EUROPA: TRA VALORI DA RISCOPRIRE E NUOVE SFIDE DA AFFRONTARE

Interviene David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo. Partecipano: Giovanni Bruno, Presidente Fondazione Banco Alimentare Onlus; Silvio Cattarina, Fondatore e Presidente Cooperativa Sociale L’Imprevisto; Pino Morandini, Vice Presidente vicario Movimento per la Vita. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Cdo.

Europa: tra valori da riscoprire e nuove sfide da affrontare

Interviene David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo. Partecipano: Giovanni Bruno, Presidente Fondazione Banco Alimentare Onlus; Silvio Cattarina, Fondatore e Presidente Cooperativa Sociale L’Imprevisto; Pino Morandini, Vice Presidente vicario Movimento per la Vita. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Cdo.

 

BERNHARD SCHOLZ:

Buongiorno e un cordiale benvenuto al presidente del Parlamento europeo David Sassoli. David Sassoli è stato eletto all’inizio del suo terzo mandato al Parlamento europeo come 16esimo presidente, successore di Antonio Tajani, dico 16esimo presidente perché dice che si tratta di una istituzione relativamente giovane ma già con una storia molto significativa. Durante la campagna elettorale si è discusso molto e spesso anche conflittualmente sull’Unione europea, sulla sua sostanza democratica, sulla sua responsabilità sociale, sulla responsabilità economica. Alla fine gli euroscettici non hanno raggiunto il risultato che si aspettavano ma questa è una ragione in più per i parlamentari che hanno a cuore l’Europa di impegnarsi con competenza, determinazione, anche passione, per affrontare le problematiche che sono presenti tra i cittadini. Lei ha detto in una recente dichiarazione che prevede una legislatura politica e pragmatica, obbligata a dare risposte concrete ai problemi della solidarietà, dell’ immigrazione, della coesione sociale. Un programma impegnativo, ma per questa ragione, perché questi sono i temi che alle persone interessano, abbiamo pensato di iniziare con tre testimonianze di persone che si occupano di problemi sociali, della povertà, del disagio dei giovani, delle famiglie e quindi iniziamo subito con Giovanni Bruno, presidente del Banco alimentare, che rappresenta in questa occasione anche la Federazione europea dei banchi alimentari.

 

GIOVANNI BRUNO:

Buongiorno a tutti, autorità, presidente. Innanzitutto grazie per questa opportunità offerta non solo a noi, responsabili, dipendenti e volontari tutti della Rete Banco Alimentare ma anche agli amici del Banco Farmaceutico, Banco Informatico/Biomedico e Banco Building con cui condividiamo le logiche, i motivi ispiratori del nostro operare

Mi permetto di introdurre il mio intervento con una frase tratta dal discorso che Papa Francesco ha rivolto ai membri dell’Assemblea Generale della Federazione Europea dei Banchi Alimentari (Feba) in occasione dell’udienza privata concessa il 18 maggio scorso: “[…] le vostre realtà, pur recenti, ci riportano alle radici solidali dell’Europa, perché ricercano l’unità nel bene concreto: è bello vedere lingue, credo, tradizioni e orientamenti diversi ritrovarsi non per condividere i propri interessi, ma per provvedere alla dignità degli altri”. Queste parole bene richiamano le fondamenta storiche che condividiamo e l’Unione europea che desideriamo, come del resto perfettamente esplicitato dal motto stesso dell’Unione: “Unita nella diversità”! Tale unità si alimenta di “fatti”, opere, capaci di creare innanzitutto solidarietà, coesione, come già auspicato dai Padri dell’Europa nel 1950.

In Italia la Fondazione Banco Alimentare nasce 30 anni fa, e da subito, dal 1990, partecipa alla Feba. Opera attraverso l’azione congiunta della Fondazione Banco Alimentare e di 21 Organizzazioni locali, che insieme costituiscono la “Rete Banco Alimentare”. Lo scorso anno, grazie all’impegno di oltre 1.800 volontari stabili, abbiamo potuto ridistribuire a circa 8.000 organizzazioni caritative quasi 90.000 tonnellate di alimenti, riuscendo a recuperarne da un possibile spreco oltre il 40%: quello che per il Mercato non aveva più valore perché non più vendibile, grazie al Banco Alimentare ha quindi ritrovato valore e un valore fondamentale per l’uomo: nutrire il suo corpo e la sua speranza di vita! Assumendo così anche un valore emblematico nella logica di Economia Circolare. Il 10% è derivato invece dalla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, che si realizza ormai da 22 anni l’ultimo sabato di novembre davanti a circa 12.000 supermercati, occasione capace di mobilitare oltre 140.000 volontari, appartenenti a tradizioni, culture, credi, nazionalità le più disparate ma uniti in un gesto di condivisione e di solidarietà. Infine il restante 50% è invece pervenuto dal “Fondo di aiuti europei agli indigenti” il Fead.

La Feba, di cui porto i saluti del presidente Jacques Vandenschrik e del Segretario Generale Angela Frigo, presente in sala, è stata costituita nel 1986 e ad oggi rappresenta i Banchi Alimentari di 29 paesi, di cui 23 Stati membri dell’UE.

Nel 2018 questa rete di 421 Banchi Alimentari ha distribuito 781.000 tonnellate di alimenti di cui il 72% recuperate lungo tutta la filiera alimentare evitando così che andassero sprecate. Ma non tutto si riesce a recuperare: il 7% proviene dalle donazioni dei cittadini attraverso le Collette Alimentari mentre circa il 21% proviene dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) È stato perciò possibile sostenere, grazie all’impegno di quasi 32.000 cittadini europei, più di 45.000 organizzazioni non profit (come Caritas, Conferenze di San Vincenzo, Soccorso Popolare, Ristoranti del Cuore, Croce Rossa, ecc.) che a loro volta hanno accolto e accompagnato più di 9.000.000 di cittadini europei a rischio emarginazione. Nonostante questo impegno quotidiano, il nostro aiuto arriva a circa un quarto degli oltre 33 milioni di europei che vivono in stato di grave deprivazione materiale.

Le crisi continue toccano molti cittadini europei nelle loro necessità primarie. Le persone però non chiedono solo di sopravvivere ma di poter vivere con dignità e guardare con fiducia al futuro. La nostra esperienza ci conferma che lavorare per la coesione sociale significa porre al centro la persona e il sostegno che può ricevere da una rete di relazioni, sviluppando così il senso di appartenenza alla comunità. È uno sforzo congiunto per costruire strategie di lungo periodo e che necessita della collaborazione dei diversi attori capaci di coniugare la solidarietà con adeguate politiche sociali, del lavoro e di sviluppo economico: la coesione sociale è la grande occasione di sviluppo attraverso la riduzione delle diseguaglianze tra i cittadini, come anche indicato negli Obiettivi di sviluppo sostenibile proposti dall’Onu nell’Agenda 2030. In particolare, l’aiuto alimentare è una vera e propria via d’accesso a percorsi di reinserimento sostenibile delle persone. È quindi la base indispensabile da cui partire per sviluppare tutte le altre misure di accompagnamento.

La mobilitazione di migliaia di organizzazioni della società civile e l’impegno di centinaia di migliaia di volontari possono incoraggiare gli Stati ad adottare una strategia di lotta alla povertà e allo spreco alimentare in partenariato con le organizzazioni stesse senza le quali i territori più vulnerabili avrebbero maggiori difficoltà. L’Unione europea sta dando un contributo fondamentale a questa realtà, grazie al Fead che ad oggi ha fornito un’assistenza di cui c’è estremo bisogno, in coerenza e complementarietà con le misure di riduzione della povertà a livello nazionale.

Si sta ora definendo in Europa il quadro finanziario pluriennale e le relative politiche per il periodo 2021-2027. Il Parlamento europeo, l’unico organo dell’UE eletto a suffragio diretto che rappresenta i 500 milioni di cittadini dell’UE, non può e non deve lasciare indietro nessuno, soprattutto i più vulnerabili. (Parafrasando una sua recente frase, presidente, “…Se l’Europa non saprà farsene carico significherà che avremo perso l’anima oltre che il cuore…”)

Per questo ci permettiamo di chiederle un’attenzione particolare perché la percentuale di spesa per la coesione non diminuisca in quanto rappresenta il vero valore aggiunto europeo. Una diminuzione del bilancio della coesione rischia di rendere vani gli investimenti e i risultati ottenuti fino ad oggi per rafforzare le fondamenta dell’UE. Ridurre le risorse per l’assistenza alimentare e materiale nel futuro Fondo sociale europeo Plus (Esf+) significherebbe di fatto abbandonare a loro stessi milioni di cittadini europei, con un enorme costo sociale. Le risorse per la coesione possono diventare leva di un’economia civile basata su principi di cooperazione, collaborazione e innovazione. Possono trovare integrazione con altri temi centrali dell’agenda europea: agricoltura sociale, economia circolare, cooperative di comunità, imprese sociali, ecc. E ultimo ma non meno importante di questi tempi: l’Unione europea viene percepita come concreta e vicina ai suoi cittadini che si trovano in difficoltà, un’Europa che vuole offrire loro un futuro migliore.

Ringraziando tutti per la pazienza, desidero condividere con lei e con tutti i suoi colleghi a inizio di questa nuova legislatura del Parlamento europeo, l’augurio e l’incitamento che ci ha rivolto Papa Francesco durante la già citata udienza: “[…] non è cercando il vantaggio per sé che si costruisce il futuro; il progresso di tutti cresce accompagnando chi sta indietro”. Da parte nostra le garantiamo fin da ora tutta la nostra disponibilità a collaborare con i suoi uffici e le istituzioni europee, insieme anche ai nostri amici e colleghi del Banco Farmaceutico, Banco informatico/Biomedico e Banco Building che condividono con noi la stessa passione e mission pur in settori diversi. Grazie!

 

BERNHARD SCHOLZ:

Grazie a Giovanni Bruno: Chiedo a Pino Morandini, vice presidente vicario del Movimento per la Vita di venire sul palco.

 

PINO MORANDINI:

Vorrei primariamente ringraziare l’associazione del Meeting, cito per tutti la professoressa Smurro, per l’invito, per la cordiale accoglienza e con lei tutti i collaboratori dal primo all’ultimo e salutare cordialmente sia il presidente del Parlamento europeo, sia il moderatore Scholz, sia gli altri relatori, sia anche voi, ciascuno di voi, perché con questa presenza preziosa date significato, date tono a questo nostro incontro. Personalmente devo dire che ho trovato molto stimolante il titolo che è stato dato a questo momento di confronto, proprio perché ci invita per un verso al recupero dei valori antropologici, che hanno fatto grande l’Europa, e per un altro verso a vedere come oggi, nei tempi nuovi, dobbiamo saggiarli, se hanno ancora qualcosa da dire, se hanno ancora qualcosa da darci. In effetti rispetto all’Europa di ieri, quella che hanno pensato i tre padri fondatori, De Gasperi, Schumann, Adenauer, che avevano pensato a stati laici, ma consapevoli delle loro radici cristiane, poste su due grandi colonne, da un lato l’identità europea, dall’altra un’Europa che fosse una potenza economica competitiva con gli altri continenti, rispetto all’Europa di ieri, dicevo, l’Europa di oggi sta segnando un po’ il passo, perché vediamo che il referente privilegiato sia spesso, se non quasi sempre, il mercato. C’è una invasione in campi che, per la sussidiarietà, per il principio di sussidiarietà, spetterebbero agli Stati membri e quindi è necessario, il titolo ci invita chiaramente a questo, aiutare ciascuno per la propria parte, dal più piccolo al più grande, aiutare questa Europa a riscoprire se stessa, a ritrovare le proprie radici. Perché l’Europa, voi sapete, non è solamente una regione geografica, ma è anche un’espressione culturale e questo dobbiamo cercare di fare, rialimentare questa cultura europea. Lo affermano non solo i credenti, ma anche tanti non credenti. L’altro giorno ho trovato uno scritto dello scozzese Niall Ferguson che si definisce come inguaribile ateo, che afferma sistematicamente che bisogna aiutare l’Europa a riscoprire le sue radici. Il compito che è stato a me assegnato è quello di scoprire due radici che hanno fatto grande l’Europa, che io spero l’aiutino ancora in positivo a ridiventare l’Europa per cui è nata nell’intuizione dei padri fondatori. Le due radici sono la famiglia e la vita umana. La famiglia è già descritta dalla Costituzione, anzi da tante Costituzioni europee e perfino da documenti internazionali come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e chiediamoci se ha ancora qualcosa da dire, da dare a questa società del terzo millennio, pure se ormai ha lasciato il tempo che trova. Mi pare che la famiglia, data l’esperienza che vivo quotidianamente in questo volontariato e nonostante sia sfidata da una cultura e da una mentalità che molte volte non le è favorevole, mantenga la sua grande qualità di risorsa per la persona. La persona evidentemente nella famiglia si trova in una comunità di persone, fa l’esperienza della gratuità, vede che c’è l’attenzione ai più deboli, aiuta ed educa al senso del dovere, al senso del sacrificio, al senso della rinuncia. Badate che sto pensando non a delle famiglie perfette che vediamo in certe pubblicità ma alle famiglie nostre, di tutti giorni, dove si fa fatica a sbarcare il lunario, dove si discute, ma si tocca con mano che è più grande quello che unisce rispetto a quello che può dividere. La famiglia è poi trasmissione della vita, sia per il concepimento sia per l’educazione dei figli. Quindi, già questo dice quale risorsa sia non solo per la persona ma anche per la società. Cosa si intende con risorsa per la persona? Normalmente in famiglia la persona vive le esperienze fondamentali della vita, come il nascere, il morire, l’amare, il soffrire e viene aiutata a formare la sua personalità dalle risposte alle domande di fondo che pongono queste esperienze all’uomo. È una risorsa per la società, perché è la prima scuola di funzioni e di virtù che poi diventano virtù sociali. Inoltre contribuisce, in modo davvero originale, ad umanizzare e personalizzare la società. Il benessere della persona, di ciascuno di noi dipende dalla qualità delle nostre relazioni umane. Ebbene la famiglia, anzi il genoma sociale della famiglia, è qualcosa che è orientato ai beni relazionali. Oggi abbiamo bisogno, questa società ha sempre più bisogno, di relazioni autenticamente umane, quindi se vogliono rendere più umana la società, la famiglia deve essere aiutata a mantenere il suo genoma. Se questo viene alterato, si rischia molto, sia per i componenti della famiglia ma soprattutto per il bene della società. Questo un po’ alla volta ci aiuta a fare sistema come dicevamo prima di questo incontro fra noi relatori. Quindi è necessario che ciascuno lavori per questa cultura, per la famiglia e se mi consentite che ciascuno evidenzi ragioni umane, laiche che fanno capire che c’è un nesso vitale tra la felicità privata a cui tutti aspiriamo e la felicità pubblica. Del resto ci sono ricerche empiriche che dimostrano come la famiglia sia decisiva per il benessere materiale e spirituale della persona. Ci sono delle ricerche che dicono che è inutile lamentarsi dei mali sociali che pure ci sono – frammentazioni, individualismi, devianze, non-accoglienza della vita – se poi le istituzioni sono disattente alla famiglia, perché la famiglia fa prevenzione dei mali sociali, oppure li cura. Pensiamo a tutti i genitori che si fanno carico non solo dei propri figli ma anche di quelli in difficoltà, danno una mano alla società erogando servizi sociali primari, come accoglienza dei bambini, cura degli anziani. Quindi la famiglia lavora per il bene comune. Verrebbe da chiedersi cosa fa invece lo Stato e cosa fanno le Regioni per la famiglia. Devo dire che in questi decenni lo Stato non ha fatto molto ma proprio per questo dobbiamo spingerlo in positivo a fare qualcosa, però c’è stata qualche Regioni virtuosa: in ordine cronologico il Trentino Alto-Adige negli anni ’90 ha fatto il pacchetto famiglia, che investiva allora 100 miliardi di lire per la famiglia, investendo in servizi, in aiuti per le famiglie, soprattutto quelle numerose, ma non soltanto. È chiaro che bisogna investire di più e se mi è permesso un suggerimento, vedere la famiglia non nella frammentazione dei suoi singoli membri ma vedere la famiglia come soggetto sociale, unitario, che ha i suoi diritti ma ha anche i suoi doveri, sapendo che investendo sulla famiglia e pensandola come cittadinanza sociale, la famiglia poi sta meglio, vedendola come risorsa, quindi con politiche non tanto assistenziali quanto promozionali, la famiglia diventa sempre più risorsa, eroga servizi primari e la società ne ricava solo bene a partire dalle relazioni umane che prima ricordavo. Mi piacerebbe anche pensare – io non sono economista – che un po’ alla volta si superasse il Pil, pensando proprio al bene che fa la famiglia dal punto di vista delle relazioni umane e quanti soldi fa risparmiare alle istituzioni, quando per esempio cura in casi gli anziani anziché metterli in casa di riposo, quando accoglie i bambini di altre famiglie etc. Allora è chiaro che dentro tutto questo si accosta anche il tema della trasmissione della vita. Come giustamente il presidente Scholz mi ha invitato a sottolineare, siamo in un contesto di denatalità, i cui effetti purtroppo non positivi si stanno già adesso declinando sulle generazioni di oggi, immaginate poi su quelle di domani. Voi capite che il ruolo della famiglia e comunque di chi aiuta ad accogliere la vita diventa molto importante. E qui non posso ricordare il bellissimo titolo dato a questo Meeting: “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”. Io non posso non pensare in questo momento alle tante donne che in questi anni di volontariato hanno fatto accesso al Centro aiuto alla vita, molte delle gestanti che vivevano una gravidanza difficile o indesiderata e quindi erano nella disperazione e si sono sentite accarezzate da uno sguardo, lo sguardo con cui guardo l’altra persona e questo riguarda non solo le gestanti ma ciascuno di noi, dice della nostra umanità o della nostra minore umanità e tanto volte è bastato questo sguardo perché la donna accogliesse il figlio che aveva in grembo. È molto bello questo, perché in questo modo, sentendosi accolte, riscoprono la bellezza della maternità. Diceva l’altra giorno una giovane donna che aveva già accolto due figli e stava aspettando il terzo – i primi due accolti con difficoltà – che ha sperimentato che la maternità è un master, perché insegna a far le cose meglio e con la metà di tempo delle altre. Concludendo, ricordo solo che questo volontariato che da quarant’anni sta vicino alle gestanti, ha aiutato a nascere più di 200mila bambini e ha ridato tanta speranza a tante mamme. Mi chiedo quanti sarebbero i bambini se accanto a questo volontariato, che deve sempre di più perfezionarsi, fare meglio, perché è nostro dovere, non possiamo mai vivere sugli allori, quanti più sarebbero questi bimbi se anche le istituzioni facessero di più – lo prevede la legge, l’articolo 1, terzo comma della 194. Allora mi permetto davvero, con tutto il cuore, di fare appello, io so che lei presidente Sassoli è sensibile a queste cose, perché so che lei è un uomo di cuore, io mi permetto di fare appello alla politica. Avendo fatto anche politica, posso dire che occuparsi della famiglia e della vita ridà freschezza alla politica, riavvicina la gente alla politica, ridà speranza alla società e quindi tanto più in un’epoca in cui si vuole addirittura costruire la vita, io penso che in questa nuova fase della massima potenza tecnologica il destino della persona umana sarà sempre più condizionato da una nuova sapienza e questa nuova sapienza è quella che conosce il valore originario della persona umana sin dalla sua radice e il valore della famiglia per la persona e la società. Grazie.

 

BERNARD SCHOLZ:

Grazie Pino Morandini. Chiedo di salire a Silvio Cattarina, presidente e fondatore della cooperativa sociale “L’Imprevisto”, che si occupa di giovani disagiati e tossicodipendenti.

 

SILVIO CATTARINA:

Da tanti anni sono impegnato, vivo con i giovani, soprattutto con ragazzi difficili, sfortunati… da tanti anni, insieme ai miei amici, conduciamo l’esperienza delle comunità terapeutiche de l’Imprevisto a Pesaro. Ho sempre notato che i miei ragazzi, in fondo in fondo, fanno vedere quello che tutti i ragazzi d’oggi sono, e quando penso a loro, spesso il pensiero mi va a finire nel mare di Lampedusa. Nel mare di Lampedusa vediamo morire tante persone, che vengono da lontano, che arrivano da un grande dolore. Allora io penso ai nostri ragazzi, ai nostri figli, a tutti i giovani! Anche loro giungono da lontano e dal grande dolore del mondo. Dal mare oscuro e ottuso dell’inconsistenza e dello smarrimento; dal mare soffocato e rattrappito della nostra sonnolente abitudine al poco, al solito, al misero, al nulla; dalla malinconia che taglia le gambe, che soffoca il respiro.

Che cosa abbiamo fatto della straripante promessa di vita, di gioia, di coraggio con la quale ogni essere viene al mondo? Dell’attesa di bene, di utilità, di eternità che alberga nel cuore di ogni giovane? Dove l’abbiamo condotta questa immensa struggente promessa?

In questi tempi malinconici e appesantiti, i giovani si offrono per un sacrificio, quasi planetario, di proporzioni sconfinate. Come i profughi di Lampedusa, anche i nostri ragazzi si immolano per il mondo, per tutto il mondo. Ospitando nelle loro esistenze, nelle loro giornate e nelle loro notti, il dolore di tutti.

Tant’è che – si può dire – i giovani ormai sono, rappresentano il campo profughi più grande, più drammatico dell’Italia e di tutto l’occidente.

Ma questi ragazzi – occorre saperlo, bisogna che ce ne accorgiamo e verso di essi volgiamo lo sguardo – si sacrificano per qualcosa di grande. La loro vita chiama, è chiamata a cose grandi. Questa è la giustizia. Questa è giustizia. Giustizia è se su questa terra esistono bellezza e grandezza per la mia vita, per me e per te. «Cosa sono nato a fare? C’è un posto veramente grande per me? Che destino avrà la mia vita?» Queste domande i nostri ragazzi nelle nostre comunità ce le han sempre rivolte!

Quanti giovani decimati dalla ferocia dell’insignificanza, dell’insensatezza, della distrazione; congelati dal freddo vento del successo, della prestazione, del denaro; sferzati e abbattuti, percossi e denudati dalla bufera dell’immediato, dell’istinto, dell’effimero. È una guerra, una nuova guerra. Eppure sono giovani belli, intelligenti, alti, fieri, avidi, curiosi, audaci. Ma fragili e spesso tragici ramoscelli scomposti sulle macerie scombinate e insanguinate del nostro vivere civile, delle nostre città.

Sì, la parte più colpita sono i giovani, i ragazzi, i piccoli. La rovina più forte, acuta, è misteriosamente riservata ai giovani. Questa distruzione, questo deserto che avanza, questa emergenza educativa deve portare ad una riscossa, ad una battaglia grande, lunga e impegnativa contro questa insostenibile fragilità psicologica, massmediatica, esistenziale, abbattutasi particolarmente sugli inermi, sui fragili, sugli indifesi, abbattutasi sulle famiglie distruggendole sempre più, rendendo i figli orfani: figli senza padri e senza madri pur avendo i genitori presenti, ragazzi sconfitti.

Non la grande politica, la finanza, la diplomazia, l’economia, le case, le industrie: è il cuore dell’uomo che conta, la sua anima! Contano le infinite domande di senso che urlano dentro il cuore dei ragazzi, lo sconfinato bisogno di vita che sempre più esplode nel petto dei ragazzi.

Occorrono adulti, genitori, insegnanti dal cuore grande, capaci di accoglienza, aperti alla misericordia, insomma, occorre l’educazione. Una grande, nuova, forte opera educativa, una rinnovata capacità educativa dell’intero popolo, dell’intera società. Sennò i giovani continuano a pensare che “ha ragione il più forte”. Su questa logica infatti impostano la loro vita. Pensano che la vita sia questione di potere, di riuscita, di successo. No, occorre la comunità, un villaggio dice Papa Francesco, occorre l’educazione. La risposta al mistero della sofferenza, alla condizione di smarrimento, al vuoto esistenziale di cui tanto si parla, non è una spiegazione, ma una presenza. Esserci, essere presenti, interessarsi al dolore che c’è nel mondo, soprattutto verso quello dei giovani. Dire, far sentire ai giovani che ci teniamo, che ci preoccupiamo.

Tu Signor Presidente Sassoli, Tu caro Presidente – se posso rivolgermi così affettuosamente, ci tengo!? – porta in alto questo grido, fai tuo questo grido, questo appello per i giovani, verso i giovani… Non può essere che il tesoro più grande, più prezioso del mondo vada cosi perduto… Questo è sicuramente il grido più struggente che è nel cuore di ogni adulto, di ogni persona buona, grande e sensibile. Lei Presidente sicuramente è una persona così, una persona grande e sensibile!

È importante che il giovane senta che la sua vita è preziosa per gli altri, per chi gli sta vicino, che è necessario, importante per gli altri. Che senta che tutto intorno a lui dice: Tu sei, tu sei importante per me, tu vali, tu conti. Tu hai un grande compito, una responsabilità.

Quanto è bello, che spettacolo, che gioia vedere un giovane cambiato, rinato, ritrovato: da una persona così cambiata il mondo sarà messo sottosopra, ribaltato, capovolto, rincamminato verso la sua verità. Tutto è nel valore della persona. Non in quello che siamo o che abbiamo. Il valore è in qualcosa che non è in noi, che è nell’intimo di noi, ma non è nostro, non nasce dentro di noi, viene prima di noi. È una vera rivoluzione.

I giovani desiderano vedere, incontrare un’esperienza radicale, affascinante, una proposta grande, sconfinata – senza confini – con dentro qualcosa di irriducibile, di imprevisto. Di sovversivo. La vita è una voce che chiama, un fuoco che brucia, una vocazione.

Lo ripeto, piange il cuore vedere ragazzi caratterizzati e determinati da grande impaccio, da forte chiusura, esistenzialmente bloccati. Questo colpisce più della droga, più di tante manifestazioni del malessere “moderno”. Non è timidezza, non è impossibilità o impaccio, o chiusura, no è diseducazione, è trascuratezza, abbandono, povertà dell’anima, ignoranza.

Basta di vedere per le nostre contrade vagare un esercito di ragazzi muti, sordi, ciechi perché non conoscono quello che vibra nel loro cuore, quello che vorrebbe prepotentemente scoppiare verso la vita, verso la “vita vita”.

Cosicché non sanno come porsi nel mondo, come entrarvi prontamente, felicemente, come di schianto – diceva un nostro grande amico – a piombare coraggiosamente sulla scena della vita?

Altrimenti l’uomo – lo ripeto -, il ragazzo, è prigioniero di tutto, di ogni istinto, di ogni effimero momento, di ogni altro che voglia esercitare un potere, una pretesa. Ragazzi schiavi di ogni impulso, di ogni moda, di ogni stormir di fronda, ossia ragazzi pieni di paura, perseguitati dalla paura, pieni di sensi di colpa.

Occorre qualcosa che sfidi la paura di lanciarsi nell’avventura della vita, che spalanchi il cuore verso un coraggio senza fine, verso un’audacia affascinante. Occorre un imprevisto, appunto. L’uomo cerca continuamente, in ogni cosa, in ogni azione, non una tecnica, una metodologia, no, cerca una misura diversa, invoca un’altra misura, una misura nuova. Un cuore nuovo. Ecco il desiderio più grande dell’uomo, che il cuore si spacchi, esploda: questo è il miracolo.

Termino con piccolo aneddoto, un episodio-rivelazione occorsomi con un mio ragazzo, estremamente illuminante, straordinario, che mi ha aperto gli occhi, che dice del bisogno dei ragazzi, un episodio semplice ma efficacissimo:

“Sai quale è la cosa più brutta che ti può capitare? Io lo so – mi disse Pasquale -: avere una morosa che ami tantissimo e … non sai dirglielo!” Subito si è accorto che la sua frase mi aveva commosso, che aveva la forza di aprire un varco, allora si è ulteriormente impegnato per esprimere ancor meglio il concetto: “sì, non sai dirglielo, non sai dirgli il perché!” Pensate che profondità. Che realismo! Un ragazzo che non sa esprimere quanto di grande e di infinito ha nel cuore, quanto di grande e di infinito c’è in Cielo e in terra, è un povero ragazzo, è un ragazzo povero.

 

BERNARD SCHOLZ:

Presidente Sassoli a lei la parola.

 

DAVID SASSOLI:

Carissime amiche, amici, autorità, volontari, le suggestioni e le provocazioni che mi avete consegnato stamattina consentono nella giornata conclusiva del vostro Meeting di andare al cuore, certamente di andare al cuore delle grandi questioni della contemporaneità. Vi ringrazio per l’invito, per avermi concesso la possibilità di riflettere ad alta volte sui tormenti e le speranze di questo tempo del nostro scontento. Sì, sentiamo tutti forte i pericoli a cui andiamo incontro e l’ansia di non essere all’altezza di sfide così impegnative, vediamo ad esempio anche molto chiaramente che alcune tendenze vorrebbero farci rinunciare ai valori sui quali è fondata la nostra convivenza. Sono tutte prove, sono queste le prove a cui è sottoposta la nostra generazione, oggi, in questo momento, con domande inedite da parte di un mondo che si è trasformato sotto i nostri occhi e che spesso non siamo stati in grado di capire e di regolare. Quando da ragazzo, perché ho una certa età, chiesi al professor Giorgio La Pira cosa intendesse con escatologia del profondo, lui mi rispose che la storia è come un oceano in cui sei in grado di cogliere le correnti quando affiorano, ma in profondità altre si preparano, si gonfiano, e scoprirne la forza prima che si manifestino è opera della politica, sì della grande politica. I segni dei tempi ci dicono in questo momento che le nostre società sono pervase da forti ondate di disgusto, immense delusione, istituzioni che non vengono riconosciute come la casa comune in cui garantire le nostre libertà. Sono sentimenti che attraversano l’Europa, che ritroviamo in tutti i Paesi dell’Unione e che nascono da disagio, dall’esclusione, dall’ingiustizia, ma che sono anche strumentalizzate da coloro che oggi hanno paura che l’Unione europea possa essere un competitor esigente perché legato a regole, a valori, a umanità. Non è un caso che oggi in troppi scommettano sulla nostra debolezza, sulle nostre divisioni e se guardiamo fuori dallo spazio europeo vediamo quanto le dinamiche di potenza debbano essere temperate e regolate e quante ingiustizie chiedano di noi. Per essere capaci di dare risposte dobbiamo caricarci sulle spalle l’ansia di cambiamento, che contiene le domande che ci ha rivolto papa Francesco quando invita a lavorare per umanizzare i processi di globalizzazione. È la domanda cruciale del nostro tempo ed è l’unica che può consentirci di riscoprire quella vocazione che in questi settanta anni ci ha portato a costruire uno spazio di democrazia in cui il diritto è il termine di riferimento con cui noi regoliamo i rapporti fra gli Stati europei, fra i nostri cittadini e domani anche con quegli Stati che aspirano a vivere con noi. Solo l’Europa rimane e diventa sempre di più spazio di libertà, ha di recente ricordato don Carrón: “Potremo condividere la ricchezza che l’uno e l’altro ha ritrovato nella vita e potremo offrirla come risposta alle esigenze e alle sfide che abbiamo davanti”. L’Europa, non dimentichiamolo, è il suo diritto e anche quando le nostre istituzioni si mostrano inadeguate o da riformare o insufficienti, non dobbiamo dimenticare che se anche imperfette garantiscono comunque la convivenza possibile e custodiscono le nostre libertà. Non è un caso che le forze che vogliono dividerci ci raccontino di un sistema europeo le cui regole devono essere scardinate, non chiedono riforme, ma ritorni indietro, anche per impedire a noi, all’Unione, ai cittadini europei, di giocare il proprio ruolo sulla scena mondiale, secondo quell’indicazione che ci ha indicato papa Francesco. In questo momento assistiamo ad una insopportabile ingerenza nello spazio europeo da parte di forze esterne, che ci fa dire che i nostri Paesi, dopo aver lottato per la propria indipendenza, oggi si trovano ad affrontare una fase nuova di difesa dell’Unione. La nostra autonomia è garanzia per le libertà di cui godiamo e ci fanno essere diversi, non migliori, ma a cui tanti, fuori dallo spazio europeo, guardano e aspirano. Quante volte andando fuori dall’Europa siamo visti con occhi pieni di ammirazione per quello che abbiamo costruito, per i nostri modelli di vita; dico questo non solo per dare risposta a quanti cercano di strumentalizzare le posizioni nazionaliste, ma anche per l’evidente interesse a non consentire, proprio agli europei, di giocare un ruolo in un mondo globale che non ha regole e deve trovare regole. Fuori dallo spazio europeo torneremmo sudditi, perché non saremmo più in grado di affrontare nessun priorità. Pensateci. Pensiamo ai problemi che abbiamo, a quelli che ad esempio ha l’Italia, la sfida ambientale, la sicurezza, le questioni finanziarie, gli investimenti, la lotta alla povertà, l’immigrazione, il commercio internazionale, la politica agricola e quella industriale, la sfida tecnologica. Quali di queste grandi questioni possono essere affrontate nei nostri Paesi da soli? Nessuna. Nessuna. E per molte lo spazio europeo è già troppo piccolo. Se dovessimo ritornare indietro, come molti vorrebbero, non avremmo la possibilità di affrontare le nostre difficoltà ma metteremmo in gioco il bene più prezioso che abbiamo costruito dal secondo conflitto mondiale: la pace fra le nazioni europee. Guardate che questo è un rischio moto concreto, perché quando gli Stati non sono in grado di affrontare i problemi che hanno, è naturale che li scarichino sugli altri alimentando tensioni e addirittura conflitti. È la storia dell’Europa moderna. È la storia delle generazioni precedenti alle nostre. È la storia che ci riporta esattamente a ottanta anni fa. Come ieri, il 23 agosto del 1939, quando venne firmato il Patto Molotov-Ribbentrop, un patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica, sei giorni dopo inizierà la guerra, papa Pio XII capì subito che era il semaforo verde all’invasione della Polonia e mandò un radio messaggio famoso, perché conteneva una formula che dobbiamo continuare a proteggere: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Un messaggio che non impedì di lì a sei giorni lo scoppio della seconda guerra europea e dunque mondiale, con il suo peso di lutti e al suo interno l’incancellabile vergogna europea della Shoà. Dobbiamo ricordare questa data e lo dobbiamo fare senza quasi più la voce dei testimoni che l’hanno vissuta. Il volgere delle generazioni ci obbliga a guardare a quegli eventi con la forza della ragione e senza più l’ausilio così prezioso di chi ha vissuto, la devastazione, la strage, la ferocia, l’odio razziale, la forza seducente del demonio nazionalista. Ma dobbiamo anche ricordare che coloro che hanno vissuto quell’orrore ci hanno dato in custodia istituzioni democratiche ed europee. Tutti noi europei viviamo la responsabilità di quella custodia, la custodia della democrazia dell’Europa. Il progresso tecnologico, la semplificazione barbarica dei linguaggi, può talvolta farci pensare che della democrazia e dell’Europa possiamo fare e pensare qualsiasi cosa, che possiamo consegnare ai sentimenti volubili e cialtroni che trasudano sui social quel che è costato caro, carissimo: macerie di carne umana, macerie di città, macerie morali di un mondo che oggi qualcuno osa dipingere come il tempo in cui vigevano principi morali. È chi si è rivelato capace di abissi di crudeltà che dobbiamo avere davanti agli occhi. Le donne sventrate a Sant’Anna di Stazzema. I treni caricati di ebrei e venduti a cinquemila lire a Roma e mandati a morire in Polonia. I rom gasati e catturati. Le vittime delle stragi e dei bombardamenti. Chi incendiò l’Europa trovò anche un cristianesimo spiritualmente impreparato, impegnato nella lotta alla modernità e illuso che la caduta dei regimi liberali fosse una rivincita della cristianità e non un orrore. Dico questo perché a me e a voi interessa capire la lezione del secolo breve e quanto sul dolore il mondo cattolico sia riuscito in un’opera di riscatto e rinascita. Non c’è dubbio che toccherà al cattolicesimo politico individuare nella democrazia e nel Parlamento gli strumenti per invertire la rotta e metterci in sicurezza. Costituzione ed Europa sono i termini della rinascita. In Italia i costituenti cattolici e non solo seppero disegnare quel capolavoro che è la nostra Costituzione, intrisa di un personalismo che non ha l’odore di un incenso stantio e strumentale, ma il profumo di una passione di verità cristiana. E i cattolici hanno il dovere di opporsi a chi ancora oggi in Polonia, in Ungheria e anche in Italia osa citare i nostri simboli come amuleti, con una spudoratezza blasfema. La Costituzione, ma anche l’Europa. Perché l’Europa nasce da tre signori, è stato ricordato prima, che parlano una lingua materna comune, il tedesco, e pensano con categorie materne comuni, il cattolicesimo. Sono loro a capire che non ci sarà nessuna garanzia di una pace duratura senza un’Europa che sappia essere pacificata e pacificante. Una grande potenza di pace messa tra a l’Atlantico e gli Urali, messa sopra al grande continente africano, in cui proprio gli europei sono andati a rubare di tutto, con lo schiavismo e con il colonialismo e a cui devono restituire una prospettiva di pace e di sviluppo. In tutto questo anche oggi i cattolici giocano un ruolo decisivo, perché, badate bene, è sulla loro divisione che contano le destre neonazionaliste. Se guardate a come si è estesa l’onda nera sovranista, con i suoi rigurgiti antisemiti e il suo razzismo, vedete che ha puntato ai Paesi di più forte tradizione cattolica e alla divisione del loro cattolicesimo. Polonia, Ungheria, Slovacchia, Croazia, Italia, sono stati territori in cui si è puntato a spaccare il cattolicesimo per spaccare il Paese e spaccare l’Europa, agitando fantasmi e paura. Non si è andati alla ricerca del nome cattolico, che è normale, ovvio, o addirittura del voto conservatore, altrettanto normale e ovvio. Si è andati alla ricerca di frange e sette che rivelano di essere la vera chiesa e sono chiamate in una piazza italiana a fischiare il papa. Anche questo, badate bene, non è un inedito. Quando Pio XI scomunicò i membri dell’ Action française, non è che lo fece perché gli desse noia il loro conservatorismo politico, ma perché volevano dividere la chiesa, e oggi che la chiesa, come diceva papa Giovanni, preferisce la medicina della misericordia alle armi della severità, bisogna essere non meno vigili e decisi di papa Ratti. Dire che il cattolicesimo non è un emporio dove si passa a prendere un rosario, un vangelo, un santino, ma un popolo cristiano, decisamente pluralista nelle scelte politiche, ma che sulla fedeltà alla Costituzione e nella difesa del sistema democratico non si lascia dividere, perché proprio nella Costituzione, intrisa di così profonda esperienza cristiana e insieme intessuta del supremo principio di laicità, trova il suo punto di raccordo e la garanzia dei suoi valori. La stagione che viviamo non ci richiede partiti cristiani ma forse ancor più ha bisogno di testimoni della radicalità evangelica e di interpreti dei segni dei tempi. Testimonianza, una parola molto cara alla vostra comunità, parola che richiama la forza generativa delle origini e che poi accompagna il cammino, anche nei cambiamenti necessari, come la vostra esperienza dimostra. Tutto questo per dirvi che dobbiamo sentire il peso della nostra responsabilità e su alcuni fondamentali non possiamo stare a guardare o essere neutrali e dobbiamo sentirla questa responsabilità in un momento come quello che vive l’Europa e il nostro Paese. Se con tutta la fatica e le contraddizioni del caso, un cattolicesimo, che sarà pure minoritario ma domani mattina porterà a messa sette milioni di persone, tornasse a insegnare quelle virtù che la grazia fa ricevere come doni di Dio e che l’immagine di Dio fa ricevere come impressa in ognuno, fa scaturire da ogni coscienza, allora ci sarebbe una speranza che potrebbe rendere le formule politiche un viatico per raggiungere traguardi di partecipazione democratica che consentano il pieno sviluppo della personalità come la Costituzione indica essere il bene repubblicano per eccellenza. Sono giorni importanti e pieni di incognite, serve fiducia nella capacità di convincimento, dialogo e confronto. Le forze politiche sono utili se riconosciute utili al Paese e l’importanza dei partiti è di tenere sempre al centro il loro impegno per l’interesse del Paese. Condivido sillaba per sillaba ciò che il cardinal Bassetti è venuto a dirvi sulla crisi di divisione di cui il Paese soffre. Ma sono venuto anche a dirvi che io e voi dobbiamo anche interrogarci sulla nostra quota di responsabilità in questa crisi, perché c’è. Ci appartiene ed è inutile negarlo. Chi nel nostro Paese nell’ultimo quarto di secolo ha educato che nel lavoro si avanza non per protezione ma esemplarità, che la coscienza da esaminare non è quella degli altri ma la propria, che il rigore etico è un cristallo che non ammette fessurazioni, che il potere democratico è spirito di sacrificio e non una bestia da social? Chi ha prodotto anticorpi utili per fronteggiare una cultura individualista che troppo spesso e con troppa facilità ha travolto i valori della solidarietà, dell’umanità e dell’uguaglianza? È da questo esame di coscienza che dobbiamo ripartire perché le formule politiche parlamentari hanno senso se servono a creare le condizioni per un rinnovamento culturale che tocchi e interessi tutti. La macchina della propaganda neonazionalista lascia gli italiani in un mare di guai. In Europa le forze che hanno vinto le elezioni stanno cercando di dar vita ad una legislatura che vuole essere un punto di riferimento per il nostro Paese. Gli europeisti italiani hanno un buon riferimento. Un solido punto di riferimento nell’alleanza che si è realizzata nel Parlamento europeo e che intendo rafforzare. Questa dovrà essere davvero una legislatura politica con un’agenda sociale di forte discontinuità e gli impegni che ha assunto in Parlamento la presidente Von Der Leyen sono le basi su cui costruire un vero manifesto per la nuova Europa. Sappiamo che sono ore di riflessione qui in Italia e ci auguriamo che dalla crisi arrivino parole chiare anche sulle politiche di cui abbiamo bisogno. L’agenda europea è un buon punto di riferimento, perché contiene obiettivi ambiziosi e strumenti adeguati a imboccare la strada dello sviluppo sostenibile, salvaguardare la flessibilità nell’attuazione del patto di stabilità e crescita, rilanciare gli investimenti di cui abbiamo molto bisogno, sviluppare una strategia contro la povertà con una direttiva quadro sul salario minimo e una sui piani di protezione sociale. Il nuovo Governo italiano dovrà avere obiettivi ambiziosi per una crescita sostenibile, per avere cura del pianeta e avere cura degli uomini. E di fronte ai disastri che oggi devastano la Siberia e l’Amazzonia, gli europei possono lanciare un segno. Perché non farlo? Perché non lanciare una campagna simbolica ad esempio da qui, da stamattina, dal Meeting di Rimini? Ogni sindaco di città grande e piccola d’Europa sia il motore di una nuova speranza con un piccolo gesto, simbolico certo, che non risolve il problema, ma che ci mette in relazione con gli altri: pianti sotto un albero un cartello con lo slogan: “tu sei il mio respiro”; “You are my breath”. Istituzioni e cittadini, persone e comunità responsabili. Le idee non mancano. Invitiamo le autorità italiane a sostenere la nascita di una banca europea per il clima, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, l’introduzione di una tassazione per i giganti tecnologici, su tutto questo il Parlamento Europeo è pronto, le autorità italiane lo sanno, tutti dobbiamo fare la nostra parte. Perché abbiamo bisogno di un’Europa più forte per rispondere alla concorrenza di potenze economiche come la Cina e gli Stati Uniti ed avere nei rapporti con la Russia e la Turchia, ad esempio, doti di dialogo e di fermezza, basati sui valori della democrazia e dello stato di diritto. Ma un Europa più forte, cari amici, non può essere solo il risultato di interventi legislativi. Occorre investire sulle forze sociali, se vogliamo il cambiamento, investire sulla loro autonomia, sul ruolo dei corpi intermedi e al tempo stesso dobbiamo investire, come dicevamo, su persone e comunità, sulla libertà dell’individuo; è la moderna frontiera sui cui si gioca una parte importante del modello sociale europeo, perché tutto il corpo delle relazioni sociali, civili, solidali sono la spina dorsale della democrazia. Anche questo è un portato della cultura cristiana che è diventato fondamenta della casa comune e dobbiamo averlo chiaro, perché la verticalizzazione dei poteri economici, finanziari, geopolitici, sembra scoraggiare il protagonismo, l’autonomia e la responsabilità sociale. A Bruxelles siamo riusciti a trovare convergenze in questi mesi e abbiamo preso anche alcune contromisure nei confronti delle forze antieuropee; costruire politiche senza le necessarie convergenze, d’altronde, è sempre sterile, risulterebbe operazione sterile. Confronto, dialogo, mediazione sono parole nobili per la politica, che debbono tornare nel vocabolario degli europei e dei democratici. Se la politica non è tutto, come avvertiva Aldo Moro, nella politica però nessuno può sentirsi il tutto. Seguiamo con passione quanto sta avvenendo in Italia, se la crisi sarà superata, avremo riconquistato un posto di primo piano per il nostro Paese in Europa. Ce lo auguriamo. Sviluppare dialogo è sempre diventare più ricchi e dobbiamo mettere nel conto, perché noi lo sappiamo, lo sappiamo per saggezza antica, che la storia non si costruisce senza difficoltà, senza ostacoli. Confronto sempre, ma non per ricercare alleanze per vampirizzare qualcuno, trovare compromessi di potere, ma concentrandoci sullo stato della nostra democrazia e sulle priorità del nostro Paese, sui bisogni dei nostri cittadini. D’altronde non si governa con pieni poteri la settima potenza mondiale, non servono pieni poteri per governare società complesse. Pieni poteri li chiedono coloro che si considerano autosufficienti e pensano magari che un uomo forte possao risolvere i problemi con la bacchetta magica o con l’uso della forza. La prepotenza è una malattia che l’Europa ha conosciuto molto bene. Chi ama il proprio Paese, invece, sa che l’Europa è un porto sicuro. È come per coloro che amano l’umanità e sanno bene che i porti devono restare aperti, perché non è maltrattando la povera gente che si costruiscono politiche per l’immigrazione. Impegniamoci invece a dare poteri all’Europa per affrontare il fenomeno migratorio, impegniamoci per una riforma del regolamento di Dublino, che il Parlamento europeo ha votato a grande maggioranza e che stabilisce che chi arriva in Italia, a Malta, in Spagna, in Grecia arriva in Europa ed è l’Europa a doversene occupare. Invito anche da qui, con voi, il Consiglio europeo a tirar fuori dai cassetti quella riforma e ad approvarla. “Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”, ci ha ammoniti papa Francesco. L’Europa è uno spazio aperto, partecipato, solidale. Così lo vogliamo e così lo vogliamo rafforzare. Cento anni fa, in un famoso discorso ai fasci di combattimento, Mussolini disse “dobbiamo riuscire a trasformare la paura in odio”; noi cento anni dopo dobbiamo trasformare la paura in solidarietà, perché la solidarietà è moltiplicatore di benessere e anche di sicurezza. Ma questo è possibile solo con una società viva, plurale, dialogante, sorretta da principi di umanità, non una società, come è stato detto molto bene prima, di monadi separate, ma di solide interrelazioni. Si può continuare a dire con fierezza nel mondo di oggi che le libertà individuali sono un patrimonio inviolabile. Chi? Se gli europei potranno continuare a dirlo, i cristiani potranno dire di aver fatto un buon lavoro. Dobbiamo restare molto saldi. E chi resta saldo? Solo colui, parafrasando Bonhoeffer, che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo. Ma dove sono questi uomini responsabili, si chiedeva il teologo? La domanda di Bonhoeffer è terribile e vale per ciascuno di noi. Portiamocela sempre con noi. Non per angosciarci naturalmente, ma per riempirci di coraggio e di speranza, attrezzandoci, anche come consigliava Emmanuel Mounier, ad avere sempre una grande immaginazione. Grazie.

 

BERNARD SCHOLZ:

Grazie Presidente Sassoli, ci hai ricordato che non solo le istituzioni, ma ciascuno di noi è custode, custode della libertà, custode della solidarietà ed è questa la ragione per la quale siamo insieme al Meeting tutti gli anni. Quindi la ringrazio per le sue parole, per la sua presenza e con questo conforto, con questa solidarietà fra di noi, cerchiamo di portare avanti la nostra responsabilità che ci è stata chiesta e che ci renderà anche costruttori di un mondo diverso, più solidale, più umano, prima di tutto in Europa e poi anche, attraverso l’Europa, nel resto del mondo. Grazie mille.

Trascrizione non rivista dai relatori

 

Data

24 Agosto 2019

Ora

11:30

Edizione

2019

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri