Europa e futuro

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Intervento di Paolo Gentiloni, Commissario Europeo per gli Affari Economici. Partecipa Elena Mazzola, Presidente della ONG Emmaus, Kharkiv, Ucraina. In occasione dell’incontro, proiezione del video-messaggio di Roberta Metsola, Presidente Parlamento Europeo. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

Che Europa possiamo e dobbiamo attenderci nei prossimi anni? Quali saranno i dossier al centro dell’azione politica, economica e sociale europee? Che ruolo giocherà l’Europa in uno scenario internazionale completamente mutato, difficile da decifrare, e dall’orizzonte sempre più incerto?

Con il sostegno di Intesa Sanpaolo, Hines, Engineering, Confagricoltura, Avvenire, BI-MU biennale della macchina utensile.

EUROPA E FUTURO

Giorgio Vittadini: Buongiorno, benvenuti a questo incontro Europa e futuro che è la prima importante tappa del percorso del Meeting rispetto alla politica, la politica vera, quella dei fatti di costruzione.

Prima di introdurre l’incontro presento i nostri importantissimi ospiti. Innanzitutto Paolo Gentiloni un grande amico del Meeting presente in diverse forme, oggi come Commissario europeo per gli affari economici, lo ringraziamo per la sua costante presenza, e poi Elena Mazzola Presidente della ONG Emmaus Karkiv Ucraina una delle più importanti persone nell’aiuto al popolo ucraino e alle persone come sentiremo anche più tardi. Grazie per la tua presenza.

Sentiremo poi un videomessaggio di Roberta Metsola Presidente del Parlamento europeo.

Allora introduco l’incontro e i tre ordini di domande che vorrei fare a Paolo Gentiloni dopo che Elena abbia presentato la situazione attuale dell’Ucraina e parto proprio da questo prim’ordine di domande che è su pace e ridisegno politico. Mi è capitato più volte con i più giovani, in certe campagne elettorali europee, di dover dire, ma cosa serve l’Europa? Ma io sto bene lo stesso. E io ho fatto notare a questi miei interlocutori più giovani che quello che ci metteva in comune rispetto a tutte le generazioni di europei precedenti è che noi non abbiamo mai visto la guerra. L’Europa unita ha permesso che non ci fosse la guerra ed è questo il punto fondamentale su cui Schuman, Adenauer, De Gasperi, Monnet hanno costruito la comunità europea del carbone e dell’acciaio, mettendo in comune le risorse e le energie che potevano essere le fonti di contrasto. E questo ha assicurato per anni, secondo me molto prima e molto più che la NATO, l’idea di una Unione europea dove non ci fosse la guerra. Poi c’è stata la guerra Jugoslava che se vogliamo ha sottolineato questo, perché la guerra, laddove c’è stata in Europa? dove c’erano stati che non erano regolati da questo accordo di pace. E dopo la caduta del muro e l’allargamento dell’Europa ad est, noi pensavamo che fosse finita la guerra fredda, un motivo di contrasto in Europa. Adesso la guerra in Ucraina, tra Russia e Ucraina, non è solo tra loro, ma, come vediamo, è un ridisegno: è l’idea che un popolo europeo, una nazione europea, pur non aderente all’Unione Europe, possa aggredirne un altro e migliaia e migliaia, decine di migliaia di morti sul suolo europeo, e il ritorno ad un’ostilità feroce tra paesi europei.

Allora la prima domanda che vorrei fare al Commissario Gentilini è: “Ma cosa cambia, per la concezione dell’Europa per la guerra ucraina: torniamo al rapporto ovest-est che c’era in precedenza? E cosa significa per il Mediterraneo, per l’Europa e il resto del mondo? Cosa cambia in questa origine dell’Europa che è, come il Meeting, per la pace? Cambiano i connotati? e, domanda futuribile, questa divisione con la Russia è qualcosa è qualcosa di impossibile da superare anche in futuro? quindi prima domanda che torna alle radici dell’Europa. E la seconda domanda è sul modello di sviluppo. Sono domande generali ma che cercano di interpretare le domande di tutti su queste, perché abbiamo avuto qui il grande economista francese Fitoussi che è deceduto quest’anno che è uno dei più grandi studiosi della diseguaglianza che diceva che il nostro sistema è basato su due principi, quello della democrazia, vale a dire una persona un voto, e quello del mercato, un euro un voto, e lui diceva che se prevale il secondo, anche la democrazia viene meno e purtroppo quello che è avvenuto negli ultimi anni – l’abbiamo sentito in tanti incontri del Meeting- che sono cresciute tutte le diseguaglianze; il tasso di disoccupazione in certi paesi come l’Italia, è preoccupante; i salari non sono cresciuti e forse una certa spinta neoliberista che l’Europa ha avuto in certi anni, ossia l’idea che il mercato da solo mettesse a posto le cose, ha acuito questi aspetti; pensate che al livello mondiale il PIL è stato calcolato in 75.000 miliardi di dollari, mentre l’importo delle attività finanziarie è stato valutato in 993.000 miliardi di dollari, vuol dire che abbiamo una sproporzione di attività finanziarie; ricordiamo la crisi finanziaria che non è ancora finita come effetti.

Però è successo qualcosa di importante, anche se non così clamoroso: nel 2017 gli stati membri, gli organi dell’Europa si sono impegnati per lavorare ad un’Europa più sociale e dentro qui io vedo tutta la svolta dell’economia sostenibile, tutta la svolta del Next Generation Eu l’idea di una sostenibilità che, come sappiamo, non è solamente ambientale ma ha dentro aspetti fondamentali sociali, il lavoro, la parità. Qual è il futuro dell’Europa da questo punto di vista? Questa è l’idea anche del fatto che dopo aver sottolineato per tanti anni il rapporto debito-Pil, pur sottolineandolo, c’è l’idea di questo sviluppo: andremo verso questo tentativo di un’Europa sociale, che noi abbiamo nelle corde come italiani almeno negli anni della prima repubblica, oppure la deriva neoliberista vincerà? Quindi il futuro anche economico dell’Europa?

Terzo tema è la sussidiarietà, certamente la sussidiarietà orizzontale. Io continuo a sottolineare il rapporto della Fondazione Sussidiarietà 2022 fatto con l’Istat dimostra che quando ci si impegna in impegni sociali, volontariato in corpi intermedi nel terzo settore diminuisce il tasso di disoccupazione, diminuisce il rischio di povertà, aumenta l’istruzione, diminuiscono le morti evitabili, cioè migliora il benessere della gente. Quindi la prima domanda è: l’Europa terrà conto di questo? sarà un po’ di più negli anni prossimi l’Europa dei popoli o solo l’Europa degli stati? perché è difficile come realtà dei corpi intermedi avere a che fare con questo.

Poi però c’è una seconda domanda che va alle radici dell’Europa. Io ho studiato che il trattato di Maastricht è basato sulla sussidiarietà verticale, cioè riconosce che gli stati possano decidere, abbiano la priorità rispetto all’Unione Europea. Cosa vuol dire questo nel corso degli ultimi anni? Nel corso degli ultimi anni, allargando l’Europa, vuol dire che, per prendere qualunque decisione, c’è bisogno dell’unanimità perché uno invoca questa sussidiarietà, questa sovranità contro, ma questa unanimità alla fine è contro la gente perché, se non si può più prendere una decisione riguardante il fisco, riguardante la salute, riguardante le posizioni internazionali, se qualunque stato non… si oppone, voi capite che c’è la paralisi. La paralisi non va contro i governi, va contro la gente perché un’Europa che non decide è un’Europa che paralizza la gente. Quindi la terza domanda è fatta di, primo, la sussidiarietà orizzontale, secondo: come si fa come potere decisionale a tenere conto sia della sovranità ma anche dell’unanimità e questo, come sapete è uno dei temi fondamentali della campagna elettorale. Molti mi dicono a cosa servirà il Meeting per la campagna elettorale; io dico che servirà non perché indicherà qualche partito ma perché metterà luce a dei problemi in modo tale che ognuno sia più libero di decidere conoscendo, perché la conoscenza è la base del popolo libero. Da questo punto di vista, prima di sentire Paolo Gentiloni e l’intervento registrato dal Parlamento Europeo, vogliamo sapere, conoscere, sentire cosa sta succedendo dai nostri fratelli ucraini e quindi l’intervento che adesso farà Elena sarà qualcosa di fondamentale perché, come ho detto nella prima domanda, interroga non solo una parte, ma ciascuno di noi rispetto a quell’assetto generale che è fondamentale della vita. Ricordo solo una battuta finale per dire che concezione possiamo avere. Il presidente della Corte Costituzionale Amato in un incontro un po’ di giorni fa diceva che, quando io facevo politica nella prima repubblica, si discuteva nelle sezioni al consiglio comunale dell’acquedotto ma anche della pace del mondo; noi non possiamo pensare di vivere pensando al pane quotidiano se non abbiamo il tema la pace nel mondo che è all’origine di questo Meeting. Quindi Elena a te la parola.

 

Elena Mazzola: Io come sempre sono un po’ a disagio, oggi forse sono ancora di più del solito perché mi sento molto sproporzionata a parlare con il commissario Gentiloni rispetto quella che è la mia storia, la mia esperienza che adesso ha a che fare con l’Ucraina. Io vi dico in breve chi sono e cosa faccio.

Io ho vissuto quindici anni in Russia a Mosca e sono, di professione e di formazione, letterata; faccio la traduttrice, mi occupo di letteratura e da cinque anni vivo a Kharkiv città ormai tristemente nota, di cui spero sentiate ancora parlare. In Ucraina continuo a fare il mio lavoro ma mi occupo anche, condivido con alcuni amici, la responsabilità di una Ong che si chiama “Emmaus”, che è una piccolissima organizzazione che però fa un lavoro molto grande, molto puntuale: noi aiutiamo ragazzi orfani e disabili a trovare una speranza, a trovare il loro posto nel mondo, nella società. Io sono scappata dalla guerra con i miei ragazzi. Noi ci siamo accorti che stava accadendo qualcosa di diverso dal solito già a gennaio; dico “di diverso dal solito” perché Kharkiv è vicinissima al confine russo, è vicina a Belgorod, che è una grande città russa. Noi i carri armati al confine, tutto quello che sta accadendo nel Donbass (perché in Ucraina la guerra non è iniziata adesso, l’Ucraina è stata occupata nel 2014 e per chi vive in Ucraina tutto questo non c’è niente di nuovo da questo punto di vista anche la retorica, che voi probabilmente avete conosciuto solo adesso, della denazificazione, per noi è qualcosa che sappiamo già da anni. Ecco, noi a gennaio, quando abbiamo capito grazie soprattutto a tante cose, ma in particolare grazie agli accorati appelli degli americani, che la situazione era gravissima, ci siamo mossi, siamo scappati, come abbiamo potuto. Io ho mandato in Italia molti dei miei ragazzi, altri sono scappati con me a guerra già iniziata e siamo proprio scappati da un male che sentivamo come una minaccia molto probabile, ma che sentivamo proprio essere contro la persona concreta, contro la persona singola: cioè che ci fossero giochi di potere che ci potessero essere tante situazioni, tanti punti di vista di cui si parlava era chiaro, ma ci era anche chiaro che nessuno ci avrebbe difesi. Da questo punto di vista per ni, scappare da questo male, cioè amare Io dico sempre che ai tanti che mi hanno chiesto: “Come avete fatto a capire prima? Siete scappati in tempo! “ c’è gente che mia anche detto :” Sei un’ottima stratega “ e io dico sempre che non è che avessimo chissà quali informazioni più degli altri, però sicuramente quello che noi avevamo era la certezza o e i miei amici più grandi con me, la certezza di amare i nostri ragazzi e di non volere permettere che loro, che avevano già sofferto così tanto per le storie che hanno, perché appunto sono ragazzi orfani per cui avevano già vissuto una violenza, un abbandono, fossero di nuovo vittime diventassero vittime di una violenza. Per cui noi per questo amore siamo riusciti a leggere la realtà un po’ più in fretta diciamo di altri. In questo periodo da quando siamo arrivati in Italia, vorrei dire una cosa che si sentisse proprio in modo chiaro: la guerra in Ucraina non è finita; non è che in Ucraina la situazione sia migliorata, che adesso vada un po’ meglio. Quando io sono arrivata in Italia all’inizio marzo, ho sentito subito che di fianco avevamo persone scioccate, traumatizzate che quasi erano come se fossero state lì con noi, che sentivano come il nostro dolore e le nostre lacrime. Nei mesi per tante ragioni io è come se, quando incontro la gente, è come se questa guerra fosse diventata un po’ storia già, ma in realtà guardate che non è cambiato niente, anzi la situazione è solo peggiorata. Vi faccio un esempio: stamattina alle 3 sono arrivate qui a Rimini tre mie amiche, tre donne molto coraggiose che sono dipendenti di “Emmaus” e che hanno fatto il viaggio dall’Ucraina in macchina, portandoci qua una nostra macchina che noi avevamo comprato con un progetto di AVSI per una delle nostra ragazze disabili che ha preso la patente, e che era stata bombardata questa macchina l’hanno aggiustata, l’hanno portata giù e sono venute qui per vivere il Meeting con noi dopo essere stati tutti questi mesi sotto le bombe. Chi è a Kharkiv, chi in altri posti in Ucraina, una delle persone che è qua si chiama Olia, era la proprietaria di un bar in centro a Kharkiv, dove lavoravano due dei miei ragazzi e che è stato distrutto proprio, fatto saltare in aria completamente all’inizio della guerra. E io di storie così di questi giorni, che quando l’altra persona che è qua Katia che ogni tanto ci siamo sentite in questo periodo, quando io la sento e le chiedo: “Come stai?”, lei mi dice “Tutto bene”, io so perfettamente che lei tutti i giorni è a Kharkiv in casa sua, corre nei rifugi anti bomba quando ci sono le sirene. Questo accade di continuo, di continuo. Io so qui c’è tanta gente che sta accogliendo ucraini, dall’inizio tantissime famiglie, anche di miei amici; noi, solo noi abbiamo accolti più di 150 persone con l’aiuto di tanti amici. So che il Papa, a cui sono molto grata, continua a usare parole forti rispetto alla guerra perché parla di crudeltà, parla di una tragedia e chiede, pone delle domande a ognuno di noi: io cosa sto facendo per il popolo ucraino, io cosa sto facendo? Ecco, mi piacerebbe come sfidare al guardare le persone singole concrete. La guerra è in Europa, la guerra c’è, ci sono migliaia di persone come noi, anche qui, che vivono sapendo che, i miei amici tutti, io medesima, sapendo che là abbiamo amici, parenti tutti i giorni sotto le bombe.

Ultima cosa che vorrei dire: i miei ragazzi, anzi due, sarò breve, ma due. I miei ragazzi sono quasi tutti qua al Meeting a fare i volontari. Noi stiamo … Perché per me è importante dirlo? Perché adesso il popolo ucraino ha bisogno di aiuto; c’è tantissima gente che è partita, ha lasciato tutto per un’ingiustizia mostruosa; abbiamo perso tutto, abbiamo bisogno d’aiuto, abbiamo bisogno di case, abbiam bisogno di amici, ma non abbiamo bisogno di assistenzialismo, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi con quella passione per l’uomo che è a tema in questo Meeting, che significa che noi con i nostri ragazzi, con tutte le persone ucraine che sono con noi, abbiamo molto a tema la dignità, abbiamo a tema soprattutto il costruire. Noi siamo qui perché questo è un luogo che costruisce la nostra persona perché” Emmaus” non ci sarebbe se non ci fosse la storia da cui nasce il Meeting. E i nostri ragazzi che potrebbero essere “poverini, poverini, con tutti i problemi che avete…vi aiutiamo noi con tutti i vostri problemi”, i nostri ragazzi sono qua a fare i volontari perché noi speriamo e crediamo che da questa costruzione dell’io possa ripartire anche l’Ucraina.

Ultimissima cosa: ho chiesto a Giorgio se potevo di fare pubblicità; lo faccio per una ragione: io, dicevo all’inizio, sono una letterata, cioè io non faccio lavoro sociale. “Emmaus”, i miei ragazzi sono parte della mia vita, della mia vocazione; io di lavoro faccio altro. In questi anni ho scritto un libro su Manzoni, su “I Promessi Sposi”, che potete trovare alla libreria del Meeting e che il mio editore ha deciso di intitolare Manzoni fra Mosca e Kiev. Vi dico perché voglio parlare di questo libro: perché c’è una domanda che mi hanno fatto spesso in questo periodo, a volte in forma anche un po’ violenta, sul perdono, che mette a tema il fatto che bisogna perdonare, che si ripartirà da un perdono. Ma questa domanda è una domanda di una serietà e di una gravità impressionante perché, se io adesso vado da una persona che stanno uccidendo, che stanno violentando, a cui stanno togliendo tutto e le faccio un discorso sul perdono, io non contribuirò in niente alla pace. Il problema per me è dove, dove parte quella posizione, da dove si origina quella posizione umana per cui io, io e non loro, io e non gli altri, posso decidere, riconoscere che si può vivere davvero in questo mondo soltanto amando e quindi perdonando l’altro. È molto legato questo libro perché a me è capitato moltissime volte in questo periodo, in questi ultimi mesi in particolare, di scoprire questioni fondamentali al mio vivere e una è proprio quella del perdono che, lo sapete tutti quanti, quanto è centrale ne “I Promessi Sposi”. Leggendo la letteratura, leggendo la grande letteratura cristiana, da questo punto di vista io rileggendo, ristudiando quest’opera ho scoperto sul perdono che Manzoni è sostanzialmente e in modo assolutamente radicale legato ad una cosa sola, cioè alla persona di Cristo che mi ha permesso di vivere. Io non sono brava con i ragazzi, non ho fatto niente di particolare, ho guardato qualcuno e desidero continuare a guardare chi, più grande di me, alcune cose le ha già scoperte e per i miei amici, i miei ragazzi desidero che possano essere anche loro sempre sotto questo sguardo.

 

Vittadini: Assistiamo ora al video della Presidentessa del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e dopo di che avremo l’intervento di Paolo Gentiloni.

 

PARTE VIDEO DAL MINUTO 40.05 AL MINUTO 46.27

 

Carissima amiche e amici del Meeting. È un piacere, è un onore partecipare alla vostra 43ma edizione. Nel corso degli anni questo incontro si è affermato come un importante momento di dialogo e soprattutto di amicizia. Viviamo in tempi di incertezze e sfide imprevedibili e dopo due anni di pandemia le cui conseguenze economiche e sociali sono ancora così presenti nelle nostre vite, Putin ha scatenato una guerra illegale contro l’Ucraina indipendente e sovrana. Le bombe russe hanno ucciso indiscriminatamente. L’esercito russo ha violentato donne ucraine, milioni di ucraini sono stati costretti a fuggire dal loro paese cercando rifugio in Europa da uno spietato autocrate. Mentre pronuncio queste parole l’invasione dell’Ucraina prosegue. Ma l’Unione europea ha messo in atto una risposta immediata fornendo aiuti finanziari, militari e umanitari senza precedenti. Abbiamo mostrato solidarietà all’Ucraina e la sua gente imponendo pesanti sanzioni contro Putin e i suoi alleati e adottando una decisione storica nell’assegnare all’ucraina lo status ufficiale di paese candidato ad entrare nell’Unione europea. Siamo rimasti uniti perché sappiamo che i cittadini ucraini non stanno solo combattendo per la loro patria ma stanno lottando per preservare i valori che sono alla base del nostro modo di vivere: libertà democrazia e stato di diritto. Sanno che il nostro progetto europeo, radicato nello scopo di garantire pace prosperità e stabilità nel nostro continente è la forza motrice che ostacola il passato revisionista di Putin e i suoi alleati e adottando una decisione storica nell’assegnare all’Ucraina lo status ufficiale di paese candidato ad entrare nell’Unione europea. Siamo rimasti uniti perché sappiamo che i cittadini ucraini non stanno solo combattendo per la loro patria, ma stanno lottando per preservare i valori che sono alla base del nostro modo di vivere: libertà, democrazia e stato di diritto. Sanno che il nostro progetto europea radicato nello scopo di garantire pace, prosperità e stabilità nel nostro continente è la forza motrice che ostacola il passato revisionista di Putin fatto di sfere di influenza e influenza di stati vassalli e cortine di ferro. Dico sempre che il mondo dopo il 24 febbraio è un mondo molto diverso, senza dubbio più pericoloso. Anche il ruolo dell’Europa è cambiato. La guerra alle nostre porte ha avuto conseguenze significative anche per i cittadini europei. La carenza di cibo ed energia e l’aumento dei prezzi stanno mettendo a dura prova l’Europa, ma questo, cari amici, anche se è un momento che non abbiamo scelto è un momento in cui dobbiamo rimanere ancora più uniti. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, perché lo sforzo comune è l’unico mezzo per superare le sfide che ci attendono. Siamo noi che dobbiamo difendere l’ordine sulle regole che sosteniamo per cementare una relazione interdipendente tra nazioni e persone che sono orgogliose delle loro differenze, ma che capiscono che in questo nuovo mondo il futuro può essere solo insieme. Non dobbiamo reinventare la ruota, possiamo completarci piuttosto che entrare in contrasto con le alleanze esistenti. Dobbiamo rispondere con unità e un forte senso di speranza che la cooperazione multilaterale è la nostra unica via da seguir, che la democrazia deve trionfare sull’autoritarismo affinché l’Europa e tutto ciò che essa rappresenta possa perseverare. Parlare di speranza non è un ingenuo ottimismo come ci ricorda Vaclav Havel al quale avete dedicato una stupenda mostra nell’edizione del Meeting 2019. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo, la speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo abbia senso, che abbia successo o meno. La speranza non è una predizione, ma un orientamento dello spirito e del cuore. Questo incontro qui a Rimini è un simbolo della nostra forza e resilienza europea. Nemmeno una pandemia vi ha fermati e garantendo il rispetto tutte le misure sanitarie siete riusciti a organizzare il Meeting con la stessa compostezza ed entusiasmo di sempre. Perché quello che vi guida è il vostro impegno a mettere le persone al centro del futuro dell’Europa e l’affermazione del ruolo politico della verità. Il Parlamento Europeo, la casa della democrazia europea condivide come voi una passione per l’uomo e questa è la passione di chi ha a cuore il destino dell’uomo, che non ha paura di guardare alla nostra fragilità, ma che ha il coraggio di rimettersi in gioco di fronte alle sfide del nostro tempo. E vorrei essere chiara, questo è anche il mio obiettivo principale come Presidente del Parlamento europeo. La mia speranza è che gli stati membri e i nostri cittadini assumano un ruolo attivo nel dibattito sul futuro dell’Europa, affermando il protagonismo della società come forza di cambiamento. Il Parlamento europeo vuole ascoltare persone provenienti da culture, religioni background differenti, se venite con proposte, se presentate soluzioni, farete parte della conversazione e la vostra voce sarà ascoltata. Questo è il mio messaggio per voi. Grazie al presidente e a tutti i collaboratori della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, e alle migliaia di volontari che ogni anno si recano a Rimini dall’Italia e da ogni angolo del mondo. La nostra Europa deve rimanere un luogo di libertà, speranza e solidarietà. Un Europa che non lasci indietro a nessuno. Buon lavoro a tutti.

 

Vittadini: La parola al Commissario europeo Paolo Gentiloni.

 

Paolo Gentiloni: Grazie e buongiorno a tutti, grazie al Meeting per l’invito anche quest’anno e mi fa piacere di parlare dopo la Presidente del Parlamento Europeo e le belle parole usate da Roberta che sono per me anche l’occasione di ricordare il suo predecessore, un grande italiano Davide Sassoli. Mi fa anche piacere che questo incontro sull’Europa e il suo futuro, il nostro futuro, sia cominciato parlando di “Emmaus” a Kharkiv, della situazione in Ucraina perché penso che niente come la guerra in Ucraina ci ricordi il tempo che stiamo attraversando e che da lì dobbiamo partire se vogliamo ragionare sui quesiti che Vittadini poneva per l’Europa: in che tempo viviamo? Io direi, viviamo il campo dell’incertezza, parola chiave dominante su tutti gli scenari; e anche però il tempo della riscoperta della nostra fragilità. In fondo l’homo deus, come è stato definito, il padrone del mondo globale, il signore degli algoritmi e del DNA è stato rimesso sotto scacco dalla storia in questi ultimi anni, anzitutto dal riaffacciarsi dalla guerra in Europa, senz’altro, perché l’Europa nasce dal rifiuto della guerra. Il progetto europeo nasce da quello, ma quel rifiuto non è mai definitivo. Ci sono delle parole che mi sono segnato di un grande cancelliere tedesco Helmut Kohl all’Assemblea Nazionale francese, sembrano delle parole rivolte a voi. Diceva Helmut Kohl “Gli spiriti del male non sono stati banditi per sempre dall’Europa. A ciascuna generazione si pone di nuovo il compito di impedire il loro ritorno.” A ciascuna generazione, a voi, a noi tocca il compito di evitare il ritorno degli spiriti del male. La fragilità che abbiamo vissuto con la pandemia, la pandemia e la solitudine, che la pandemia ha messo in luce in tante nostre città, in tanti nostri quartieri in tante nostre famiglie; la fragilità per l’immane sfida del clima, la fragilità per qualche idea di democrazia senza libertà, che si fa strada in molti modelli nel mondo e persino in alcuni paesi europei, una democrazia senza libertà.

Ecco. A chi mi chiede il senso dell’Europa io direi innanzitutto l’Europa come antidoto, come risposta, come possibile strumento per far fronte a questa situazione di incertezza e di fragilità, Naturalmente quale Europa? Non solo il recinto delle regole, spesso noi pensiamo all’Europa come al recinto delle regole. È bene che ci siano delle regole. Ma Europa come luogo di un nuovo umanesimo, come ci disse, ricordo, nel 2017 papa Francesco incontrando i diversi leader in occasione dei sessant’anni dei Trattati di nascita dell’Unione europea, ci disse esattamente questo: “Il futuro dell’Europa dev’essere un nuovo umanesimo europeo”, il luogo della passione dell’uomo, se volete, riprendendo il titolo del Meeting di quest’anno. I pilastri di quest’ambizione europea io credo che li abbiate tutti abbastanza chiari. Abbiamo la sfida climatica, la sfida di combinare questa transizione climatica con la dimensione sociale, perché se non sarà giusta, la transizione climatica non ci sarà e mettere insieme queste due cose è forse la sfida più difficile per i governi europei in questo momento. È la dimensione sociale, per la quale l’Europa non ha del tutto gli strumenti necessari perché l’Europa sociale è un’Europa più di principi che di strumenti operativi ed è uno dei limiti che dobbiamo cercare di superare. Eppure fa dei passi in avanti, pensate al tema del salario minimo che è arrivato un po’ dall’Europa anche, con tutte le sue difficoltà e specificità, in paesi come l’Italia. Pensate alle proposte che abbiamo fatto di sostegno alla cassa integrazione, di cui io sono molto orgoglioso, perché tutti parliamo del Piano di Recovery ma forse l’antefatto del Piano di recovery è una proposta che io feci nell’aprile del 2019, 2020, che si chiama Sure, sostegno alla cassa integrazione e a quei sistemi, e che ha consentito a decine di milioni di lavoratori in Europa di non perdere il lavoro durante la pandemia. Infine, è la dimensione dei diritti, delle libertà civili, sociali, sessuali, religiose, la patria delle libertà è l’Europa. Per riuscire, io credo, ad affermare questo ruolo dobbiamo anzitutto cercare di vincere la sfida nella quale siamo immersi oggi noi europei. E la sfida è determinata da un’economia che attraversa acque piuttosto agitate, un’inflazione che è ai livelli più alti da decenni, una crescita economica che rallenta, anche se per fortuna non ha ancora avuto un impatto sull’occupazione, e costi energetici che stanno diventando insopportabili e che sono insopportabili, in particolare, per le famiglie e le persone più vulnerabili. Quando chiedono alla Commissione, i governi, come rispondiamo a questa crisi energetica, noi diciamo prendiamo delle misure, prendete delle misure che siano temporanee e mirate. Temporanee perché non possiamo contraddire la transizione climatica prendendo delle misure permanenti che facilitino la sopravvivenza dei combustibili fossili. Dobbiamo cercare di usarli perché è indispensabile ma non rendendoli molto convenienti e, contemporaneamente, dobbiamo aiutare chi ha più bisogno perché in una famiglia con un reddito più basso il peso delle spese per il riscaldamento, per la benzina, per l’elettricità, in genere, arriva addirittura al 15, 16, 17% e voi pensate che cosa significhi per questo tipo di redditi il fatto che questi costi possano raddoppiare. Quindi, intervenire, difendere la transizione climatica ma, contemporaneamente, difendere le fasce più deboli, più vulnerabili, che oggi sono colpite da questo terribile aumento dei prezzi dell’energia e poi usare quello che abbiamo. Next Generation You, il grande programma di recovery europeo, io dico spesso che se non ci fosse lo dovremmo inventare, perché oggi serve all’economia europea qualcosa che tenga in movimento la macchina, che sostenga gli investimenti, che moltiplichi il lavoro, che non si rassegni alla recessione. Servirebbe comunque spendere, avere attività e questo programma europeo ci consente di spendere non per scavare delle buche e poi riempirle, ma ci consente di spendere per degli obiettivi, che sono gli obiettivi del nostro futuro, che sono degli obiettivi condivisi a livello europeo. Quindi, guai a sottovalutare questi piani di recovery e guai a ignorare il fatto che questo vero e proprio esame di maturità per l’Unione europea, visto che la decisione di emettere questi Eurobond è una decisione senza precedenti, sarà un esame di maturità prevalentemente in lingua italiana, perché il successo di questo straordinario piano europeo sarà determinato in misura molto larga dal fatto che l’Italia avrà successo nel suo piano di recovery e di resilienza. Senza un successo (europeo) italiano, il successo di questo programma europeo è impossibile. E quindi è per questo che noi da Bruxelles diciamo a tutti i paesi che la sfida, proprio in questo momento così incerto per l’economia, di rallentamento ma non necessariamente di recessione, di prezzi energetici impazziti, ma nel quale comunque regge ancora, per fortuna, il lavoro e l’occupazione che è a livelli piuttosto soddisfacenti, in questo quadro contradditorio, bisogna attuare i piani di recovery e bisogna farlo adesso, bisogna accelerare non bisogna ripensare, ricominciare da capo con questi piani. Bisogna accelerarli. E se c’è qualcosa di concreto, di mirato che si vuole modificare, che si vuole correggere le porte a Bruxelles sono aperte, ma sono aperte per delle correzioni mirate e limitate non per ripensare e ricominciare da capo un programma da cui dipende la sorte dell’economia europea e che dobbiamo portare avanti ed accelerare. Il mare agitato va dunque affrontato adesso e va affrontato anche nei paesi ad alto debito come il nostro, attraverso lo strumento più immediato che è quello dei nostri Piani di recovery. Non siamo condannati all’austerità. Si dice in questa crisi economia, con queste difficoltà, con i problemi di bilancio e di debito che hanno alcuni paesi ad alto debito, inevitabilmente sono condannati all’austerità. Certo prudenza ci vuole nelle nostre politiche di bilancio, ma abbiamo un piano che prevede 40 miliardi l’anno di investimenti e di sviluppo legati a delle riforme. Altro che austerità! E questo piano sta già producendo dei risultati, guardate i dati del Cresme che ha pubblicato oggi il Sole 24ore, quanto si siano moltiplicati gli appalti nell’ultimo anno. È una corsa contro il tempo, carissimi amici, perché chiunque conosca l’Italia e quanti tra voi, e sono tantissimi, hanno un rapporto con la società, con i corpi intermedi sa la difficoltà dell’attuazione di questi programmi in termini di burocrazie da affrontare, di passaggi da superare, sappiamo che è una corsa contro il tempo e in questa corsa contro il tempo, da cui dipende la possibilità di non avere politiche solo di austerity ma di avere politiche di sviluppo, in questa corsa contro il tempo non ci possiamo permettere battute di arresto. Se dobbiamo correggere, correggiamo, ma dobbiamo andare avanti e non dobbiamo ricominciare da zero. Vittadini si chiedeva, mi chiedeva, e dava già delle risposte, sul ruolo più generale, se vuoi, internazionale dell’Unione europea. A noi l’Europa piace moltissimo, almeno a me piace moltissimo, piace moltissimo a tanta gente. Siamo, purtroppo non siamo molto efficaci, negli ultimi anni, nel consentire l’accesso ai paesi che vogliono entrare nell’Unione europea, ma resta il fatto che comunque quei sei che 65 anni fa iniziarono questa avventura adesso sono 27 e che i paesi che condividono la stessa moneta diventeranno 20 dal primo gennaio, con l’arrivo della Croazia, che quindi abbiamo 350 milioni di europei che condividono la stessa moneta. Ci piace l’Europa. L’Europa dei caffè, dice George Steiner, intendendo che i caffè sono diversi in tutti i paesi europei. Da noi spesso, soprattutto nel centro-sud, sono all’in piedi, molto spesso, i caffè, ma in tante parti del nord Italia e in Europa sono diversissimi, ma sono dei luoghi in cui ci si trova, si discute liberamente. L’Europa super potenza tranquilla, la definì Tommaso Padoa Schioppa. Qualcuno l’ha definita Venere in contrapposizione a Marte, molti hanno parlato dell’Europa come un erbivoro in un pianeta di carnivori. Non lo so, io penso che chi tra di noi vuol bene a questa Europa per i valori che questa Europa difende, porta avanti, lo stato sociale, la libertà, la pace, non può rassegnarsi a un’Europa che faccia la fine dei sonnambuli del 1912, 1913. Cioè la fine di quelle classi dirigenti che vedevano addensarsi nel mondo tensioni, in quel periodo era soprattutto in Europa, ma che in fondo finirono per essere sorpresi da una guerra e non fecero nulla di sostanziale per evitare quella guerra. Parliamo di 110 anni fa, ma il rischio dei sonnambuli è un rischio attuale e quindi il futuro, per rispondere a Vittadini con una battuta, ha bisogno di un’Europa che non sia spettatrice ma sia protagonista, perché non c’è nessun altro, non c’è nessun altro come l’Unione europea, se ci pensate bene per certi versi perfino gli Stati Uniti hanno un modello diverso di economia sociale di quella che è prevalente nell’Unione europea, non c’è nessun altro che possa farsi paladino di quei valori di pace, di libertà e di economia sociale che l’Unione europea porta avanti e deve farlo avendo una sua forza, una sua presenza internazionale. Non può farlo semplicemente celebrando il fatto che siamo la più grande potenza commerciale del mondo e che all’interno dei nostri confini, tutto sommato, si vive bene e con alcuni privilegi. Questo ruolo dobbiamo esercitarlo anche fuori dai nostri confini e fatemi concludere su questo. Cosa vuol dire esercitarlo fuori dai nostri confini? Primo, vuol dire avere una politica estera comune europea e avere una politica estera comune europea vuol dire anche, tra parentesi, superare il principio dell’unanimità, perché con il principio dell’unanimità non avremo una politica estera comune, non avremo una politica fiscale comune. Io sono responsabile tra l’altro delle tasse a livello, non lo dite troppo in giro, ma insomma, sono responsabile della tassazione a livello europeo. Noi abbiamo faticato per mesi per fare un grande accordo per tassare le multinazionali del digitale, per introdurre una tassazione minima per le grandi imprese contro i paradisi fiscali; c’è un paese, uno, l’Ungheria, che sta bloccando questo accordo e con il sistema attuale senza l’unanimità non si va da nessuna parte. E questo vale anche per la politica estera. L’Europa ha bisogno di una politica estera comune e guardate ne ha bisogno, lo voglio dire esplicitamente, non perché l’Unione europea voglia sostituirsi alla NATO in una funzione di deterrenza nei confronti della Russia. Un altro mestiere. Ha bisogno di una politica estera comune rivolta verso l’Africa, rivolta verso il Mediterraneo, rivolta in questa fascia del pianeta in cui ci sono due fusi orari, tre al massimo, e in cui ci saranno quasi tre miliardi di persone tra pochi decenni e i rapporti tra la parte nord e la parte sud di questa fascia del pianeta, quindi tra l’Europa e il Mediterraneo, l’Africa, saranno essenziali. Politica estera comune significa non lasciare a modelli autoritari, come quelli del capitalismo di stato cinese, spazio libero in Africa, significa essere in grado di contare e sapete che se noi non abbiamo una politica comune non basta la somma dei diversi paesi. A me capita spesso di ripetere a ministri, capi di governo di paesi africani quanto siano importanti gli investimenti europei sommandoli agli investimenti dei singoli paesi effettivamente abbiamo un rilievo notevole, ma non sempre l’Europa viene vissuta come un’entità comune. Quindi politica estera comune. Seconda cosa fondamentale, a mio avviso, per il nostro ruolo globale è fare attenzione ai discorsi che si stanno facendo e, comprensibilmente, sulla globalizzazione perché qualcuno ha detto che la globalizzazione è morta, è finita e senza dubbio alcuni correttivi, perché una fase della globalizzazione in cui si cercava soltanto la parte del mondo coi prezzi più vantaggiosi per le proprie multinazionali, per le proprie catene logistiche, è una fase conclusa, ma a questa conclusione noi non possiamo far seguire l’idea, a cui qualcuno ha dato anche un termine, una definizione, che in inglese molto utilizzata la chiamano Friendshoring cioè dopo l’esportazione fuori, offshoring, adesso la globalizzazione solo tra paesi amici. Attenzione perché il mondo è vasto e l’idea che si possa avere una globalizzazione in cui l’Occidente si distingue o addirittura si contrappone a tutto il resto è un’idea molto pericolosa. E l’Europa è il soggetto che oggi può continuare a tenere aperti i circuiti delle relazioni economiche internazionali rendendole più giuste, come noi abbiamo chiesto ormai in modo molto severo per i prodotti che entrano nel mercato unico europeo, sulle le condizioni che ci sono negli altri paesi del mondo, rendendolo più giusto e più sicuro ma non lasciando il mondo a un ritorno dei nazionalismi. E infine ci serve stabilità economica. Oggi è un giorno strano nel senso che si conclude il lungo periodo di controllo sull’economia greca. La crisi terribile che ha avuto la Grecia all’inizio di una decina di anni fa, la risposta che le è stata data dall’Europa, una risposta che almeno nei primi anni è stata con dei costi sociali insopportabili, inconcepibili e comunque dopo tanti, tanti anni oggi finisce quella storia, si archivia il periodo della crisi finanziaria del decennio passato. Ma non dobbiamo tornare in quella situazione, quindi, abbiamo bisogno, e io ci lavorerò nelle prossime settimane per la revisione del patto di stabilità, che regola un po’ l’economia europea, abbiamo bisogno di un sistema equilibrato e stabile, in cui non ci sia da una parte dei record mondiali di surplus di alcune economie e dall’altra parte dei paesi condannati all’austerità.

Io penso che i paesi ad alto debito debbano essere molto prudenti ma che bisogna trovare lo spazio per proseguire in politiche di sviluppo e di investimento. In questo contesto, che è carico di ambizioni, io sento che il ruolo dell’Europa è un po’ cambiato in questi anni. Se volete con una battuta si potrebbe dire che fino a qualche anno fa andava per la maggiore dire di varie cose “Ce lo chiede l’Europa” adesso va per la maggiore dire, su varie cose, “Ce lo deve risolvere l’Europa”. Io preferisco la seconda cosa sinceramente, cioè preferisco, so bene i limiti delle cose che può fare l’Unione europea, il bilancio dell’Unione europea è un decimo del bilancio italiano, per intenderci, quindi “Ce lo deve risolvere l’Europa” è sempre un faticoso percorso di intesa tra le istituzioni e i singoli paesi e i singoli governi, che guadagnerebbe molto, questo faticoso percorso, dal superamento della regola dell’unanimità. Ma va bene se all’Europa si chiede di più, se all’Europa si chiede un tetto al prezzo del gas, se all’Europa si chiede di essere leader mondiale nella transizione climatica, è giusto, è quello che dobbiamo fare non è il momento di essere europei riluttanti, perché oggi essere europei riluttanti vuol dire semplicemente nascondere con un velo piuttosto sottile un ritorno di nazionalismi di cui non abbiamo bisogno. Noi siamo stati riabituati dai nostri presidenti della Repubblica, da Carlo Ciampi a Mattarella, in modo particolare, tutti i presidenti della Repubblica ci hanno riabituato all’idea di un patriottismo sano, di un amor di patria, del legame con la nostra bandiera, con l’inno nazionale. Sono tutti elementi di patriottismo che dobbiamo rivendicare ma, cari amici, se questo patriottismo non è visione europea condivisa, se questo patriottismo diventa un pretesto per immaginare che si possa tornare un piccolo mondo antico in cui ciascuno risolve i problemi da sé, io penso che saremmo in una strada sbagliatissima. No europei riluttanti, sì a un patriottismo che si riconosce nei valori comuni europei. Vi ringrazio.

 

Vittadini: Traggo tre brevi conclusioni da questo incontro. Il primo che nasce dall’ascolto, dalla testimonianza che per far politica bisogna essere radicati nel popolo, sentire le cose che avvengono, le cose di tutti i giorni. Se si fa politica ignorando la vita quotidiana, quella della guerra, quella della pace non si capisce niente. Quindi quello di oggi è anche un metodo che ci insegna come stare di fronte alle elezioni.

Il secondo punto è, paradossalmente, il valore ideale, quello che sembra più astratto, perché le parole di Paolo Gentiloni ci hanno riportato a questo, che per affrontare i problemi concreti, oltre a stare di fronte ai problemi della vita, bisogna avere un ideale, perché il modo con cui ha parlato lui, che mi fa venire in mente quello dell’inizio dell’Europa, è innanzitutto una visione ideale, l’idea che, come per De Gasperi l’Italia nasceva, rinasceva insieme all’Europa. Se i problemi concreti sono i problemi, con tutto il rispetto per questo lavoro, del pizzicagnolo, non si va da nessuna parte. Bisogna avere una visione, una posizione ideale, un gusto, una passione, un cuore, una passione per l’uomo per guardare il problema dell’energia, il problema dei prezzi, dell’inflazione, degli aiuti, una politica che perda visione ideale invece del pizzicagnolo fa il nazionalismo, che è la stessa cosa. È il pizzicagnolo che diventa una nazione, è l’interesse particolare contro l’altro che non ha niente a che fare con l’Europa. E la terza questione è che forse per superare l’antinomia della sussidiarietà verticale, del potere dello Stato, della sovranità e della visione unitaria senza unanimità, organismi come il Parlamento europeo devono crescere di valore, perché un Parlamento europeo che esprima il popolo come votazioni e che abbia la possibilità di andare a completare le questioni delle Commissioni prendendo delle decisioni a maggioranza, rispetta il popolo e rispetta la sovranità semplicemente fa una sovranità europea e vince i leader che sono nati dai pizzicagnoli e prende i leader che hanno una visione ideale. Quindi anche una riforma che ridà valore vero alla democrazia in Europa, dando a chi vota il potere di decidere, è qualcosa che auspichiamo. Comunque staremo a vedere. Grazie

Data

20 Agosto 2022

Ora

15:00

Edizione

2022

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D3
Categoria
Incontri