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FEDERALISMO E FEDERALISMO FISCALE NELL’ITALIA CHE CAMBIA
Federalismo e Federalismo fiscale nell'Italia che cambia
In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Vito De Filippo, Presidente della Regione Basilicata; Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia; Raffaele Lombardo, Presidente della Regione Siciliana; Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto. Introduce Lorenza Violini, Docente di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano e Responsabile Dipartimento Pubblica Amministrazione della Fondazione per la Sussidiarietà.
LORENZA VIOLINI:
Buongiorno a tutti, siamo qui per parlare di un tema che, in questo momento, appassiona e anche preoccupa, ma sicuramente è determinante per tutti noi, per il nostro Paese, per le nostre Regioni. Il tema è quello del federalismo, e in particolare del federalismo fiscale. Sono due facce della stessa medaglia, e non si può certo pensare di riassumere in due parole un dibattito che ormai è decennale: ma oggi federalismo vuol dire soprattutto prendere coscienza che siamo di fronte a una situazione drammatica, che il nostro Paese è in difficoltà, che dobbiamo in qualche modo mettere mano al nostro apparato, sia istituzionale, sia amministrativo, per poter uscire dalla crisi.
Federalismo e federalismo fiscale oggi non possono essere parole su cui noi discutiamo accademicamente, sono questioni vitali perché l’uscita dalla crisi deve assolutamente passare per un rinnovamento del nostro assetto istituzionale. E allora, federalismo da un lato, e federalismo fiscale dall’altro, chiamano i grandi temi della politica nazionale e i grandi temi dell’amministrazione, di una buona amministrazione. I grandi temi della politica nazionale sono certamente il tema di una grande differenziazione tra le nostre Regioni, tra le nostre realtà territoriali, ma questo ha anche un nucleo forte, un punto essenziale nel tema della coesione perché, come diceva Roberto Formigoni nella conferenza stampa che ha preceduto questo incontro, il nuovo nome dell’unità oggi è federalismo.
Davanti a questa situazione, noi chiediamo ai nostri ospiti di mettersi in gioco, di mettersi in campo e di dire cosa pensano di questa differenziazione che è problematica, ma che è essenzialmente una ricchezza per il Paese, cosa pensano degli strumenti che possono invece favorire l’unità. Unità e differenziazione: abbiamo anche tanti strumenti costituzionali, tanti strumenti normativi, tanta prassi che ci possono aiutare, e vogliamo capire come questi strumenti possano diventare davvero una ricchezza e non aggravare la problematica che noi già stiamo vivendo.
Federalismo fiscale, anche qui, tante parole importanti caratterizzano questo titolo che sta alle nostre spalle: richiama certamente la questione di una efficienza. La spesa pubblica deve essere razionalizzata, non è certamente uno scopo che qualcuno può permettersi di mettere in dubbio, ma va razionalizzata in un senso sussidiario, va razionalizzata facendo in modo che possano essere valorizzate le iniziative dei cittadini, che si possa cambiare la struttura del welfare. E questo vuol dire quindi che bisogna essere certo dei bravi tecnici, ma bravi tecnici che hanno a cuore principalmente la realtà. Vuol dire efficienza, vuol dire sussidiarietà, vuol dire responsabilità: anche questa è una parola che abbiamo sentito tante volte, e ci interessa davvero, davanti a esempi, a testimonianze, a pensieri che i nostri ospiti vorranno comunicarci, capire di più qual è il nostro futuro, qual è il nostro bene, e soprattutto qual è il bene comune che caratterizza il nostro Paese.
I nostri ospiti sono Presidenti di quattro Regioni italiane: abbiamo il Presidente De Filippo della Regione Basilicata, il Presidente Zaia della Regione Veneto, il Presidente Lombardo della Regione Sicilia e il Presidente Formigoni, un grande amico del Meeting, della nostra platea. Avremo un primo momento in cui i nostri ospiti diranno la loro posizione, diranno anche che cosa hanno fatto, gli esempi positivi che possiamo valorizzare, che ci diano energia per continuare in questo momento di difficoltà. E poi ci sarà anche un momento in cui gli ospiti stessi replicheranno ai primi interventi. La parola, per primo, al Presidente De Filippo della Regione Basilicata.
VITO DE FILIPPO:
Grazie. Davanti a una platea che si sente subito che è una platea nazionale, vorrei parlare con il cuore, stando anche in sintonia con il tema del nostro, del vostro Meeting. Prologo, direi così: quanto tempo si può resistere lavorando contro l’efficienza, allevando magari sprechi o travolgendo responsabilità nella vita pubblica e nella vita amministrativa? Io penso che si possa resistere poco tempo. Se c’è uno spirito buono, che da lucani italiani vediamo nel federalismo fiscale, è assolutamente questa prospettiva che si coglie in una riforma fondamentale nella storia del nostro Paese. Non sono parole che voglio declinare in questa circostanza, perché fa bene parlare di federalismo fiscale in lungo e in largo nei convegni, un po’ meno, poi, in alcune circostanze della vita istituzionale. Se potessimo raccogliere i dati del dibattito che c’è stato nella Conferenza Stato-Regioni, quando è stata approvata la fondamentale Legge Delega, la 42 del 1999, che ha avviato concretamente il tema del federalismo nel nostro Paese, si vedrebbe con molta serietà e con molta chiarezza come le Regioni – e tra queste sicuramente la Basilicata – abbiano contribuito da protagoniste a quella discussione, cambiando anche alcune parti che sembravano poco chiare di quella Delega che, come è noto, è lo strumento che ha avviato la storia del federalismo nel nostro Paese.
Allora, se è questo lo spirito buono del federalismo – nuova efficienza, meno sprechi, più responsabilità, come dice la relazione inviata dal Governo nazionale al Parlamento, “vedo, voto, pago” -, proverò a dimostrare in qualche minuto, almeno in questo primo giro, che su questa prospettiva la Basilicata ci sarà. Sarà una grande rivoluzione, anzi, certe volte viene annunciata come una sorta di mantra salvifico: “Il federalismo è quella cosa che risolverà i problemi del Nord, è quella cosa che risolverà i problemi del Sud, è quella cosa che risolverà i problemi delle nostre isole”. Essendo una grande rivoluzione, una riforma così importante, io mi sentirei di dire ai miei colleghi e a questo pubblico qualificato: “Non si può scherzare”. E se non si può scherzare, bisogna offrire a questa discussione, che viene certe volte liquidata – le sintesi che spesso, anche in questa sala, si fanno sulla storia del nostro Paese, o sull’articolazione geografica delle responsabilità e degli sprechi del nostro Paese, sono certe volte troppo facilmente liquidatorie -, dati, elementi, analisi che ci possano guidare nella direzione migliore.
Noi viviamo in un Paese troppo lungo, come è stato descritto. Ma ci sarà pure una ragione se il più antico divario del pianeta, quello tra Nord e Sud, persiste. Ognuno dei rappresentanti che, in questa circostanza, sono chiamati a discutere sul federalismo fiscale, avrà almeno una decina d’anni di responsabilità come forza politica che rappresenta il più antico divario del pianeta, che non è più solo duale ma che, per molti aspetti, incomincia a diventare policentrico, addirittura poli-anarchico, se non facciamo attenzione. Viviamo in un Paese dove la prospettiva unitaria, in molte circostanze, sembra messa in discussione, che ancora oggi ha adottato, mi consentirete simbolicamente, l’inno nazionale in termini provvisori. E’ noto, insomma, che il nostro inno nazionale – al di là della bandiera della quale sicuramente ci potrà parlare meglio il Presidente Zaia, che è sancita dalla Costituzione con uno specifico articolo, il 12 – è stato adottato nel 1956 da De Gasperi, provvisoriamente: e tale è rimasto. Faccio questo esempio del più antico divario del pianeta, e di un Paese troppo lungo, perché, di soluzioni immediate, salvifiche, della palingenesi della soluzione del Mezzogiorno, io, da non proprio vecchio Amministratore del Mezzogiorno, ho sentito parlare nei racconti di chissà quante fasi della vita politica e istituzionale del nostro Paese. E ancora oggi ci troviamo ad avere questa condizione.
La via maestra, mi consentirete, è quella della trasparenza e della condivisione. C’è sempre questa trasparenza, nei dati che abbiamo a disposizione? Si può costruire una prospettiva federalista nel nostro Paese senza mettere in campo un meccanismo di trasparenza dei conti, dei dati, dei costi standard che devono superare il cosiddetto limite della spesa storica? Vi faccio qualche esempio: la relazione che ha trasmesso il Governo al Parlamento presenta moltissime imprecisioni, clamorose imprecisioni: l’albero storto che viene lì descritto nel primo paragrafo di quella relazione, per indicare l’incapacità del Mezzogiorno, che pure c’è. Non stiamo nel Paradiso del Mezzogiorno, ci sono molte difficoltà, molti problemi, molti rischi, calati in una congiuntura storico-geografica che è quella che dicevo prima, il più antico divario del pianeta: per liquidare, diciamo così, con una battuta il Mezzogiorno, si fa un calcolo a trasparenza dei dati. Dice quella relazione, Presidente Zaia: “I fondi comunitari affidati all’Italia, al Mezzogiorno, sono 44 miliardi. Il Sud ne ha spesi soltanto 3,6”. Io dico che non è così.
Potrei annoiarvi con molte cifre, sapendo che questo tipo di argomento è il più ostico ad una platea, perché sarebbe ben più facile dire che nel Mezzogiorno non funziona niente, e che le conseguenze di questo assunto sono il federalismo fiscale. I soldi affidati al Mezzogiorno sono 28 miliardi di euro. 44 miliardi, la cifra che utilizza la relazione ufficiale del Governo al Parlamento sul federalismo fiscale, è la cifra che l’Europa ha affidato complessivamente al nostro Paese, cioè mettendo insieme i soldi dell’Europa che utilizzano le Regioni del Sud – Obiettivo Convergenza – e i soldi che utilizza il Nord, Obiettivo Competitività. Io non voglio essere troppo pedante, questo paragrafetto sul Mezzogiorno incapace viene utilizzato per dire: “Il 3,6 su 44 miliardi di euro è un dodicesimo del totale: di cosa parlano questi cialtroni, se ad oggi sono stati in condizione di spendere soltanto un dodicesimo delle risorse che avevano a disposizione?”. Omettendo di dire che l’Italia è uno dei Paesi europei che ha restituito di meno, in termini di risorse investite tra quelle affidate al nostro Paese dall’Europa, la percentuale viene applicata sull’intera risorsa.
Io vorrei essere, per un altro minuto, ossessivamente puntuale, perché il tema della trasparenza, della condivisione dei dati e della coesione, che è successiva a questi due elementi fondanti, penso saranno materia per i prossimi mesi, quando ci troveremo a sviluppare e ad analizzare questi temi su importanti documenti e provvedimenti legislativi che dovranno avere anche il giudizio delle Regioni. Una seconda battuta: è stato approvato il Decreto sul cosiddetto federalismo demaniale: 3,2 miliardi di beni trasferiti dallo Stato agli enti locali. 3,2 miliardi di euro sono, secondo alcuni, un grande valore, oggi. Ma fino ad oggi, che cosa sono stati? Sono stati un grande problema. Potete pensare che io trasferisco immediatamente queste risorse: ma per molti Comuni, il trasferimento di patrimonio non sarà facilmente un’opportunità o un valore. Se non facciamo attenzione, Presidente Zaia, può essere addirittura un rischio, perché, se 3,2 miliardi di euro, quando erano nel patrimonio dello Stato, non erano un valore, oggi che vengono trasferiti con un Decreto Legislativo, possono forse questi 3,2 miliardi di euro diventare immediatamente un valore ed essere presentati nella sostanza alla comunità nazionale come la grande opportunità di sviluppo e di crescita? Due elementi che sicuramente ci sono, ma se andiamo avanti con questi spot, alla fine non torneranno i conti nemmeno sul federalismo fiscale.
Ci è stata trasmessa la prima relazione sui cosiddetti costi standard, è una relazione – mi consentirà il Presidente, che è in questa sala – che contiene elementi ancora abbastanza generali sulla materia dei costi standard. E si aggiunge, quella relazione, anche alla Legge Delega, dicendo che, sul tema dei costi standard, il quadro deve essere coerente con il quadro macroeconomico e finanziario complessivo del Paese, e con gli obblighi comunitari. Anche la definizione dei costi standard, del superamento della spesa storica sui livelli essenziali di servizi da garantire ai cittadini, è condizionabile secondo quella relazione dal quadro economico e finanziario complessivo del Paese e dagli obblighi comunitari. Faccio l’esempio della mia Regione, non sembri troppo vanaglorioso il mio ragionamento. Io sono Presidente di una grande Regione. Grazie per l’applauso, ma vorrei spiegare che cosa significa, anche sul tema dei costi standard: la Basilicata è il 3% del territorio nazionale, in termini di popolazione siamo l’1%. La Basilicata è il doppio della Liguria, in termini di territorio, 10.000 kmq. Potrebbe sembrare strano, a chi non approfondisca la geografia, ma è più grande delle Marche, è poco più della metà del Veneto. Se noi dobbiamo definire costi standard in una Regione di 10.000 kmq, popolata purtroppo, per ragioni storiche, da 600.000 persone spalmate in 131 Comuni, la sfida dei costi standard in materia di sanità, in materia di scuola, in materia di trasporti, per noi può diventare, se non facciamo attenzione, una sfida titanica, una sfida complicata.
Al di là dei Commissari, dell’accompagnamento e dell’affiancamento, degli esperti che noi possiamo utilizzare per ridurre inefficienze e sprechi, siamo nella condizione di una grande Regione del Mezzogiorno, mi consentirete, poco popolata: d’altronde, è ben noto che la modernità può morire con una sola prospettiva, che è quella del sovraffollamento. Quindi, l’unico dato che non dobbiamo considerare per definire i costi standard, sarà forse proprio quello demografico. Ad oggi, la definizione generale che viene proposta è quella del pro-capite. E vi dirò, in conclusione di questa mia prima riflessione, in che condizione noi ci siamo trovati, anche in termini di bilancio, a livello regionale. Penso che, anche sul tema dei costi standard, bisognerà fare un lavoro molto più approfondito. La prima relazione che ci è stata offerta non è ancora sufficientemente chiara, e lo dico dall’alto di una esperienza amministrativa – che non è soltanto frutto del lavoro dei contemporanei, cioè del sottoscritto – che vede una Regione del Mezzogiorno, forse molti non lo sanno, che ha sempre rispettato il Patto di Stabilità, sempre. Noi non abbiamo mai sforato il Patto di Stabilità, abbiamo miracolosamente i conti della Sanità in ordine, siamo l’unica Regione del Mezzogiorno a non avere debiti nel settore della Sanità, abbiamo l’addizionale IRPEF più bassa consentita dalla legge, perché non abbiamo mai utilizzato la leva fiscale per ripianare debiti della Sanità, abbiamo l’IRAP regionale più bassa consentita dalla norma, perché non abbiamo utilizzato mai questo tipo di leva fiscale per ripianare debiti nel nostro bilancio. Siamo, forse insieme alla Lombardia, la Regione che ha cancellato anche la CIS sul Gas per le famiglie.
Abbiamo un regolamento che consente anche al Presidente della Regione una parsimoniosa possibilità di utilizzare l’auto blu, abbiamo ridotto del 10%, prima del dibattito, l’indennità ai Consiglieri Regionali, non abbiamo sedi all’estero, nemmeno a Bruxelles, abbiamo soltanto l’utilizzo di un’antenna che ci coordina i lavori a Bruxelles. Il Presidente, i Consiglieri e gli Assessori si comprano i giornali con i soldi propri, nemmeno questo benefit minimo, abbiamo: gli Assessori e il Presidente, per fare telefonate personali, utilizzano il 4146. Secondo questi parametri, siamo, per quello che ci dice anche l’ultima Legge Finanziaria, la manovra del Ministro Tremonti, una regione virtuosa. Non siamo privi di problemi, anzi, di problemi ne abbiamo molti, perché l’occupazione, lo sviluppo, la crisi, mordono, dalle parti nostre, molto più forse di quanto mordano in altre parti del Paese. Nonostante ciò, io mi chiedo: in questo paradiso amministrativo – diciamo così, con moltissimo garbo e con moltissima attenzione anche all’utilizzo di questi termini -, ce la faremo ad affrontare questo nuovo percorso e questa nuova possibilità che è il federalismo fiscale?
Io rispondo ai miei cittadini: sì, se sarà una sfida sulla responsabilità, sulla riduzione degli sprechi, sull’efficienza della Pubblica Amministrazione, sui conti in ordine del nostro bilancio (Moody’s è un’agenzia che valuta i bilanci di molte Regioni, la Basilicata ha un rating Aa3, in crescita negli ultimi anni). Noi non abbiamo mai conosciuto, ripeto, l’utilizzo della leva fiscale per ripianare i nostri debiti: ce la faremo? Io, ad oggi, sulla base di questi brevissimi esempi, in questo primo giro, non so rispondere chiaramente. Se sarà uno scontro di responsabilità e di efficienza, la partita ce la possiamo giocare; se sarà uno scontro di basi impositive, e cioè, chi ha più IVA e più IRPEF le devono usare, come è anche giusto che sia, soltanto a favore di quel territorio, potrebbe disperdere una possibile nuova coesione di questo Paese che, in 150 anni, non ha ancora raggiunto l’obiettivo di essere “l‘Italia una e indivisibile”. Io sono fra quelli che pensano che la storia del Risorgimento non sia una tresca di Cavour insieme all’Inghilterra, alla Francia e a un pezzo consistente della massoneria europea che ha voluto l’unità del nostro Paese. Io penso che questo sia un Paese che deve essere unito: e l’esempio che ha dato il Risorgimento, partendo proprio dalla bandiera (c’è stata qualche domanda in sede di conferenza stampa), sia stato un esempio straordinario.
Io ricordo ai miei cittadini lucani italiani che i colori della bandiera italiana sono i colori del Piemonte, perché erano i colori, come è noto, della casa Savoia. Quindi, guardate, anche in termini cromatici siamo stati capaci di essere uniti. Se questa prospettiva sarà possibile, ci lavoreremo; se invece c’è qualche altro trucco, come in certi momenti appare nella storia del federalismo fiscale, il Sud può cadere dalla padella alla brace. Dalla storia delle dissipazioni, degli sprechi, dei cialtroni e di tutta la materia che ci sentiamo somministrare ogni giorno, anche con capacità comunicativa straordinaria, noi possiamo passare alla storia delle tre carte, che ogni tanto ci fanno vedere qualche conto, qualche cifra, e alla fine questi conti e queste cifre non torneranno per una possibile prospettiva di coesione e di unità. Noi ci vogliamo lavorare seriamente perché, ahimè, i lombardi italiani, i veneti italiani, gli emiliani italiani, i romagnoli italiani, i lucani italiani, i calabresi, i siciliani italiani, come dice la Costituzione – perché la Costituzione è stata quella che ha messo insieme le differenze regionali – sono un’unica grande storia alla quale non vorrei rinunciare nei prossimi anni. Grazie.
LORENZA VIOLINI:
Bene, unità e differenziazione, stiamo vedendo il profilo di una realtà piccola, dinamica, che si propone come elemento vitale per l’unità del Paese. Facciamo qualche altro passo avanti, guardiamo dentro questo caleidoscopio che è il nostro Paese, vediamo un altro punto di vista. Il tema è sempre lo stesso: l’unità, la differenziazione, l’efficienza e la sussidiarietà. La parola al Presidente Zaia.
LUCA ZAIA:
Sì, grazie. Vi dico la verità, io non conoscevo questa sua propensione per la topografia, ho visto che sa tutti i dati sui kmq, ho appreso oggi che il Veneto ha 18.000 kmq, insomma, abbiamo una bella azienda.
VITO DE FILIPPO:
E’ la dimostrazione che siamo italiani.
LUCA ZAIA:
No, è che lui ha già studiato, oltre ad essersi portato il solito pullman dalla Basilicata.
LORENZA VIOLINI:
No, no, questo non è vero, è gente del Meeting.
VITO DE FILIPPO:
Sono venuto in treno, da solo, senza nemmeno un accompagnatore.
LUCA ZAIA:
Al di là delle battute che servono per stemperare un po’ questo clima, anche perché De Filippo è un amico, abbiamo fatto un sacco di cose assieme, lo ringrazio anche per avermi tirato in causa, mi sono sentito responsabile, quasi mi viene la erre moscia di Tremonti, adesso, nel darti le risposte. Perdonami le battute, ma ascoltando con attenzione la bellissima relazione che De Filippo ha fatto, mi venivano in mente quelle domande che fecero a Friedman, Premio Nobel per l’Economia, quello dei bisogni, per capirci. Gli hanno chiesto: “Ma ha più bisogni uno che ha o uno che non ha?”. E Friedman ha risposto: “Uno che ha avuto e non ha più”. Noi effettivamente stiamo discutendo di questo fatto, stiamo discutendo del problema che molte comunità pensano di aver avuto, e non avranno più, con il federalismo fiscale. E questa è una grande discussione, ha ragione De Filippo quando dice: io controllo i numeri, i miei kmq, quelli del Veneto, i costi standard, gli sprechi. Ma lui è una Regione che rappresenta l’efficienza di quel Sud che non ha efficienza, ha ragione quando cita i suoi dati, i dati della Sanità, i dati del controllo degli sprechi nell’Amministrazione Pubblica, però è altrettanto vero che comunque una riflessione dobbiamo farla.
Innanzitutto avremmo l’obbligo morale ed etico di dire che non è tutta un’invenzione di questo Governo, che arriva la Lega, Bossi e Berlusconi si mettono d’accordo e dicono: “Adesso inventiamo il federalismo fiscale”. Noi siamo qui ad applicare quello che è previsto nella Costituzione Repubblicana, o meglio, abbiamo due grandi varchi: quello del federalismo fiscale, e quindi la fiscalità, la logica dei numeri, la tassazione e tutto quello che c’è dentro, e quello dell’autonomia differenziata, quella che noi chiamiamo geometria variabile, articolo 116 della Costituzione. Eh, perché noi lo dobbiamo dire a De Filippo e a tutti quelli che non ci credono – lui ci crede, ma qualcun altro no -, che non ci vorremmo fermare al federalismo fiscale, vorremmo che fosse applicato fino in fondo l’art. 116 della Costituzione che, per uno che non li conosce tutti, ma quello molto bene – dice che ogni comunità può chiedere al Governo di avere una giusta dose di autonomia.
Se la Calabria decide di restare ancorata a Roma con una visione romano-centrica, ha libertà democratica di farlo, però è anche vero che ci sono delle comunità diverse: non è un caso che a me i giornalisti facciano sempre la domanda sulla bandiera del Veneto, perché l’identità e la genetica dei Veneti ci porta a dire che, se voi venite in Veneto, si respira autonomia, 7 persone su 10 in Veneto parlano e, come direbbe l’Imperatore Adriano, pensano anche, in Veneto. Allora, noi siamo qui non per spaccare l’Italia, finiamola con questa storia, lo dico soprattutto a quelli che si nascondono dietro il dito, dicendo: questi sono quelli che vogliono dividere l’Italia. No, noi siamo qui a fare quello che non dovremmo fare, ovvero a difendere le idee di Einaudi, che nel 1948 presentava la Costituzione e diceva: adesso l’abbiamo fatta, questa Costituzione, questo Paese ha una Costituzione, però dovremmo dare l’autonomia alle realtà locali. Einaudi diceva questo nel 1948, nel presentare la Costituzione.
I padri costituenti avevano le idee chiare, dov’è stato il problema? Il problema è la gestione centralistica, la gestione di chi vuole tenere il potere distante dalla periferia. Vedete il movimento federalista? Non è un movimento centrifugo, non è che spacca i Paesi: dove c’è il federalismo, i Paesi non sono spaccati. Il movimento federalista è un movimento centripeto, garantisce l’unità, garantisce la coesione sociale. Ricordiamoci che questo Paese comunque è l’insieme di molte comunità, ed è la nostra grande forza, ha ragione De Filippo quando dice: c’è stata l’unità di Italia e i colori della bandiera sono quelli sabaudi. Tra tutti questi ragionamenti, non potremmo dimenticare l’eccidio di Bronte, piuttosto che Bava Beccaris a Milano, se volessimo proprio fare una revocazione storica. Però noi siamo chiamati qui a guardare avanti. Il Capo dello Stato ha indicato la via, c’è ancora qualcuno in Italia che guarda il dito e non vede la luna, ma il Capo dello Stato la via l’ha indicata, lo dicevamo prima in conferenza stampa. Quando hanno chiesto a Giorgio Napolitano, non più tardi di sei mesi fa, quale fosse la sua posizione su questa proposta federalista, lui ha detto cose molto importanti. Ha detto: il federalismo non è più una scelta ma una necessità e sarà una vera assunzione di responsabilità.
Federalismo uguale a responsabilizzazione. Sentite, noi abbiamo i conti a posto, qui c’è Formigoni con la sua Lombardia, ha parlato De Filippo, ma la Sanità in generale, no! Noi sappiamo che, se tutte le Regioni fossero efficienti, avremmo una spesa ridotta di almeno 12 miliardi di euro, che non sono noccioline, sono una bella cifra, quasi degna di una manovra di quelle che conosciamo noi. Allora, vai a vedere i dati e scopri una Regione come la Calabria che fa 2 miliardi di buco della Sanità. Non ce l’ho con i calabresi, però se questa è un azienda, dobbiamo andare a vedere all’interno, dobbiamo farcela certificare, dobbiamo capire se i conti sono a posto, abbiamo l’obbligo di essere obbiettivi. 2 miliardi di buco: uno dice, va bene, sono stati sfortunati, hanno avuto alluvioni. No, vai a vedere e ci sono 36 ospedali – 12 li devono chiudere perché non sono degni di questo nome – con 200 posti letto, il doppio degli addetti per malato, 6,5 addetti per ricoverato. Tutta una serie di dati che ti fanno capire, comunque, che, come diceva Friedman, c’è qualcuno che pensa di perdere quello che prima aveva e oggi, anzi, domani, rischierà di non avere più.
Prima, il Presidente Lombardo, giustamente, ha detto, con una spinta veramente volenterosa nei confronti del federalismo: ma io ho 27mila forestali, se mi dai i costi standard dovrò adeguarmi. Però, se in Italia ne abbiamo 7mila e in Sicilia 27mila, scusatemi, per quanti pini e boschi abbiano… La colpa – è bene che ci capiamo – non è del Presidente Lombardo: è un esempio che mi permetto di fare perché l’ha fatto lui, prima, in conferenza stampa. Non è atto di insolenza da parte mia, lo ha citato lui prima: però vuole dire che c’é qualcosa che non funziona. Se il problema è che dobbiamo trovare un posto di lavoro a queste persone – basta che ci capiamo! -, forse ci costerebbe meno mandare a casa loro direttamente lo stipendio.
Allora, il quesito è questo: avere una base di partenza comune sarà doloroso, ha ragione De Filippo quando dice che è difficile fare il vestito su misura a 60 milioni di italiani. Però la base di partenza è rappresentata dai costi standard: noi dobbiamo comunque dire qualcosa. Come si fa per le auto aziendali: tu sai che, con quel modello di auto, ti danno un rimborso di un tot al Km. Poi sono affari tuoi se vai sempre ad alta velocità e consumi di più, significa che hai deciso di gestire così la tua auto: però l’azienda ti paga quello. Dobbiamo partire dai costi standard: non abbiamo nessun interesse che ci siano delle Regioni che vadano in default, che vadano in difficoltà, perché comunque sarebbero una difficoltà per l’intero Paese. Però, fatta salva la quota di solidarietà e sussidiarietà nazionale, è bene che poi ogni Regione, ogni comunità si arrangi.
Guardate, io ho avuto modo di girare spesso al Sud, e De Filippo lo sa, spesso sono i cittadini, i primi a portare queste istanze. Il Capo dello Stato ha avuto modo di dire anche un’altra cosa importante, che è giunta l’ora di avere Amministratori responsabili, e parlava delle Regioni del Sud. Questa non è la difesa della classe dirigente del Nord, tutti hanno le loro pecore nere, però è altrettanto vero che i conti non tornano più. Allora, in questa partita pensiamo che l’unica via di uscita per questo Paese sia la scelta federalista, l’applicazione di ciò che comunque i padri costituenti volevano e che molti Paesi moderni già fanno, perché comunque noi non ce la facciamo più. Io rappresento una Regione che, assieme alla Lombardia, al Piemonte e all’Emilia Romagna, hanno un gettito di PIL di 827 miliardi di euro, ma questo gettito di PIL non diventa una ricchezza per il Paese, serve solo a ripianare gli sprechi che ci sono in giro per il Paese.
Tremonti mi ha raccontato una barzelletta simpatica, dice che, a un certo punto, c’è una grande parata nazionale. Sfilano le truppe, l’esercito, la polizia, metteteci tutto quello che vi viene in mente. C’è il palco delle autorità e ad un certo punto arrivano, in coda a questa parata, persone vestite male, un po’ trasandate. Un personaggio nel palco chiede a un altro: ma chi sono quelli? E l’altro risponde: gli economisti. L’ha raccontata Tremonti, quindi si può raccontare per dire che, al di là dei grandi propositi, delle grandi strategie, poi è sempre il bon senso del padre di famiglia, come si dice in economia, no? Se i conti non tornano – e in questo Paese i conti non tornano, le uscite sono maggiori delle entrate -, in qualsiasi famiglia ci si siede attorno al tavolo di casa, si comincia a vedere innanzitutto che tutti abbiamo qualcosa da fare durante il giorno, che non ci sia qualcuno che si alza alle 11 del mattino o al pomeriggio resta a letto, si dà una giusta contrazione alla spesa della famiglia perché, comunque, qualche inefficienza anche il mio Veneto ce l’ha, ma non è colpa di chi c’era prima. In generale, comunque, i manager dicono che se entri in un’azienda con una visione asettica, perché la guardi da fuori, non è tua, non la vivi. Se ti comporti come un capo famiglia, sicuramente puoi puntare ad un risparmio del 20% nei processi aziendali, allora riduci le spese e cerchi di avviare un nuovo percorso.
E’ questo che chiediamo, non abbiamo altri disegni, non vogliamo dividere l’Italia in 20 parti, in 3, in 2, non c’è la volontà di affamare qualcuno ma solo di uscire da questa situazione di estrema negatività. Vi lascio con le parole di don Sturzo che, da siciliano, nel 1949 diceva: “Sono unitario ma federalista impenitente”. Significa che già nel ’49, un anno dopo l’approvazione della Costituzione Repubblicana, un siciliano autorevole come don Sturzo – e questa assemblea lo conosce bene – diceva: “Se vogliamo risolvere i problemi della Sicilia”, perché ragionava da siciliano “dobbiamo avere il federalismo fiscale”. Ancora oggi stiamo aspettando.
LORENZA VIOLINI:
Grazie. Credo che questa precisazione, questa chiara indicazione di una strada sia molto importante. Però non dobbiamo dimenticare, ma nessuno qui lo può dimenticare, che c’è un problema strutturale, infrastrutturale: molte cose potranno essere riorganizzate e rimesse a nuovo con una nuova legislazione, più attenta, ma ci sono anche problemi materiali, circostanze reali che chiedono almeno di essere prese in considerazione. Su questo tema, penso che il Presidente Lombardo abbia da dire e per questo gli do la parola.
RAFFAELE LOMBARDO:
Credo sinceramente che questo momento sia molto importante: siamo a fine agosto, alla vigilia della ripresa dell’attività di Governo del Parlamento, che dovrebbe vedere elaborati e approvati i Decreti Attuativi di quel federalismo che è stato accompagnato da un dibattito che ha toccato tutte le città e tutte le Regioni italiane. Con una grande speranza, ho accompagnato questo processo, alla vigilia di alcune scelte che sono fondamentali per il destino di questo Paese, per come sarà l’Italia: se sarà un Paese unito, se confermerà l’attuale stato delle cose. A tutti gli effetti, abbiamo almeno due Italia, se è vero che c’è questa differenza, la più grande che esista tra due parti di uno stesso Paese, almeno d’Europa, a quanto mi risulta. Se confermeremo questo stato di cose, se addirittura lo accresciamo, dobbiamo chiederci francamente se ci chiameremo ancora così, se avremo un’unica bandiera e un unico inno. Prenderemo atto che l’Italia sono due, e tanto vale vedere se da questo fatto, dalle due Italia, possiamo trarre anche qualche vantaggio.
Tanto per avere un’idea, io sono il Presidente dei 30mila forestali: ho 21mila operatori più 5mila. E’ la verità, 21 più 5 fanno 26mila, sono gli operatori dell’antincendio della Regione che fa registrare il più alto numero di incendi. È più facile, ovviamente, da noi, vista la temperatura. Tanto che nelle condizioni complessive qualcuno sospetta che la gran parte di questi incendi – non è solo un sospetto – siano di natura dolosa. Ma li abbiamo trovati, questi dipendenti della Forestale, li abbiamo trovati, Presidente Zaia. Più che bloccare le assunzioni, non potevo fare, e lo abbiamo anche fatto con una Legge, abbiamo bloccato le assunzioni, per Legge, in tutte le Amministrazioni, negli Assessorati, nelle società e nelle aziende della Regione. Ma parliamoci chiaro: questa gente ce la siamo trovata lì, assunta nel passato più o meno lontano, secondo un modello, secondo un patto tra Roma, il Governo centrale, e i Governi regionali. In un primo tempo, pensai di non confermare i più anziani, anche qua, un numero abbastanza spropositato, ma significativo perché ci si renda conto di come stavano le cose: poi ci fu la sfornata dei nuovi addetti stampa della Presidenza.
Dopo avere acquisito tutti i pareri, degli Uffici Legislativi, dell’Avvocatura, le Leggi dell’Assemblea, capii che non potevo che fare alcune cose. Intanto, per impedire che anche gli Assessori si dotassero, come nel recente passato, di un altro ufficio stampa ciascuno, ne destinammo uno per ogni Assessorato, più qualcun altro per qualche Agenzia: credo che in Presidenza ne siano rimasti 4 o 5. Poi abbiamo inventato il Tg Web, e qualche altra cosa. E quindi li ho confermati perché erano titolari di un contratto a tempo indeterminato: se li avessi licenziati in tronco, mi sarei trovato ovviamente con una causa che avrebbero inevitabilmente vinto. Nel frattempo, dopo averli licenziati, avrei dovuto assumerne qualcun altro, e dopo un anno, 6 mesi, 2 anni, avrei dovuto pagare loro lo stipendio e riprenderli.
Cari Presidenti, per essere chiari, io sono stato indagato dalla Corte dei Conti, poi, dopo che la Procura penale ha archiviato il caso, è stato archiviato anche il procedimento contabile. Per avere un’idea, a proposito del cuore che serve per fare le cose che siamo chiamati a fare, io al momento sono anche Commissario per l’Emergenza dissesti idrogeologici che, per quanto riguarda Giampilieri, vuole dire 30 morti. Domani a Venezia viene premiato un nostro progetto per la ricostruzione di un quartiere dove andranno ad abitare quanti hanno perso le case. poi c’è San Fratello, che frana tutta, su 2500 abitanti, 1000 sono interessati da questa frana. E da circa due mesi sono anche Commissario per l’Emergenza rifiuti. A proposito di questo, immaginate, altro che il cuore che ci spinge alla serenità, alla tranquillità, agli interessi nostri e della nostra famiglia. A conclusione di queste gestioni emergenziali – io mi auguro di essere longevo come il nostro Presidente del Consiglio -, sicuramente peregrinerò da una parte all’altra della mia terra, della mia Sicilia.
E’ tutta colpa nostra ed è colpa di quel Patto: centralismo, da un canto, più o meno pseudo autonomia dall’altro, o Governo e Regioni del Sud dall’altro. Io mi auguro, questa è la mia speranza, che questo federalismo, per come sarà scritto, soprattutto attraverso i Decreti Attuativi, guardi al rigore, all’efficienza, alla sussidiarietà e soprattutto alla responsabilità. Ma se vogliamo, io sono d’accordo con De Filippo, per carità, la congiura massonica, Garibaldi, eccetera, anche se Zaia ha ricordato i fatti di Bronte e, per la verità, avrà pure un senso che qualcosa sia cambiato, da qualche anno a questa parte, da quando qualche libro, come quello di Roni, vende già 300mila copie. Ma non scomodiamo gli storici, che dovrebbero forse riscrivere – per la verità molti lo fanno, dalla Pellicciari ad altri – il nostro Risorgimento. Io l’ho detto l’anno scorso, a proposito di Sud, proprio al Meeting: “Andiamo terra terra”. E andando terra terra, al di là delle relazioni dell’Impero austro-ungarico sui lombardo-veneti da loro sottomessi e schiavizzati, considerati ignavi, incapaci di lavorare e quant’altro, al di là di questo, ora sono liberi come noi e hanno potuto sviluppare al meglio le loro capacità di persone intelligenti, di grandi imprenditori, eccetera. Ma prima del 1860, appena cominciarono a cogliersi i benefici effetti della nostra unificazione, ad emigrare non erano i calabresi in cerca di migliore fortuna. È un fatto.
Poi, chiaramente il patto è stato fatto tra noi meridionali e il Governo centrale: mi auguro che salti col federalismo. Quindi, siamo più che complici, siamo responsabili di questo stato di cose. Ma prima, come dire, si emigrava dal Friuli: mio zio siciliano tornò a sposarsi in Sicilia, zio Pippo, emigrato in Argentina nel ’50. Il padre, fratello di mia nonna, faceva il Vicequestore a Venezia, aveva quattro figli maschi, insomma, non se la cavavano molto bene e un paio emigrarono in Argentina. E lui venne a sposarsi a Grammichele, e ci stette un mese, con una ragazza pronipote di emigrati friulani. E lei parlava in dialetto friulano, come lui, meglio di me, parlava il dialetto siciliano più puro. Voglio dire che se questo nostro federalismo ci consente al tempo stesso di essere rigorosi, di essere responsabili, di pagare quando sbagliamo – eccome! -, ma al tempo stesso, forse, di estrinsecare, di esprimere qualche capacità che ci consenta, nonostante i mille guai ai quali andremo incontro, di sentirci come gli altri, bene. Perché, alla fine, sapete qual è il problema? Che io mi debbo sentire anche male, nonostante stia dando la vita. Che io mi debba sentire anche bene, per come posso, al cospetto dei miei colleghi del Centro Nord, come un cialtrone, un incapace, uno sperperatore, quando non c’è giorno e notte che non do sangue, com’è giusto che sia, per cercare di correggere come posso le cose.
La Sanità, ce l’abbiamo fatta, noi. Avevamo un buco da un miliardo, dall’anno prossimo elimineremo IRPEF e IRAP che sono al massimo livello, oltre ad avere sanato il buco e chiuso gli ospedali e le contestazioni che, grazie a Dio, andiamo registrando paese per paese. Lo stesso percorso stiamo facendo nei Rifiuti: abbiamo ridotto Dipartimenti, indennità e numero di Consiglieri Comunali e Provinciali; e chiaramente siamo pronti per questo confronto sul federalismo per i Decreti Attuativi. Laddove, per quanto ci riguarda, noi non vogliamo mantenere la specialità come paravento, come privilegio, come strumento per chissà quali vantaggi: non ce ne sono stati, e quindi tanto vale, questi vantaggi, eliminarli. Però si parla di perequazione infrastrutturale, dopo che il Governo avrà fatto un censimento delle cose. Il buon De Filippo è salito in treno ma io, se volessi percorrere la Palermo-Catania, un’ora e mezza di macchina, ci metto quattro ore e mezza. E la RFI non è regionale, come l’ANAS non è regionale, a proposito di responsabilità al 99%, se volete, nostre, ma non soltanto nostre.
Vogliamo realizzare questa fiscalità di sviluppo, o di vantaggio che dir si voglia? Vogliamo realizzarla? Non per come possiamo oggi, contrattando e trattando in sede comunitaria margini che ci consentono di raggiungere l’obiettivo della convergenza o della coesione molto meglio che non i fondi strutturali che spendiamo con grandi ritardi. Abbiamo mille lacci e laccioli di progetti, bandi e quant’altro: per poterli spendere, basterebbe un decennio di fiscalità diversa, o compensativa, se volete, per fare quello che hanno fatto altri. Copiamo anche qua il modello irlandese, che pure oggi è in crisi. E poi, a proposito di fiscalità e di federalismo, insomma, parliamoci chiaro, cominciamo a far valere le nostre risorse: e se le nostre sono un’industria che non è né la Fiat, perché va via da Termini Imerese, e neppure la Magneti Marelli, ma è quella della raffinazione del petrolio, insomma, su queste accise – articoli 36 e 37 dello Statuto -, cerchiamo di sederci.
Io, questo, penso che si debba fare, che attorno a un tavolo ci si sieda per dire: “Hai 100mila dipendenti? Non puoi licenziarli?”. Non sarebbe manco giusto pensare a farlo con gente che viene prorogata da 20 anni, come i precari dei Comuni, nonostante i Patti di Stabilità. Allora, vediamo, non assumiamo più nessuno per 15 anni, torniamo a livelli fisiologici nel rapporto tra popolazione e dipendenti pubblici. E il costo della Pubblica Amministrazione, in 5, 6, 7 anni, conti alla mano, dovrà raggiungere il livello standard. Per il resto, bastano 6 mesi per qualcosa, 2 anni, 3 anni, quant’altro: siamo pronti a fare fino in fondo la nostra parte, purché questo federalismo non fotografi la situazione per com’è, non abbandoni al proprio destino la parte, non dico più sfortunata ma più responsabile dello stato delle cose. E allora sì, si costruisca la vera unità del Paese. In caso contrario, è tutta un’altra cosa, e tanto vale – lo dico con molta franchezza, ce ne renderemo conto quando ci siederemo a questo tavolo di confronto – prendere atto che le Italia sono due, che devono restare due, che si allontaneranno sempre di più. E anche qua, senza drammatizzare -ne parlerò nell’altro intervento -, prendiamone atto e, pur restando tutti italiani, vediamo di sperimentare qualcosa che ci consenta di fare meglio. Grazie.
LORENZA VIOLINI:
Grazie anche al presidente Lombardo. Io penso, e molti di noi pensano, che sia veramente importante calibrare questa marcia di avvicinamento delle due o delle tante Italia, perché evidentemente qui non si tratta di contrapposizioni, di due o di più, qui siamo in presenza di una realtà profondamente differenziata. Tutti sappiamo che questa differenziazione non scomparirà magicamente il giorno in cui faremo la Legge, perché la Legge – purtroppo mi tocca dirlo, da costituzionalista – non è un toccasana, è solo l’inizio di un processo che va attuato. Presidente Formigoni, ci dica il suo punto di vista, perché anche questo ci interessa tantissimo.
ROBERTO FORMIGONI:
Come vedete, le cose sono complesse. Non è che uno, quando sente parlare di federalismo nel nostro Paese, forse un po’ semplificando, dice: “Va bene, c’è una parte del Paese sprecona, che bisogna rimettere in ordine, bisogna toglierle le risorse dello spreco”. Poi viene a Rimini e sente parlare il presidente De Filippo, che descrive la realtà di una Regione del Sud che – per le cifre che ha detto lui, ma sono cifre vere – appare virtuosa, con i conti in ordine. E allora, dice: “Va bene, però la Basilicata è la Regione più piccola, 600mila abitanti, mo’ sentiamo la Sicilia, che invece è la pietra dello scandalo”, che è vero, la Sicilia è una delle pietre dello scandalo in Italia. Però, Lombardo – e anche lui ha detto parole di verità – testimonia come da due anni, da quando governa, abbia messo in atto una serie di provvedimenti che – almeno quelli che ha descritto, magari ce ne sono altri che astutamente ci ha taciuto – vanno nella linea della virtuosità.
E allora? Allora uno dice: “Beh, però, siccome qui a Rimini sono buoni o buonisti, non hanno invitato le vere Regioni del disastro”. Basti pensare al debito sanitario del Lazio, che è veramente una cosa vergognosa, perché il Lazio ha accumulato 10 miliardi di debito sanitario nel corso di questi anni, cioè una cifra enorme. Però se al Meeting avessero invitato il Presidente della Regione Lazio, ci saremmo trovati al nostro fianco, anzi, al centro, perché è una presidentessa, la Renata Polverini, la quale dice: “Ma scusate, i cittadini laziali, proprio perché anche voi Governatori del Nord avete inchiodato il Lazio di fronte alle cifre disastrose del suo debito, quando sono andati alle urne, il 27 e 28 marzo scorso, hanno cambiato, hanno mandato a casa i responsabili dello sfascio, nonostante la situazione complicatissima, nonostante ci avessero messo fuori legge le liste”. Ma lo stesso è avvenuto nella disastrosa Campania di Bassolino, con tutte le nefandezze che sono state scritte. Lo stesso è avvenuto in Calabria, nella Calabria che giustamente Luca Zaia ricordava prima, che ha un debito sanitario incalcolabile. Incalcolabile, perché? Perché i bilanci sanitari in Calabria si fanno oralmente. E così anche in Sicilia, mi dice Raffaele.
Ma anche nell’orrenda Calabria, gli elettori ci hanno pensato prima di noi, e prima che noi facessimo il federalismo: hanno mandato a casa chi governava prima. Io non sto mettendo sulla croce nessuno. Sto dicendo che quando ci troviamo, tra noi Presidenti di Regione, a discutere di queste cose – aggiungete che, quando magari è presente Tremonti, il quadro si complica ancora di più -, ci troviamo veramente davanti ad una situazione che è complicata. Perché ho voluto ricordare questa cosa? Perché credo che, per quanto riguarda il tema del federalismo, anche gli interventi di oggi abbiano dimostrato che è ormai cresciuta, all’interno del nostro Paese, una consapevolezza, una coscienza diffusa che le cose, così come sono andate nel corso di questi ultimi decenni, non possono andare avanti. E tuttavia è chiesto a noi, uomini politici, Presidenti di Regione, Governo, Ministri, e non soltanto classe dirigente politica, ma classe dirigente complessiva del Paese, un grande sforzo di serietà e una grande capacità di confrontarsi, nella concretezza dei problemi che abbiamo.
Io ribadisco quanto ho detto in conferenza stampa e Lorenza Violini ha voluto ricordare: credo che il tema del federalismo sia realmente un’occasione grande, molto positiva, che il nostro Paese ha la possibilità di affermare e di cogliere. Però dobbiamo essere estremamente realisti: l’impresa è complessa, l’impresa è difficile, dobbiamo cimentarci con i numeri, con le quantità, con volontà che siano vere e non affrettate. In che senso il federalismo è un’occasione importante, di riforma complessiva del nostro Paese? Perché può essere veramente uno scatto del Paese sulla strada della responsabilità, sulla strada dell’efficienza, sulla strada di dare risposte ai cittadini, senza continuare a scaricare il barile da una parte all’altra. Io ho auspicato prima, e confermo qui, abbiamo davanti anche le coincidenze storiche: il 2011, l’anno venturo, 150° anniversario dell’Unità d’Italia, può e deve essere l’anno del federalismo, che non è il passaggio dall’Unità d’Italia all’Italia divisa, all’Italia spezzettata.
Ormai neanche nella polemica politica di più basso conio, di più basso livello viene lanciata l’invettiva, contro chi pratica una prospettiva federalista, di voler spaccare il Paese. Il federalismo può essere veramente il nuovo nome dell’Unità d’Italia. Abbiamo vissuto 150 anni di un’unità centralista che, perlomeno negli ultimi decenni, non ha funzionato. Oggi, il vero nemico dell’autosviluppo, il vero nemico della crescita è il centralismo, non è il Nord contro il Sud, il Sud contro il Nord. Dobbiamo responsabilizzare noi stessi, i nostri territori, dando loro realmente la possibilità di autogovernarsi. Quindi, un’Italia non più ingessata in un centralismo che ha avuto anche i suoi meriti storici ma che, negli ultimi decenni, si è dimostrato assolutamente nemico, e del Nord e del Sud, e dello sviluppo del Paese. Un’Italia che invece diventi, maturamente e compiutamente, federalista. Se guardiamo in giro nel mondo, vediamo che anche in altre parti del mondo lo sviluppo del Paese è affidato molto spesso alla crescita di alcuni territori.
L’esempio più clamoroso: quello della Cina. Il cambio di passo della Cina, 20 anni fa, è avvenuto quando perfino quel Governo comunista ha capito che doveva puntare, scommettere, per la crescita del Paese, su alcune Regioni particolari, le zone economiche speciali: Shangai, Shenzhen, 2 o 3 Regioni alle quali poi sono seguite altre, che hanno trainato, con tutte le contraddizioni, eccetera, eccetera, lo sviluppo di quel Paese. E lo stesso deve valere per noi. Non deve essere più eretico pensare a modelli di sviluppo differenti per le nostre Regioni. Non deve essere più eretico perché questa Italia, così lunga e così diversificata, se continua a pensarsi in una maniera ingessata, tarpa le possibilità di sviluppo di ciascuna delle proprie Regioni.
Io avevo una domanda da fare a Raffaele, non gliel’ho fatta prima, gliela faccio qui. Mi domando: la posizione straordinariamente strategica che la sua Regione ha – Regione italiana, quindi Regione europea, e nello stesso tempo, il punto più vicino ai Paesi della costa meridionale del Mediterraneo, Paesi che in questi anni hanno tassi di sviluppo e di crescita inferiori soltanto a quelli della Cina e dell’India -, conta? Ma è questo che la Sicilia deve poter portare avanti, per noi tutti, non soltanto per lei! Ma oggi, se non sbaglio, un imprenditore siciliano che voglia andare da Palermo ad Algeri o a Tripoli, deve prima fare scalo a Roma, deve andare da Palermo a Roma, cambiare aereo e da Roma andare a Tripoli o ad Algeri. Quale imprenditore siciliano potrà andare a investire in quelle terre, se addirittura il centralismo è diventato così oppressivo anche dal punto aeronautico? Caro Sindaco di Varese, altro che Malpensa!
Quindi, quando pensiamo e parliamo di federalismo, di assunzione di diversi modelli di sviluppo, dobbiamo cominciare a ragionare nei termini di un’Italia del Nord che ha la sua possibilità di crescita strategica, per sé e per l’intero Paese, collegandosi sempre di più ai Paesi dell’Europa Centrale, e della stessa Italia per cui le Regioni meridionali possono essere delle piattaforme straordinarie per agganciare e utilizzare i tassi di sviluppo così importanti dei Paesi che ricordavo prima. Quindi, noi abbiamo davanti questa possibilità di pensare ad un Paese non più centralista ma federalista, ad un Paese che si differenzia per potere essere più unito. Qui vengono i temi dell’agenda politica che, tra poche settimane, tra 15 giorni, alla ripresa dei lavori parlamentari, alla ripresa degli incontri tra le Regioni e il Governo, dovremo insieme affrontare. Me li sono appuntati. Io vedo almeno 5 punti colossali sui quali si gioca la partita del federalismo, che sapremo vincere o sapremo perdere insieme. E su cui il dialogo con e tra le Regioni è doveroso, non un optional ma qualche cosa che va fatto a tutti i costi.
Innanzitutto, approvata la manovra che ormai è Legge, che è dietro alle nostre spalle, c’è un problema fondamentale di risorse per garantire i servizi ai cittadini. Su questo, il dialogo tra Governo e Regioni non può che riprendere: il tema del trasporto pubblico locale, il tema dei finanziamenti alle famiglie, del sostegno, della non autosufficienza, degli aiuti alle imprese. Tutte tematiche che da qualche anno sono affidate essenzialmente all’iniziativa delle Regioni. Ma non potendo le Regioni vivere di risorse proprie – perché dei nostri bilanci non più del 10% sono risorse che preleviamo direttamente con la tassazione dai nostri cittadini, per il resto, il 90%, viviamo dei trasferimenti dallo Stato, non lo vorremmo ma è così -, l’assenza di federalismo fa sì che ogni congiuntura negativa sul versante dei bilanci nazionali si ripercuota immediatamente tra di noi. Quindi, c’è un tema di confronto sulle risorse, altrimenti questi servizi, come noi Presidenti di Regione abbiamo più volte denunciato con voce unanime in tutti i nostri pronunciamenti di questi mesi, saranno veramente penalizzati.
C’è il tema dei Fondi per lo Sviluppo e per l’auto sviluppo delle zone meno favorite, che non sono soltanto le Regioni del Sud, perché ci sono zone meno favorite anche nelle Regioni del Centro e anche nelle Regioni del Nord. Lì, le ricerche che insieme abbiamo fatto, Governo e Regioni, hanno messo in luce molti sprechi o molta inutilizzazione di questi Fondi, ma la situazione è fortemente frastagliata. Ci sono Regioni che al contrario – non soltanto la Lombardia – hanno impegnato molto bene questi Fondi e non possono vedersi bloccate nell’utilizzo di queste risorse strategiche e straordinarie, perché altre Regioni si sono dimostrate invece inadempienti. C’è il tema del Decreto sul federalismo fiscale: il Governo ha cominciato a lavorare con i Comuni e con le Province, ma ci deve essere una contestualità con le Regioni, altrimenti andiamo a fare lo spezzatino del nostro Paese e non federalismo autentico. C’è il problema dei costi standard, è stato citato dai miei colleghi e dai miei amici, e certamente è il punto fondamentale della realizzazione del federalismo fiscale.
Costo standard, lo sapete, ne abbiamo parlato altre volte, è quella definizione del finanziamento dei diversi servizi per cui, se una prestazione costa a quota cento in una parte d’Italia, non può costare centocinquanta, duecento o trecento in altre parti d’Italia. Anche qui, le osservazioni fatte dai miei colleghi dicono abbondantemente come attorno a questa tematica, che può essere descritta con questa parola semplice, però si annidino delle difficoltà e dei motivi di calcolo. E infine, c’è un’altra scadenza che incombe, vedo qui il mio amico Petteni, Segretario Regionale della CISL Lombardia, legato al tema degli ammortizzatori sociali. Noi abbiamo fatto un grande accordo Stato e Regioni, nella primavera del 2009: abbiamo tirato fuori nove miliardi e mezzo di euro per finanziare gli ammortizzatori sociali. E’ stata una decisione virtuosissima, importantissima, che abbiamo assunto insieme, perché ci ha permesso di superare la crisi, di venire fuori dalla crisi molto meglio di altri. Prevedevamo, come termine ultimo, il 31 dicembre del 2010: probabilmente, nelle prossime settimane dovremo misurarci con la necessità di un ulteriore prolungamento della cassa integrazione, dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Dove andremo a reperire le risorse? Ecco un’altra tematica su cui dovremo impegnarci in maniera molto chiara, ecco le difficoltà e le curve attraverso cui passa la realizzazione del federalismo.
Infine, un ultimo punto che voglio toccare brevemente: federalismo per che cosa, con che finalità? Certamente, rimettere a posto i conti pubblici del nostro Paese. Ma soprattutto, raggiungere o riprometterci di raggiungere un meccanismo delle regole di maggiore libertà, di maggiore autonomia per la nostra gente, per i nostri cittadini. Io vedo il federalismo non come un obiettivo ma come uno strumento, il federalismo come il veicolo, lo strumento attraverso cui passa il raggiungimento di una maggiore libertà e autonomia per le persone, per le famiglie, per le imprese, per i cittadini. Il federalismo è lo strumento, l’obiettivo non può che essere la sussidiarietà, una centralità e un protagonismo dei soggetti sociali e delle persone. E allora, da questo punto di vista, il federalismo è inevitabilmente la possibilità di perseguire modelli di sviluppo differenti per le Regioni del Nord e per le Regioni del Sud, modelli diversi di funzionamento tra le diverse Regioni.
Ecco perché Lombardia, Piemonte, Veneto, adesso anche Toscana, stanno chiedendo di avere delle competenze in più e delle deleghe in più da amministrare con responsabilità esclusiva, per poter individuare alcuni temi su cui riteniamo che si possa giocare meglio la crescita civile, sociale, economica delle nostre Regioni. È arrivato il momento, a nostro avviso: su questo non c’è unanimità di vista tra i Presidenti di Regione, ma crediamo appunto che il federalismo debba essere la possibilità di una differenziazione. Sui temi decisivi della formazione, della scuola, dell’Università, le Regioni che lo vogliono debbono poter avere piena e completa autonomia. La Lombardia chiede che su questi temi si possa procedere. Siamo alla vigilia di un cambiamento che può essere straordinariamente positivo, abbiamo bisogno che la nostra gente non si stanchi di esprimerci sostegno e convinzione. Noi Presidenti di Regione, eletti poche settimane fa, questa battaglia la vogliamo fare fino in fondo, ma è una battaglia che possiamo vincere soltanto se saremo insieme al Paese, all’opinione pubblica, ai suoi soggetti sociali e alle persone.
LORENZA VIOLINI:
Abbiamo ancora un momento breve di lavoro, perché mi sembra che, fin qui, l’esperienza che stiamo facendo sia stata quella di capire che le regioni possono davvero essere dei soggetti che vivono, che mettono in atto un cambiamento nella direzione della sussidiarietà. In fondo, questo è un tema che riguarda proprio lo Stato, il tipo di Stato che vogliamo costruire. Lo Stato è in questo momento il grande assente, qui ci sono degli altri soggetti istituzionali, ma questi soggetti istituzionali sono i protagonisti primi del rinnovamento di uno Stato, affinché questo Stato diventi davvero uno Stato unitario. Ancora una battuta conclusiva, perché l’ultimo tema evocato dal presidente Formigoni ci consente di dire una cosa molto importante, cioè che ci sono stati tanti elementi di cambiamento in questi anni. La società italiana ha resistito alla crisi, ma ha resistito perché c’è una società civile che ha voluto resistere, che ha saputo resistere, un aiuto da parte del pubblico ma una grande vitalità della società civile, e un grande amore, anche, a questa parola, sussidiarietà, che da anni il Meeting di Rimini, e poi tutte le altre istituzioni che lavorano su questo tema, hanno portato avanti. Allora, una parola conclusiva per ciascuno dei quattro relatori che ci possa, come dire, lasciare un messaggio, perché il cambiamento e quello che il cuore desidera possa veramente realizzarsi. Presidente De Filippo.
VITO DE FILIPPO:
Sì, qualche velocissima chiosa. Devo dire che condivido moltissimo le cose che ha detto il presidente Formigoni. Non so se questa sera siamo riusciti a far capire che la materia è abbastanza complicata. Mi è piaciuto particolarmente un passaggio, tra i tanti, della sua riflessione: nel Mezzogiorno la politica vince e perde, quindi ci sono cambiamenti anche abbastanza evidenti nell’assetto della guida delle Regioni. Questo significa che, poi, certe descrizioni che vogliono in qualche modo descrivere quella parte dell’Italia sotto assedio di un potere eterno e indissolubile, e insuperabile, invece sono clamorosamente smentite. C’è una democrazia matura, che giudica i propri amministratori, li valuta e cambia. Non è ancora successo in Basilicata, ci sarà una ragione, spero anche nei prossimi anni potrà succedere anche nella mia Regione. Io volevo fare soltanto un’affermazione. Spero che la platea se ne vada almeno con una convinzione: il federalismo fiscale in Italia è partito con un accordo ampio, devo dire quasi unanime delle Regioni. Sarebbe molto bello pubblicare il dibattito che c’è stato in Conferenza delle Regioni, per rendersi conto che, al di là della origine della proposta, dell’accelerazione che è abbastanza nota (il presidente Zaia si può sentire in qualche modo protagonista di una storia che ha avuto una sensibilità particolare su questa materia), quando la pratica è arrivata nelle mani delle Regioni, le Regioni responsabilmente hanno costruito un dibattito, una piattaforma di alleanze, di rapporti, di valutazione di quegli strumenti, migliorando molto, e convintamente tutte le Regioni italiane, nessuna si è sottratta a questa discussione, hanno accolto questa sfida.
Francamente, negli ultimi mesi, un dubbio ogni tanto mi viene nella testa, non per parlare male degli assenti, degli assenti non si parla male, ma la Violini diceva: “Manca lo Stato”. Mi sembra che ieri sia stato abbastanza presente, al Meeting, non è mancato lo Stato, in questi giorni, anzi, lo abbiamo potuto ascoltare con molta attenzione, con altri canali, anche quelli televisivi. La cosa che ci mette un po’ in difficoltà è che è cresciuto una sorta di pregiudizio, che noi speriamo sia passeggero e transitorio, soprattutto contro le Regioni. Io sono abbastanza rinfrancato perché nella relazione che Tremonti ha mandato al Parlamento, quella sul federalismo fiscale, ha citato, bontà sua, un grande lucano, Giustino Fortunati (io sono nato in una paesino vicino a quello di Giustino Fortunati, quindi mi sento in qualche modo anche al riparo da qualche osservazione). Noi abbiamo detto sì, la manovra è stata costruita francamente, dobbiamo dirlo, nel modo migliore, con la faccia più centralista che la mia modestissima esperienza amministrativa ha mai visto nel nostro Paese: la manovra finanziaria.
Nonostante il 2009 sia stato un anno importante per due Leggi, come sanno i colleghi Presidenti, la 42, che è quella sul federalismo fiscale, e la legge 196, che ne era conseguenza, una legge che dice tante cose. Tra le altre, dice: visto che vogliamo andare verso il federalismo fiscale, ogni decisione finanziaria rilevante in questo Paese, da oggi in poi, deve essere fatta con una condivisione di tutti i livelli della Repubblica: Comuni, Province, Regioni, Stato. Francamente, questo gioco scomposto a dividere i Comuni dalle Regioni, a dire che il Comune è il presidio della libertà, e il luogo dove si sono insediati, invece, gli sprechi sono le Regioni, deve finire. Penso che nessuno in questa sala crederà che gli sprechi ci siano a livello di Regione (eppure ci sono) e invece, nei palazzi di Roma, vi siano solo abitanti caratterizzati da angeliche virtù, cioè i Ministri. Io penso che ci siano anche da quelle parti molte materie…
Allora, la cosa che insospettisce, non si vuole dividere il Paese, non si vuole fare un mero trasferimento di gettito tributario, dal Sud al Nord, una pratica che non avrebbe bisogno della parola Riforma, una pratica ragionieristica che possiamo decidere domani mattina: con la sua capacità straordinaria, la sua genialità, credo che Tremonti potrebbe pensare immediatamente un Decreto per trattenere un parte più consistente del gettito che produce il Nord nelle Regioni del Nord. Se la partita fosse questa, sarebbe abbastanza facile. Ma se la partita è un’altra, rendere un Paese più competitivo, più coeso, più unito, è difficile. Formigoni ha detto una cosa efficacissima, in conferenza stampa: la nuova faccia dell’Unità d’Italia porta il nome di federalismo. Io sono molto idealista, e voglio credere a questa prospettiva. Se questo è, non si può liquidare in una pratica, francamente. Io vi consiglierei, domani mattina, di leggervi questa relazione che mi porto dietro, che mi sono studiato parola per parola. Non si può liquidare la storia del nostro Paese con qualche battuta, anche efficace, con qualche citazione: “l’albero storto”, gli sprechi.
Quando devono dire che lo Stato ha cifre discrezionali a sua disposizione, utilizzano la cifra di 84 miliardi. Quando devono dire che le Regioni hanno a disposizione una cifra discrezionale, scrivono 170 miliardi. Lo stesso bilancio dello Stato ci chiarisce, ovviamente in una tabella nascosta in qualche altra pagina, che quando si parla di quella cifra, 170 miliardi, non solo ci sono i fondi della Sanità, che sono costruiti sulla base di patti tra Stato e Regione, con responsabilità puntuali che pretendono, in caso di non rispetto del patto, commissariamenti. Quando arriva il Commissario – lo diciamo a questo pubblico, se non lo sa -, quando arriva il Commissario sulla Sanità in una Regione, quel Commissario è obbligato il giorno dopo a bloccare il turn over: non si fanno concorsi, non si fanno assunzioni, fanno crescere le tasse al massimo consentito, l’IRPEF, l’IRAP devono crescere obbligatoriamente. C’è un terreno di confronto sulla Sanità abbastanza rigoroso, che è stato costruito in questi anni con un lavoro straordinario fra Stato e Regione. Ma in quei 170 miliardi che vengono indicati come spese discrezionali, ci sono i soldi delle Camere di Commercio, delle Università, dei Policlinici, di tutte le autonomie locali.
Vogliamo costruire una piattaforma di dati condivisi o vogliamo liquidare il rapporto, pensando che l’Italia ha un solo ultimo portafoglio dal quale attingere, che sono le Regioni? Le mettiamo sul lastrico? Se mettiamo le Regioni sul lastrico, facciamo il federalismo, come ha detto qualcuno, con il morto, perché io penso che senza le Regioni, in questo tempo abbastanza complicato, il federalismo non si potrà fare. La stessa cosa (proprio 30 secondi) sui costi standard. Dice la relazione: se un Comune apre l’ufficio dell’anagrafe il sabato mattina, è uno spreco o è un costo appropriato? Io penso che non sia uno spreco perché, come dice la relazione, è un esempio virtuoso: se un cittadino può fare attività e svolgere i servizi di anagrafe anche il sabato mattina, non è uno spreco. Mi domando: a un comune di 350 abitanti su una montagna di 1500 metri, quanto costa la garanzia, Luca, per la continuità assistenziale, cioè per una guardia medica, per il trasporto, per la scuola? Il costo standard è una cifra o un metodo?
La Costituzione dice che “i livelli essenziali dei servizi” – tu hai citato l’articolo 116, io cito l’articolo 119 – “devono essere garantiti ai cittadini in qualsiasi punto”, da Abbiategrasso a Caltanisetta, su qualsiasi longitudine e su qualsiasi latitudine. Allora, il costo standard è la stessa cosa a Milano o a San Paolo Albanese, un comune di 300 abitanti a 1000 metri d’altezza? Se vogliamo utilizzare il metodo aritmetico, i conti non torneranno, se invece vogliamo andare a fondo di questo meccanismo, e vogliamo dire che il costo appropriato per garantire la continuità assistenziale, la scuola, i trasporti, è un tot, ha diritto un cittadino che sta su una montagna ad avere un pullman una volta al giorno che lo porti nel capoluogo di provincia? Ha diritto il cittadino della Basilicata a prendere il treno? Lombardo ha sfottuto: l’unico capoluogo di Regione senza Ferrovie dello Stato è Matera. Qualche anno fa, Trenitalia aveva fatto una pubblicità dove c’era un bambino che andava a trovare il nonno con il treno a Matera. Io chiamai l’Amministratore Delegato di Trenitalia e dissi: “Volete anche sfotterci?”. Non c’è!
Io penso che il Sud abbia molte responsabilità e francamente la sento, tutta questa responsabilità. A noi tocca, caro Presidente Lombardo, essere sulla via dell’eccellenza straordinaria, nei prossimi anni. Napolitano, che viene citato spesso dal Presidente Zaia, dice: “Al Sud servono più virtù, ma anche più Stato”, ancora, purtroppo. Fatele fare, le infrastrutture dall’ONU, da una centrale internazionale, da una nuova Cassa del Mezzogiorno: ma è del tutto evidente che c’è un Paese cha ha ancora profondi divari, che non sono dipesi soltanto da cialtronerie o incapacità. L’Italia è andata così per 150 anni, eppure sono stati uomini illuminati a guidare questo Paese, De Gasperi. Francamente, poi, mi consentirete, io non vedo: giro questo Paese in lungo e in largo, conosco tanti amministratori, ci sono tutte persone di qualità, ma se volete dimostrarmi che nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni del Nord abitano soltanto Obama e De Gasperi, e dalla parte di sotto ci sono solo i Ciancimino, io non ci sto, francamente.
LORENZA VIOLINI:
Grazie. Presidente Zaia, abbiamo apprezzato la sua concisione, le chiedo di convincerci ancora di questa sua dote.
LUCA ZAIA:
Sì, mi atterrò ai tempi standard, ci hanno dato 5 minuti: è un’abitudine, avete capito. Due piccole considerazioni, rispetto a questo processo che considero inevitabile, penso che dovremmo pensare un po’ a quello che è il contratto sociale, no? Rousseau diceva che il popolo delega le istituzioni a gestire delle competenze. Ho l’impressione che il popolo rischierà di passarci a destra, a sinistra, sopra, sotto, perché il popolo è molto più in avanti. Lo diceva prima Formigoni, nel parlare delle elezioni in molte Regioni del Sud, ma lo percepiamo noi, noi “on the road”, quelli che stanno in strada, vivono in strada, parlando con i cittadini. I cittadini hanno le tasche piene di chi litiga, le tasche piene di chi non fa nulla, le tasche piene degli sprechi, di tutto quello che non funziona. Quindi, io penso che non dobbiamo stare qui ancora tanto a discutere, dobbiamo decidere. Quanto al Sud, il Sud non ha un’orografia, con tutto il rispetto per il topografo, differente da quella del Nord. Io vengo da una Regione dove sta l’80% delle Dolomiti: posso dirvi che abbiamo Comuni con 50, 100, 200 abitanti, ma nei costi standard ci stiamo. Poi, vado sempre a vedere i dati della Calabria, mi perdonino i calabresi, una bella Regione, tra l’altro, e vedo che 7 ospedali, 200 posti letto, gridano vendetta. Vedo che il numero di TAC, addirittura, è superiore a quelle del Veneto, ma non riescono a curare gli ammalati. Vedo che l’unica qualità della Sanità è quella di esportare ammalati verso il Nord, però vuol dire che il problema è più profondo, è un problema di forma mentis, è il problema di accettare che un’autostrada che si chiama Salerno-Reggio Calabria diventi storicamente un’incompiuta, che comunque ci si abitui ad avere i cantieri.
Allora, penso che la riflessione sia sicuramente quella delle accise, delle perforazioni, trivellazioni e tutte le storie che abbiamo sentito, dei 20 o 30 miliardi di euro di accise. Però, penso anche che noi abbiamo una grande fortuna che è quella del turismo, dove queste Regioni potrebbero esprimere al massimo il loro potenziale. Io vengo dalla prima Regione turistica d’Italia, con 62 milioni di presenze turistiche: non è facile fare turismo, perché il turista vuole pulizia, ordine, rigore, organizzazione. Allora, che il mare, o meglio, i mari delle Regioni del Sud siano molto più appetibili e abbiano molto più appeal di quelli del Nord, è risaputo. Vuol dire che qualcosa non funziona. Io penso che si possano fare anche le grandi strategie, le grandi rivoluzioni e le faremo, ma che ci siano anche quelle piccole: la buona Amministrazione, pensare che se vado a Riace a vedere i Bronzi, non devo trovare il museo chiuso, la motivazione dell’amor proprio: e lo dico spesso a comunità che invocano il senso nazionale, invocano la bandiera, invocano l’unità, ma poi quel senso d’appartenenza si perde nel trovare il museo chiuso, l’ospedale che non funziona e tutto che non va. Questo è il problema. Allora, tutti assieme dobbiamo governare questa rivoluzione – e ho chiuso, i 5 minuti sono scaduti -, perché altrimenti il popolo si arrangerà da solo. Grazie.
LORENZA VIOLINI:
Presidente Lombardo.
RAFFAELE LOMBARDO:
Spero pochi minuti anch’io. Per ribadire che, per come lo immagino, per come ci ho creduto, per come mi aspetto questo federalismo, questa riforma federale, soprattutto la parte importante e significativa della riforma, i Decreti Attuativi, fino ad oggi sono stati i dibattiti, grandi aspettative e naturalmente questa Legge che ha tenuto conto, come vi dicevo, di tante delle nostre aspettative a proposito di perequazione infrastrutturale, di fiscalità, di accise e di nuove funzioni. Perché, o il federalismo è un vero federalismo o sarà, colleghi Presidenti e signori che ci ascoltate, soltanto una grande illusione, se posso permettermi, anche un grande inganno. Io e la Sicilia, nonostante quello che si legge sulla stampa, non abbiamo chiesto in questi due anni, nulla di particolare, nulla se non quello ritenevamo ci spettasse. Questo mitico FAS, per carità, quello precedente non è speso, ci si dica, Fitto e Tremonti lavorano per una verifica in tal senso. A me non importa dei 4 miliardi e 313 di cui alla Delibera dell’agosto dell’anno scorso, per cui si gridò allo scandalo: eravamo a posto con un piano che presentammo che fu approvato dal CIPE. Ma da allora ad oggi non è stato fatto neppure il Decreto di Trasferimento, da qui al 2012, di questa cifra. E a proposito dell’aeroporto di Catania come Hub per il Mediterraneo: piuttosto che dover passare da Malpensa, ovvero da Fiumicino, oggi noi ci ritroviamo, a proposito di perequazione infrastrutturale, con tre vertenze o confronti aperti, e per un isola i temi non sono da niente, a proposito di trasporto marittimo Tirrenia (mi auguro che il Tesoro voglia ascoltarci), di autostrade e di aeroporti. Classificare Comiso come regionale piuttosto che come aeroporto nazionale, vuol dire, intanto, caricarci gli oneri (forse saremo i pochi in Italia, se non gli unici) per la sicurezza, i Vigili del Fuoco e il controllo aereo. Se di questi oneri se ne deve far carico la Regione o, addirittura, addebitarli sui biglietti, quell’aeroporto diventa sicuramente impraticabile.
Quindi, mi aspetto che, contestualmente a questo confronto, si discutano e si affrontino e si sciolgano questi nodi, perché in caso contrario, nonostante noi facciamo l’impossibile, nonostante abbiamo assunto la consapevolezza che il 99% delle cose che non vanno sicuramente si sono costruite grazie all’accondiscendenza e alla nostra complicità, in questo rapporto perverso fondato su assistenzialismo e clientelismo tra Stato e Regioni del Sud, in maniera particolare. Ma non è colpa solo nostra: credo che se il federalismo avrà un senso, dovrà essere il superamento di questa impostazione, di questo rapporto perverso tra Stato centrale e Regioni meridionali.
Purtroppo, dice due cose, Zaia, che sono significative e sintomatiche di un modo di pensare che si fa strada nella nostra mente senza che ce ne accorgiamo. Le cose non vanno, è vero, gli ospedali sono piccoli e andrebbero chiusi, noi lo stiamo facendo, Presidente, però tu parli di una forma mentis, come se noi avessimo mentalmente questo deficit o questo gap che è legato forse ai nostri cromosomi. Io questo non lo accetto. E che la logica del piano di rientro, l’ho detto tante volte a Tremonti, ci venga applicata, se non siamo capaci di attuarla noi, in tutti i rami della nostra amministrazione! Così come la Salerno-Reggio Calabria, Dio mio, è un appalto dell’ANAS che ha affidato la realizzazione di quest’opera, che credo vada avanti da 15, 20 anni, e ne potranno passare altri 20, ad alcune imprese che la realizzano, se non sbaglio sarà la stessa Impregilo, che realizzerà strade in Piemonte come altrove. Sia la Anas inflessibile, in Calabria come lo è nel Piemonte o nella Lombardia, piuttosto che nel Veneto. In caso contrario, non ce la possiamo fare sicuramente da soli. Però dobbiamo attrezzarci, questo è uno sforzo che dobbiamo compiere.
Poi, la seconda cosa: se è vero che siete pronti ad assumervi nuove responsabilità e nuove funzioni, l’hai detto tu, Toscana come Piemonte, Veneto o Lombardia, forse noi dovremmo averne altre, specie se passa quel sistema, c’è scritto accisefunzioni. Se io incasso un miliardo di euro di accise, dovrò pagarmi la scuola, e affronto da me un problema. In tre anni con la riforma Gelmini, ieri sono stato aggredito, non contestato, perché sono andato a dare solidarietà a tre persone che facevano lo sciopero della fame: noi perdiamo 21mila posti di lavoro. C’erano, erano precari, ma 21mila persone cercheranno lavoro. Non ho fiatato, mi sono preso le contestazioni che forse erano indirizzate verso il Governo centrale, ma non c’è dubbio che noi, se dovessimo assumere altre funzioni, che ne so, pagare i ferrovieri con quel miliardo, o pagare i docenti, avremmo ancora qualche problema in più perché, a fronte di un centralismo statale, c’è anche un centralismo regionale che è la causa di molte delle nostre inefficienze.
Allora, io porterò, con la ripresa di settembre, un primo Disegno di Legge ispirato al principio della sussidiarietà: viene letto come l’abolizione delle Province, come la costituzione dei liberi consorzi. Io dico questo: se ci sono 100mila dipendenti alla Regione, non 20mila, se un cittadino di un Comune che dista 300 km da Palermo, oggi, per come è organizzata la mia Regione deve recarsi a Palermo a fare la domanda, ci torna fra tre mesi e si accorge che il dirigente è cambiato, poi si accorge che è stato chiesto un parere all’Ufficio Legislativo, e poi gli dicono che non sono sicuri sul da farsi, dopo due anni. Io risolvo il problema se, intanto, non abolisco le Province ma abolisco questa Regione, cioè sussidiariamente devolvo ai Comuni una parte di questa competenza, di questi poteri. Poi i Comuni si organizzeranno per come prevedeva lo Statuto di questa Regione, per come non è stato mai fatto.
Questo lo faccio, ma vorrei anche poter organizzare il mio modello di sviluppo, decidere io a proposito di turismo, se devo perforare il mio territorio sulla terra ferma o a mare, con il rischio che, poi, di turismo io non ne vedo più e vedo invece autorizzata, per carità, una centrale nucleare in quel di Palma di Montechiaro, che forse non incoraggerebbe lo sviluppo del turismo. Questo lo devo decidere io, contratto ed eventualmente incasso i relativi tributi. Qual è la mia preoccupazione? E’ il terzo punto e chiudo. Piuttosto che di federalismo, potremmo parlare forse – e sarebbe un grosso guaio, in questo mi affido ai colleghi che faranno da interrogatori autorevoli e forti del Governo nazionale – soltanto di un decentramento fiscale tributario. E si realizzerà quella tesi che abbiamo letto sul Corriere della Sera, credo sei mesi fa, non so se a firma di Galli della Loggia o di Panebianco: e cioè che le Regioni del Nord, che hanno ovviamente un’entrata tributaria notevole, potranno acquisire autonomia e realizzare un vero federalismo, liberandosi ovviamente delle mille pastoie del centralismo romano.
Il federalismo, o vale per tutti oppure non servirà a unificare l’Italia, perché deve camminare di pari passo – e in questo, se permettete, sono ottimista – con la scuola, le ferrovie e quant’altro che saranno governate a livello regionale. Dovremo anche assistere allo smantellamento di Ministeri, Direzioni generali, strutture tipo ferrovie, centrali, strade. Se permettete, anche un minimo di riorganizzazione della politica, con annessi i sistemi elettorali e dei partiti, dovremo vederlo, perché ogni struttura centrale – RFI, ANAS, Grande Ministero, Grande Direzione Generale o Partito Centrale – di fatto è nemico del federalismo, impedirà che il federalismo si realizzi.
E allora, o è federalismo o è federalismo da un canto, e addirittura, guai a noi, centralismo che, mantenendo le sue strutture, governerà soltanto le povere Regioni meridionali che da questo circolo vizioso non usciranno più. E allora troviamo un sistema – altro che soggezioni! – che ci consenta di svilupparci. Non ho seguito il discorso di prima sulle dimensioni in kmq e in abitanti, però, vedete, noi abbiamo – la lascio cadere qui, per carità, sono italiano, credo alla bandiera e all’inno -, a due passi da noi, a un’ora e mezza di catamarano, uno sputo di terra in mezzo al Mediterraneo che si chiama Malta. Ha gli stessi abitanti della mia città di Catania, quella dove sono emigrato, ha tre Deputati europei, un Commissario, realizza la fiscalità di vantaggio, nel senso che decine di piccoli imprenditori nostri, che non vanno in Slovenia e manco in Cina, vanno ad aprire pizzerie, ristoranti e piccole fabbriche da quelle parti, assumono persone, danno lavoro e, per carità, mandano a casa gli utili di questa loro attività. Perché hanno trovato a portata di mano un piccolo paradiso che è dotato di una cosa che si chiama indipendenza. Che sia un federalismo per tutti, che ci costringa, se non ne siamo capaci, ad essere virtuosi, perché dopo 150 si cominci veramente a costruire l’unità del Paese. Grazie.
ROBERTO FORMIGONI:
Sì, brevemente, ma vorrei fugare una sensazione che potrebbe esserci con questo secondo giro. Stiamo facendo un passo indietro invece che un passo avanti, nel senso che io ricordo a me stesso che la tematica del federalismo, come ricordava De Filippo, è nata da noi, è un orgoglio dei Presidenti di Regione. La riflessione partì da noi, partì nel 2001, quando ci radunammo in Calabria, a Copanello, per due giorni. Il tema dei costi standard l’abbiamo inventato noi: voglio dire, ci sono alcune questioni oggettive sulle quali non possiamo e non dobbiamo fare passi indietro. Ci sono alcune questioni sulle quali noi Presidenti di Regione dobbiamo dare prova di grande responsabilità: sulla base di questo, possiamo chiedere ad altri livelli di Governo un’altrettanta responsabilità, e spiegherò perché. Il Fondo Sanitario Regionale, ce lo ripartiamo noi, tra Presidenti di Regione. Ci mettiamo due giorni, tre giorni e due notti, ma alla fine, poco o tanto che sia, in genere è poco, il Fondo Sanitario Regionale ce lo ripartiamo fra di noi, secondo criteri che tutti condividiamo.
Allora, per esempio, cominciamo a dire che, nel tema della Sanità, abbiamo individuato un criterio oggettivo. Siccome ce lo dividiamo noi, cioè, ci assumiamo l’impegno che quei soldi che ci siamo divisi, dove ogni Regione conta per uno, li riteniamo sufficienti per garantire ai nostri cittadini i livelli essenziali di assistenza. Allora cominciamo a riconoscere che le Regioni che sono in pareggio svolgono fino in fondo il loro dovere, e le Regioni che, avendo preso i soldi che hanno ritenuto adeguati, poi creano dei deficit sanitari – e sono molte -, non stanno facendo fino in fondo il loro dovere: questa è una misura oggettiva, è un’assunzione di responsabilità oggettiva che dobbiamo avere. Vuole dire che dovremo essere tenaci e instancabili nell’accumulare numeri su numeri su numeri: in Sanità abbiamo trovato il metodo, abbiamo bisogno di più statistiche.
L’altro giorno, leggevo, è venuta fuori la statistica sulla presenza di invalidi civili all’interno delle nostre Regioni: è una competenza che è passata alle Regioni. E’ chiaro che ci può essere un’incidenza maggiore delle malattie o delle invalidità civili in un punto d’Italia piuttosto che in un altro, ma andatevi a rileggere, nella classifica pubblicata la settimana scorsa, le differenze abissali tra Regione e Regione sul tema dell’invalidità civile. Costituiscono un’altra responsabilità che noi Presidenti di Regione dobbiamo saperci assumere fino in fondo. In una prospettiva di tempo, è chiaro: bisogna dare tempo ad Amministratori come il Presidente Lombardo, prima di stoppare l’assunzione di dipendenti e poi diminuirla, perché il numero di dipendenti regionali per milioni di abitanti può e deve essere un altro criterio per misurare la virtuosità o no di una Regione. E il numero dei dirigenti e il numero dei Consiglieri Regionali o degli Assessori, ovviamente, in maniera proporzionale rispetto alla popolazione. Noi Presidenti di Regione abbiamo l’obbligo, nei confronti dei nostri cittadini, di misurarci ormai sulla base di questi criteri di virtuosità. Siccome questa responsabilità noi ce la siamo assunta e ce la stiamo assumendo, possiamo e dobbiamo chiedere anche agli altri la stessa virtuosità.
Vedete, nelle Legge sul federalismo fiscale e sui costi standard, va abbastanza tutto bene, dal mio punto di vista. C’è una cosa che non va bene: quando l’ho fatto presente, mi è stato detto di no. Ho detto che, siccome il tema dei costi standard lo riconosciamo come un sistema per dividerci equamente le risorse, bene, questo stesso sistema dei costi standard deve essere applicato anche al Governo nazionale e ai Ministeri. Questa risposta ancora non c’è, i Ministeri e il Governo nazionale non accettano di farsi misurare dall’indice di virtuosità che noi Regioni abbiamo saputo assumere e di cui abbiamo saputo farci carico. Questa è una richiesta forte, di fronte alla quale, mi spiace, abbiamo ragione noi e non il Governo nazionale. Nell’ultima discussione a Palazzo Chigi, poiché il Presidente Berlusconi ha riconosciuto la giustezza della nostra richiesta, abbiamo ottenuto che finalmente, dopo tre anni, si dia luogo ad un’unica Commissione Nazionale Mista, fatta da Regioni e Stato, poi si assoceranno anche i Comuni e le Province, per andare a misurare come vengono spesi i denari pubblici, capitolo per capitolo: questo è ciò di cui abbiamo bisogno, dei numeri chiari, che dicano l’indice della virtuosità di ogni comparto, perché il tempo delle vacche grasse è veramente finito ma deve essere finito per tutti, non ci possono essere figli e figliastri, da questo punto di vista.
LORENZA VIOLINI:
Bene, mi sembra davvero che sia stato un dialogo fruttuoso, che non sia stato un passo indietro, che ci siano state proposte concrete. Speriamo che la nuova stagione possa dare ragione di quello che abbiamo sentito. Grazie a tutti.
(Trascrizione non rivista dai relatori)