EUROPA: FRA CRESCITA ED INCERTEZZE

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Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’Economia; Lorenza Violini professoressa di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano. Introduce Luca Farè, Fondazione per la Sussidiarietà

L’Europa sta affrontando una fase cruciale della sua storia. Il tramonto della globalizzazione e le crescenti incertezze richiedono un ripensamento profondo del modello di crescita e dell’assetto istituzionale dell’Unione Europea. Le recenti emergenze hanno spinto le istituzioni europee ad intraprendere numerosi interventi di politica economica, dimostrando quanto sia fondamentale l’interdipendenza tra la dimensione politica, economica ed istituzionale per lo sviluppo dell’Europa intera. Come è cambiata l’Europa negli ultimi anni? Cosa possiamo aspettarci dal futuro? Quale modello economico e quale assetto istituzionale sono necessari per favorire la crescita dell’Europa?

Con il sostegno di isybank, Tracce

EUROPA: FRA CRESCITA ED INCERTEZZE

EUROPA: FRA CRESCITA ED INCERTEZZE

Venerdì 23 Agosto 2024 ore 17:00

Auditorium isybank D3

Partecipano:

Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’Economia; Lorenza Violini professoressa di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano.

Introduce:

Luca Farè, Fondazione per la Sussidiarietà

 

Faré. Buonasera a tutti, buonasera. Benvenuti a questo incontro dal titolo “Europa fra crescita e incertezze”. Siamo davvero contenti di essere qui, e permettetemi di introdurre innanzitutto e ringraziare i nostri ospiti. Abbiamo qui con noi Paolo Gentiloni, Commissario Europeo per l’Economia, che già conosciamo anche come Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro per gli Affari Esteri. È stato più volte qui con noi al Meeting di Rimini e lo ringraziamo davvero per aver accettato anche quest’anno l’invito, per la rinnovata stima che ricambiamo. Grazie davvero. E Lorenza Violini, professoressa di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano, anche lei amica storica del Meeting; la ringraziamo per essere qui con noi anche stasera. Grazie, professoressa.

Oggi con loro vogliamo affrontare un tema di grandissima attualità che è stato reso ancora più urgente dalle recenti elezioni europee, ovvero quello della crescita dell’Europa in un mondo sempre più incerto. Una crescita non solo economica, che pure arranca. L’Europa sta tornando a crescere, come suggeriscono gli ultimi dati della Banca Centrale Europea e di Eurostat, ma i ritmi sono ancora abbastanza lenti. E, dicevamo, una crescita non solo economica ma dell’Europa intera: una crescita della sua identità, della coesione sociale. E diversi studi, tra cui i due rapporti che la Commissione ha commissionato a due ex Primi Ministri italiani, Enrico Letta e Mario Draghi, sono unanimi nel riconoscere che l’Europa sta attraversando una delle fasi più delicate della sua storia, chiamata ad affrontare sfide che fino a qualche anno fa erano inimmaginabili. Pensiamo al disordine geopolitico, alle guerre, ai conflitti commerciali che stanno creando blocchi sempre più contrapposti; ai cambiamenti climatici, con tutti i costi per l’economia che questo comporta. Pensate, si stima che negli ultimi 40 anni eventi climatici avversi abbiano causato circa 650 miliardi di perdite per l’Unione Europea, di cui 170 miliardi solo negli ultimi cinque anni. L’inverno demografico: il Governatore della Banca d’Italia, Panetta, proprio qui a Rimini, ha insistito molto su questo punto, sull’urgenza di trovare una soluzione; le disuguaglianze che crescono, come ci ricordava sempre qui Branko Milanovic. Ecco, tutti i pezzi di un puzzle che sembrano dare un’immagine un po’ fosca del futuro, certamente non positiva. Ed è quello che emerge anche da un recente sondaggio, l’Eurobarometro, uno dei più importanti sondaggi europei, secondo il quale circa il 73% dei cittadini europei crede che i propri standard di vita diminuiranno nei prossimi anni. Quindi, un quadro incerto. Eppure, l’Europa è stata chiamata diverse volte nella sua storia a vivere momenti come questo. Ed è proprio in questi momenti che l’Europa, come istituzione, ma anche come popolo europeo, ha spesso saputo trovare il meglio di sé. Un recente documento della Fondazione per la Sussidiarietà, preparato proprio in occasione delle elezioni europee, ha chiamato l’Europa “la casa di comunità pensanti” che sono state fondamentali nella storia dell’Europa per promuoverne la crescita e lo sviluppo. E se c’è un elemento che queste incertezze stanno mostrando è che l’interdipendenza tra la dimensione economica, sociale ed istituzionale all’interno dell’Unione Europea è un elemento fondamentale ed essenziale per il suo sviluppo. Non è un caso che oggi abbiamo qui con noi due persone di altissimo livello che incarnano questi due pilastri: quello economico e quello istituzionale. E allora vorrei iniziare il nostro dialogo con i nostri ospiti chiedendo al Presidente Gentiloni, anche alla luce della sua esperienza di Commissario Europeo, che cosa ha visto cambiare in Europa negli ultimi anni e come, secondo lei, l’Europa può continuare a crescere in un mondo sempre più incerto.

Gentiloni. Grazie. Innanzitutto grazie a voi e al Meeting. Penso che sia la più grande macchina di partecipazione che c’è oggi in Italia e sono veramente orgoglioso del privilegio di essere stato con voi molto spesso, soprattutto negli ultimi 10 anni. Siamo alla fine del mandato della Commissione attuale, quindi se mi guardo indietro agli ultimi 5 anni, non so cosa dire su quello che succederà nei prossimi 5 anni, perché i cinque anni che abbiamo alle spalle sono stati anni di tempi interessanti, come si diceva: “Ti auguro di vivere tempi interessanti”, molto interessanti. Abbiamo avuto almeno quattro grandi crisi: la crisi della pandemia, la crisi dell’invasione russa dell’Ucraina, la crisi del cambiamento di modello energetico, che è venuta subito dopo, e l’inflazione, che è tornata dopo che per 40/45 anni non aveva mai raggiunto i livelli che ha raggiunto. Abbiamo avuto un’inflazione a due cifre; adesso tendiamo a dimenticarcene, ma è stata una cosa enorme per le famiglie e il loro potere d’acquisto. l’Europa è assente? Ma anzitutto, io direi che a queste quattro crisi l’Europa ha dato una risposta abbastanza forte. Adesso non posso fare la storia di quello che è stato fatto in questi anni, ma certamente vi faccio solo due esempi. Il primo riguarda questi famosi Eurobond, cioè le emissioni di debito comune europeo. Se ne parlava un po’ con il sorriso sulle labbra da una ventina d’anni e noi questi Eurobond li abbiamo fatti. Certo, ci è voluta una pandemia; quindi, non so se sia il frutto di questa crisi, non so in che misura si riuscirà a fare dei passi in avanti così importanti senza nuove crisi, ma intanto è stato fatto. Secondo esempio: l’invasione russa dell’Ucraina ha visto una risposta europea certamente insufficiente sul piano della capacità diplomatica, però l’unità tra i Paesi europei è stata straordinaria. Io ero Ministro degli Esteri all’indomani dell’annessione della Crimea da parte della Russia e vi assicuro, perché ne sono stato testimone diretto, che i livelli di unità che i Paesi europei hanno mostrato dopo l’invasione dell’Ucraina sono incommensurabili rispetto alle difficoltà che abbiamo avuto dopo l’annessione della Crimea a prendere decisioni più modeste, come il listing di singole personalità russe. E se non avessimo avuto quelle difficoltà, forse non avremmo avuto l’invasione russa dell’Ucraina, perché Putin era convinto di poter contare su un’Unione Europea debole e divisa. Quindi, tanti risultati. Il problema è che noi abbiamo fatto delle cose importanti, abbiamo cambiato registro nell’Unione Europea su tante cose, ma il mondo è cambiato più velocemente. Quindi, il paradosso, secondo me, della situazione è che in qualche modo i buoni risultati, le novità conseguite negli ultimi cinque anni, hanno acceso un riflettore sull’Unione Europea: “Visto che avete reagito e avete saputo prendere quelle decisioni, dove siete ora? Dove siete su Gaza? Perché non riuscite a promuovere la crescita economica con nuovi fondi comuni? Vi state fermando sul cambiamento climatico, che era stata un’ambizione della Commissione europea? E che cosa state facendo per difendere lo stato di diritto, i diritti delle persone nell’Unione europea?” Queste domande, con un’Europa più remissiva, più debole, più fragile, non sarebbero poste. Se oggi si domanda, fatemi sintetizzare, “più Europa”, è perché queste risposte in questi anni in qualche modo sono venute. Quindi, per concludere, il tema che si pone di fronte alla prossima Commissione Europea, alla quale faccio tanti auguri, perché come sapete non ne farò parte, è il tema di come rilanciare questa ambizione, di come essere altrettanto ambiziosi quanto siamo stati negli ultimi cinque anni. Ora qualcuno dice: “Ok, ma scommettere sull’Unione Europea, su un ruolo maggiore dell’Unione, alla fine vuol dire ridimensionare il ruolo degli Stati, ridimensionare il ruolo dei Paesi”. Io qui ho un’idea molto netta. Penso che alcuni dei nostri maestri, da Alcide De Gasperi a Sergio Mattarella, per così dire, hanno spiegato molto semplicemente che scommettere sull’Europa e sulla sovranità europea non è assolutamente ridimensionare il ruolo di un Paese come l’Italia. Anzi, io penso che i veri patrioti sono anche i veri europeisti. Non possiamo essere europeisti part-time. Ogni tanto siamo europeisti, ogni tanto ce ne dimentichiamo.

Io, che, quando sento l’inno di Mameli, quando vedo vincere i nostri atleti alle Olimpiadi, quando vedo un tricolore, sinceramente mi commuovo, al tempo stesso penso che abbiamo bisogno di più Europa. I veri patrioti oggi sono europeisti.

Faré. Grazie, Commissario Gentiloni. Vorrei insistere proprio su questo, chiedendo ora alla professoressa Violini. Si parlava di questi cambiamenti, di un mondo che cambia sempre più velocemente. E dicevamo prima dell’importanza di questa interdipendenza tra dimensione economica e dimensione istituzionale. Ecco, volevo chiederle: in questo mondo che cambia velocemente, di quale assetto istituzionale l’Europa ha oggi bisogno per restare al passo con i tempi?

Violini. Bene, grazie. Anche io sono molto contenta dell’invito e di essere qui a parlare con il Presidente Gentiloni, che è stato per tutti noi una presenza importante anche in momenti di difficoltà del nostro Paese. Quello che lui ha detto trova nella dimensione istituzionale un parallelo quasi preciso, quasi una fotocopia, perché l’Europa “debole” – tra virgolette – l’Europa che non è presente in Crimea, che quindi in un certo senso è stata quasi corresponsabile di quello che stiamo vivendo oggi, è un’Europa che è, al contempo, un esperimento di grande successo e anche un esperimento con molte crisi. Sempre molti pensano alla Costituzione del 1948, che è stata la guida per il percorso dell’Italia fino ad oggi. Per l’Europa il percorso è stato molto diverso: l’Europa ha avuto, ed ha ancora oggi, un’anima internazionalistica, una struttura istituzionale di taglio internazionalistico, che ha permesso poi un’adesione sincera degli Stati, anche di quelli che erano più gelosi della propria sovranità. È stato un inizio “soft”: abbiamo avuto i trattati, poi abbiamo avuto anche delle crisi costituzionali importanti quando si è tentato un po’ di forzare il senso della sovranità nei vari Stati, e abbiamo visto il fallimento del tentativo di costituzionalizzare l’Europa. Però anche da questi fallimenti elementi di crescita sono sbocciati. Pensiamo al Trattato di Lisbona, che ha fatto seguito poi ai cambiamenti, ma pensiamo soprattutto – al di là della dimensione istituzionale – a come l’Europa è cresciuta. Non dobbiamo dimenticare che l’inizio è stato molto lento e cauto, però da subito ci sono state adesioni all’Unione Europea, e soprattutto c’è stata poi l’adesione di tutti quei paesi che uscivano dalla dittatura. Ora, l’adesione all’Europa è stata per loro di grande importanza, così come è stata di grande importanza la grande ondata di adesioni che è seguita al crollo dell’Impero Sovietico. E per queste persone – non dobbiamo dimenticarlo – le persone e gli Stati che hanno aderito hanno avuto, tramite l’adesione al mercato unico, un’importante crescita delle loro economie e, di conseguenza, del reddito delle persone. Questo va tenuto presente, perché se non si tiene presente che non stiamo parlando di uno Stato – certo, molti dicono “manca la politica in Europa”, ma manca la politica perché c’è una tensione continua tra affermare un’identità europea e mantenere, conservare e incrementare l’identità degli Stati, che è uno degli elementi fondamentali del trattato. Pensate all’articolo 2, con tutti i valori comuni che lì vengono proclamati, ma anche all’articolo 42, dove si dice esplicitamente che tra i valori e l’identità europea c’è anche la valorizzazione e la tutela dell’identità nazionale. Questo passato, che poi ha portato agli ultimi cinque anni – come ci è stato raccontato in modo molto interessante e profondo – sono stati anni in cui l’Europa è cresciuta e quindi abbiamo anche oggi la speranza che possa cambiare. Certo, sul piano istituzionale la strada sarà molto lunga, perché a questo punto è anche molto chiaro che la struttura delle competenze che l’Europa ha nel suo paniere sono competenze limitate. Oggi probabilmente bisognerà fare dei passi avanti nel dare all’Europa più poteri. Nel 2023, quando è scoppiata la crisi ucraina, l’Europa è stata in grado in tre mesi di fare un regolamento che consentiva di finanziare la produzione delle munizioni e dei missili che l’Ucraina aveva bisogno per difendersi. Certo, non è l’ideale crescere in questa dimensione, ma la capacità di risposta, nonostante le fatiche e le problematiche che sottostanno al paniere di competenze dell’Europa, non hanno impedito all’Europa di agire, così come nulla ha impedito all’Europa di agire dopo la crisi del Covid. Se lo ricordiamo, come aveva reagito l’Europa prima alla crisi finanziaria e poi alla crisi dei debiti sovrani, ci rendiamo conto che c’è una differenza molto più spiccata, quasi più spiccata di come l’Europa ha reagito con la Crimea e poi adesso ha reagito con la crisi ucraina. Perché nel primo decennio di questo secolo abbiamo dovuto ricorrere a strumenti di diritto internazionale per cercare di fare fronte alla crisi e ci sono stati anche parecchi problemi, l’austerità, anche il nascere di una certa avversione all’intervento dell’Europa. Quello che è stato fatto con la Next Generation EU è totalmente diverso, perché l’Europa in quanto tale è stata in grado di raddoppiare praticamente, anzi un po’ meno, il suo bilancio per poter aprirsi e sostenere gli Stati. Quindi, crisi importanti ma lentezze importanti, ma anche dentro queste continue tensioni tra sovranità europea che si vuole affermare e sovranità degli Stati che resistono, io credo che ci possa aiutare a capire che nella storia non sempre si fanno le grandi rivoluzioni, si fanno gesti plateali. La storia va avanti anche per piccoli passi, e sicuramente la cifra dell’Unione Europea è quella di un progresso – si spera – continuo verso un miglioramento. Poi ci sarà anche da mettere a posto i trattati, questo vedremo se sarà possibile, ma intanto questa prima carrellata sulle tematiche istituzionali che volevo mettere davanti ai vostri occhi mi sembra che possa essere una testimonianza di quello che è stato detto fino ad adesso dal Presidente Gentiloni, cioè che anche chi è sentitamente italiano non è assolutamente in contrasto con un occhio all’Europa che sia un occhio attento e capace di valorizzare, nonostante le debolezze.

Faré. Presidente Gentiloni, data anche la sua esperienza istituzionale, vivendo le istituzioni dal loro interno, se vuole aggiungere anche lei qualcosa su questo punto, cioè sull’importanza di avere un assetto istituzionale che sia davvero idoneo alla situazione che stiamo vivendo.

Gentiloni. Ma sì, come la professoressa ci potrebbe raccontare in modo articolato, dettagliato, la discussione sul funzionamento delle istituzioni europee è una discussione che ha una storia lunghissima. Sembrava si fosse arrivati vicino a una soluzione una ventina di anni fa, però la modifica dei trattati fu bocciata. Non era necessario di per sé sottoporre questa decisione al referendum in tutti i paesi, tant’è che in Italia non ci fu un referendum, ma in Francia ci fu una spinta che venne sia da destra che da sinistra per avere il referendum, e fu la Francia in quella occasione a bocciare il nuovo assetto istituzionale europeo. Detto questo, aggiungerei due cose: la prima per sdrammatizzare e la seconda per drammatizzare. Per sdrammatizzare, va bene, il decision making, il processo per prendere decisioni a livello europeo è abbastanza faticoso. Ok, negli Stati Uniti è semplice: c’è una democrazia apparentemente perfetta. Il Presidente, la Corte Suprema, il Congresso, i pesi e i contrappesi; il livello di divisione interna che c’è in quel Paese ha portato molto spesso a una semi-paralisi. Sempre per fare l’esempio dell’Ucraina, abbiamo deciso più facilmente, noi europei, in 27, nonostante qualcuno, Ungheria, ogni volta cercasse di mettere un veto, che non la grande democrazia americana, che faceva molta fatica a prendere decisioni. Perché? Per le divisioni interne. Regno Unito: dopo essermi sentito dire tante volte “ma quanto spesso cambiate voi ministri italiani, voi governi italiani”, insomma da commissario europeo ho visto alternarsi cinque diversi cancellieri britannici. Cancelliere, come sapete, in Inghilterra si chiama il Ministro delle Finanze, il Ministro dell’Economia, numero 11 di Downing Street che abita lì accanto. Quindi non mi sembra che per gli errori fatti e culminati con la Brexit, questo altro esempio sia un esempio di grandissima capacità decisionale. Quindi vorrei dire che con quella fatica che è necessaria, perché se vai in Europa devi imparare che prendere decisioni è faticoso, che i compromessi sono necessari, che per fare un compromesso bisogna tener conto sia delle diverse ispirazioni politico-culturali, perché ci sono i socialisti, i liberali, i democristiani, i conservatori, eccetera, eccetera, ma soprattutto, forse più ancora che delle ispirazioni politico-culturali, bisogna tener conto degli interessi nazionali. Perché gli olandesi la pensano in un modo, gli italiani in un altro, gli ungheresi e i ciprioti in un altro ancora. Quindi grande scuola di democrazia e di compromesso, ma alla fine le decisioni si prendono. Per drammatizzare, invece, io penso che dobbiamo, mentre ci rassicuriamo sul fatto che tutto sommato questa meravigliosa esperienza dell’Unione Europea ha funzionato – dove altro c’è quasi mezzo miliardo di persone che hanno confini comuni, in gran parte una moneta comune pur parlando 23 lingue diverse, che sono tutti paladini delle libertà, dei diritti individuali, della libertà delle donne, della libertà religiosa – ma dove, in quale altra parte del mondo c’è una meraviglia così? In cui c’è il welfare state, con diverse accezioni naturalmente, ma i servizi sociali. Quindi non sputiamo sul piatto che abbiamo costruito in questi decenni, perché è una macchina di democrazia, libertà e pace che funziona. Questa cosa così originale: ma come avete fatto, ma come si riesce? Non siamo uno Stato, lo ricordava la professoressa Violini, siamo questa “roba qua”. Umberto Eco diceva che la lingua dell’Unione Europea è la traduzione, anche se parliamo inglese. In Europa si parla una lingua che è la lingua nazionale ai mezzi col gaelico di uno dei 27 paesi membri, eppure si parla solo l’inglese. Quindi, che questa cosa funzioni, che questa macchina funzioni e attragga, credo che dobbiamo esserne tutti consapevoli e soddisfatti. Tuttavia, attenzione – e qui drammatizzo – che la tua capacità di attrazione è anche l’indicazione di un tuo limite. Noi abbiamo nove paesi che, tra virgolette, forse otto, ma insomma, perché la Turchia potremmo considerarla come un paese candidato ad honorem, è un po’ in permanenza. Però gli altri otto sono paesi balcanici e tre paesi ex-sovietici: Moldavia, Georgia e Ucraina. Vogliamo tenerli fuori? Io penso che sarebbe inaccettabile tenerli fuori. Quando vedo le bandiere europee a Tbilisi, sventolare negli scontri con la polizia, io dico: eccola lì l’anima dell’Europa. È in questi georgiani, il paese di Stalin, che vogliono entrare nell’Unione Europea. Il paese di Stalin e di Beria. Però se l’Unione Europea da 27 siamo partiti in sei – io non c’ero, ma insomma, sono partiti in sei, ora sono 27 – la professoressa ricordava gli ex paesi con dittature fasciste, i paesi con le dittature sovietiche, ma se diventiamo 35, assomiglieremo all’Unione Europea o alle Nazioni Unite? Io non ho niente contro le Nazioni Unite, ma è un’altra cosa. Quello è un soggetto, un’organizzazione internazionale con i suoi modi, i suoi tempi, le sue maggioranze. Nessuno si aspetta che le Nazioni Unite siano il governo mondiale. Dell’Unione Europea noi ci aspettiamo che sia almeno in parte il governo europeo e allora dobbiamo darci una regolata. Su alcuni dei nodi istituzionali, lo so che è una discussione un po’ noiosa, dobbiamo cambiare. Fatemi fare solo tre esempi, ma si potrebbero citare 50 questioni. Primo, l’unanimità, così come oggi, non funziona. Non funziona già a 27. Io, nel mio portafoglio, questo lo dico solo adesso perché, insomma, a fine mandato, ho anche la competenza delle tasse. Non lo sapevate? Allora, per definizione, cioè nei trattati, per decidere sulle tasse in Europa ci vuole l’unanimità, qualunque cosa. Insomma, anche le cose più banali, una direttiva che si chiama Unshell, cioè contro le compagnie con “chiglia”, i gusci che si costruiscono per fare delle operazioni di comodo. Ovvia, no? E trovi un Paese, non faccio nomi, ma potreste immaginare quale è il Paese in cui tutte queste compagnie hanno sede, che visto che c’è l’unanimità te la blocca. E così si potrebbe dire per decine di altre misure. Ma ci sono cose più importanti, come la politica estera, che hanno bisogno dell’unanimità. A 27 è difficile, a 35 andare avanti all’unanimità sarà impossibile. Quindi qui dobbiamo correggere, dobbiamo correggere sulla difesa perché soprattutto se gli Stati Uniti prendessero un certo abbrivio – al momento il rischio sembra minore di qualche settimana fa – però se gli Stati Uniti andassero su una posizione un po’ più, come si suol dire, isolazionista, hai voglia a parlare di difesa comune europea che ne parliamo da 27 anni senza prendere decisioni. Hai voglia a sottomettere tutte queste cose alla regola dell’unanimità! Molto difficile. E in terzo luogo, dobbiamo capirci tra di noi, se vogliamo allargare come vogliamo allargare, sulle risorse che abbiamo e che mettiamo a disposizione. Che cosa è successo con i Paesi che sono entrati nell’Unione uscendo dall’Impero Sovietico? C’è anche una certa disillusione tra loro, intendiamoci, che è provocata in parte da fenomeni migratori, cioè la meglio gioventù in molte di questi paesi, approfittando della libera circolazione delle persone dentro Schengen, è andata a lavorare in altri paesi europei. Ma al tempo stesso il reddito pro capite di questi paesi vent’anni fa era il 42 per cento del resto dell’Unione Europea, cioè dell’Europa tradizionale, adesso è al 74%. In 20 anni questi paesi hanno praticamente raggiunto il resto dell’Unione Europea. Però c’è un tema di risorse. Se ci ingrandiamo anche a paesi molto grandi come l’Ucraina, che fine faranno i fondi comuni europei? E qui non è che possiamo dire: “Ah beh, chiediamo ai Paesi membri di aumentare i loro contributi”. Una delle cose più impopolari che l’Unione Europea può fare è chiedere ai diversi Paesi di aumentare i loro contributi all’Unione. Nel Nord Europa non ci provare nemmeno a chiedergli di aumentare i contributi perché ti dicono di no. Quello che dovremmo fare è gradualmente metterci nella condizione, visto che abbiamo per 20 paesi, presto 21 su 27, una moneta unica, gradualmente di avere, virgolette, un tesoro unico. Questa roba di Next Generation EU, che chiamiamo in Italia PNRR, perché è stata straordinaria, tra le tante altre cose? Perché ha fatto vedere che la Commissione europea può andare nei mercati finanziari e raccogliere – pensate che nel 2019 la Commissione europea raccoglieva 180 milioni di euro nei mercati finanziari, nel 2021 120 miliardi nei mercati finanziari europei – mantenendo la tripla A e continuando a essere un soggetto economicamente molto forte. Se pensiamo di andare avanti con Unione Europea a 35 senza fare passi in avanti verso un tesoro europeo, secondo me ci illudiamo. Gli americani hanno fatto il percorso opposto, hanno cominciato con il tesoro, famosa decisione del primo segretario al Tesoro, Hamilton, che decise di mettere insieme i diversi tesori degli Stati. Poi ci hanno impiegato molti decenni a fare la Fed, cioè la banca federale. Per molti decenni avevano un tesoro federale, ma le banche erano rimaste dei singoli Stati. Noi per un certo periodo possiamo fare l’opposto, cioè avere un’unica banca che decide praticamente tutto nella politica monetaria e 27 tesori diversi, ma non lo possiamo fare per sempre. Quindi, di nuovo, se l’Unione Europea vuole stare nei tempi di oggi, nei tempi che cambiano, deve aumentare la propria ambizione. Più forza all’Unione Europea significa anche più forza alla sua capacità di espansione di democrazia e di libertà, perché alla fine di questo stiamo parlando, cioè di un pezzo del pianeta che oggi è un grande magnete di democrazia e di libertà. E scusate se è poco.

Faré. Grazie, Presidente Gentiloni. Grazie perché non solo ci ha ricordato come sia fondamentale avviare questo processo di integrazione all’interno dell’Unione Europea per favorire questo processo di rinnovamento di cui stiamo parlando, ma perché ci ha anche indicato concretamente su che cosa oggi occorre concentrare gli sforzi politici ed economici. E allora vorrei fare un passo avanti su questo, chiedendo alla professoressa Violini se questo processo di integrazione di cui stiamo parlando ci porterà anche a pensare e progettare una nuova costituzione europea che sappia anche regolare le negoziazioni tra gli Stati che spesso, soprattutto nei momenti di incertezza, sono disordinate, disorganiche.

Violini. Allora io credo che la strada verso una federalizzazione dell’Europa sia una strada molto complessa, molto difficile e forse la cosa che più è coerente con la storia dell’Unione Europea è la politica dei piccoli passi, magari anche di qualche passo indietro qualche volta, però certamente come abbiamo visto le crisi sono state fino adesso sempre delle occasioni per crescere. Per me, come credo molti dei miei colleghi che studiano anche più dettagliatamente il diritto costituzionale dell’Unione Europea, il tema che ci aspetta sarà una riflessione seria su qualche modifica ai trattati. Le questioni sono già state poste sul tappeto, tutte le questioni fondamentali, e sono essenzialmente le tematiche relative all’unanimità a cui sono sottoposte le decisioni di tutto quello di cui noi oggi sentiamo il bisogno, abbiamo bisogno per poter far crescere l’Europa. Primo, già stato ricordato, la politica di sicurezza e di difesa comune. Adesso si stanno facendo dei passi avanti nel coordinamento, nella gestione unitaria. Si vogliono fare anche degli acquisti insieme sul mercato o sui mercati per poter mettere insieme una potenziale difesa europea ma sono ancora passi molto ostacolati dalla regola dell’unanimità e ancora una volta i passi saranno Ricordo che il 22 novembre scorso il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione finalizzata a dare l’avvio ad una convenzione per la riforma del Trattato di Lisbona. Giusto per dramatizzare questa risoluzione è stata votata con 291 voti contro 274 quindi una maggioranza molto risicata però siccome non vogliamo soffiare sul lumicino che fumiga ricordiamoci che qualcuno qualche passo nella direzione lo sta facendo. L’ultimo tentativo di fare un passo verso una costituzione o comunque un cambiamento significativo dei trattati è stato il progetto Spinelli del 1984. Certo, i passi si possono fare. Bisognerà che il Consiglio europeo prenda delle iniziative e che affianchi la volontà espressa del Parlamento di andare in una direzione di maggiore integrazione. Il Commissario Gentiloni potrebbe aiutarci nel definire meglio questa tematica, ma se noi parliamo di Costituzione, inevitabilmente evochiamo un atto che entra a piedi pari nella sovranità degli Stati, è forse più ragionevole pensare a delle integrazioni e a delle modifiche dei trattati, soprattutto nei processi decisionali. Anche qui non penso che l’assetto istituzionale sia modificabile a breve scadenza, ma le procedure decisionali, che tra l’altro l’esempio che ho fatto prima in alcuni casi si sono dimostrate un po’ più efficienti di quello che sembrano, però qualche modifica nell’assetto delle competenze e dei processi può essere utilmente almeno pensata e progettata. Certo, il progetto del Parlamento europeo era un attimino ambizioso perché l’idea era di superare praticamente sempre il potere di veto, quindi introdurre sempre la votazione a maggioranza qualificata su sicurezza e difesa comune, armonizzazione fiscale, politica estera, bilancio pluriennale, perché anche sui bilanci bisognerebbe cercare di cominciare a ragionare. Già ci sono tanti momenti di coordinamento tra i bilanci degli Stati, però finché non si arriva a fare il passo decisivo, prima ricordato, sono sempre forme di coordinamento e quando si parla di coordinamento inevitabilmente si va nella direzione dell’unanimità perché tutti devono essere d’accordo per fare certi passi e poi l’idea che emerge da questo atto del Parlamento è quello di attribuire più risorse proprie all’Unione Europea, non solo dal punto di vista del debito, ma probabilmente anche da studiare molto bene sul piano di una fiscalità integrata. Persino il Parlamento Europeo, su questo io ho qualche dubbio, vorrebbe introdurre i procedimenti a maggioranza qualificata, persino nel cambiamento dei trattati, per la modifica dei trattati, che tra l’altro modifica dei trattati, non è che può immaginare che viene stravolto l’impianto del diritto primario europeo, ma ci sono delle cose che si possono modificare e che sarebbe utile che venissero modificate. Cammino arduo, altro elemento drammatico che non dobbiamo dimenticare, l’articolo 48 chiede la doppia unanimità, Ci vogliono almeno 14-15 governi per attivare il processo di modifica dei trattati. Vedremo questa nuova Governance europea cos metterà in cantiere in questo senso. Un punto che forse si potrebbe aiutare a fare dei passi avanti senza stravolgere, senza spaventare, senza creare troppa resistenza negli Stati è forse quella della geometria variabile, dell’uso di geometrie variabili. L’abbiamo già sperimentato in Europa, la cooperazione rafforzata prima nel campo della moneta, poi Schengen, poi le politiche di coesione, si è cominciate in meno e si tenta poi di ingrandire questo nucleo duro che gestisce con maggiore integrazione le proprie competenze. Ripeto, bisogna essere molto molto cauti quando si prospettano queste cose, però è anche giusto cominciare ad attivare dei processi di pensiero e di creare anche qualche elemento di consenso che può essere utile a far sì che questo quadro istituzionale così balki, così faticoso da gestire, possa essere più utile, molto più utile, all’economia europea. Del resto questo con questo chiudo è veramente impensabile che con un panorama globale di questo tipo che gli Stati da soli possano affrontare la ristrutturazione della politica industriale. Noi in Europa quanti di noi hanno in tasca un telefonino che non è fatto altrove? non c’è nessuno, dobbiamo pensare a fare degli investimenti potentissimi nella costruzione delle nuove tecnologie, non essere più il fanalino di coda rispetto a Stati Uniti e Cina, i dati ricordati da Panetta nel corso di questa settimana sono assolutamente emblematici e quindi siamo veramente in un momento in cui forse se non si fa qualche passo avanti, si finirà per farne qualcuno indietro.

Faré. Grazie, professoressa Violini. Volevo rimanere un secondo con lei perché lei giustamente diceva che le crisi nella storia dell’Europa sono state fondamentali per la sua crescita e in queste fasi la società civile europea, spesso organizzata in comunità intermedie, ha giocato un ruolo fondamentale per il suo sviluppo. Mi chiedo e le chiedo: oggi può essere ancora così? E che cosa può favorire questo continuo dialogo tra società civile e istituzioni che ha permesso davvero all’Europa di non perdersi nei momenti più difficili della sua storia?

Violini. Ma anche questa è una domanda complessa, perché l’Europa effettivamente dà grande spazio alla società civile. Il problema, qualche volta, è un po’ la società civile, perché sono un po’ lontani, non sempre partecipano. Per esempio, anche questa decisione del Parlamento Europeo che ho citato, e quindi il lavoro che è stato fatto sulla riforma dei trattati, aveva visto una forte partecipazione dei cittadini europei. Anche qui l’architettura istituzionale non facilita un rapporto diretto della società civile con le istituzioni europee. Però non dobbiamo dimenticarci, per esempio, che i trattati europei sono quelli che hanno aperto la strada per primi all’affermazione del principio di sussidiarietà tanto caro a questa platea. Certo, è stato un inizio, forse è una sussidiarietà più verticale che orizzontale, però dobbiamo sempre ricordare che ha aperto un importante dibattito per far presente che l’Europa, qualcuno lo diceva oggi, per prima dice di sé che vuole intervenire solo nella misura in cui gli Stati non sono in grado di gestire da soli certe problematiche e comunque quelle problematiche che abbiamo citato qui in questa discussione non sono problematiche che gli Stati possono affrontare da soli. Però c’è anche la possibilità di continuare a dialogare anche tra diversi livelli di governo per arrivare a interloquire con le istituzioni europee, penso al dialogo tra i parlamenti e il Parlamento europeo, penso al lavoro che la Commissione fa nel proporre il proprio programma all’inizio dell’anno in modo che i parlamenti e i governi possano dire la loro per quanto riguarda i progetti della Commissione, penso a tante altre forme di interazione tra i livelli di governo proceduralmente codificate che potrebbero aiutare a far sì che anche la società civile venga coinvolta in questa opera, non facile ma certamente molto meritoria, per far sì che la voce anche della società civile sia sentita a livello europeo.

Faré. Grazie, professoressa. Torno da lei, Commissario Gentiloni, perché prima lei parlava giustamente di questa ambizione che l’Europa ha nell’essere leader della transizione verde, della transizione energetica. Io le volevo chiedere: come questa transizione può essere un volano per la crescita dell’Europa?

Gentiloni. Sì, ma come sapete è uno dei temi più controversi. Il fatto che sia controverso è positivo, perché noi abbiamo vissuto molti decenni in cui questa questione – la questione del cambiamento climatico, la questione ambientale – era ai margini. “Sì, ho capito, però parliamo di politica, andiamo sulle cose serie”. Io mi sono occupato molto in gioventù di cose ambientali e spesso la reazione dei partiti o dei media era un po’ questa: “Siamo tutti d’accordo, però andiamo al sodo”. Ecco, adesso nel sodo e addirittura nelle controversie politiche europee in modo molto forte c’è anche il tema ambientale. Da una parte penso che la Commissione europea, la Commissione von der Leyen, si sia presa una grande responsabilità. Quando è nata questa Commissione, in pratica aveva in mente questo tema della transizione climatica come la propria carta di identità. Poi è arrivato di tutto: la pandemia, la guerra, l’inflazione, ecc. Però all’inizio, nei primi mesi, il biglietto da visita della Commissione era la neutralità climatica al 2050 e, per arrivarci, le diverse tappe. Sembrava una cosa un po’ da matti. Tuttavia, nel giro di pochi mesi, questa proposta fu lanciata in questo modo a dicembre 2019, due mesi prima del Covid. Però se andate a rivedere le cose come si sono poi sviluppate nel 2020, Stati Uniti, India, Brasile, Cina perfino – in modo molto diverso l’uno dagli altri – Inghilterra, Giappone, hanno fatto proprio in qualche modo l’obiettivo, in modi diversi, ripeto, di arrivare a una neutralità climatica più o meno nel 2050. Quindi essere stati all’avanguardia, tra virgolette, in un certo senso, è stato un fatto che a mio parere andrebbe rivendicato. Stare fermi non aiuta. Dopodiché non basta però aver lanciato la palla, aver stabilito delle scadenze, degli obiettivi, perché c’è bisogno almeno di due cose. Primo, diciamo così, buon senso, flessibilità, conoscenza della realtà per adattare questi obiettivi, questi termini, queste scadenze all’evoluzione delle cose. Perché se queste cose non vengono capite dai cittadini o dal mondo delle imprese, se non ci sono gli sviluppi tecnologici che le rendono possibili, è inutile inseguire delle bandierine che poi diventano politicamente molto pericolose. Nella vittoria in alcuni paesi di posizioni nazionaliste, come si dice oggi sovraniste, c’è molto del risentimento, soprattutto della periferia delle classi non urbane, di fronte a questi obiettivi considerati troppo forzati, esagerati. Quindi la prima cosa che serve è buon senso, flessibilità. In secondo luogo serve una gigantesca operazione di trasformazione del nostro mondo del lavoro, perché non è che non ci siano i posti di lavoro di un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale, è che questo richiede grandi trasformazioni. Se guardate queste grandi trasformazioni in parallelo con l’altro grande vettore che abbiamo di fronte, che è quello del cambiamento tecnologico-digitale, l’intelligenza artificiale, anche lì un intero arco di professioni, di mondo del lavoro cambierà. Quindi, intelligenza, buon senso, flessibilità nell’attuazione di questi programmi, anche se, ripeto, averli lanciati è stato positivo. Ho sentito l’altra sera Michelle Obama alla convenzione dei democratici ricordare l’importanza del potere contagioso della speranza. Penso che sia una bella frase, il potere contagioso della speranza. La speranza in un mondo qualitativamente migliore dal punto di vista ambientale ha una forza contagiosa, però fino a un certo punto. Nel senso che se poi nell’attuazione prevalgono obiettivi irrealistici, se non si accompagna il percorso nel mondo del lavoro, penso che si corrano dei seri rischi. Quindi la mia idea è andare avanti sul tema della transizione climatica, ma farlo con un di più di realismo e con un impegno maggiore sul tema che in gergo si chiama dei “green jobs”, comunque delle opportunità di lavoro che queste trasformazioni consentono e che sono davvero straordinarie.

Faré. Grazie, Commissario Gentiloni. Mi permette una domanda conclusiva, veloce e alla luce anche della sua esperienza di Commissario. Tra qualche mese si insedierà la nuova Commissione Europea. Qual è, secondo lei, il punto su cui la nuova Commissione, ma anche noi come popolo europeo, saremo chiamati a porre maggiore attenzione?

Gentiloni. Ma guardate, la Commissione Europea è una macchina molto consistente. E che cosa sta facendo e farà nelle prossime settimane? Fondamentalmente due cose. Gli uffici prepareranno i nuovi Commissari alle loro audizioni parlamentari, che sono complicate. C’è sempre qualche bocciatura e nell’ultima Commissione Von der Leyen furono bocciati tre Commissari. Dall’altra parte, la Presidenza della Commissione sta lavorando, oltre che sulla struttura della Commissione, sui diversi compiti da attribuire ai diversi Commissari, che poi verranno condensati in delle lettere che la Presidente manderà ai nuovi Commissari, in cui in teoria c’è scritto tutto quello che devi fare nel corso di cinque anni. E poi questa cosa dura cinque anni. Non è come… Se si va a rileggere il programma come era stato definito nell’autunno del 2019, quali saranno le priorità … la famosissima frase di di un Primo Ministro inglese Macmillan, a cui un giovane studente chiese qual è la cosa più importante che ha imparato nella sua esperienza di primo ministro inglese, e la sua risposta fu “events, dear boy, events”, cioè i fatti, le cose che succedono, caro ragazzo. Questo è quello che determina il lavoro di un organismo politico. Quindi saranno i fatti a determinare le priorità. Noi già sappiamo che alcune priorità ci sono. Primo, tenere botta nel sostegno all’Ucraina e cercare di delineare una politica estera e di difesa comune. Sarà un compito più urgente se nel primo martedì di novembre l’esito delle elezioni sarà uno piuttosto che un altro. Sarà più urgente avere una politica estera e una politica di difesa comune se le elezioni americane andranno nella direzione di Trump rispetto a un risultato diverso. Secondo, vedere che cosa si fa dopo la decisione straordinaria sugli Eurobond e su Next Generation EU. Perché non è che tu puoi attraversare il Rubicone e poi far finta di niente. Va beh, è stato un episodio, lo archiviamo. E quindi in che modo si rilancia la necessità di finanziamento comune per i beni comuni? Terzo dossier molto importante: quello che in gergo europeo si chiama l’allargamento, e cioè questi 8-9 paesi che sono fuori dalla porta, non entreranno date retta a me nei cinque anni dell’attuale Commissione Von der Leyen, ma questi cinque anni possono essere decisivi per fare i passi che poi tra sei, sette, otto anni potrebbero portarli all’ingresso. È un percorso lungo. La Commissione europea è esigente, talvolta anche troppo esigente su alcune questioni, però giustamente anche esigente perché la qualità sociale e democratica dell’edificio europeo non può essere compromessa. Quindi queste tre grandi priorità, politica estera e politica di difesa, finanziamento, nuove risorse comuni e la tematica dell’allargamento, sono a mio parere fondamentali. Sullo sfondo, e fatemi concludere su questo, c’è il fatto che noi europei siamo orgogliosi delle cose che dicevo prima all’inizio. La libertà, il welfare, la democrazia, la pace. Nel continente dilaniato si è trovata la pace. Dovremo essere però preoccupati della scarsa massa critica che riusciamo ad avere come europei negli investimenti sul futuro, sulle cose nuove, sugli investimenti privati, non solo pubblici. Intelligenza artificiale: in Europa i privati investono più o meno un ventesimo di quello che investono negli Stati Uniti e più o meno un quinto di quello che investono in Cina. Hai voglia a discorsi che l’intelligenza artificiale ci cambierà la vita, eccetera, eccetera? Ok, che cosa stiamo facendo? Quindi, so che Mario Draghi sta più o meno concludendo il rapporto che gli è stato assegnato sulla competitività. Spero che come ex Primo Ministro italiano si ricordino anche di me, prima o poi, e mi diano anche da fare un rapporto di qualche genere. Ma il rapporto di Mario Draghi sarà molto importante, perché tra le cose davvero essenziali, al di là dei singoli dossier, c’è mettere nella testa di noi europei il fatto che nel gioco, nel grande gioco dei tempi nostri, il grande gioco nel secolo scorso era il gioco di potenza tra gli inglesi, i francesi, i russi, oggi il grande gioco è la corsa globale all’innovazione, alla tecnologia. Questi giganti privati per certi versi scandalosi, che sono molto più importanti in termini economici di grandi paesi come l’Italia, ma sono quasi tutti americani o cinesi. Allora noi – e questo è il compito principale – dobbiamo interiorizzare l’idea che nel grande gioco di oggi, che è questo, non si può stare come italiani, tedeschi, lituani, lettoni o maltesi; si può stare come europei. Quindi la sfida della competitività – pensate che meraviglia se riuscissimo ad abbinare alle cose che in qualche modo abbiamo già nel nostro modello europeo, cioè un po’ meno di ingiustizia, un po’ più di servizi pubblici, un po’ più di coesione sociale – pensate che meraviglia se riuscissimo ad associare queste caratteristiche che sono le nostre con una capacità competitiva sui brevetti, sull’innovazione, sulla tecnologia, che invece non sono le nostre. E questa forse è la sfida principale che la nuova Commissione avrà davanti. Auguri!

Faré. Grazie, davvero ringraziamo i nostri ospiti, perché ci hanno fatto capire innanzitutto il valore del conoscere i fatti – appunto il Ministro Gentiloni parlava dell’importanza di conoscere i fatti, conoscere per decidere. In secondo luogo, ci hanno ricordato ancora una volta che l’Europa è un bene: è un bene la sua pluralità, la sua biodiversità, ed è una biodiversità che va preservata correggendo quello che c’è da correggere e valorizzando il positivo. E in terzo luogo, che la cultura sussidiaria che è nel DNA dell’Europa, fatta di relazioni tra persone e tra società civile e istituzioni, è oggi più che mai necessaria per permettere all’Europa di continuare a crescere. Io davvero vi ringrazio e permettetemi di ringraziare il Commissario Gentiloni alla fine del suo mandato per il prezioso servizio che ha svolto per l’Italia e per l’Europa, e ringrazio voi perché la vostra presenza è il primo contributo al Meeting. Vi ricordo che è possibile anche offrire un contributo economico ai punti di una ora che potete trovare in fiera e aggiungo una cosa: provocati dall’intervento del Cardinal Pizzaballa, il Meeting ha deciso di devolvere una parte di questi fondi proprio alla Terra Santa. Quindi vi invito a contribuire a questa causa. Grazie e buona continuazione a tutti.

 

 

Data

23 Agosto 2024

Ora

17:00

Edizione

2024

Luogo

Auditorium isybank D3
Categoria
Incontri

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