FORMARSI PER CRESCERE

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In collaborazione con Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà.

Chiara Braga, Presidente del Gruppo Partito Democratico alla Camera; Massimo Garavaglia, Senatore, Presidente della Commissione Finanze e tesoro, Lega Salvini Premier – Partito Sardo d’Azione; Maurizio Lupi, Presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Ettore Rosato, Deputato al Parlamento Italiano, Azione – Italia Viva – Renew Europe; Giovanni Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato PwC Italia. Modera Giovanni Mulazzani, Ricercatore Dipartimento di Scienze Giuridiche Università di Bologna.

L’intergruppo è da tempo impegnato nel favorire un maggiore nesso fra istruzione e lavoro, nella convinzione che una maggiore conoscenza per i capaci, ancorché privi di mezzi, significhi più opportunità per tutti. Nel solco degli incontri sul lavoro del Meeting si metterà a tema il fatto che l’ investimento in capitale umano è decisivo come quello in macchinari, se non di più. In particolare si discuterà’ dell’opportunità di un intervento legislativo che lo renda più agevole per le imprese permettendo di ammortizzare le spese per formazione di manager , quadri e imprenditori nei bilanci

Con il sostegno di Veronese Technology.

FORMARSI PER CRESCERE

FORMARSI PER CRESCERE

 

Martedì 22 agosto 2023, ore 13.00

Sala Conai A2

 

Partecipano

Chiara Braga, Presidente del Gruppo Partito Democratico alla Camera; Massimo Garavaglia, Senatore, Presidente della Commissione Finanze e tesoro, Lega Salvini Premier – Partito Sardo d’Azione; Maurizio Lupi, Presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Ettore Rosato, Deputato al Parlamento Italiano, Azione – Italia Viva – Renew Europe; Giovanni Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato PwC Italia.

 

Modera

Giovanni Mulazzani, Ricercatore Dipartimento di Scienze Giuridiche Università di Bologna.

 

Mulazzani. Buongiorno a tutti! Benvenuti a questo incontro organizzato nell’ambito del Meeting di Rimini 2023, dal titolo Formarsi per crescere. L’incontro di oggi, realizzato in collaborazione con l’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, tratterà il tema dell’investimento sulla formazione, sul capitale umano: come è possibile innescare processi e meccanismi che possano incentivare gli investimenti e favorire gli investimenti sulla formazione del capitale umano.

A parlarne oggi abbiamo alcuni ospiti molto autorevoli. Li presento subito. Abbiamo il Dottor Giovanni Andrea Toselli, presidente e amministratore delegato PwC Italia.

 

Toselli. Buongiorno, grazie.

 

Mulazzani. Do il benvenuto all’On. Chiara Braga, Presidente del gruppo Partito Democratico alla Camera dei deputati, a fianco a me.

 

Braga. Grazie, buongiorno a tutti e a tutte.

 

Mulazzani. Saluto il Senatore Massimo Garavaglia, presidente della commissione Finanze e tesoro

 

Garavaglia. Buongiorno e grazie.

 

Mulazzani. Saluto l’On. Maurizio Lupi, presidente dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, che è di casa. E infine saluto l’On. Ettore Rosato, deputato al Parlamento italiano, Azione Italia Viva Renew Europe.

 

Rosato. Grazie e buongiorno.

 

Mulazzani. Perché il tema di oggi è cruciale? Beh, innanzitutto in un mondo in continua evoluzione il tema della formazione determina non solo l’esigenza di incontrare il fabbisogno occupazionale, ma anche la possibilità di sapersi adeguare alle mutevolezze e ai cambiamenti così repentini che hanno determinato i cambiamenti a livello economico e demografico. In questo contesto è sempre più significativo dotare il capitale umano di competenze trasversali, le cosiddette character non cognitive skills, accanto alle cognitive skills che sono le competenze tecniche. E questo per colmare un gap che riguarda ad esempio il mismatch tra la domanda e l’offerta di lavoro e per garantire quella che l’OCSE definisce una necessità fondamentale, cioè garantire la formazione continua, garantire sempre la formazione continua in azienda e nei luoghi di lavoro. L’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, dopo ce lo spiegherà meglio il presidente, quest’anno compie 20 anni e i temi su cui ha deciso di puntare l’attenzione e l’analisi al Meeting sono da un lato un dibattito che ci sarà nei prossimi giorni sulle riforme istituzionali ma oggi invece parliamo della formazione. Cioè l’impegno che ha profuso in questo ventennio, sempre in maniera assolutamente trasversale, favorendo un dialogo vero tra le diverse forze politiche, è stato quello di rafforzare l’alleanza istruzione – lavoro, cioè mettere in dialogo queste due componenti affinché il loro rapporto non sia determinato in una visione unicamente dicotomica, ma sempre in un’ottica cooperativa, collaborativa e dialogica.

Ecco, a questo proposito io comincerei ponendo una domanda al dottor Toselli. Dal suo autorevole e privilegiato punto di osservazione, vista la responsabilità che riveste, perché secondo lei è così importante favorire i nessi tra istruzione e lavoro? E quali sono le sfide che pone il cambiamento del mondo del lavoro, con il rischio sempre più forte e attuale di mismatch tra domanda e offerta di lavoro? Il 49% delle imprese oggi non riesce a soddisfare la propria domanda di occupazione: questo è un dato significativo da cui occorre partire, guardando la realtà, per dare, per offrire dei tentativi di risposta.

 

Toselli. Direi che già la domanda contiene un inizio di risposta, cioè l’osservazione della realtà. Negli ultimi pochi anni – e purtroppo ancora una volta bisogna tirar di mezzo il Covid e la pandemia – la pandemia che cosa ci ha portato a fare? Ci ha portato ad accelerare in modo significativo la conoscenza della tecnologia. Migliaia di persone che prima non erano “connesse” cominciano ad esserlo, quindi di fatto ha reso ancora più evidente quell’elefante nella stanza che è la velocità dell’evoluzione tecnologica, che fino al mondo pre-pandemico si conosceva, ma non veniva apprezzata nella sua velocità. Tanto per dare un dato, l’evoluzione di una soluzione tecnologica dieci anni fa, cioè, il punto nel quale la metà della produttività generata da quella evoluzione tecnologica veniva raggiunto, era dieci anni. Adesso è meno di cinque. Noi abbiamo pubblicato uno studio che riassume …, adesso non voglio dilungarmi troppo nei numeri, però quando parliamo di evoluzione tecnologica non parliamo solo di sistemi computerizzati, parliamo anche di manifattura, parliamo di processi di produzione, parliamo di situazioni nelle quali la possibilità di raggiungere quell’agognata produttività di cui tanto si parla e in cui tanto si dice che il nostro paese non eccelle, quella è la tecnologia.

Quindi in un mondo in cui la tecnologia sta diventando sempre più veloce, dal punto di vista culturale quello che bisogna sicuramente fare, o lavorare per fare, e non è una cosa che si può fare da un giorno all’altro, perché come si dice l’elefante, il famoso elefante nella stanza va mangiato pezzo a pezzo, non si può mangiare tutto in un boccone, è il passaggio dal modello che in alcuni studi anglosassoni viene definito learn and earn, cioè il primo pezzo della vita impari, nel secondo pezzo della vita guadagni. Ora, questa cosa qua non può più funzionare. Perché? Perché se prima la tecnologia evolveva nell’arco della durata utile di un lavoratore, adesso evolvendo in due, tre, quattro o cinque anni a seconda del settore è ovvio che non si può imparare cosa fare e poi pensare che quello che si è imparato ci dia da mangiare per tutto il resto della vita. Come è anche difficile pensare che questa competenza di merito sia una competenza che può essere acquisita dalle persone in un ambiente che non sia intimamente correlato all’ambiente lavorativo. Quindi sta nelle imprese, anche, partire e lavorare sull’evoluzione delle competenze di merito. E qui abbiamo il discorso del mismatch: se io sono un’impresa, piccola magari, come la maggior parte delle imprese italiane, e cerco, ho bisogno di una persona con una determinata skill tecnica, e quella determinata skill tecnica sul mercato non la trovo, me la devo produrre, devo trovare il second best, la persona che più può essere utilizzata per imparare quella competenza tecnica e quindi svilupparla. Questo ci porta a dire che cosa? La competenza che il sistema di istruzione può dare è la competenza dell’imparare, è la competenza della flessibilità intellettuale, sono quelle che spesso si chiamano le soft skills o le non cognitive skills. Bisogna essere in grado di insegnare alle nostre persone che non finiranno mai di imparare. La dico in modo un po’ non sinteticamente perfetto. Noi vediamo delle statistiche dove gli adulti sopra i quarantacinque anni, se bene ricordo (però sui numeri nonostante il mio mestiere, ogni tanto mi sbaglio) pensano di non aver più nulla da imparare, pensano di conoscere il mestiere. È quello il salto culturale: dobbiamo entrare in una logica in cui non finiremo mai di imparare. Questo non finir mai di imparare però – mi sto dilungando un attimo ma cerco di accorciare – non può essere tutto dato a carico dell’impresa, e non può essere tutto dato a carico dell’individuo. Io ho studiato Economia e commercio, ho fatto l’esame da dottore commercialista, ho cominciato a lavorare e tanti miei amici all’inizio lavoravano gratis. Io sono un boomer, negli anni novanta, negli anni ottanta era normale entrare in uno studio e fare il tirocinio gratis. Non possiamo più fare questa cosa, non possiamo pensare che perché il tirocinante non sa lavorare allora è colpa sua e deve lavorare non essendo produttivo per un determinato periodo e quindi farlo gratis perché l’azienda o il datore di lavoro non è in grado di sopportare quell’onere. Quindi bisogna trovare dei meccanismi che ci diano la possibilità di far diventare questo investimento nella capacità di imparare e nell’acquisire competenze di merito che non sono di lunghissimo periodo ma che debbono evolvere, e quindi debbono essere ovviamente mantenute e sviluppate, deve essere quasi, non voglio dire un costo della collettività, ma dev’essere qualcosa che è un interesse comune, non può essere solo dell’impresa individuale. Un numero veloce: io gestisco un’organizzazione di servizi professionali con circa 8.500 persone. Noi tutti gli anni spendiamo, costi vivi, fra tempo delle persone e costi vivi tipo cash out, di circa venti milioni di euro, investimenti in training, e assumiamo prevalentemente solo laureati, quindi vuol dire che c’è tanto da fare anche …, e non è colpa dell’università, è il fatto che l’università non può insegnare tutto a tutti per sempre, lo dicevamo prima. Ora, questi venti milioni, che sono il costo vivo, sono però raffrontabili a circa sessanta milioni di ricavi mancati. Cioè, nel momento in cui le persone non lavorano, ovviamente non lavorando non possono soddisfare le richieste dei clienti …, ecco, se lo consideriamo in termini di ricavi mancati, l’investimento è molto più significativo. Cioè sovvenzioni, supporti e contributi alla formazione ce ne sono parecchi sulla parte costo, ma sulla parte ricavo mancato, che porta a non avere assorbimenti dei costi indiretti (non voglio entrare troppo nei meandri dei conti economici) è importantissima questa cosa, perché la piccola impresa non si può permettere di perdere il 10% di ricavi annui e quindi abbattere la propria produttività per trovare il modo, magari non avendo neanche le skills interne, di insegnare alle proprie persone come evolvere tecnologicamente. Ecco che l’idea che abbiamo, insieme all’Intergruppo, proposto, cioè il tentare di dare la dignità all’investimento in competenze o a dare una dignità pari all’investimento tecnico, all’investimento materiale, quindi una logica di super ammortamento, una logica di beneficio fiscale che possa permettere, appunto, di rendere più innovativa l’evoluzione nell’ambito del training on the job, come si chiama, potrebbe essere una soluzione. Non voglio entrare ovviamente nel discorso delle coperture. Ma è una cosa molto importante, perché da una parte andrebbe ad aiutare la riduzione e sminuire il rischio di perdite di opportunità nel breve periodo, perché se noi prendiamo il 10% delle risorse, mediamente, e gli facciamo fare training è il 10% in meno di business, è una perdita di produttività. Dall’altra parte, nel medio periodo, nel lungo periodo, acquisiamo quella produttività che arriva dal fatto che le persone così preparate saranno in grado di adeguarsi più velocemente ai cambiamenti e questo vale in tutti i settori e per tutte le mansioni. Ci sono grandi studi sull’impatti che l’intelligenza artificiale avrà su questo tipo di attività e sono tutti concordi nel dire che lì bisogna andare.

Ora, perché l’elefante nella stanza? Perché è una cosa enorme, è una cosa non urgente e di solito le cose grosse ma non urgenti restano un po’ in sordina, vengono considerate meno rilevanti ma è una cosa che va fatta, piano piano. Quindi secondo me le soluzioni ci sono, non daranno risultato domani, non si troveranno subito le persone che bisogna trovarsi, però una via può essere disegnata. Grazie.

 

Mulazzani. Ecco, lei diceva: non è una cosa urgente. Però è una cosa importante, quindi l’attenzione della politica su questo dovrebbe essere massima. Per cui domandi all’onorevole Braga quale può essere l’attenzione che la politica può dedicare a questo tema che sta assumendo delle dimensioni, abbiamo visto l’elefante nella stanza, quindi ha delle dimensioni agli occhi di tutti, ma che non richiede questa urgenza così celere, ecco. Come prestare un’attenzione più operativa a questo tema? Come si può intervenire su questo tema?

 

Braga. Ma, intanto credo che le cose che ci ha detto il Dottor Toselli ci hanno aiutato a mettere a fuoco un tema che troppe volte consideriamo, diciamo così, secondario, cioè quanto la qualità del capitale umano nel nostro sistema economico produttivo sia determinante e quanto anche servano strumenti nuovi, forse inediti, per affrontare alcune delle sfide che stanno riguardando la trasformazione della nostra economia.

Lei prima faceva riferimento a quello che è stato l’impatto di una vicenda enorme come la pandemia sull’accelerazione nell’accesso all’utilizzo della tecnologia, al digitale, ma non dimentichiamo che l’altra grande transizione che stiamo vivendo, quella gemella, della transizione ambientale, ecologica, della trasformazione dei nostri sistemi produttivi per essere più compatibili con l’impatto ambientale, con la necessità di fronteggiare la crisi climatica, richiede anche una transizione vera delle competenze.

Oggi la consapevolezza di quanto affrontare questa esigenza stia via via diventando determinante per non far perdere terreno nella competitività del nostro sistema produttivo, economico, richiama credo la politica anche ad uno sforzo di immaginazione e di innovazione negli strumenti che vengono messi in campo. Del resto sono i dati, io sono molto d’accordo quando lei ci richiamava al fatto di leggere i dati di realtà, ci sono molti indicatori, ma se noi consideriamo, ad esempio, che secondo uno degli indici più rappresentativi, l’indice DESI, per quanto riguarda il capitale umano l’Italia è al venticinquesimo posto sui ventisette paesi europei, e solo il 46% delle persone possiede delle competenze di base digitali, di fronte a un livello più alto a livello europeo, questo ci consegna l’esigenza di provare a intervenire e trovare anche delle soluzioni nuove e differenti, in un sistema economico come il nostro che non può fare l’errore di poter credere di competere sui bassi costi e basso costo del lavoro. Se noi ci appiattiamo su questa lettura, e non leggiamo invece come l’investimento in formazione, in competenze, è un modo fondamentale per stare agganciati alle trasformazioni, che hanno una velocità straordinaria, che richiedono lo sforzo anche culturale di essere consapevoli del fatto che non si smette mai di imparare, cioè che oggi il percorso di formazione non si interrompe, anche in ottimi percorsi di formazione universitari o post-universitari, ma c’è bisogno di dare il più possibile a tutti degli strumenti per ogni livello di formazione continua nel corso della vita, il rischio vero è che un’economia matura come la nostra rischia di essere spazzata via, di non riuscire a stare al passo con queste trasformazioni.

Allora io credo che soluzioni come quelle su cui l’Intergruppo sta ragionando in parte vanno in quella direzione, però più in generale c’è bisogno di fare, forse, un vero e proprio patto per la formazione delle competenze nel nostro paese, che tenga insieme il ruolo del pubblico e del privato, che valorizzi la capacità di investire a livello territoriale di strutture e di contesti economici che hanno un valore aggiunto perché radicati sul territorio, perché ad esempio riescono a fare leva su alcuni eco sistemi industriali e aree prioritarie, a mettere anche a condivisione competenze e risorse.

Non è che tutti devono fare tutto da zero: ci sono strumenti, ci sono possibilità che possono essere messi a servizio di un sistema economico, che non è più magari quello della lettura dei distretti economici che abbiamo conosciuto in passato, ma oggi esistono aree del nostro paese che hanno una vocazione produttiva e industriale più spinta, e su cui poter fare un investimento anche nelle competenze lungo tutto il percorso di vita.

La questione oggi, dei due grandi temi delle competenze green e delle competenze digitali, secondo me devono essere tenute insieme. In questo senso io penso ad esempio che un passo importante, che credo sia stato anche condiviso da molti che oggi sono qui (mi riferisco ai colleghi parlamentari o che allora avevano ruoli di governo, nella scorsa legislatura), la riforma del sistema degli ITS, che è un tema rimasto a metà del guado, perché se pensiamo che quella riforma aveva bisogno di diciannove decreti attuativi, oggi ne abbiamo fatti tre, su solo quattro c’è l’intesa della conferenza Stato-Regioni, e invece sul tema dell’istruzione tecnica superiore, soprattutto su queste competenze, oggi abbiamo la possibilità di fare un salto di qualità, si possa provare a riprendere il filo di un lavoro e di un impegno che metta insieme anche punti di vista e volontà di collaborazione.

Così però come sul tema del patto per la formazione 4.0. Nell’ultima legge di bilancio non è stato rifinanziato, ora entriamo, con la ripresa dei lavori politici e parlamentari, nel vivo anche delle scelte di priorità: provare a individuare invece nel rifinanziamento di strumenti come quello, che non riguardano solo gli ammortamenti dei beni strumentali, fisici, ma anche dei percorso di formazione, soprattutto per il sistema delle piccole e medie imprese, che sono quelle che più hanno difficoltà, come ci spiegava molto bene prima, a sobbarcarsi i costi spessi elevati dei percorsi di formazione, o anche a rinunciare a una parte fondamentale del proprio capitale umano, impegnato per alcuni periodi di tempo in percorsi di formazione, strumenti come quelli possono essere piegati, adattati, orientati sempre di più all’esigenza di accompagnare un percorso di formazione che tenga sempre più insieme la priorità, le priorità. E io penso che questi due temi, quello delle competenze digitali e delle competenze della transizione ecologica debbano essere non delle parentesi, come lo sono in parte nelle scelte del PNRR, ma pezzi delle politiche industriali, sapendo che le politiche di formazione oggi sono la base per costruire quello che manca e che invece dovremmo riuscire a colmare. C’è una vera e propria visione di paese, di sviluppo di una politica industriale capace di utilizzare al meglio le possibilità e le prospettive che anche a livello europeo ci vengono. Se facciamo questo, forse possiamo aiutare tutto il nostro sistema economico e produttivo a non essere travolto dagli eventi, ma ad attrezzarsi nel medio lungo periodo per provare anche a formare competenze trasversali e in grado di autoalimentarsi nel tempo. Perché penso che il tema della formazione non si esaurisce nei percorsi del singolo individuo, ma può diventare anche un pezzo della cultura di impresa del nostro paese.

 

Mulazzani. Senatore Garavaglia, lei viene da una regione, ha un passato di amministratore regionale importante, e viene da una regione in cui il tema dell’alleanza scuola-lavoro è stato affrontato ed è stato al centro delle politiche pubbliche regionali. Come si può continuare a investire su questa alleanza, sul rafforzamento di questo rapporto tra scuola e lavoro?

 

Garavaglia. Perfetto, partiamo proprio da qui, partiamo dalla base. A cosa serve la formazione? La formazione serve ad avviare al lavoro. Il lavoro è quello che rende indipendente il singolo, la famiglia. Se non sei indipendente non fai figli, che è il grande problema del nostro paese. Quindi partiamo da lì: la formazione deve portare all’indipendenza del singolo, al lavoro.

Il lavoro non è solo lavoro di laureati, non abbiamo solo bisogno di commercialisti, avvocati e dottori, ma anche di tantissimi operai specializzati. Secondo tema. E vengo alla risposta alla domanda, con delle proposte che faccio agli amici dell’Intergruppo autorevoli, così magari possiamo portarle avanti assieme.

La prima: i nostri diplomati rispetto a quelli degli altri paesi si diplomano un anno dopo, e quindi si laureano un anno dopo, se vanno all’università, se no iniziano a lavorare un anno dopo, si sposano un anno dopo, fanno figli un anno dopo. Perché? La domanda è: perché? Non possiamo fare come tutti gli altri paesi e far finire un anno prima? Non morirebbe nessuno, data anche la qualità della nostra istruzione. E questo è semplice, però vuol dire aumentare la produttività. Sappiamo che il nostro è un paese che ha un problema di produttività, così automaticamente aumenti la produttività.

Seconda proposta concreta: sanità. Abbiamo un enorme bisogno di personale in sanità. Va bene, la cosa più semplice è togliere il numero chiuso a medicina, ci mancherebbe altro, speriamo che finalmente riusciamo a farlo, però abbiamo anche un enorme problema di infermieri, mancano infinitamente infermieri. Adesso facciamo con il PNRR tutte queste bellissime case della salute, bene, ma poi non abbiamo il personale da mettere dentro. Allora, seconda proposta concreta, e ne abbiamo parlato anche con i più rappresentativi dei sindacati degli infermieri. Va bene l’infermiere laureato, per l’amor di Dio, però servirebbe, serve anche una figura intermedia, tra l’infermiere laureato e gli infermieri che non abbiamo e che importiamo da altri paesi, che poi magari fanno fatica a leggere il bugiardino e hanno fatto due anni nel proprio paese. Ora, tra un infermiere che fa fatica a leggere il bugiardino e l’infermiere laureato, perché non facciamo un bel liceo infermieristico, quattro anni, abilitante e inizi a lavorare subito? Certo, non sarai, ma è ovvio, non sarai il capo infermiere, quello che fa le terapie eccetera, però lavori subito, sei formato automaticamente.

Non a caso ho detto liceo infermieristico, perché nel bivio che c’è a monte, a mio avviso anche per la scarsa selettività delle scuole secondarie, grande errore, e poi c’è un tema anche culturale: oggi le famiglie, le mamme e i papà, se la mamma va all’Esselunga e le chiedono: cosa fa tua figlia? E se non fa il liceo sembra che abbia la lebbra … Ecco, dovremmo anche togliere questa cosa, che chi non fa il liceo ha un problema. Perché abbiamo bella forza a mettere in campo gli ITS, e poi le famiglie non mandano all’ITS perché non è un liceo. Io li chiamerei tutti liceo, e abbiamo risolto il problema: un bel liceo del legno, il liceo infermieristico e morta lì! Almeno … Cosa fa tuo figlio? Il liceo! Basta, abbiamo risolto, e gratis anche questa.

L’ultima proposta che faccio, e rispondo alla domanda, riguarda l’esperienza che abbiamo avuto in regione Lombardia, con il buon Bobo Maroni, proprio di velocizzare quel rapporto tra domanda di lavoro e offerta di formazione. In regione Lombardia ci siamo inventati l’acqua calda: cioè chi fa la formazione professionale è finanziato dalla Regione, si dice che lo studente ha uno zainetto, cioè la Regione ti dà un tot per studente. Ora, la formazione professionale deve orientare al lavoro, e quindi serve finanziare di più chi crea più posti di lavoro. Abbiamo fatto esattamente questo: lo zainetto per la scuola vicino alla Malpensa, che insegna ad aggiustare i motori di aereo, che tu il primo giorno di scuola hai già il lavoro, da quattromila euro base, il primo giorno di scuola … Poi magari hai il laureato a fatica che va a lavorare nel call center a mille euro, va bene, sempre per tornare al discorso culturale. Però dando uno zainetto differenziato, un conto è imparare ad aggiustare i motori di aereo, che lavori subito, un conto è – non me ne vogliano – fare il parrucchiere o l’estetista, che dopo fai fatica a mettere in piedi la bottega di parrucchiere o di estetista. Quindi semplicemente differenziando, e questa è una proposta che faccio ai colleghi, se lo facciamo strutturalmente a livello nazionale, di differenziare i finanziamenti sulla base, è automatico, di qual è la percentuale di persone che escono da quel centro di formazione e trovano lavoro, automaticamente orientiamo e miglioriamo la qualità della formazione.

Ecco, e chiudo, se si riuscisse ad avere più momenti di incontro tra forze politiche, discutendo di cose concrete piuttosto che di ideologie, probabilmente è anche più semplice trovare delle soluzioni rapide e veloci, perché oggi il mondo corre veloce. Grazie.

 

Mulazzani. Onorevole Rosato, prima il dott. Toselli diceva, e questo è riportato anche nella ricerca dell’ufficio studi PwC, che si passa da una formazione di merito a una formazione di metodo. Quindi acquisiscono notevole importanza non più solo le competenze cognitive, quelle classiche, ma anche le character skill, cioè le competenze trasversali. Ecco, qual è la sua opinione a tale proposito? Come l’azione politica può aiutare a stabilizzare il recepimento e la valutazione di queste competenze?

 

Rosato. Ma, intanto grazie, consentitemi di ringraziare Maurizio Lupi, il nostro presidente, che da tanti anni ha animato il gruppo della sussidiarietà in parlamento, e penso che in questi anni, al di là delle relazioni personali che in politica contano sempre molto, siamo riusciti anche ad alimentare alcuni dibattiti e alcune proposte di legge, che poi sono diventate leggi, che hanno aiutato il nostro paese a crescere. E speriamo che anche questi ragionamenti che oggi stiamo facendo qui aiutino il nostro paese a fare un passo avanti anche rispetto a temi che sono di grande attualità.

Io intanto dico che le considerazioni del dott. Toselli erano molto centrate, anche partivano da un’analisi che è un’analisi che parla di numeri, che parla di necessità, che parla di budget formativo che serve al nostro paese. Io mi permetto di fare una distinzione.

La prima: c’è un tema che riguarda la formazione e il lavoro. Per altro è interessante incrociare questi due dati: il 49%, lo diceva lei prima, di personale che non viene reperito dalle aziende, e poi c’è il tasso di disoccupazione. Ma come? Abbiamo il 49% e poi abbiamo, in alcuni casi, poi sui giovani, tassi a doppia cifra di disoccupazione? Una cosa in contraddizione profonda! Ecco, è proprio qui che c’è l’anello della formazione che manca. Questi due dati dimostrano quanto è importante il tema che stiamo affrontando e quanto siamo in ritardo su questo tema. Allora, io sono convinto che noi per il mondo del lavoro dobbiamo rimettere al centro il valore del capitale umano. Oggi un’azienda industriale occupa il sette / l’otto per cento del suo budget sul costo del personale. Giusto, no? Vent’anni fa non era così, vent’anni fa aveva un costo del personale che era almeno tre volte tanto. Oggi il costo del personale pesa molto meno nei conti delle aziende industriali. E proprio per questo dovremmo riuscire a valorizzare di più il valore della formazione, perché è un costo anche relativamente più basso rispetto al numero di persone che sono impiegate. Però questo va intercettato nel mondo della scuola. Prima sia Chiara Braga che Massimo Garavaglia richiamavano le cose che abbiamo fatto, l’ITS, i percorsi formativi: quella strada lì che abbiamo iniziato a percorrere, che il paese ha iniziato a percorrere, va accentuata con investimenti molto più ampi.

Io lo vedo girando un po’, quanti ITS funzionano, e quanti ITS mancano, e quanti ITS vengono fatti sulle esigenze del mercato e forse quanti ITS vengono fatti magari pensando su esigenze che poi non esistono, perché vengono pensati a tavolino, in qualche ufficio regionale. Allora, questo è il primo screening che dobbiamo fare, per capire quanto c’è bisogno di maggior profilazione di professionalità. Soprattutto tra quei giovani che non hanno …, che oggi sono indicati nelle fasce di chi non lavora, e c’è un’attesa straordinaria, grandissima, e non è solo del sud, è anche del nord. Tanti giovani che non riescono a trovare lavoro, e tante aziende che non riescono a trovare giovani che lavorano.

La seconda cosa però che volevo dire: stiamo attenti a non entrare nel circuito in cui la formazione serve solo per lavorare. Noi dobbiamo educare i nostri giovani, ma anche la formazione continua che c’è nella vita non è solo per il lavoro. La formazione consente di avere quegli strumenti per affrontare la vita, non solo per affrontare la vita lavorativa. Quindi, anche qui, le aspettative che noi abbiamo, da una parte dalla scuola, dall’altra parte da tutte quelle altre agenzie educative che non sono la scuola, ma che sono fondamentali nella crescita di chiunque di noi, che vengono dal volontariato, le agenzie che aiutano a crescere, non è che non possono essere aiutate o non possono essere sostenute perché non formano direttamente a un mestiere o a una professione. Sono quelle istituzioni, quegli strumenti, anche lì, che sono indispensabili in un percorso educativo, in un percorso di crescita che qualche volta, nel dibattito ‘formiamo per andare a lavorare’ vengono accantonate. Dopodiché io penso che bisogna essere molto pratici in tutto questo: ci sono molte risorse che possono essere spese, abbiamo bisogno di non disperderle, e purtroppo il mercato della formazione, il mercato della formazione professionale, è stato spesso un luogo dove le risorse non sono arrivate a chi doveva essere formato e sono arrivate più a chi formava. Ecco, allora in questa contraddizione c’è un pezzo delle cose che dobbiamo avere la capacità di individuare e anche la capacità di correggere, perché altrimenti resteremo sempre che servono soldi, senza guardare la qualità dei soldi che vengono spesi.

 

Mulazzani. Da ultimo, ma solo come cronologia degli interventi … Onorevole Lupi, quest’anno ricorre il ventennale dell’Intergruppo, che è stata un’esperienza ricca, è stata un’esperienza plurale e quindi chiedo un primo bilancio di questa lunga attività, e dall’altro lato, che è più nel merito dell’incontro di oggi, qual è l’intuizione alla base di quella che diventerà probabilmente una proposta di legge in parlamento, per l’equiparazione degli investimenti in macchinari agli investimenti sulla formazione del capitale umano. Cioè, qual è l’intuizione alla base di questa proposta?

 

Lupi. Beh, intanto buongiorno a tutti, e ringraziamo ancora una volta il Meeting di Rimini, ormai è una tradizione in tutti questi vent’anni, ospitare gli incontri dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ospitarli vuol dire raccogliere un lavoro che si fa durante l’anno, ringrazio ovviamente a nome di tutti i colleghi la Fondazione per la sussidiarietà e PwC che ci dà anche il supporto tecnico. È quale luogo migliore per noi, del Meeting, dove raccontare di una responsabilità, di un tentativo. La politica è il luogo della parte, non ci sarebbe la politica se non si fosse di parte, i partiti rappresentano una parte delle idee, dei valori, ma il parlamento è il luogo dove queste parti si incontrano e si confrontano. E l’intuizione di 20 anni fa è stata quella, in un clima tra l’altro pesantino, era l’inizio della seconda repubblica, 2001 – 2006, proprio partendo dalla propria identità, dalla propria parte politica, dai propri programmi, di provare a identificare dei punti in comune per fare un percorso insieme. Devo dire che tanta acqua sotto i ponti è passata, l’abbiamo tutti raccontata in questi venti edizioni del Meeting di Rimini.

Mi piace capire e raccontare che la prima grande intuizione, innanzitutto culturale, di punto in comune, di un’idea di sussidiarietà che si andava ad affrontare è che grazie al lavoro dell’Intergruppo oggi, quella che oggi è una realtà ormai acquisita, il 5×1000, è stato introdotto nelle leggi del nostro Paese. E allora quell’idea non era, a proposito della battuta dell’amico Andrea Toselli, non era urgente, il 5×1000, assolutamente no, c’erano altre priorità ed altre urgenze, ma l’intuizione di capire che se le tasse (a proposito del più grande esperto di finanza, presidente della commissione Finanza) sono lo strumento con cui i cittadini pagano e danno un contributo per rispondere ai bisogni della comunità, si chiama welfare, la possibilità che il cittadino possa anche scegliere direttamente quella piccola quota, il 5xmille di tasse, a chi destinarlo per aiutare chi, indipendentemente dall’azione del pubblico che deve continuare, comunque si assume la responsabilità di trovare una risposta, era una risposta contingente ma era una rivoluzione culturale.

L’urgenza non è determinata solo dal bisogno immediato. La responsabilità di chi fa politica è dare risposte nell’immediato, ci confrontiamo ogni giorno, il tema oggi del salario povero è una risposta nell’immediato. Ci sono tante strade per dare risposta, ci stiamo confrontando, dal salario minimo alla contrattazione, tante … E quella è la risposta immediata. Ma la responsabilità che abbiamo è quella di aiutarci a costruire un futuro, nostro e per i nostri figli, di dare una prospettiva. Se la politica perde questa idea, perde questa coscienza, è finita. Si riduce all’immediato. Tanto è vero che vedete, lo dico come mia osservazione personale, il consenso dei partiti come è oscillante: oggi sei al 30, domani sei al 5, dopodomani sei al 40, dopodomani sei al 3. Ed è una delle debolezze del nostro sistema.

Per questo abbiamo voluto, in questa ventesima edizione e nel lavoro di questa legislatura dell’Intergruppo, porre due grandi questioni, due grandi questioni e bisogna avere il coraggio di affrontarle ed è la sfida che riguarda il futuro e non solo il presente: la prima grande questione che è quella formativa ed educativa. Una volta si diceva educazione permanente, lo dico all’amico Rosato, noi ormai siamo diventati giovani, ma il tema della scuola e impresa come i due grandi soggetti che non in una alternanza, ma in una alleanza, comprendono come la costruzione di un futuro avviene solo se la persona, di fronte alle sfide che ha nella realtà, è il cuore della costruzione del futuro, accettando le sfide della realtà. Se no la realtà ti travolte. Parliamo di intelligenza artificiale, abbiamo visto tutte queste cose. Bene, questa questione che stiamo ponendo di riflessione comune, poi ci distingueremo su tante cose, di come la formazione, l’educazione permanente, nella scuola da una parte e nell’impresa dall’altra, può tornare ad essere uno di quei pilastri su cui costruire l’Italia del futuro. È un argomento lontano? Non è urgente? Io credo che sia l’argomento più prioritario di tutti. Non a caso l’Europa nel 2023 dice che il 2023 è l’anno delle competenze, ce lo ricorda una nostra amica del Senato, la senatrice Malpezzi che continua su questo a stimolarci quando ci troviamo nelle riunioni dell’Intergruppo.

E allora la questione … Perché ho citato il 5×1000? Perché quello di cui stiamo discutendo, con le proposte che verranno eccetera, non è solo una questione puntuale. Per l’impresa la persona vale più o meno della macchina? Vale più o meno dell’investimento giusto che si deve fare nell’innovazione tecnologica? Per non solo l’impresa, ma per una comunità, per un paese, qual è la priorità che ci diamo? Le leggi indicano la priorità. Oggi abbiamo fatto una delle leggi migliori, lo devo riconoscere indipendentemente da chi l’ha fatta, l’amico Calenda e quel governo dove eravamo tanti, in quel governo, Impresa 4.0 ha aiutato il rilancio del sistema imprese italiane. Ma perché è possibile ammortizzare per un’impresa gli investimenti che si fanno nelle macchine e invece tutti gli investimenti diretti e indiretti che un’impresa può e vuole fare nella formazione della persona invece non possono essere ammortizzati? Che differenza c’è? È un’idea culturale, è una sfida nuova nella costruzione, è un ribaltamento del modo … ecco, credo che questa, e ho concluso, sia la questione che abbiamo davanti. Non è un caso che l’amico Garavaglia fa un esempio che tutti noi vediamo. Ha ragione Chiara quando dice: abbiamo il problema degli ITS, che è una sfida nelle sfide e che è un’incompiuta, perché poi quando si fa una legge uno pensa che le abbia già fatte. No! Da lì ora che diventano attuate … Ci sono i decreti attuativi eccetera eccetera eccetera. Ma perché la mamma al supermercato si vergogna di dire che suo figlio fa l’istituto tecnico e non fa il liceo? È un problema di identità sociale e culturale o è un problema di fondo, di cultura? O è un problema di valorizzazione dell’integralità della persona e di un sistema che abbiamo costruito nel tempo, che ha dimenticato che la scuola valorizza tutti i talenti, e che le competenze sono quelle importanti, ma c’è un altro aspetto, altrettanto fondamentale, che è la parte che riguarda la integralità della persona, le parolacce, no cognitive skills, vuol dire che ci sono, devi imparare a fare 3×3, ma devi anche essere educato in quel luogo, nella famiglia e nella scuola, a valorizzare tutto quello che tu sai fare, perché la sfida della realtà ti mette non solo in gioco quella risposta concreta, ma anche la possibilità, tu insieme agli altri, di affrontarla, quella sfida della realtà, di non essere solo, di tirare fuori tutto ciò che hai, persino il lavoro ben fatto, come una mostra del Meeting di Rimini ci richiama.

Non a caso, e concludo, un passaggio che abbiamo fatto e mi sembra molto positivo, a proposito della scuola, è che la camera dei deputati, c’era Chiara, l’amico Rosato, ha approvato una legge che già avevamo nello scorso anno, tra l’altro quasi all’unanimità, sull’introduzione in via sperimentale delle competenze non cognitive nel percorso scolastico. Il senato speriamo la migliori, perché possa ulteriormente andare. Comunque questa è l’idea dell’Intergruppo, che poi si gioca, come è giusto che sia, nella responsabilità di ognuno. Noi siamo chiamati a far leggi, siamo chiamati a rappresentare una comunità che si chiama paese nel parlamento italiano. E la cosa bella è che può anche nascere, come hanno raccontato loro, un’amicizia, partendo con orgoglio dall’essere di una parte. Non credo sia un miracolo, ma credo sia la strada giusta per costruire l’Italia del futuro.

 

Mulazzani. Io ringrazio tutti i relatori di quest’oggi, credo che anche in questa occasione il Meeting ha dato un esempio di essere un luogo di accoglienza e di dialogo vero nel merito delle questioni, perché oggi abbiamo sentito persone che nel loro lavoro parlamentare, pur essendo su fronti contrapposti, avversari, maggioranza e opposizione, però su alcuni temi è possibile dialogare, è possibile trovare dei punti di collaborazione e di dialogo vero. Io non tolgo altro tempo all’evento, mi corre l’obbligo di dare un avviso che riguarda l’attività di fund raising del Meeting. Sostenere il Meeting per ognuno è un atto di corresponsabilità nella costruzione di un luogo importante per sé e per il mondo. Per questo motivo, chi vuole troverà lungo il padiglione della fiera le postazioni #DonaOra, caratterizzate dal cuore rosso. Le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk dedicati e ci saranno i volontari con la maglietta #DonaOra. Vi ricordiamo che il Meeting è un ente del terzo settore, quindi chi deciderà liberamente e volontariamente di sostenere il Meeting ne beneficerà anche sotto il profilo della dichiarazione dei redditi.

Detto questo io vi ringrazio e vi do appuntamento alle prossime iniziative. Ci sarà un dibattito, sempre in collaborazione con l’Intergruppo sul tema delle riforme istituzionali e sono questi i due temi, il fil rouge che caratterizza l’impegno dell’Intergruppo in questa edizione del Meeting.

Buon Meeting a tutti! Grazie.

 

 

Data

22 Agosto 2023

Ora

13:00

Edizione

2023

Luogo

Sala Conai A2
Categoria
Incontri