo governo è riuscito, con il Piano Mattei, a chiarire all’Unione Europea che l’Africa deve essere centrale per l’Europa e che l’agenda europea deve includere l’Africa tra i suoi elementi centrali, perché rappresenta una grande opportunità economica e perché può essere un grande rischio. Già oggi rappresenta un grande rischio: con i soldi dell’immigrazione clandestina, abbiamo creato in Africa organizzazioni terroristiche e criminali così potenti da destabilizzare le fragili democrazie africane, grazie ai soldi che noi abbiamo fatto guadagnare favorendo l’immigrazione illegale. Inoltre, a causa di questa immigrazione illegale, decine di migliaia di persone sono morte, e vediamo solo la parte finale, i morti in mare. Purtroppo, la catena dei morti inizia dalle savane, dalle giungle; molti non arrivano mai perché sono ridotti in schiavitù. Sono cose inenarrabili su cui si ha il dovere di intervenire. Si interviene creando sviluppo lì, sicuramente con le infrastrutture e con progetti specifici, e noi facciamo tantissimo, soprattutto tramite le nostre OSC. Lo facciamo con la formazione, ed è stato detto bene: molte aziende italiane possono trovare persone formate in loco. Persone formate lì possono formare altre persone e possiamo favorire, quando è giusto, un’immigrazione consapevole che, in questo momento, serve sicuramente, al di là di ogni valutazione politica sulla nostra crisi demografica. E aggiungo solo la scarsa qualificazione, perché non sono solo gli africani a non essere qualificati; ci sono molti giovani italiani che non vogliono qualificarsi e che magari pensano di poter vivere con dei sussidi dello Stato, senza realizzarsi come persone. Ma questo non c’entra con la politica estera. Sta di fatto che il tema delle migrazioni è un tema che è sempre esistito e che va governato in maniera civile, intelligente e democratica, nel rispetto dei diritti umani. L’Italia, da questo punto di vista, è all’avanguardia.  

Della Frattina. – 1:05:36 – Grazie, Ministro, per averci ricordato che il diritto di emigrare sta in rapporto dialettico con il diritto a non emigrare. Questo credo che sia una visione sul futuro. Presidente Della Bianca, una battuta finale?  

Dellabianca. – 1:05:53 – O siamo a posto? Sì, sì. Penso che il tema che è emerso sia un tema che ha, come tutto quello che stiamo vedendo al Meeting, la persona al centro, sia in termini di costruzione di un’impresa, sia in termini di rapporto con l’educazione e la formazione. Tutto questo è collaborare a costruire un percorso che sia più utile e interessante per chi fa impresa, per chi incontra i ragazzi, per chi oggi ha il mondo come traguardo. Questa è la sfida che oggi abbiamo: costruire attraverso il nostro particolare tutto il mondo.  

Della Frattina. – 1:06:40 – Grazie, Presidente. Mi pregano di ricordarvi che ognuno di noi può dare un contributo a Decisive Wall Meeting e partecipare attivamente a questa grande avventura umana, “La Ricerca dell’Essenziale”. Lungo tutta la Fiera si possono trovare le postazioni “Dona Ora”, caratterizzate dal cuore rosso. Le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk dedicati, dove i volontari indossano la maglietta rossa “Dona Ora”. In questo particolare momento storico, dove sempre più incognite ci fanno chiedere come sia possibile costruire dialogo e pace, non potevamo non sentirci provocati e riaccesi da quanto ci ha detto il cardinale Pizzaballa nel suo intervento all’incontro inaugurale. Per questa ragione, il Meeting devolverà parte delle donazioni raccolte nel corso di questa settimana per l’emergenza in Terra Santa. Grazie, grazie a tutti. 

Data

24 Agosto 2024

Ora

16:00

Edizione

2024

Luogo

Arena Internazionale C3
Categoria
Arene