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ERIC ANDERSEN E IL GREENWICH VILLAGE, UN LABORATORIO CULTURALE
Reading di e con Paolo Vites accompagnato dal musicista Francesco D’Acri e la voce di Eleanor Mary de Veras
Reading di e con Paolo Vites accompagnato dal musicista Francesco D’Acri e la voce di Eleanor Mary de Veras
Il premio Nobel per la letteratura, assegnato al cantautore americano Bob Dylan nel 2016, ha spalancato, seppure con decenni di ritardo, le porte del mondo accademico alla musica rock, riconoscendone l’intrinseco valore culturale, a lungo taciuto. In realtà gran parte della musica rock, nel corso del Novecento, ha saputo esprimere, meglio di ogni altra forma di comunicazione e d’arte, le grandi ispirazioni umane: desiderio di felicità, di libertà, di giustizia sociale, di domanda sul significato della vita stessa, di senso religioso.
Sebbene la musica rock per definizione sia anti accademica, il riconoscimento tributato a Bob Dylan ha animato la discussione nel mondo intellettuale. Grazie a Elvis Presley, quando esistevano i cosiddetti “race records”, dischi di musica per acquirenti afro americani (il blues, il rhythm and blues) e dischi per il pubblico bianco, tali generi musicali si sono fusi insieme, dando vita al rock’n’roll, e hanno cominciato a erodere il segregazionismo, insito nella società americana. Il contributo della musica rock a questa fusione è stato fondamentale. Negli anni ‘60, la generazione di Bob Dylan ha portato alle masse i grandi cambiamenti in atto nella società civile americana: le marce per il diritto al voto e ai diritti umani degli afro americani di Martin Luther King (argomento di assoluta attualità, vedi il fenomeno dei cosiddetti “migranti” e il tentativo di inclusione del “diverso” nelle società europee), la protesta contro la leva obbligatoria, la guerra in Vietnam e l’insegnamento universitario verticistico, manipolato dal grande capitalismo.
Bob Dylan ha mosso i suoi primi passi al Greenwich Village a inizio anni ‘60, quando, nei club del quartiere newyorchese, esplodeva la scena musicale più vivace d’America. I giovani americani riscoprivano le radici della loro storia, la musica blues, folk, gospel, espressione più autentica del popolo, e su di essa innestavano testi originali, che esaltavano la politica del presidente John F. Kennedy, di una nuova terra promessa, in cui sviluppare i valori più autentici d’America. Per diversi anni, fino quasi alla fine del decennio, nacque un movimento che avrebbe codificato le regole della canzone d’autore fino ai giorni nostri, con Bob Dylan, Paul Simon, Joan Baez, Tim Hardin, Harry Nilsson, Richie Havens, per dirne alcuni. Per la prima volta, i testi delle canzoni venivano influenzati dalla poesia e dalla letteratura, quella degli appartenenti alla Beat Generation (Kerouac, Ginsberg) e i poeti simbolisti francesi, come Verlaine o Baudelaire. La canzone diventava così un’autentica espressione letteraria e culturale e attraversa l’Atlantico, diventando fonte di influenza per molti dei cantautori italiani degli anni 70 come Fabrizio De André, Francesco Guccini e Francesco De Gregori. Fra gli autori più significativi c’è Eric Andersen, a cui l’ideatore di questo spettacolo ha dedicato un libro, il primo al mondo, che racconta la sua carriera inserendola nel contesto di quella scena artistica.
Il progetto non costituisce però solo un viaggio nella memoria, ma sono essenziali i riferimenti all’attualità. Quelle canzoni infatti cantano di un desiderio comune all’uomo di tutti i tempi: quello del compimento del proprio Io. In un’epoca storica come la nostra, nella quale molti eventi di quegli anni appaiono sconosciuti ai giovani, lo spettacolo vuole sottolineare la necessità del sempre valido motto: Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente. Il progetto prevede la lettura di testimonianze di protagonisti di quella scena e l’esecuzione dal vivo di diversi brani, composti dagli artisti di allora.
Ingresso libero