Chi siamo
FISICA E LETTERATURA IN DIALOGO
Juan José Gómez Cadenas, Fisico della Fondazione Ikerbasque, Donostia International Physics Center; Luca Doninelli, Scrittore. Modera Marco Bersanelli, Professore di Fisica e Astrofisica, Università degli Studi di Milano.
Scienza e poesia sono talvolta considerate due mondi separati, quasi due narrazioni del reale fra loro incompatibili. Eppure, nella distinzione delle domande sottostanti e quindi dei metodi che vengono messi in campo, esse hanno in comune più di quel che normalmente si pensa: entrambe richiedono una profonda attenzione alla realtà, la disponibilità a scoprire ciò che è nuovo e imprevisto, un desiderio di sintesi e di efficacia comunicativa. Due protagonisti affermati, un fisico e uno scrittore, attraverso la loro testimonianza ci condurranno alla scoperta di come nel XXI secolo la dimensione umanistica e quella scientifica possano incontrarsi e convivere, senza confondersi l’una con l’altra, ma scoprendo i tratti della loro complementarità e la radice profonda da cui entrambe nascono.
FISICA E LETTERATURA IN DIALOGO
FISICA E LETTERATURA IN DIALOGO
Lunedì 21 agosto, ore 13
Sala Neri
Partecipano:
LUCA DONINELLI, scrittore JUAN JOSÉ GÓMEZ CADENAS, fisico della Fondazione Ikerbasque, Donostia International Physics Center.
Modera:
MARCO BERSANELLI, professore di Fisica e Astrofisica, Università degli studi di Milano.
Bersanelli. Buongiorno e benvenuti a tutti a questo incontro che obiettivamente è un po’ speciale perché il tema di oggi non è comune e le persone che ne parleranno non sono affatto comuni, ma straordinarie.
Vogliamo parlare di qualcosa che incrocia due mondi, del resto il Meeting è un luogo dove si incrociano persone e storie che diventano motivo di amicizia, motivo di una prospettiva e così credo che l’incontro di oggi sia già iniziato, perché Luca e José non si conoscevano, ma vi posso assicurare che nell’ora passata insieme abbiamo già scoperto l’ampiezza che questo tema ci mette davanti agli occhi.
Stiamo parlando di Fisica e Letteratura, due mondi apparentemente lontanissimi, possiamo dire obiettivamente lontani. Non siamo qui per confondere questi piani, ma per trovare e scoprire le risonanze comuni che questi modi di parlare del mondo e della realtà portano con sé, perché sono approcci a domande diverse. Non possiamo fare confusione, ma allo stesso tempo siamo curiosi di cogliere l’origine e la prospettiva che questi due mondi diversi possono offrire al nostro sguardo sulla realtà e quindi io semplicemente inizio presentando i due ospiti di oggi che sono un grande fisico e un grande scrittore, entrambi con una sensibilità particolare rispetto a questo argomento.
Io ho l’onore di essere amico di ciascuno di loro da tanti anni e quindi conosco bene quanto per loro il tema sia vivo, anzi devo dirvi anche questo: l’iniziativa di oggi non nasce dall’idea di fare un incontro su Fisica e Letteratura, ma ha origine da loro, da questo dialogo che finora è stato implicito e che oggi diventa esplicito, da questo interesse, da questa dimensione ampia che ciascuno di loro vive.
Luca DONINELLI è molto noto al Meeting, è apprezzato in Italia come uno dei principali scrittori sulla scena. Dal 1978 ha conosciuto Giovanni Testori, che per lui è diventato un punto di riferimento fondamentale, anzi recentemente Luca Doninelli ha scritto un saggio autobiografico che si intitola: ”Una gratitudine senza debiti”, che è proprio dedicato a Testori che in questo Meeting viene ripreso in vari momenti, compreso un bellissimo spettacolo a lui dedicato.
Luca ha scritto diversi romanzi, cito solo quelli che hanno avuto dei riconoscimenti particolari, perché la lista sarebbe troppo lunga: “La revoca”, “La nuova era” e “Le cose semplici”, premiato nel 2016 con il Campiello, così come “La revoca” nel 1992. Uscirà tra pochi giorni con un nuovo romanzo che si intitola: “Nero fiorentino” e credo che saremo tutti curiosi di questa nuova lettura.
Vorrei anche citare il fatto che Luca Doninelli, insieme a Giacomo Poretti e Gabriele Allevi, ha fondato il teatro Oscar, una realtà milanese molto viva e bellissima.
Juan José Gómez CADENAS è professore di Fisica della fondazione Ikerbasque, Donostia International Physics Center di San Sebastián. È uno dei principali esperti di fisica dei neutrini, le particelle più sfuggenti che noi abbiamo in natura. A questo ha dedicato gran parte della sua brillante ricerca ed anche lui ha ricevuto vari riconoscimenti tra cui quello del 2016 per un esperimento che si chiama K2K/T2K. Sono nomi un po’ strani, che hanno avuto importanti risultati sulle oscillazioni dei neutrini. Non entreremo nel dettaglio, ma si tratta di cose straordinarie. È il fondatore e il portavoce dell’esperimento NEXT, che sta cercando di dimostrare una proprietà singolare dei neutrini, cioè il neutrino sarebbe anche l’antiparticella di se stesso. Il neutrino secondo Maiorana ha questa particolarità fra le particelle elementari.
Juan José è anche uno scrittore, ha scritto romanzi nonché poesie e poemi. Non citerò tanti titoli, dico che in questo caso ci sono ben due pubblicazioni in arrivo, uno è un poema: “Out of English” e l’altra è: “La terra della fine del mondo”.
Abbiamo quindi l’onore e il piacere di dialogare con loro, dialogo che, come prima dicevo, è già iniziato con abbondanza di energia poco fa. Chiedo a Luca di incominciare.
Doninelli. Io parto dalla curiosità che mi ha sempre mosso nei confronti di un campo che non conosco se non molto superficialmente, che è quello della Fisica e della ricerca scientifica, un po’ perché negli anni della mia formazione scienza e poesia, scienza e letteratura erano viste come due discipline che non c’entravano niente l’una con l’altra, cioè la scienza si occupa dei fatti, quindi della loro verificabilità e ripetitività, mentre la letteratura si occupa dell’animo umano, delle emozioni, dei sentimenti, dei sogni, ecc.
Io poi con l’andare del tempo ho sempre trovato riduttiva questa idea, non perché come dicevi tu, Marco, non esistano delle distinzioni che vanno mantenute e che sono fondamentali, ma perché credo che nell’esperienza che muove un uomo a scrivere una poesia, a scrivere un romanzo, ad affrontare l’oggetto della sua ricerca scientifica ci siano dei punti comuni.
Già c’è il fatto che la realtà ti ferisce in quella tristezza fondamentale che appartiene a tutti noi anche se la mascheriamo, per cui nasce la famosa domanda: Quid animo satis? Cosa ci basta? E poi il fatto che una bellezza, una novità, uno spunto ci entusiasmino, ci colpiscano, ci feriscano, per cui noi dobbiamo lavorarci intorno, è secondo me un grande apporto che sia gli scienziati che i poeti, che gli scrittori offrono al mondo. Come dice un vecchio titolo del Meeting: “Siate realisti chiedete l’impossibile” e l’impossibile è proprio ciò che chiediamo.
Quello che ho sempre invidiato degli scienziati è l’idea della precisione, per esempio uno scienziato una volta fissata un’intuizione, un punto di partenza, ha bisogno di calcoli, di misura, cioè il lavoro credo si svolga dal punto di vista della quantità, ma questo è anche il lavoro che fa il poeta.
Adesso sto leggendo un romanzo dove ad un certo punto c’è un incidente, un’automobile investe un motorino e il motociclista fa un volo. Un bambino, testimone di questo fatto, una volta diventato grande, sempre più con il passare degli anni si rende conto di quanto sia importante il colore di quell’automobile, di come sia importante il tragitto che ha fatto questo povero motociclista nella sua caduta, cioè come sia importante fissare una cosa che ti ha ferito. È tutto il contrario dell’idea che le cose sono come ad ognuno pare, tant’è vero che la poesia ci colpisce proprio per l’esattezza. Il grande poeta non è uno che resta nel vago.
Penso sempre per esempio a “Il sabato del villaggio” di Leopardi che conosciamo un po’ tutti, quando parla della vecchierella: “e novellando vien del suo buon tempo,/ quando ai dì della festa ella si ornava,/ ed ancor sana e snella / solea danzar la sera intra di quei /ch’ebbe compagni dell’età più bella.” A me colpisce sempre questo “intra”, perché Leopardi con una preposizione ci dice che ballo faceva la vecchierella: si trattava evidentemente di una gavotta, di un ballo preciso.
Quando Clemente Rebora inizia la sua poesia sul pioppo dice: “Vibra nel vento con tutte le sue foglie/ il pioppo severo:”, ma “vibra” è importante perché è il pioppo che fa questo movimento e non per esempio il platano. Questo è ciò che mi ha sempre colpito dei grandi scrittori, dei grandi poeti, dei grandi artisti, cioè questa capacità di fissare la ferita che la realtà produce in una visione che è difficile perché è lavoro, quindi non è indifferente che l’automobile che ha investito la motocicletta fosse rossa e di quel preciso rosso. Questo è all’origine proprio della testimonianza, cioè noi siamo testimoni di quella cosa precisa. Quando san Giovanni dice che ciò che abbiamo visto e udito lo annunciamo a voi, questo non è vero perché l’abbiamo udito, ma proprio perché è vero l’abbiamo visto e udito.
Ho sempre invidiato voi scienziati perché questo è diventato il vostro lavoro, allora vorrei chiedere anch’io a due grandi scienziati, in particolare a Cadenas: tu che scrivi anche romanzi oltre a fare ricerca, come vedi la questione di questo impatto che io chiamo intuizione, anche se forse non è proprio la parola giusta, come la realizzi?
Cadenas. Per cominciare devo dire due parole a mia discolpa: io parlo un’approssimazione all’Italiano, imparato dopo aver lavorato tanti anni con italiani, mi scuso e faccio quello che posso.
È molto interessante quello che dici a proposito della necessità del dettaglio in letteratura: l’automobile era rossa ed è anche molto interessante quando parli del fatto che la necessità di scrivere, la necessità della letteratura viene ultimamente dalla ferita che abbiamo dentro. Quando si parla di bellezza si parla sempre di dolore.
Secondo me io ho cominciato a fare scienza per ragioni sbagliate, perché pensavo che la natura mi avrebbe dato un’alternativa a questa tristezza, a questa ferita. Come per tutti e anche nella mia visione del mondo come poeta, era chiarissimo il fatto che cercare di capire l’animo umano, capire noi stessi, implicava necessariamente questa ferita, questo dolore. Mi dicevo: va bene studiare l’universo, infatti è un posto bello, è un posto logico, capire l’universo mi porterà gioia, mi porterà felicità e così guarirò un po’ da questa ferita. Per questo dico che incoscientemente ho cominciato a fare scienza per la ragione sbagliata, per trovare felicità, calma, tranquillità, un universo logico, una spiegazione a tutto. Lasciamo soffrire i poeti, mi sono detto.
Doninelli. Mi spiace dirti però che io ricordo che cominciai da ragazzino a voler fare l’artista perché pensavo che questo mi avrebbe portato più fortuna con le ragazze.
Cadenas. Questo è vero infatti. Io ho detto che la ragione per fare scienza era trovare questa felicità, invece la ragione per scrivere romanzi è che non ero molto bello da giovane e così cercavo di di far colpo con la scrittura, esattamente come te: bello o poeta.
Comunque per me la sorpresa è stata il fatto di riscoprire che anche la conoscenza scientifica produce questa ferita, questo dolore. È un dolore strano, che ha una componente enorme di piacere, come ha anche la scrittura. Quando uno comincia a fare scienza è giovane, ingenuo, lavora troppo in fretta, quindi i primi anni non si ha nessun problema, non hai il tempo per riflettere, per pensare e così vai sempre avanti, impari il mestiere e non pensi troppo. Un giorno ti fermi, ricordo esattamente infatti il giorno in cui questa natura mi ha ferito. Io lavoravo in Giappone all’epoca, avevo quarantaquattro anni, mio figlio aveva quattro anni. Il mio amico Paco Salinas, poeta spagnolo, era morto due settimane prima all’età di cinquant’anni. Dunque, pensavo, la tristezza è una cosa e i neutrini un’altra. Io stavo guardando il rivelatore e mi è venuta l’idea che i neutrini che stavo vedendo avevano attraversato tutto l’universo, quelli che vedevo in quel preciso momento erano stati per milioni di anni in giro per l’universo e io che sono qua in terra per alcuni anni ero in grado di vedere questi elementi che mi portavano un messaggio misterioso, che mi dicevano qualcosa di un universo enorme, bellissimo, un universo freddo che apparentemente non si preoccupa di me. Questa tragedia mi ha colpito in una maniera davvero bestiale, più di tutti i miei giochini, i miei “romanzini” che scrivevo per piacere alle ragazze. È qui che ho scoperto che c’è una similitudine tra la scienza e la letteratura: tutte e due cercano di spiegare questa bellezza che ci ferisce e ci fa male.
Bersanelli. Mi ha colpito questo tema della ferita e forse si può anche dire – ve lo domando – che questa ferita è qualcosa che bisogna in qualche modo accettare? Forse per chi fa scienza, per chi fa poesia e per tutti noi che in qualche modo, qualunque sia la nostra occupazione, abbiamo una sensibilità alla realtà, c’è un tempo in cui ci accorgiamo che questa ferita, questo presentimento di qualcosa che è oltre quello che noi possiamo controllare, è insieme ferita e bellezza. C’è un tempo in cui questa dimensione va tenuta aperta, perché noi secondo me abbiamo un po’ la tendenza, noi non poeti e non scienziati, cioè la parte un po’ statica della nostra umanità, a chiudere questa ferita, o no?
Esempio scientifico: dall’interno della struttura della nostra conoscenza del mondo il dualismo onda corpuscolo è impressionante. È una ferita o no? Uno si immagina la particella elementare per avere calma, pace in qualcosa che finalmente si capisce bene. È l’idea del materialismo per cui alla base di tutto ci sono cose come gli atomi e le particelle elementari che finalmente capiamo che cosa sono e su questo si costruisce tutta la realtà.
La realtà però ci è venuta incontro dimostrando la profonda falsità di questa idea semplicistica, tanto che si è capito con l’osservazione che quella che noi chiamiamo particella non è riducibile all’immagine che noi ne abbiamo, anzi è qualcosa che non è comprensibile, non è visualizzabile ciò che una particella elementare è, perché è sia un corpuscolo sia un’onda. Potremmo un’altra volta approfondire questo tema.
Un altro esempio è l’oscillazione dei neutrini, per venire nel tuo campo, Juan José, ma quello che voglio dire per lanciare a voi la questione è: che cosa ci vuole per tenere aperta questa ferita? Si potrebbe dire che una delle due cose è sbagliata o il corpuscolo o l’onda, e questa è la logica del mondo, cioè il fatto di arrivare ad un punto di chiusura. Invece c’è un tempo che può essere lunghissimo in cui io credo che un poeta e un fisico debbano accettare questo disagio nei confronti della realtà.
Doninelli. Il fatto che i conti non tornino è il primo input di qualunque atto di conoscenza. Io ho un amico che è un grande giornalista a cui piace fare i racconti, farmi vedere che tutto torna, dopo di che passa gran parte del suo tempo ascoltando musica perché sa che non è vero quello che dice, ma deve dirlo perché è il suo mestiere quello di far quadrare il racconto, anche se non è così.
La prima risposta che mi viene da dare alla tua domanda è il fatto che per poter tenere aperta questa provocazione della realtà che non si lascia raccontare in termini esaurienti, si deve comunicare. La caratteristica di questa inquietudine è il suo dilatarsi.
Adesso spiego. Per molti anni io ho insegnato Estetica in un liceo artistico e ricordo che la maggior parte delle volte quando entravo in classe mi sentivo dire che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, quindi le mie lezioni erano inutili. Io elaborai, non subito, questa risposta semplice: il problema non è l’oggetto riguardo al quale dire che è bello o non è bello, la questione è un’altra. Prendiamo l’enunciato: mi piace Madrid. Se lo comunico a voi, questa è una comunicazione completa. Se invece io dico che Madrid è bella voi dovete verificare se ho ragione o torto. Il giudizio sulla bellezza di Madrid tira in ballo la sua comunicabilità, come Dante stesso afferma: “Mostrasi sì piacente a chi la mira/ che dà per li occhi una dolcezza al core,/ che ‘ntender no la può chi no la prova”. È richiesto cioè che tu faccia l’esperienza che ti racconto affinché tu possa verificare se è vero o no quello che ti dico.
Ho notato nella mia vita, se penso solo al mio incontro con Giovanni Testori, che questo è stato il dilatarsi di un’intuizione che avevo avuto io nel rapporto con una persona molto più grande di me, molto più geniale di me che mi ha fatto vedere una portata enorme, mi ha rivelato il significato più grande, per cui io penso che una delle prime cose che tiene aperta la ferita è che tu hai la necessità di un atto di condivisione. La bellezza non è qualcosa di totalmente solitario ,di solipsistico, ma è un’esperienza che noi possiamo condividere, perché da soli, almeno per quanto riguarda me ( magari per un genio non è così) si attua una riduzione, invece trattenere questa inquietudine è un’opera che ci riguarda insieme.
Cadenas. A me piace molto quello che dici, perché secondo me l’idea di bellezza si può avvicinare al punto di vista scientifico. C’è una frase del gruppo The Doors che dice che ci sono cose note e cose che non capiamo e in mezzo ci sono dei vuoti. Giustamente per gli scienziati, come diceva anche Marco, all’inizio del ventesimo secolo la Fisica era quasi noiosa, tutto era spiegato, dalle particelle all’atomo. Era bello, ma lo era in un senso noioso, grigio nel grande edificio della scienza. Poi arriva la meccanica quantistica ed entriamo nell’epoca del caos, nessuno capisce niente e gli anni tra il 1920 il 1950 diventano i più produttivi del secolo ventesimo, perché la bellezza sfugge tra le cose che capiamo e quelle che non capiamo.
Noi la meccanica quantistica la sappiamo fare, sappiamo fare i conti, gli esperimenti, la teoria quantica dei campi ci permette di fare i calcoli con grande precisione, però questa immagine naïve, gentile dell’universo come un posto ordinato viene a meno. Noi alla fine in profondità vediamo l’universo e capiamo che c’è un’ombra, qualcosa che si muove, che ci sfugge e qui in questi spazi io trovo la bellezza e questo mi sembra molto simile a ciò che stavi dicendo tu, Luca.
Bersanelli. Da un’angolatura leggermente diversa, ma che c’entra molto con quello che state dicendo, e lo accennavamo anche prima, c’è un aspetto di sintesi che mi sembra di cogliere in questi due modi di dire la realtà, che è quello del poeta che in una terzina, come Dante ha saputo fare, racchiude un universo. Dirac e Einstein in una equazione di pochi segni esprimono quello che non è possibile dire con una quantità grande a piacere di libri scritti. Dopo che hai scritto tutti i libri che puoi scrivere, ancora quell’equazione quella terzina dicono qualcosa di più perché c’è una sintesi. Questo mi impressiona molto, non so che esperienza ne avete voi come scrittore e come scienziato.
Cadenas. Questo è interessante, nel senso che per me effettivamente il primo momento mistico della mia vita come scienziato è stato quando ero studente all’università e ho visto l’equazione di Dirac che si può scrivere in una riga, infatti sono quattro simboli. Quando tu la vedi capisci che puoi sviluppare quello che questi quattro simboli dicono per comprendere il movimento degli elettroni tra un campo elettromagnetico, quantisticamente, dunque la quantità di informazioni che quest’equazione contiene in maniera sintetica sull’universo e anche su di noi è impressionante e a questo proposito potremmo scrivere decine di libri per spiegarlo.
Quasi nello stesso momento e questo, Luca, è interessante, all’epoca in cui studiavo all’università ho scoperto le famose haiku giapponesi, cui non puoi cambiare neppure una virgola senza cambiarne il senso. Allora ero ossessionato dall’idea della sintesi. Poteva essere che l’essenza della scienza fosse cercare di scrivere con una sola equazione il pensiero di Dio, per essere un po’ ambiziosi. Se è vero che la scienza vuole scrivere il pensiero di Dio con una sola equazione, allora la letteratura vuole scrivere il pensiero di Dio con un solo haiku?
Doninelli. MI hai fregato! Per fortuna si può anche partire dal fondo. I grandi artisti, i grandi poeti mostrano innanzi tutto che la sintesi è una cosa che si dà. Quando sono andato all’incontro con il papa il 23 giugno scorso, prima ho partecipato ad una visita alla collezione di arte moderna dei musei vaticani e la guida che ce la presentava continuava a dire che gli artisti sono importanti perché ci fanno vedere l’invisibile. Io ho capito subito che non era vero, nel senso che quello che gli artisti ci mostrano è esattamente il visibile, che è quello che noi non vediamo perché siamo abituati a vedere sempre una cosa insieme ad un’altra.
Hume mi sembra che abbia parlato di questo problema che lui riduceva al concetto di causa ed effetto, cioè noi siamo abituati a vedere che a una cosa ne succede un’altra: se un’auto va contro un motorino, il pilota che lo guida cade. Una cosa che hanno sempre fatto gli artisti per esempio è dimostrarci che questo non è vero, cioè che spesso una cosa va insieme ad un’altra che noi non ci aspettavamo. Questo credo sia ciò che muove l’artista e il poeta.
Io penso sempre a “L’infinito” di Leopardi che credo sia la poesia più famosa e più importante della letteratura italiana, ma non solo a quella, anche a tante altre meravigliose poesie.
Non credo che Leopardi avesse calcolato di scrivere “L’infinito”. È una situazione apparentemente assurda quella di quest’uomo che va a sedersi davanti ad una siepe che gli impedisce di vedere quello che c’è oltre. Allora si domanda: quello che io vedo con l’immaginazione è più o meno vero di quello che vedrei se guardassi il panorama che si vede da qui? Pone così in maniera radicale la questione dell’immaginazione, di quanto essa giochi nel nostro rapporto quotidiano con le cose e poi il suo orizzonte si dilata: ” E come il vento/ odo stormir tra queste piante, io quello /infinito silenzio a questa voce/ vo comparando: e mi sovvien l’eterno…”. È la sorpresa di cose che la realtà ci mette insieme e che nella nostra quotidianità noi non crediamo siano in collegamento.
Se poi esiste un’equazione che mi racconta il pensiero di Dio, io posso dire che accade perché Dio mi mette dentro la realtà quotidiana gli elementi di questa equazione e credo che gli artisti e gli scienziati siano quelli che ci aiutano ad accorgercene, altrimenti il pensiero di Dio non potremmo arrivare a capirlo se non fosse Lui che fin dall’inizio ci dice che si tratta di un’automobile, ma di un’automobile rossa.
Cadenas. Hai detto precisamente una cosa: essere attento. L’artista deve essere attento alla realtà e questo mi piace tanto, nel senso che è quasi per definizione che uno scienziato deve essere attento alla realtà, deve essere preciso e dire la verità. Nessuno dubita quando uno scienziato arriva con una teoria, con un esperimento, che questi non siano veri. Dovremmo invece dubitare perché la scienza non è mai vera, è sempre un’approssimazione alla verità.
La letteratura sembra essere un gioco, sembra che il poeta possa dire quello che vuole, ma non è vero, il poeta deve descrivere con attenzione, con precisione e con sintesi la realtà, altrimenti non sta facendo letteratura, sta mettendo insieme delle parole. Secondo me il poeta vero fa esattamente quello che fa lo scienziato. In questo senso c’è una connessione non solo di motivazione, ma anche metodologica. Non si può essere un buon poeta come non si può essere un buono scienziato se non si ha un’ossessione per il dettaglio.
Doninelli. Io dico solo quanto sia importante un metodo, che non è tanto un insieme di regole, almeno in letteratura e in arte non esiste nessun manuale che insegni come si scrivono i romanzi e quando qualcuno ce lo insegna c’è da sospettare un po’, come quando nelle scuole di scrittura insegnano come si fa un incipit. L’unica cosa proficua per uno che segue è non fare così, perché vuol dire che incipit simili sono già stati scritti, quindi non si potrebbe fare niente di nuovo.
La sintesi è qualcosa che mi è data dall’esperienza e la forza del lavoro dell’artista è quella di tenerla aperta. Ricordo che una volta un mio amico a proposito del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti che si trova nel Palazzo pubblico di Siena, mi domandò se l’avevo guardato bene e quando gli risposi che l’avevo visto molte volte, mi chiese di spiegargli perché al centro ci fossero due riquadri, uno che raffigura una stanza dove c’è un insegnante che sta facendo lezione, l’altro che mostra un ciabattino mentre fa delle scarpe. Se si è capita quest’opera si comprende perché le due scene sono vicine. Questo per dire che il grande artista è quello che conserva la sorpresa della sintesi. Se io arrivo al pensiero di Dio è perché Dio il suo pensiero me l’ha detto fin dall’inizio.
Non saprei cos’altro aggiungere, il mestiere è questo e poi occorre una precisione enorme, altrimenti quella cosa lì potrebbe essere un’altra. È bello fare scienza, ma anche fare letteratura è piacevole.
Una delle cose più belle è che in poesia e in letteratura non ci sono i particolari di contorno. Lo dimostra Manzoni magistralmente quando ci presenta il suo personaggio più importante che è Lucia e ci dice solo com’è vestita e com’è pettinata, cioè parlando del personaggio fondamentale del suo romanzo ci parla di dettagli, fondamentali perché poi hanno fornito anche materiale agli illustratori. È interessante il fatto che se io scrivo di un uomo che cammina per strada e dico che scarpe porta, se ha la camicia o la polo, com’è il colletto della camicia, com’è pettinato, cambia il destino, cioè la forza della letteratura sta nell’ impedirci di pensare che esistano i contorni, un po’ come accade in un quadro: se io guardo un ritratto, l’opera d’arte non è solo il ritratto, perché tutto quello che c’è intorno, dentro i confini del quadro, ha lo stesso valore e la sintesi è proprio quella. Pensiamo alla Monna Lisa di Leonardo, il quadro più famoso del mondo: se noi non cerchiamo di leggere il paesaggio che c’è dietro credo che facciamo fatica a tirar fuori qualcosa di interessante.
Cadenas. Quello che stai dicendo del dettaglio lo condivido perché la scienza si fa in molte maniere e c’è un lavoro quotidiano non troppo romantico, arrivi tutti i giorni in laboratorio e lavori continuamente come uno spaccapietre, però questo lavoro da scienziato ti permette di ottenere i dati e gli argomenti di cui hai bisogno per andare avanti, invece i grandi progressi scientifici nella teoria e nella sperimentazione vengono sempre da uno che è ossessionato da ciò che sta vedendo e che tutti possono vedere. Einstein aveva gli stessi dati che avevano tutti, non aveva un accesso speciale a dati che nessun altro conosceva. Così Maxwell, così Freeman, arrivano a fare un passo avanti, a capire come l’universo è fatto perché hanno questa ossessione per il dettaglio che porta alla verità e questo mi ha fatto pensare ad una cosa che ha detto Luca: stava scrivendo un romanzo e ad un certo punto si è bloccato senza riuscire ad andare avanti, non gli venivano più le idee perché aveva sbagliato il colore di una cravatta.
Doninelli. Scusami, tu prima parlavi dell’ossessione dello scienziato, ma in precedenza rievocavamo la famosa virgola di Flaubert a cui è legato il noto aneddoto: a chi gli chiedeva che cosa avesse fatto tutto il pomeriggio lo scrittore rispose che aveva messo una virgola e che il giorno dopo l’aveva tolta. Non credo che fosse un’esperienza piacevole, ma pensa a quanto ci faccia capire sull’importanza di una virgola. In un suo racconto Tolstoj impiega venti pagine per parlare di una slitta che esce da un portone, però leggetelo e capirete cos’è una slitta che esce da un portone. Noi pensiamo di saperlo, ma non è vero.
Cadenas. C’è qualcos’altro che non voglio tralasciare, tutto questo va benissimo, però al fondo del discorso scientifico c’è qualcosa che penso sia molto comune anche alla poesia. Cerco di spiegarlo con un’immagine. Un grande giocatore di scacchi russo negli ultimi suoi anni diventò pazzo. Giocava a scacchi nella sua cella apparentemente da solo, ma in realtà era convinto di giocare con Dio. Questa è follia, è vero, ma quando lui dice di aver giocato con Dio e di aver pareggiato, questo è il punto in cui anche la letteratura sorge: ho giocato con Dio, non ho vinto, ma non sono neppure stato sconfitto, abbiamo pareggiato. Questa sorpresa che non ti aspetti, questo pazzo che gioca con Dio e fa pareggio è il segreto che lo scienziato sta cercando per tutta la sua vita: giocare con Dio a scacchi e fare pareggio.
Doninelli. Finiamo qui, con la lotta di Giacobbe con l’angelo…
Bersanelli. Abbiamo raggiunto l’apice, credo che potremmo andare avanti, anzi andremo avanti perché il dialogo non si esaurisce qui e molti punti di fuga sono stati come accennati. Credo che sia una provocazione grande, positiva per tutti noi perché abbiamo visto attraverso un dialogo a braccio, non particolarmente preparato, quanta realtà ci sia dietro ad ogni sforzo, ad ogni tentativo serio di sguardo al mondo e per vedere questa risonanza come l’abbiamo vista oggi il modo è quello che ci hanno mostrato i nostri ospiti, il modo è quello di osservare ciò che accade.
Quando tu osservi il mondo, quando osservi te stesso in azione, come diceva don Giussani, scopri la natura del rapporto con la realtà fino al punto di sorprendere risonanze tra mondi diversi, tra modi diversi di esprimere quel desiderio, quella ferita, quel dolore e quella bellezza che c’è nel rapporto con la realtà quando la vuoi cogliere nel suo sorgere e questo punto sorgivo diventa qualcosa che posso esprimere, che posso comunicare con una formula matematica, con un verso poetico. Così è stato per me oggi ascoltandovi e partecipando con voi a questo dialogo.
A volte si parla di interdisciplinarità, che è qualcosa che fa morire dalla noia perché manca di questa profondità, manca di questo tentativo di dire delle cose non per unirle, come dicevate voi, ma di scoprire che la sintesi è data in un modo misterioso. Non nasce da un giocherello che faccio io, ma sorge dal profondo della realtà.
Oggi è stato solo un passo, ma davvero credo anch’io che ci sia tanto da scoprire sempre nel godimento della diversità dei metodi, perché è solo questo che rende ricca la realtà, ma allo stesso tempo è questo che ti fa godere anche dell’origine comune delle cose.
Cadenas. Fammi dire una piccola cosa per finire. Ciò che hai detto è così vero che è possibile trovare questa connessione tra la letteratura e la scienza anche quando uno dei due ospiti non parla Italiano. È impressionante, è un fenomeno collettivo di interpretazione simultanea.
In secondo luogo, vorrei esprimere un punto: quando ero giovane e cercavo sempre di piacere alle ragazze con la mia letteratura, una particolarmente dura mi diceva che ero uno scienziato scettico e questo aggettivo le faceva paura: per colpa di voi scienziati la rosa non è più bella. Era assolutamente arrabbiata con me e con tutti gli scienziati per questo motivo, perché era arrivata la scienza a dire che la rosa non era più niente. Io le ho risposto che la rosa poteva non essere più bella, ma che ci sono le supernove, dopodiché ho provato a scrivere un poema dove cercavo di fare una sorpresa parlando della super rosa.
Doninelli. Vorrei fare un finale un po’ shakespeariano, perché caratteristica di Shakespeare è che quando è finito lo spettacolo si resta un po’ irrequieti. Tu, Marco, hai parlato dell’io in azione e guardarsi in azione può riservare delle sorprese che non ci piacciono ed è anche questo forse il motivo per cui quella persona che diceva che la rosa non era più bella voleva mettere un po’ le mani avanti, perché comunque la realtà può fare paura. Scusate, il mio è un finale un po’ come quello del “Sogno di una notte di mezza estate”.