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EGITTO: LA BELLEZZA, LO SPAZIO DEL DIALOGO
Egitto: la bellezza, lo spazio del dialogo
22/08/2011 ore 17.00 Partecipano: Abdel-Fattah Hassan, Professore di Letteratura Italiana alla Ain Shams University del Cairo e già parlamentare dei Fratelli Musulmani; H. G. Bishop Armiah, General Bishop and Secretary of His Holiness Pope Shenouda III; Usamah Elabed President of Al Azhar University; Hosam Mekkawy, Presidente del Tribunale del Cairo Sud; S. B. Card. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti-Cattolici. Introduce Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli.
Partecipano: Abdel-Fattah Hassan, Professore di Letteratura Italiana alla Ain Shams University del Cairo e già parlamentare dei Fratelli Musulmani; H. G. Bishop Armiah, General Bishop and Secretary of His Holiness Pope Shenouda III; Usamah Elabed President of Al Azhar University; Hossam Mikawy, Presidente del Tribunale del Cairo Sud; S. B. Card. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti-Cattolici. Introduce Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli.
Emilia Guarnieri
Nessuna delle persone che sono qui con me
al tavolo oggi è arrivata al Meeting soltanto per un rapporto
formale o ufficiale, ma attraverso percorsi di amicizie, rapporti
tra persone perché, come ha detto Wael Farouq, non esistono
i valori astratti: essi sono sempre incarnati nelle persone; e
anche l’amicizia tra i popoli è vera e capace di costruire pro-
prio in quanto passa attraverso rapporti tra persone e storie
concrete.
Nel Meeting dedicato alla certezza abbiamo voluto pro-
porre come uno degli eventi centrali l’esperienza di Meeting
Cairo, non tanto per riesumare qualcosa che è già accaduto,
ma perché quella esperienza è qualcosa che ci ha segnato e
da cui sono nate storie di rapporti, di amicizie – che si sono
ulteriormente intessute in questi mesi – con la cultura e la
tradizione di quello che ormai consideriamo il «caro» Egitto.
E sempre più caro è diventato guardandolo soffrire e vibrare
nella lotta per la liberà, che ha visto come protagonisti tanti
degli amici che sono qui. Tutto quello che è accaduto in questi
mesi tra di noi non è stato programmato, così come niente di
quello che accade al Meeting è preordinato. Tutto è nato da un
incontro, tutto è nato dal fatto che qualcuno è stato percosso
da qualcosa di imprevisto, che ha risvegliato il cuore e che ha
avuto una portata, un esito e una incidenza sorprendenti.
Il titolo dell’incontro di oggi è: Egitto: la bellezza, lo spazio
del dialogo. Lo abbiamo mutuato dai nostri amici egiziani, per-
ché così hanno voluto intitolare la prima edizione di Meeting
Cairo, svoltasi alla fine di ottobre 2010.
Consentitemi di citare due grandi protagonisti di questa
misteriosa storia di amicizia. Innanzitutto Wael Farouq, docente
universitario, vicepresidente di Meeting Cairo; l’intensità del
suo cuore, l’apertura della sua ragione, sono sicuramente gli
strumenti di cui il Mistero si è servito per farci incontrare.
L’altro «protagonista» sono i ragazzi del Cairo e di Alessan-
dria, tanti dei quali sono volontari qui, al Meeting di Rimini,
dopo esserlo stati al Meeting Cairo. Per tutti questi amici,
per tutto il popolo d’Egitto, abbiamo vibrato di emozione
durante i mesi della rivoluzione, abbiamo pregato per loro e
per le loro famiglie, e oggi non possiamo che essere grati di
poterli finalmente riabbracciare insieme a tanti nuovi amici
qui a Rimini.
L’Egitto della tradizione copta ortodossa
di Bishop Armiah
L’Egitto è la terra che continua a esercitare un fascino singolare
agli occhi degli egiziani e del mondo intero. La Sacra Bibbia,
quando si accinge a descrivere la bellezza di una terra osservata
dal profeta Lot, dice: «Era come il giardino del Signore, come
il Paese d’Egitto» (Genesi, 13,10). E nel Nuovo Testamento,
a proposito del profeta Mosè, leggiamo: «Così Mosè venne
istruito in tutta la sapienza degli egiziani» (Atti, 7,22). E in
Egitto scesero i padri di Abramo, Isacco e Giacobbe, Giuseppe
e degli Asmat, come si osserva nel Libro della Genesi.
Il Libro del profeta Isaia dice che gli egiziani avevano ricevu-
to la benedizione di Dio: «Benedetto sia l’egiziano mio popolo»
(Is, 19,25). Ma c’è un evento più importante, con il quale è
stata inaugurata la Chiesa copta, riguardo al quale esistono
minuziose narrazioni e commenti all’interno del voluminoso
corpus di scritture, e che è diventato un tema tradizionale
dell’iconografia: si tratta della visita in terra d’Egitto di nostro
Signore Gesù Cristo e di sua madre la Santa Vergine Maria, del
loro viaggio tra le case e i quartieri di quel Paese in compagnia
di san Giuseppe il falegname. Tutto questo è riportato all’inizio
del Vangelo di Matteo, che ci spiega che quando Erode, re di
Giudea, decise che avrebbe ucciso il Messia ancora fanciullo, il
Signore suggerì a Giuseppe di prendere il neonato e sua madre
durante la notte e partire per l’Egitto, dove sarebbero dovuti
rimanere fino alla morte di Erode (Mt, 2,13-20).
La tradizione vuole che, non appena il Signore Gesù Cristo
ebbe messo piede nel Paese d’Egitto, gli idoli abbiano comin-
ciato a tremare, cadendo a pezzi al suo passaggio. Il vescovo
e storiografo Palladius, nel IV secolo, riferisce che, recatosi
presso el-Ashmunein, vide tutti gli idoli del tempio pagano
cadere di faccia non appena egli entrò in città. E a conferma di
questo abbiamo la profezia di Isaia, nel Vecchio Testamento:
«Oracolo sull’Egitto: ecco, il Signore cavalca una nube leggera,
ed entra in Egitto. Crollano gl’idoli d’Egitto davanti a Lui e
agli egiziani vien meno il cuore nel petto» (Is, 19,1).
Così ritiene la nostra tradizione ecclesiastica: la nuvola leg-
gera che ha portato su di sé il nobile visitatore altri non è che
la Santa Vergine Maria che porta in grembo suo figlio, poiché
ella si trova nella purezza e nella sublimità della nuvola. La
Chiesa ha perciò istituito una festività in onore della natività
di Maria, il 24 del mese di Bashans (1 giugno), ogni anno; e
sulla direttrice del cammino conosciuto come «Viaggio della
Sacra Famiglia verso l’Egitto» sorgono attualmente chiese e
monasteri, mete di pellegrinaggio per i turisti di tutto il mondo
che desiderano ricevere la benedizione.
Le acque del Nilo godono di una straordinaria importanza
nella liturgia della Chiesa copta: tre volte l’anno le acque del
fiume vengono depositate in un recipiente – Laqan – posto
al centro della chiesa, e si recita questa preghiera: «Signore,
benedici i frutti della terra, colma il fiume Gihon con la tua
benedizione, allieta la faccia della terra, rinnovala con un
altro corso d’acqua e innalza il fiume Nilo. Benedici la corona
dell’anno con la tua bontà, e il Paese d’Egitto colma di fertilità,
affinché si moltiplichino le colture e siano benedetti i suoi
frutti. Dona letizia a tutti i villaggi e le estremità dell’Egitto,
e possano le colline risplendere di gioia per effetto della tua
bontà. Dona a noi abbondanza, e gioia ai viandanti e ai poveri,
e fa che i nostri cuori siano sempre lieti».
Ecco, queste sono le considerazioni della Chiesa copta
ortodossa riguardo all’Egitto: la natura, la terra e il Nilo, i
frutti e l’uomo – il popolo che vive sulle rive del grande fiume.
Questo è ciò che la Chiesa, anno dopo anno, ha seminato e fatto
maturare nel profondo dei cuori e degli animi dei suoi figli.
L’organizzazione del calendario liturgico della Chiesa copta
è in relazione con la struttura del calendario agrario egiziano:
nel periodo della piena del Nilo si prega per le acque del fiume,
affinché salgano e la terra ne tragga giovamento, dissetandosi
dopo l’arsura; e nel tempo della semina si prega perché le
semenze crescano fino a completa maturazione; nella stagione
del raccolto si prega per i frutti della terra, affinché dimori in
essi la benedizione.
Dice Taha Hussein: «La Chiesa copta è un’antica gloria
egiziana». Essa, infatti, ha ereditato l’antico patrimonio della
cultura egiziana da tutti i punti di vista: nella lingua, nella lette-
ratura e nell’arte. E per chi desidera conoscere l’antico Egitto,
è necessario fermarsi presso la Chiesa copta e contemplare il
suo patrimonio: le sacre reliquie del passato lo accoglieranno
tra le braccia, conducendolo attraverso la storia, proteggendolo
e vegliando su di lui.
La convivenza solidale
Nel 1995, le Nazioni Unite hanno celebrato l’«Anno della Tolle-
ranza», compresa la tolleranza religiosa. È stata un’opportunità
per andare oltre il concetto di relazioni solidali intese solo come
convivenza tra cristiani e musulmani e raggiungere, invece, un’idea
di tolleranza nel senso di riconciliazione e di amore reciproco,
dopo un passato in cui ci siamo offesi l’un l’altro. Oggi non pos-
siamo fingere di ignorare quel passato, ma possiamo accettarlo
e lasciarcelo alle spalle, respingendone le vestigia e mirando
impazientemente a un futuro di pace e tranquillità, al fine di per-
mettere l’instaurazione di relazioni bilaterali (da parte cristiana e
musulmana) che facciano crescere ed espandere incessantemente
l’impegno verso nuove prospettive di comprensione, improntate
sulla consapevolezza e sull’apertura verso una riconciliazione
generale (di lavoro e cooperazione) tra la gente. Tutto questo
perché, attraverso il rispetto reciproco, si raggiunga la volontà
collettiva di costruire un mondo migliore per tutti, in cui siano
ridestati i patrimoni religiosi di ogni parte del mondo.
La «Casa della Famiglia egiziana»
Nasce da una riflessione di Sua Eccellenza dottor Ahmad
Tayyeb, Shaykh (Titolo dato ai dignitari religiosi e ai profes-
sori delle scuole religiose superiori, ndt) di al-Azhar, con cui
concorda Sua Santità Papa Shenouda III, Papa di Alessandria
e Patriarca della provincia missionaria di San Marco, l’idea
che sorga un’organizzazione particolare chiamata «Casa della
Famiglia egiziana», con a capo lo Shaykh di al-Azhar e il Papa
della Chiesa di Alessandria. Lo scopo di questo gruppo è la
preservazione dell’unicità dei figli d’Egitto; per la realizzazione
di questo obiettivo, la «Casa» avrà il dovere di prendere con-
tatto e coordinarsi con tutte le realtà e con tutti i ministeri nel
Paese, interessati ad avanzare proposte e suggerimenti, e così
convocare conferenze e meeting in tutte le province egiziane.
Cittadinanza e democrazia
A partire dal I secolo d.C., la storia religiosa dell’Egitto si divide
in due periodi. Un primo momento in cui, in linea generale,
il credo religioso era uniformato: dall’inizio del I secolo que-
sta religione era il cristianesimo. Mentre durante la seconda
fase, che ebbe inizio nel 640 d.C. e continua fino a oggi, sorse
una moltitudine di religioni, comprese, in particolar modo,
cristianesimo e Islam.
Tuttavia, esiste un’altra divisione – di tipo politico – che
la storia d’Egitto ha conosciuto per un lungo periodo e che
dura da centinaia di anni: si tratta della categorica separazio-
ne tra la classe al governo e la popolazione – tra i governanti
e i governati. Questi ultimi condividono una percezione di
diffusa ingiustizia perpetrata nei loro confronti da parte della
classe dirigente: per questo è cresciuta in loro la risolutezza
per la realizzazione di un movimento che possa ostacolare le
autorità, perché il popolo possa recuperare il proprio diritto
di assumersi la responsabilità di guidare il Paese, ritrovando
così la loro identità di cittadini.
I governati hanno cominciato a professare diverse religioni
a partire dal 640 d.C. È chiaro pertanto che non è possibile
costituire un movimento collettivo contro la classe al potere, se
non attraverso la stipulazione di un accordo – un patto sociale
che riunisca i cittadini, in tutti i loro componenti – determi-
nato dalle circostanze oggettive che uniscono i governati, e il
cui senso sia quello della responsabilità comune nell’azione
pratica di cambiamento delle istituzioni. Si dovranno elaborare
un sistema e una cultura nuovi per la vita politica, che affer-
mino chiaramente il desiderio condiviso da tutte le parti che
hanno sottoscritto il contratto, le quali dovranno riconoscere
i loro diritti e doveri per un futuro basato sulla solidarietà e
la giustizia.
È poi accaduto che queste due divisioni – quella politica
e quella religiosa – abbiano cominciato a interferire l’una con
l’altra, in modo crescente dopo l’inizio della fase del pluralismo
religioso, costituendosi su una base comune rappresentata dagli
«elementi costitutivi della natura egiziana»; e proprio su questa
base ha luogo il processo di influenza reciproca tra le due scis-
sioni, mentre dovrebbe trattarsi di una collettività che protegge
il movimento. Nella realtà dei fatti, il rapporto fra musulmani
e copti non è limitato a formulazioni teoriche, né a precedenti
dimostrazioni o ricerche dirette su questo tema da entrambe
le parti, ma esso si realizza attraverso il movimento collettivo.
E in questo movimento, a poco a poco, sconfinano insieme
le due scissioni, completandosi infine nel raggiungimento di
un momento costituzionale e nella creazione di una dottrina
giuridica della cittadinanza, che non scorge nell’uomo egiziano
alcun fattore di separazione e di classificazione in categorie – in
base al colore o all’origine, al luogo di nascita o alla ricchezza,
alla religione o alla lingua –, e non sarà evidente il risultato
della sua partecipazione al movimento per la collettività e la
soddisfazione per i risultati raggiunti: non sarà evidente altro
risultato che l’identità del «cittadino» egiziano.
Non appena il movimento costituzionale avrà avuto buon
esito nel rompere le barriere della classe dirigente, allora quello
sarà il «momento costituzionale», che dovrà essere portato a
compimento e attestato in un documento pubblico: quella sarà
la Costituzione, che proclamerà che il popolo – tutto il popolo –
è diventato la forza politica che possiede la sovranità e la
fonte della legalità all’interno della società. Allora avrà inizio
l’esecuzione pratica dei princìpi della Costituzione, attraverso
la compartecipazione della comunità nel prendere le decisioni
opportune circa le proprie vite.
La democrazia, nel suo esatto significato, è l’espressione di
una forma di governo in cui il potere non è esercizio esclusivo
di una categoria distinta dal resto della popolazione, né di un
prodotto unico fra altri.
A questo punto una domanda viene spontanea: come si
concluderà il percorso di questo movimento, e quando si rea-
lizzerà il passaggio verso il sorgere di un’autorità costituzionale
per l’Egitto?
Per arrivare alla risposta è necessario l’attaccamento al
solido terreno dell’esperienza storica.
Il cristianesimo è giunto in Egitto a metà del I secolo d.C.
tramite san Marco, che ha scritto il secondo Vangelo. Da quando
gli egiziani hanno abbracciato la religione di Cristo, i fedeli si
sono riuniti in una comunità organizzata che è la Chiesa copta,
la più antica istituzione popolare dell’Egitto, che continua a
esistere da circa venti secoli, portando avanti la sua missione.
Essa è un prodotto particolare, che ha i suoi capi e la sua
organizzazione compiuta, ed è soddisfatta della sua presenza
in Egitto. La Chiesa copta ha la capacità sufficiente per abbrac-
ciare tutto il Paese – la terra, il popolo – ed è stata custode
unica dei sentimenti e delle aspirazioni della popolazione per
sei secoli di seguito – e questo è avvenuto durante il momento
fondamentale della genesi e della crescita del popolo egiziano;
poi, le impronte lasciate da questo periodo si sono fatte più pro-
fonde, sedimentandosi negli strati più profondi del sentimento
popolare, e gli egiziani hanno portato con sé ciò che avevano
conquistato durante questa fase verso le fasi successive –
anche se è cambiata la loro appartenenza religiosa.
Nel lento procedere della storia, l’Egitto scopre dei dati
naturali, umani e civili, sia durevoli che in evoluzione, che
diventano le componenti fondamentali della natura egiziana.
Tali elementi stabilizzano sempre più profondamente e radi-
calmente lo spirito tradizionale della struttura sottostante e
possiamo così riassumerli: la geografia – il territorio –, l’umanità
– il popolo d’Egitto –, il progetto egiziano, lo Stato e la civiltà,
l’armonica varietà religiosa e la storia di qualsiasi movimento.
La cristallizzazione di queste componenti ha avuto inizio nella
preistoria e ha poi incontrato tutte le epoche successive, fino a
diventare fattore determinante di continuità, stabilità e unità
per l’Egitto.
Questi elementi si sono fusi e ravvivati, e le loro componenti
hanno interagito generando un’energia che è stata la forza
trainante e il motore costante del movimento egiziano, come si
evince dalle realizzazioni del movimento stesso – in particolare
l’ordinamento costituzionale fondato sulla cittadinanza –, che
d’altra parte è manifestazione naturale e corrispondente agli
elementi basilari della natura egiziana. Per verificare con asso-
luta certezza la genuinità di questo ordinamento e l’integrità
dell’esercizio della pubblica autorità, bisogna misurare il grado
con cui queste due cose danno effettivamente espressione alle
varie componenti.
Dagli elementi della natura egiziana e dal vivere in colletti-
vità per l’avanzamento del progetto di civiltà deriva un terzo
prodotto, che è la coesistenza e l’unità nell’osservanza delle
due religioni, senza restrizioni.
La grande eterogeneità egiziana ha dato occasione all’«altro»
di manifestarsi e di essere il benvenuto nella vita quotidiana,
con tutto ciò che ne consegue in termini di influenza spirituale,
sociale e civile. E così la religione, nell’esperienza egiziana,
diventa agente di unione e non causa di divisione e faziosità.
Così, nella cornice di questo unico retaggio egiziano, la
parità fra l’egiziano copto e l’egiziano musulmano è divenuta
una questione naturale, ed è da qui che ha preso il via la rivo-
luzione bianca del 25 gennaio.
Sono molto felice per il buon esito della rivoluzione, ma
nello stesso tempo ho paura che questo bellissimo spirito
egiziano, lo spirito della nazione, vada indebolendosi con il
passare del tempo; temo che i lavoratori dipendenti torneranno
a essere indolenti, che i commercianti torneranno a speculare,
i ricchi a essere padroni e i poveri a sentirsi nullità. E ho paura
che il musulmano torni a farsi forte del suo maggior numero,
e il cristiano a nascondersi nel suo dolore.
Ho paura che perderemo la più grande e più importante
conquista della rivoluzione: l’amore, la bellezza, il lavoro e
l’onestà. In Egitto non possono esserci ricchezza e bellezza
se non attraverso l’unione di copti e musulmani, se non si
uniscono chiese e moschee, con le loro differenze e con l’am-
piezza dei loro cuori.
È nel nostro interesse, nell’interesse del Medio Oriente e
in quello del mondo intero, che l’Egitto non venga straziato.
Esso è già coperto di ferite: è forse giusto aggiungerne altre,
invece di curarle?
L’Egitto è minacciato dalla penetrazione di pericolosi ele-
menti esterni, che aspettano che la disgrazia colpisca da ogni
direzione: è forse giusto aprire la strada a tutti quegli avidi che
vogliono soltanto ottenere gloria e potere?
Ed è forse un bene che noi spingiamo il nostro Paese nel
baratro, invece di tendere tutti insieme un’unica mano, che
avrebbe la saldezza di centosessanta milioni di mani, per sal-
varlo dalla rovina?
L’Egitto non ha mai avuto bisogno di noi come in questo
momento! Non lo abbandoniamo, non lasciamo questo bel-
lissimo ferito. La sua voce geme: «Salvatemi».
L’Egitto grida: «Avanti!». Rispondiamo all’appello, musul-
mani e cristiani, grandi e piccoli, donne e uomini. Esso incita
ognuno di noi a mettersi in moto per la sua liberazione e perché
partecipiamo insieme alla sua costruzione, in tutti gli ambiti
e in tutti i luoghi.
Una via moderata ed equilibrata per il nuovo Egitto
di Osama Muhammad El Abd
Mi sono molto emozionato sentendo il Presidente della Repub-
blica, le sue parole mi hanno scosso profondamente, così come
il suo entusiasmo e il suo spirito giovane che guarda al futuro
come a una promessa. Quando l’ho incontrato mi ha molto
colpito sentirlo parlare della rivoluzione egiziana. L’Egitto,
menzionato nel Sacro Corano, può essere considerato un
Paese africano per le sue radici geografiche e storiche. Esso
si è formato e agglomerato attorno al Nilo, arteria vitale della
regione, e si apre verso il Mediterraneo, verso i semiti dell’Asia
occidentale e verso gli arabi e i musulmani da millequattrocento
anni, oltre a interagire con l’Europa meridionale da migliaia
di anni; questi collegamenti sono necessari per comprendere
i greci e la loro filosofia.
Linguisticamente, culturalmente, religiosamente e letteraria-
mente, esso è composto da strati accumulatisi l’uno sull’altro:
l’antico strato faraonico ha prodotto, fra le altre cose, una
visione unificatrice e il mondo dell’immortalità dell’anima,
ha dato le origini a Mosè – la pace sia su di lui – e alla fede
nell’unicità di Dio presso gli ebrei, ha accolto la Sacra Famiglia
prendendo tra le braccia la Vergine e il suo bambino, e ha
risposto all’appello dell’Islam aprendogli le sue porte. L’Egitto
è stato un Paese generoso, tollerante, che ha abbracciato tutte
queste molteplicità, le quali, a loro volta, hanno lasciato le loro
impronte su di esso e l’hanno arricchito, elevandolo a Paese
incomparabilmente pacifico, quieto e mite.
L’Egitto era magazzino di nutrimento: nei periodi di carestia
esso riforniva tutto il territorio con i suoi viveri, come testi-
monia la Bibbia, e per molto tempo è stato luogo di rifugio
per tutti coloro che fuggivano dalla tirannia. L’Egitto ade-
rì all’Islam quando i Fatimidi fondarono la nuova capitale,
Il Cairo, costruendovi la moschea di al-Azhar con annessa
la madrasa (Scuola, istituto; in questo caso, scuola religiosa
annessa a una moschea, ndt) della dottrina sciita, nella quale
i rifugiati trovarono accoglienza; la madrasa si trasformò ben
presto in una scuola sunnita – la tradizione maggioritaria – e,
grazie alla sua natura di ambiente tollerante e moderato, verso
di essa fuggirono gli ebrei perseguitati in Europa. E quando gli
eserciti combatterono contro l’occupazione e il colonialismo,
i cristiani erano a fianco dei musulmani, sotto il comando di
Saladino, per difendere l’Egitto e l’Oriente dall’invasore, ma
non per respingere il cristianesimo in sé.
Gli antichi monumenti del passato non sono scomparsi,
come dimostra al-Fustat, il più antico quartiere dell’odierna
città del Cairo, che ancora custodisce la moschea di Amru ibn
al-’As, prima moschea d’Egitto e di tutta l’Africa, di fronte alla
quale sorgono, nello stesso quartiere, il tempio ebraico di ibn
Ezra e la Genizah, che contiene i documenti della vita religiosa
e civica degli ebrei egiziani. E di fronte alla moschea, come a
costituire il terzo vertice di questo «triangolo sacro», troviamo
la chiesa chiamata «La Sospesa». Se Il Cairo ha conosciuto il
razzismo e il detestabile fanatismo, e se alcuni di questi luo-
ghi sono stati oltraggiati e cancellati, tuttavia i conquistatori
musulmani hanno risparmiato le rovine faraoniche, senza
danneggiarle con scelleratezza: così, per esempio, la moschea
di Abu-l-Hajjaj a Luxor continua a essere circondata da ciò
che è stato rinvenuto dei resti dell’epoca faraonica.
Il Cairo ha resistito fino al XX secolo. A volte, nei periodi
di debolezza, la città è stata testimone di eccessi, come succe-
de in tutte le città e in tutte le civiltà; ma con quanta fretta è
tornata, come aveva sempre fatto, alla precedente normalità
fatta di tranquillità e pace!
Nell’epoca moderna già erano evidenti l’influenza e la
pressione dei Paesi stranieri ai danni dell’unità nazionale del
popolo del Nilo per il controllo del suo patrimonio, come
durante la rivoluzione di Sa’ad Zaghlul, nel 1919, quando gli
inglesi furono respinti dal nazionalismo, e i cristiani e il Papa
della Chiesa egiziana marciarono verso la moschea di al-Azhar
al grido di: «La fede per Dio e la patria per tutti… Viva la
Croce e la Mezzaluna!».
La convivenza con gli ebrei e la complicità tra cristiani e
musulmani si nota per le strade, nei ristoranti e nei caffè e sugli
autobus. La condivisione di ricchezza e povertà, di conoscenza
e ignoranza, in tutti i settori della vita, è testimonianza della
realtà quotidiana. Se al Cairo, o nelle città di provincia, o in
qualunque villaggio antico o moderno, provi a chiedere a
qualsiasi cristiano o musulmano qualcosa sulla storia della loro
convivenza, sentirai rispondere: «Che i nostri vicini siano cristia-
ni o musulmani, noi stringiamo amicizia, condividiamo il cibo
e ci facciamo visita nei giorni di festa e nelle ricorrenze».
Gli egiziani sono sempre motivati da un istinto genetico
trasmesso loro in eredità: il nazionalismo, che prescinde da
genere, credo e orientamento ideologico. Ma come accade in
molti Paesi, si manifesta di quando in quando una sorta di
estremismo religioso, sia da parte cristiana che musulmana,
accompagnato in qualche misura da pressioni esterne, sull’Egit-
to in particolare: purtroppo, gli estremismi si alimentano
l’uno con l’altro, e alle azioni di uno corrisponde la reazione
dell’altro.
I mass media, come è loro abitudine nei periodi in cui
l’estremismo assume dimensioni internazionali, tendono ad
alterare ed esagerare le situazioni, che appaiono così sempre
sull’orlo dell’esplosione. Ma la maggioranza schiacciante del
popolo egiziano non bada a queste cose e non ne ha paura.
Gli estremisti, musulmani e cristiani allo stesso modo, sono
molto lontani dall’intelligenza e dal vero sapere; ignorano la
verità della religione con il suo appello alla pace e all’amore e
così, a maggior ragione, ignorano la religione dell’altro!
Gli estremisti sono lontani dalla vera fede; e sono stolti
quei cristiani e quei musulmani che li ascoltano, marciando
ciecamente dietro a tutte quelle ambigue propagande, senza
andare alla radice della vera essenza delle cose, e senza fare
il minimo sforzo per verificare, prima di giudicare e di agire.
La vera fede religiosa invita alla ponderatezza nell’agire e a
osservare con spirito critico, come è scritto nel Sacro Corano:
«O voi che credete! Se viene da voi un malvagio recandovi una
notizia, verificatela, affinché non portiate, per disinformazione,
pregiudizio a qualcuno e non abbiate poi a pentirvi di quel
che avrete fatto» (49,6).
L’Egitto palpita nella profondità della storia della fede, e
la coscienza di sé, della sua identità e della sua cultura resterà
sempre saldamente unita allo spirito del suo amabile e tollerante
popolo, ed esso resterà sempre la patria del pluralismo, della
vera devozione e del dialogo basato sul riconoscimento delle
altre ideologie, sullo stringersi attorno ai princìpi e ai valori
più alti della compartecipazione tra l’Egitto e l’umanità tutta.
Cristianesimo e Islam si impegnano a diffondere l’amicizia e
l’amore per la fratellanza di tutti gli uomini, come è detto nel
Vangelo – «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno» (Rom
12,10) –, e nel Corano – «Allah non vi proibisce di essere buoni
e giusti nei confronti di coloro che non vi hanno combattuto
per la vostra religione e che non vi hanno scacciato dalle vostre
case, poiché Allah ama coloro che si comportano con equità»
(50,8). E non importa quanto quei faziosi tentino di seminare
la discordia tra le varie etnie della nazione, sappiano che la
separazione è lontana, che dalla moschea si invoca: «Dio è
Grande!», e in chiesa si dice che «Dio è amore».
La condotta dell’Islam è una via moderata ed equilibrata
che protegge gli interessi del singolo e della collettività, e si
estende fino a comprendere la natura particolare dello Stato
e delle relazioni tra la classe al governo e quella dei governati,
regolando i rapporti tra musulmani e non musulmani all’interno
del Paese, attraverso l’appello alla pace e alla lealtà verso le
promesse fatte, alla tolleranza e alla bellezza del dialogo, per
la piena cancellazione di ogni ostilità. La morale dell’Islam si
fa garante della sicurezza e della pace per qualsiasi comunità
o nazione, e così dice l’Altissimo: «Respingi quella [la cattiva
azione] con qualcosa che sia migliore: colui dal quale ti divideva
l’inimicizia, diventerà un amico affettuoso» (41,34).
L’Islam è saldamente ancorato al principio della fratellanza
di tutti gli uomini, nella più nobile immagine tra quelle edificate
dall’umanità, e ha reso la fratellanza il punto di partenza per la
costruzione delle relazioni tra i singoli e tra le comunità, realiz-
zando il principio di uguaglianza tra gli esseri umani in quanto
a diritti e doveri, in base all’idea che tutti gli uomini provengono
da un’unica origine che è la comune discendenza da Adamo ed
Eva. Questa consanguineità li ha legati così tanto da diffondere
nella maggior parte degli uomini delle affinità universali, come
confermano le parole dell’Altissimo: «O uomini, temete il vostro
Signore, che vi ha creati da un solo essere» (4,1); «O uomini, vi
abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto
di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste reciprocamente»
(49,13). L’Islam, tramite questa fratellanza, ha stabilito la parità
e la giustizia fra tutte le persone, rispettando i diritti umani,
proteggendoli e diffondendoli da ormai quattordici secoli.
Per questo l’Islam considera l’aggressione contro qualsiasi
individuo un’aggressione contro l’umanità tutta, e la libera-
zione di qualsiasi individuo come la liberazione di tutti gli
uomini. Così disse l’Altissimo: «Chiunque uccida un uomo
che non abbia ucciso a sua volta, o che non abbia sparso la
corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità
intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato
tutta l’umanità» (5,32).
Ed ecco per noi un esempio delle parole e delle azioni del
profeta – su di lui il saluto e la benedizione di Dio – e dei suoi
compagni, esempi di benevolenza. Accadde che il profeta
Maometto, vedendo passare un corteo funebre, si alzò in
piedi in segno di rispetto per il defunto; e quando gli dissero
che si trattava di un ebreo, egli rispose: «Ebbene, non è forse
un uomo?». Questa tradizione si trova in un atto lasciato dal
Califfo Omar al-Faruq alla gente di Gerusalemme – nel nome
di Dio Clemente e Misericordioso – e questo è ciò che il servo
del Signore, Omar, principe dei credenti, ha consegnato a quel
popolo: pace e tranquillità per i loro animi, risorse di denaro
per le loro sinagoghe e le loro croci. Egli non ha raso al suolo i
loro campi, le loro croci, i loro possedimenti, non ha detestato
la loro religione né arrecato danno ad alcuno. Ali ibn Abu
Talib, quando inviò Malik al-Ashtar in Egitto con la carica di
governatore, gli disse: «Fa’ che il tuo cuore provi misericordia,
amore e benevolenza per i sudditi, e non comportarti con loro
come una belva feroce, poiché essi hanno due qualità: sono
tuoi fratelli nella religione, e tuoi simili nella creazione».
I musulmani e non musulmani vivono in un’unica nazione
e la riscaldano con i loro sentimenti; a loro volta essi si riscal-
dano sulla sua terra e sotto il suo cielo, rallegrati da una gioia
fraterna, confortandosi l’un l’altro nelle tragedie. Il loro sangue
si è mescolato nella difesa della patria e le discordie che si
sono verificate non hanno lasciato traccia su un’ostilità che, da
entrambe le parti, ha avuto origine da altre cause, sulle quali è
stata mantenuta una certa riservatezza nell’interesse del gruppo.
Alcune menti sapienti hanno riflettuto con grande saggezza
ed è nata quella «Casa della Famiglia», sostenuta dai capi di
al-Azhar e dalla Chiesa.
La «Casa della Famiglia» non è un mero luogo di riunio-
ne per il raggiungimento di compromessi superficiali, né il
prodotto di una reazione, bensì un osservatorio permanente
e avanzato che si sforza di illuminare le menti, risvegliare le
ambizioni e la superiorità morale, diffondendo la nobiltà
d’animo e l’onestà possedute da ogni musulmano e da ogni
cristiano, e seppellendo i conflitti e le tensioni per divulga-
re i più alti valori comuni alle due religioni, come l’onestà,
l’uguaglianza, i princìpi dell’etica e della cultura, il progresso
e l’ampliamento dello spirito di cittadinanza.
Al-Azhar, in qualità di principale autorità per l’Islam e la
sua cultura, è garante della moderazione e rifiuta ogni forma
di estremismo. Assolve il compito di consolidare la vera fede,
invitando i giovani musulmani ad attingere alle vere origini della
conoscenza e a respingere qualsiasi appello alla violenza, alla
disgregazione e al fanatismo. Allo stesso modo, la Chiesa araba
orientale, e in capo a essa la Chiesa d’Egitto, respinge l’estre-
mismo e la discriminazione e preserva la prosperità e l’integrità
della nazione, accogliendo i giovani cristiani nella vera dottrina
del cristianesimo, basato sull’amore e sulla tolleranza.
Il popolo egiziano si ribella contro le divisioni, e il significato
del rapporto armonioso tra musulmani e copti prende corpo,
per esempio, nelle feste dell’Iftar (Cessazione del digiuno: il
pasto consumato dopo il tramonto, ndt) che i copti egiziani
organizzano per i loro fratelli musulmani durante il mese di
Ramadan, dando espressione all’unità e alla coesione tra gli
elementi della comunità. E questa è solo una delle tante mani-
festazioni di solidarietà nazionale che documentano i legami
di fratellanza tra i cittadini, fratellanza basata sull’amicizia,
l’amore e la lealtà.
E che la fede sia per Dio e la patria per tutti!
Il Meeting Cairo
di Tahani Al-Jibali
Nell’ottobre del 2010, concludendo il mio discorso alla presenza
dei partecipanti alla riunione inaugurale del Meeting Cairo,
presso l’Aula Magna dell’Università, ho detto: «Siamo qui riuniti
per questo Meeting – ispirati dal ruolo del popolo egiziano e
fiduciosi nel suo genio, che è stato e continua a essere nascosto
nel profondo – affinché riceva considerazione in quanto luogo
d’incontro per il dialogo tra le culture, legate da una linfa di cui
è depositaria la civiltà d’Egitto, mai sconfitta…».
Ho detto anche che il popolo egiziano a volte si assopisce,
ma esso non muore, e insegna la storia a chi non l’ha ancora
scoperta, e a chi l’ha studiata e poi dimenticata.
Sono stata rimproverata da molti dei miei amici intellettuali
a causa della fiducia che nutro nel nostro popolo, poiché loro
erano tra quelli che si lamentavano per l’atteggiamento degli
egiziani nei confronti del progresso e del cambiamento, il
che è una dolorosa realtà, frutto dell’assolutismo politico e
dell’assenza di giustizia per i figli d’Egitto. Eppure, non ho
avuto nemmeno il tempo di pensarci su, che la sorprenden-
te reazione del popolo si è realizzata nell’atto dell’unanime
discesa in piazza Tahrir, quando tutto il Paese ha partecipato
alla rivoluzione del 25 gennaio 2011, seguita in tutto il mondo
perché considerata un avvenimento importante che avrebbe
potuto portare al cambiamento di molte situazioni…
Oggi questa grande rivoluzione si trova faccia a faccia con
una notevole quantità di sfide e aspettative, poiché si è verificata
al centro di un mondo inquieto e demoralizzato in cui aveva-
no la meglio i nemici del dialogo, i sostenitori del razzismo e
dell’avversione nei confronti delle assemblee pubbliche. Essi
hanno lacerato e contagiato l’esistenza del nostro popolo, ma
ora gli uomini si rifiutano di pagare il caro prezzo dell’intimi-
dazione che li ha oppressi, e lo fanno attraverso una lunga lotta
a favore dell’onestà, dell’uguaglianza e della libertà, mettendo
al bando l’odio e il razzismo, per gettare le fondamenta di
un’esistenza all’insegna dello spirito di solidarietà.
Ora sulla nostra rivoluzione e sulla nostra patria incombe la
minaccia della disgregazione a causa dei fanatismi religiosi; e un
altro rischio è costituito dalle agende politiche, assuefatte a una
struttura nella quale si stringono alleanze con dirigenti dispotici,
con un sistema di governo corrotto e con gruppi politici e reli-
giosi, invece di costruire relazioni bilanciate con il popolo.
Queste sono le sfide che oggi minano la trepidante deter-
minazione nel costruire una società democratica e giusta,
rispettosa dei diritti umani, che ponga le basi di una rinascita
politica, economica, sociale e culturale.
Noi crediamo che Dio ci abbia creati liberi, e che abbia
stabilito che fossimo divisi in nazioni e tribù affinché impa-
rassimo a conoscerci, e non perché facessimo la guerra l’uno
contro l’altro; perché capissimo il valore del vivere in solidarietà
di fronte alle ingiustizie e grazie alla devozione, accettando e
rispettando l’altro: egli è la nostra arma nella lotta contro la
discriminazione religiosa e razziale.
Siamo qui per sostenere il valore della rivoluzione dello
straordinario popolo egiziano, che ha liberato se stesso nel
corso della rivolta, e per mezzo di essa ha fissato i propri
obiettivi in termini di libertà, dignità, giustizia e convivenza
civile. Continueremo a unire le nostre mani a quelle di voi
fedeli, in una dimensione civile nella quale trovano posto i
valori religiosi, in considerazione di un’unica morale donataci
da Dio, l’Eccelso e Potente, che consiste nella collaborazione
tra le diverse religioni e dottrine.
Crediamo nella molteplicità religiosa e culturale, e lot-
teremo per difendere le fondamentali libertà di pensiero,
opinione e ideologia, rispettando l’etica del dialogo e della
pacifica cooperazione tra i popoli; crediamo che l’incitamento
all’antagonismo tra diverse confessioni e gli appelli al razzismo
siano un crimine contro i diritti della nazione e dell’umanità;
confidiamo nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, senza che
la cultura di alcun popolo venga mai svilita, né siano alterate
le sue tradizioni. Desideriamo ardentemente essere liberi di
pensare, di esprimerci e di inventare, in una dimensione civile
che sia a disposizione di tutti.
Crediamo nel dialogo tra le civiltà, le culture e le religioni,
non al fine di schiacciare l’altro o di sminuirne le convinzioni
e i mutamenti, ma al contrario per rispettare le diversità. Con-
cordiamo sui punti centrali per dare forma a una responsabilità
collettiva di fronte alle nostre patrie, al futuro e all’umanità.
Questa è la nostra promessa, che rinnoviamo qui a Rimini,
mirando a ripetere l’impegno assunto rispetto al secondo Meeting
Cairo, sulle sponde dell’immortale fiume Nilo e sotto l’ala pro-
tettrice del popolo egiziano e della sua grandiosa rivoluzione.
Un esempio di dialogo autentico
di Hossam Mikawy
Questo incontro ha un sapore speciale che nessuno può negare:
dall’inizio del 2011 fino a ora, importanti trasformazioni sono
state portate avanti dal popolo, con lo scopo di eliminare ogni
forma di razzismo e, in generale, tutte le pratiche di soggio-
gamento dell’essere umano. E oggi assistiamo ai cambiamenti
che si verificano nei Paesi arabi, che sono stati preceduti,
in un passato recente, dagli Stati dell’Europa orientale, che
rivendicavano gli stessi diritti per le stesse ragioni. E ancora
non sappiamo dove ci porterà il domani…
L’umanità è una sola, e anche le forme di corruzione, dispo-
tismo e monopolio della ricchezza e del potere sono le stesse
in tutte le regioni del mondo; la natura dei tiranni è sempre
uguale in tutte le epoche, come se essi prendessero in prestito
gli uni dagli altri gli strumenti di repressione, di appropriazione
indebita di capitali e beni e l’abitudine di sradicare le identità e
defraudare lo stato dei valori fondamentali di giustizia sociale,
proprietà e libertà di esercitare i propri diritti civili.
All’ombra di queste circostanze, c’è stato qualche tentativo
di favorire lo sviluppo delle relazioni tra il popolo, da una
parte, bramoso di libertà, dignità e giustizia sociale, e il regi-
me repressivo e dispotico, dall’altra; ma la maggior parte di
questi tentativi si è conclusa con numerosi atti di repressione
ai danni del popolo e delle sue insistenti richieste, che sono
presto finite nel dimenticatoio. Era dunque necessario che
venisse fuori quel moto d’ira cui abbiamo assistito in tutte le
parti del mondo e al quale io, nel mio Paese, ho partecipato una
settimana dopo l’altra. Abbiamo capovolto il nostro destino,
radunati dall’unità e dalla nobiltà del nostro scopo, mentre la
rivolta cominciava a scorrere tra di noi come il sangue nelle
vene. E a questo punto vorrei che prestassimo ascolto alle
parole del Presidente della Repubblica Italiana a proposito
di un’emozione bellissima che certamente la storia non potrà
dimenticare: «Nulla di nuovo… gli egiziani, come al solito,
stanno facendo la storia».
Ho partecipato alla mobilitazione e ho ricevuto molti mes-
saggi negativi che mi hanno fatto piangere, aggiungendosi a ciò
che avevano sentito alcuni miei amici. E ho tentato di parlare
con loro e con i loro fragili corpi, ma le mie parole sono state
vane, sono andate in fumo e sono state date alle fiamme da chi
non vuole che i popoli stabiliscano, e finalmente partecipino,
a un percorso di civilizzazione unificata, affinché la fede sia
per Dio e la patria per tutti.
Gli egiziani hanno vissuto una storia gloriosa che non
conosce discriminazioni e che affida tutto alla devozione e
alla fede. Tuttavia, la volontà del Signore è operante, e il suo
giudizio irrevocabile…
Mi sono seduto e ho richiamato alla mente la storia di Giu-
seppe – pace su di lui – che fu fatto schiavo e venduto quando
era ancora un fanciullo, ma che poi, dopo anni, cominciò a
guidare la nobile casa d’Egitto! Dio gli rese onore dopo tutto
quello che aveva ricevuto in sorte dalla schiavitù, e così sarà
l’avvenire dei ribelli che già conoscono il loro cammino verso
la piazza della libertà…
Ho visto quell’uomo semplice distribuirci il pane prima
che entrassimo in piazza Tahrir, e rifiutare di essere pagato
benché non ne avesse altro all’infuori di quello; quando un
uomo gli si è avvicinato offrendogli duecento ghinee, quello
ha rifiutato categoricamente dicendo: «Solo oggi i giovani
muoiono davanti a me sulla soglia della piazza». In quel pre-
ciso momento, Giuseppe piega le sbarre della prigione ed
esce grazie a un miracolo divino, per diventare governatore
d’Egitto. E quel popolo comincerà a esistere in quella missione
divina, raggiungerà questo grado di lealtà e di organizzazione
e sarà finalmente in grado di capovolgere le proprie disgrazie
per ricominciare da capo.
Ci sono situazioni che testimoniano il risultato dell’espe-
rienza del popolo e della solidarietà: quella ragazza cri-
stiana che versò a me, che sono musulmano, l’acqua per
permettermi di compiere le abluzioni prima di pregare; quel
cordone che i cristiani hanno creato intorno ai musulmani
affinché adempissero alla preghiera, e l’altro cordone fatto
dai musulmani attorno ai cristiani per proteggerli e far loro
terminare la preghiera. Quella tribuna, che era insieme chie-
sa e moschea, e che non conosceva differenza tra i seguaci
delle due religioni. Le generazioni che verranno dovranno
sicuramente giudicare la nostra esperienza e far rivivere,
finalmente, il percorso di un’altra umanità. Sia benedetto
Allah, il miglior Creatore.
Se alcune persone hanno avuto comportamenti sconside-
rati, sull’onda del fanatismo, della stupidità o dell’ignoranza,
dall’altra parte è stato dimostrato che noi conserviamo lo
spirito rivoluzionario e quei princìpi che sono venuti fuori
a favore della sua promozione: non ci siamo allontanati da
quello spirito nemmeno nei momenti di pericolo, e il sangue
scorreva in suo onore, perché noi gli abbiamo riservato la più
alta considerazione. Continueremo a sollevarci per abbattere
la corruzione, poi ci calmeremo e inizieremo a costruire la
nostra dignità. Perché questo possa realizzarsi dovrà passare
del tempo, e alla fine le nostre nazioni non saranno dei semplici
luoghi in cui vivere, ma saranno esse a vivere attraverso di noi.
E questo è un invito alla serenità.
Viviamo in una realtà caratterizzata dall’ambiguità, dall’in-
certezza, dalla confusione e dai dissensi: tutto questo era
prevedibile, perché di solito è ciò che avviene subito dopo le
rivoluzioni, come ci insegna la storia. Anche se le sembianze
delle rivolte variano al variare delle epoche storiche.
Dobbiamo stare attenti ai quei rischi che sono prossimi
a venire: uno di questi è la tendenza alla divisione in base ai
princìpi confessionali, dottrinali e ideologici, anche se alla fine
risulterà ammissibile solo ciò che è genuino.
Tutti i popoli oppressi che hanno subìto le ingiustizie da
parte dei politici non comprendono il significato delle esigenze
del tempo, e non c’è posto dove essi possano esercitare la loro
politica, perché siamo in una dimensione in cui il senso della
vita è un dato variabile, e variabili sono le componenti, gli
obiettivi e la tecnologia che vive in essa e attraverso di essa.
Noi siamo i popoli della terra, quella distesa sulla quale ci
sediamo e iniziamo un dialogo e sulla quale si ripercuote quella
fiamma che è figlia dell’oppressione e del dolore perpetrati nei
confronti del popolo. Il corpo umano è uno solo, e il Messag-
gero non è stato inviato per distinguere tra i singoli individui di
una comunità o di un gruppo. Le nostre idee, le nostre pene, il
disaccordo con gli altri: questo è ciò che ci ha indotti a quella
battaglia, e si tratta di concetti importanti, considerando la
scarsità di risorse, mancanza di cultura e parzialità. Se ne esce
soltanto attraverso il dialogo cosciente sulle basi della ricerca
in cui crede ognuno di noi. E ci chiediamo perché abbiamo
fallito, perché abbiamo rinunciato, e cosa faremo adesso…
Il Meeting di Rimini è un evento che attendiamo sempre
con entusiasmo, perché è l’esempio di un mondo in cui le varie
componenti culturali partecipano in armonia, come predisposto
da uno statuto per l’azione congiunta, colma dello spirito del
donare e dell’offrirsi volontario per arricchire i rapporti con
l’altro, invece di allontanarlo. Nel primo Meeting Cairo ci
siamo sforzati di scoprire questo spirito, per vivere la bellezza
come uno spazio che accogliesse il dialogo tra le culture, e nel
quale tutti i volontari partecipassero con un impegno concreto
ed encomiabile, promettendo di proseguire, anno dopo anno,
la costruzione e il consolidamento di un nuovo spirito, per
poter dialogare nonostante le differenze, rispettando il diritto
di espressione e basandoci sulla ricerca dei tratti comuni nella
realtà delle nostre vite.
Ciò che ho scritto per questo discorso si muove tra culture e
popoli diversi, affinché la bellezza genuina costituisca l’accordo
tra le premesse e i risultati. Una decisione salda e incrollabile,
nelle orecchie, in un’unica bocca e in un unico cuore. Dio ci
ha dato un semplice indizio che dovremmo essere in grado di
capire, perché le nostre orecchie non sono nascoste come le
nostre membra: devono raccogliere ogni parola che viene detta
in questo incontro predestinato e legittimo, mentre la lingua si
conserva nella bocca, dietro le labbra, e la persona intelligente
pensa mille volte prima di aprirle… E tutto perché esca una
parola! La parola contiene in sé una grande responsabilità,
perché tutti la ascoltano, mentre nella maggior parte dei casi
chi parla è soltanto uno.
Abbiamo ascoltato lunghi discorsi e ne ascolteremo altri,
e ciò che ci fa veramente male è la coscienza, che vorremmo
spingere verso luoghi più vasti e più alti, verso un nuovo spirito
su cui essere tutti d’accordo, liberi dall’idea alla quale abbiamo
impedito di unirsi con le altre!
E per finire, cos’è che vuole l’uomo durante il suo breve
viaggio sulla terra? L’uomo vuole vivere una vita dignitosa,
trovare in essa la garanzia di poter pensare liberamente e la via
verso l’accettazione di una dottrina che soddisfi senza difficoltà
la sua anima, che aggiunga ricchezza alla sua vita e gli conceda
l’occasione di vivere in uguaglianza con gli altri.
C’è qualcuno tra voi, signori presenti, che la pensa diversa-
mente riguardo a questi princìpi? Speriamo che le rivoluzioni
che sono scoppiate e quelle che scoppieranno possano rag-
giungere i loro scopi, portando in una mano la torcia, e non
importa quanto differenti siano le nazionalità e le ideologie,
perché gli uomini devono raggiungere l’obiettivo – sforzan-
dosi tutti insieme –, e chissà se un giorno il sogno non diventi
realtà: i popoli saranno tutti uniti e i governi saranno sinceri
e ci saranno scambi internazionali, tutto al fine di far giun-
gere la democrazia in ogni parte del mondo, in accordo con
gli interessi nazionali ed economici del popolo e con il suo
desiderio di pace.
Per concludere, saremo in grado di realizzare un dialogo
dalle dimensioni internazionali se i nostri cuori saranno sinceri
e se saranno colpiti dalla freccia della verità e non da quella
della falsità; se l’uomo avrà cuore e lingua, come dice il nostro
profeta Muhammad – la pace sia su di lui.
La pace, la misericordia e la benedizione di Dio siano su
di voi.
Una rivoluzione nel campo del dialogo interreligioso
di Antonios Naguib
Nel quadro del tema generale del Meeting, E l’esistenza diventa
una immensa certezza, è stato chiesto agli oratori egiziani di
parlare della straordinaria esperienza vissuta al Meeting Cairo,
il 28 e 29 ottobre 2010, sul tema «La bellezza, lo spazio del
dialogo» e sugli avvenimenti successivi. È stato un evento
storico, potrei dire una rivoluzione nel campo del dialogo
interreligioso in Egitto, precursore di un’altra rivoluzione
molto più grande e generale che ha coinvolto radicalmente la
nostra società e il nostro Paese, e che è ben lontana dall’essere
arrivata al suo termine.
Prima di tutto, quale è stato il significato del Meeting Cairo
2010? Questa inimmaginabile iniziativa è stata una irradiante
scintilla scaturita dal gran sole dei Meeting di Rimini. Un gio-
vane, profondamente musulmano, istruito e sincero, che anno
dopo anno vi ha partecipato, fu tanto convinto dei benefici
impatti culturali, sociali e spirituali di tali incontri, che si è
sentito obbligato ad arricchire il suo amato Paese con tale
esperienza. È il nostro caro egregio professore Wael Farouq.
Sembra che il nome Wael sia predestinato ad avere un ruolo
decisivo in questa nostra fase storica: Wael Farouq e Wael
Ghoneim. Il Meeting Cairo è stato il frutto di una convinzione
incrollabile, di un coraggio invincibile, e di una speranza illi-
mitata. Siamo sicuri che porterà i suoi frutti, particolarmente
nel clima della rivoluzione del 25 gennaio 2011.
E ora parliamo proprio di questa «Primavera Araba» come
la viviamo in Egitto. Tutti voi avete seguito da vicino l’esplo-
sione e l’evoluzione perplessa e balbettante della rivoluzione
dei giovani del 25 gennaio 2011; mi limiterò a trattare qui
l’aspetto religioso cristiano in connotazione con il dialogo
interreligioso.
Non posso parlare della situazione e della visione dei cristia-
ni in Egitto nell’ultimo periodo, senza menzionare un evento
storico importantissimo, che è il Sinodo per il Medio Oriente,
cui hanno partecipato tutti i vescovi della nostra regione,
svoltosi in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010, dunque pochi
giorni prima del Meeting Cairo. Abbiamo riflettuto sulla situa-
zione dei cristiani, e sull’urgenza di una migliore e più forte
comunione, e sulla nostra missione di testimonianza. Queste
erano precisamente le tre parti principali dei documenti e dei
lavori del Sinodo. Non potevamo allora immaginare quanto i
nostri interventi e le nostre dichiarazioni fossero profetiche,
e siano venute al momento giusto. Infatti, pochi mesi dopo,
le rivoluzioni sono scoppiate prima in Tunisia, poi in Egitto,
Libia, Yemen, El-Bahrein, e Siria. Le richieste di cambiamento
dei regimi sono emerse poi anche in Libano, Sudan, Arabia
Saudita, e Marocco.
La «Relazione dopo le discussioni» del Sinodo dà una
qualifica chiara alla presenza dei cristiani nella nostra regione.
Essa afferma: «I cristiani del Medio Oriente sono “cittadini
indigeni”. Appartengono di pieno diritto al tessuto sociale
e all’identità stessa dei loro rispettivi Paesi». E i vescovi
fortemente chiedono uno «Stato civile», che sia lontano
dall’essere ateo o libertino. Ecco come lo descrivono: «un
sistema socio-politico basato sul rispetto dell’uomo e della
sua libertà, sui diritti che gli sono inerenti per la sua natura
umana, sull’uguaglianza e sulla cittadinanza completa, non-
ché sul riconoscimento del ruolo della religione stessa nella
vita pubblica, e sui valori morali. Questo sistema riconosce e
garantisce libertà religiosa, libertà di culto come pure libertà di
coscienza. Distingue fra ordine civile e ordine religioso, senza
predominio dell’uno sull’altro, e nel rispetto dell’autonomia
di ciascuno. La religione non deve essere politicizzata né lo
Stato prevalere sulla religione».
Leggendo queste parole, rivedo davanti ai miei occhi le
decine di migliaia di giovani riuniti nella piazza El-Tahrir
(liberazione), e in centinaia di altre piazze in Egitto, dal 25
gennaio 2010 fino all’abdicazione dell’ex Presidente Mubarak
l’11 febbraio e anche dopo, e sento ancora nelle mie orecchie
le grida dei loro slogan: «Né poliziesco, né religioso. Civile.
Civile». E questo rimane sempre il programma di questi giovani
e di quanti si sono associati a loro.
Dinanzi a tale bella visione, il Sinodo riconosce e menziona
le sfide che affrontano i cristiani del Medio Oriente, e che mi
limito ad accennare senza entrare nei dettagli:
1. Le situazioni politico-religiose dei nostri Paesi, e al centro
il conflitto israelo-palestinese.
2. La libertà religiosa e la libertà di coscienza.
3. L’avanzata dell’Islam politico a partire del 1970.
4. L’emigrazione.
E mi fermerò un momento su questa sfida che mina la
presenza cristiana nel Medio Oriente.
Dice il Sinodo: «Le cause principali di questo preoccu-
pante fenomeno sono le situazioni economiche e politiche,
l’avanzata del fondamentalismo, e la restrizione delle libertà
e dell’uguaglianza […] Essa priva le nostre Chiese e i nostri
Paesi di elementi validi». E i Padri Sinodali affermano: «La
Chiesa ha il dovere d’incoraggiare i suoi fedeli a rimanere
come testimoni, apostoli, e costruttori di pace e di benessere
nel loro Paese […] pur nelle difficoltà e persecuzioni. La loro
mancanza inciderebbe gravemente sul futuro. Bisogna pro-
muovere le condizioni che favoriscono la scelta di rimanere.
Spetta ai responsabili politici consolidare la pace, la democrazia
e lo sviluppo per favorire un clima di stabilità e di fiducia. I
cristiani, con tutte le persone di buona volontà, sono chiamati a
impegnarsi positivamente nella realizzazione di quest’obiettivo.
Una maggiore sensibilizzazione delle Istanze internazionali al
dovere di contribuire allo sviluppo dei nostri Paesi sarebbe
di grande aiuto in questo senso». Qui l’appello è chiaro, agli
stessi cristiani, ai loro concittadini di buona volontà – e ce ne
sono molti –, ai responsabili politici dei nostri Paesi, e alle
Istanze internazionali.
E il Sinodo definisce così l’attitudine dei cristiani nella loro
vita quotidiana: «La testimonianza cristiana a tutti i livelli è la
risposta principale nelle circostanze in cui i cristiani vivono». E
interpella tutti i fedeli a partecipare positivamente alla costru-
zione di una città di comunione, affermando: «Tutti i cittadini
dei nostri Paesi devono affrontare insieme due sfide principali:
la pace e la violenza (quanto è vero oggi quest’appello). Le
situazioni di guerre e conflitti che viviamo generano la violenza
e vengono sfruttate dal terrorismo mondiale e dalle correnti e
dai movimenti estremisti nella regione […]. La vocazione della
Chiesa è il servizio. […] Dobbiamo in ogni momento dare
testimonianza con la vita, senza sincretismo né relativismo,
con umiltà, rispetto, sincerità e amore». Un vero programma
di vita e di azione.
La «Relazione» del Sinodo prosegue: «L’amore gratuito per
l’uomo è la nostra testimonianza più importante nella società.
La Chiesa cattolica dà un’eloquente e preziosa testimonianza
attraverso numerose opere e istituzioni educative, caritative,
sanitarie e di sviluppo sociale. Esse sono molto apprezzate e
frequentate da tutti i cittadini, senza distinzione di religione
o di appartenenza. Aiutano notevolmente ad abbattere i
muri della diffidenza e del rifiuto […]. Musulmani e cristiani,
dobbiamo percorrere insieme il comune cammino. Nono-
stante le diverse concezioni dell’uomo, dei suoi diritti e della
libertà, possiamo trovare insieme le basi chiare e precise di
un’azione comune per il bene delle nostre società e dei nostri
Paesi […]. Il dialogo sarà proficuo con le persone impegnate
nella difesa dei diritti umani, dell’etica fondata sui princìpi
della natura umana, della famiglia, della vita e dello Stato
civile […]. Dobbiamo preoccuparci reciprocamente gli uni
per il bene degli altri. Costruiamo insieme una “città della
comunione”».
In Egitto, con l’esplosione del «movimento per il cambia-
mento» chiamato «rivoluzione del 25 gennaio», guardavamo
all’avvenire con entusiasmo e ottimismo. Era l’inizio di una
nuova fase, segnata dalla fratellanza, dalla coesione sociale,
dalla scomparsa delle barriere e delle discriminazioni religiose.
Ci sono stati un migliaio di morti e oltre cinquemila feriti. Un
«prezzo» consistente, ma lo scopo è stato raggiunto in solo
diciotto giorni. Gli obiettivi erano semplici ma fondamentali:
libertà, dignità e giustizia.
Lo stesso si può dire del sit-in dei copti davanti alla sede
della televisione egiziana nel quartiere di Maspero al cen-
tro del Cairo. Che cosa chiedevano? nient’altro che i diritti
fondamentali: libertà di culto per la costruzione delle chiese
necessarie, liberazione dei detenuti cristiani durante la rivolu-
zione e nei vari episodi di attacchi e violenze contro le chiese
e le proprietà dei cristiani, e alla base di tutto uno Stato di
diritto fondato sulla cittadinanza e l’uguaglianza nei diritti e
doveri. Purtroppo dopo due o tre settimane dalla rivoluzione,
sono accaduti dei fatti violenti contro i cristiani, e vi dispenso
dell’elenco dettagliato.
Davanti a questi fatti positivi e negativi, vorrei menzionare
la conclusione della «Relazione». I Vescovi dichiarano: «Dob-
biamo assumere la nostra vocazione e la nostra missione di
testimonianza, al servizio dell’uomo, della società e del nostro
Paese. Dobbiamo lavorare tutti insieme per preparare una
nuova alba in Medio Oriente». Ecco dunque l’accento finale:
costruire insieme una «città della comunione», preparare
una nuova alba in Medio Oriente, nella fiducia, la speranza e
l’impegno positivo, sicuri che Dio è all’opera per aiutare tutti
gli uomini di buona volontà.
Si racconta che un maestro di spiritualità chiese al suo
discepolo: «Quando finisce la notte e comincia il giorno?
All’aurora del mattino, rispose quello […]. No, dice il maestro
[…]. Ma allora come saperlo, chiede il discepolo? […]. Di fronte
a un uomo. Se vede in lui un fratello, fa giorno in te, la notte
è terminata. Ma se vede in lui uno straniero, fa notte nel tuo
cuore e in te l’alba non è ancora levata».
Tale alba ha bisogno di una rivoluzione di amore, nel cuore
di ognuno di noi: nei nostri patriarcati, nelle nostre chiese,
e in tutte le nostre istituzioni cristiane, come nell’Azhar El-
Sharif, nelle nostre moschee, e in tutte le nostre istituzioni
musulmane. È stato facile cambiare il regime. Adesso, siamo
noi che dobbiamo cambiarci, dall’interno, nelle nostre idee,
i nostri sentimenti, e la nostra volontà. Da qui potrà scatu-
rire un dialogo di cuore a cuore, che avvicina le persone e
i gruppi, e ci porta tutti verso una meta comune: costruire
il nostro amato Paese sui valori umani, culturali e spirituali.
Così potremo superare le differenze, per lavorare mano nella
mano, in un nuovo spazio di bellezza: il dialogo della vita e
della comunione, per la costruzione di un Egitto moderno,
deciso di proseguire la sua storia di civilizzazione con una
nuova fase di sviluppo scientifico, illuminata dalla fede, la
morale e la fratellanza.
Quest’alba si leverà quando seguiremo la via del dialogo
sincero e obiettivo, nella riconoscenza, il rispetto e l’ascol-
to dell’altro, senza volontà di dominazione, di imposizione
di una sola visione, e di eliminazione dell’altro differente.
Così vivremo la nostra vera identità: tutti figli di Dio, fratelli
nell’umanità, creati per conoscerci, aiutarci e amarci gli uni
gli altri, crean do una società di pace, serenità e fratellanza,
guardando l’avvenire senza paura né ansietà, ma con fiducia
e coraggio. Così il dialogo sarà il giardino della bellezza, e
l’esistenza una immensa certezza.