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ECONOMIA GLOBALE: PENALIZZAZIONE O VALORIZZAZIONE DELL’EUROPA?
Economia globale: penalizzazione o valorizzazione dell'Europa?
In collaborazione con Invitalia, Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa. Partecipano: Francesco Confuorti, Presidente e Amministratore Delegato di Advantage Financial; Federico Golla, Amministratore Delegato di Siemens Italia Spa; Maximo Ibarra, Amministratore Delegato di Wind. Introduce Domenico Lombardi, President of the Oxford Institute for Economic Policy and Senior Fellow at the Brookings Institution.
ECONOMIA GLOBALE: PENALIZZAZIONE O VALORIZZAZIONE DELL’EUROPA?
Data:
Giovedì, 23 agosto 2012
Ora:
Ore 15.00
Partecipano:
Francesco Confuorti, Presidente e Amministratore Delegato di Advantage Financial;
Federico Golla, Amministratore Delegato di Siemens Italia Spa;
Maximo Ibarra, Amministratore Delegato di Wind.
Moderatore:
Domenico Lombardi, Presidente dell’Oxford Institute for Economic Policy e Senior Fellow al Brookings Institution.
MODERATORE:
Buon pomeriggio, sono Domenico Lombardi, vorrei darvi il benvenuto a questa sessione su: “Economia globale: penalizzazione o valorizzazione dell’Europa”, nell’ambito del Meeting di quest’anno il cui tema come sapete bene è: “la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”. Prima di presentarvi gli illustri relatori vorrei provare a tracciare qualche filo rosso tra il tema della sessione e quello invece più ampio scelto per il Meeting, per l’edizione di quest’anno del Meeting tratto, come sapete, da un’opera, “Il senso religioso” di Don Giussani. Credo che è possibile stabilire almeno un paio di collegamenti. Un primo è quello, naturalmente, del rapporto con l’infinito e qui si può dire che il fatto che l’uomo è un’esigenza di verità mal si concilia con le tante, limitate, parziali verità anche molto convenzionali che, ahimé, sentiamo ogni giorno, e ci vengono date sulla crisi europea e su un fenomeno altrettanto complesso come quello della globalizzazione e qui naturalmente abbiamo dei leader del mondo delle imprese, della finanza che naturalmente determinano questi fenomeni con le loro scelte a differenza degli economisti che invece amano discuterli e quindi credo che avremo la possibilità di fornire degli spunti interessanti anche grazie alle vostre domande che raccoglieremo nella seconda parte della sessione. Un secondo filo rosso è quello della crisi europea, della costruzione della casa europea e della attenzione alla necessità di una risposta sussidiaria. In genere questo elemento di sussidiarietà veniva inteso…in questo senso noi abbiamo un problema inverso, abbiamo un paese come appunto l’Italia che quest’anno è stato appena certificato dal Fondo Monetario Internazionale, avrà l’avanzo primario nel suo bilancio pubblico che è il più alto dei paesi dell’eurozona, lo stesso sarà vero per l’anno prossimo sulla base delle previsioni formulate dal governo ma avallate dal Fondo Monetario Internazionale. Eppure vediamo che gli spread sono sui livelli non dissimili da quelli dell’anno scorso, quando in questo processo di riforma si era ancora solo all’inizio. E qui, naturalmente, abbiamo un problema di fallimento della sussidiarietà nel senso che le autorità europee non fanno tutto quello che dovrebbero per stabilizzare le prospettive economiche nel nostro paese in un contesto in cui l’impulso alle riforme (naturalmente c’è ancora molto da fare) negli ultimi mesi, credo si possa dire sia stato molto buono e sostanziale. E quindi discuteremo anche di questo.
Prima di dare la parola ai relatori vorrei presentarli. Sono dei relatori che come ho detto sono ai vertici del mondo delle imprese, della finanza. Comincerei, alla mia estrema destra in senso fisico, con Francesco Confuorti. Lui ha iniziato la sua carriera a Wall Street dove ha lavorato per alcune prestigiose boutique finanziarie come Hutton & Coy, Hopenhaimer, di cui è stato Amministratore Delegato della consociata italiana. E’ stato successivamente fondatore e presidente di Banca Advantage, ha fondato poi una società finanziaria che offre servizi di Investment Banking, (Assent….?) Management e consulenza a una clientela internazionale.
Alla mia sinistra Federico Golla. Dal 1981 lui è in Siemens dove ha ricoperto numerosi incarichi dirigenziali di crescente importanza sia in Italia, sia in Germania sino ad assumere la carica di Amministratore delegato di Siemens Spa e Siemens Holding nel 2009 e Federico Golla ha ricoperto anche numerosi altri incarichi ai vertici di associazioni di categoria, è stato vicepresidente dell’Associazione Elettromedicali Assobiomedica, vicepresidente della Federazione ANIE, membro del Comitato di Presidenza di Assolombarda,membro del Comitato Investitori Esteri di Confindustria. Credo di aver finito qui. Alla mia destra è Maximo Ibarra, l’Amministratore Delegato di Wind dal maggio di quest’anno, ha una vasta esperienza nel settore delle telecomunicazioni, avendo ricoperto incarichi di rilievo nel settore, in Vodafone e Telecom Italia, ma anche in altre aziende primarie non legate al mondo della telecomunicazione, come Fiat Auto e Benetton. E’ docente di marketing presso l’Università LUISS Guido Carli a Roma.
Io suggerirei…, vi chiamerei in ordine alfabetico, quindi comincerei con Francesco Confuorti. Vi inviterei a fare una relazione introduttiva di circa sette minuti, sarò, vi avverto, inflessibile col tempo, impiegherò gli standard americani, e successivamente avremo un round tra voi relatori e poi chiameremo le domande dal pubblico. Francesco, puoi cominciare.
FRANCESCO CONFUORTI:
Grazie. Buon pomeriggio e grazie per essere intervenuti. Inizierei con una premessa. La premessa è che il posto in cui viviamo è il posto che bisogna proteggere, privilegiare, rafforzare e far che le comunità in cui viviamo possano sentirsi tutelate da chi le popola. Quindi il senso della comunità, che poi è un po’ anche il senso del Meeting, è una fondamentale forza per la risoluzione dei problemi che ci sono.
Due considerazioni di carattere economico. Uno Stato che non cresce, o che cresce allo 0%, o ha una crescita negativa, non si può permettere di pagare il 4 o il 5% di interessi, perché in un periodo di tempo, che ora non riesco a definire in maniera chiara, è fallimentare, in quanto ha delle uscite superiori alle entrate, quindi c’è un problema di base nell’Europa del Sud, e io parlo dell’Italia, che il costo del nostro debito è insostenibile. E’ insostenibile perché noi abbiamo dei problemi, abbiamo troppo debito, ed è insostenibile, in quanto l’Europa, com’è, non è una comunità. E quindi gli italiani dall’Europa non si debbono aspettare niente di positivo, se non quello di positivo che può venire dall’Europa se lo devono prendere, e se lo possono prendere avendo una base politica importante, una consistenza dei propri interessi e una considerazione per gli interessi di tutti gli italiani, a partire dai giovani. E i nostri giovani sono in una situazione di disagio da trent’anni, non da cinque anni, non da dieci anni: la disoccupazione media in Italia giovanile è intorno al 30%, anche quando crescevamo di più. Il ché vuol dire che abbiamo dei problemi strutturali, abbiamo dei problemi culturali che non vanno, abbiamo un problema in cui il senso comune o il senso della famiglia, quindi prediligere i figli per il futuro e quindi per quello che può essere la visione prospettica della nostra cultura, sta venendo a mancare. Queste sono delle considerazioni di carattere etico, che non sono da poco. Introduco la parola “etica”, perché alla base del successo dell’Europa, alla base del successo del nostro rinascimento, c’era la formazione, la creazione di benessere, non la creazione di debito, quindi la creazione di benessere come proprietà. Quando la nazione è troppo indebitata non riesce a portare niente di buono, se non su stessa l’onere di far fronte ai propri debiti, e molte volte c’è il fallimento. Su queste basi qui bisogna pensare che l’Europa, così come è costituita, è un’Europa che non darà sfogo o non darà prospettive per il futuro ai nostri giovani, perché ci sarà una forma di colonizzazione economica che fino al 1940 era fatta con gli eserciti, con i panzer, con altri tipi di mezzi, ora invece è fatta con la colonizzazione del carit-trade. Il carit-trade vuol dire andarsi a finanziare a un costo molto basso e andare a comprare dei debiti di nazioni che sono percepite come deboli, che molto probabilmente falliranno e facendogli pagare uno spread, un differenziale tasso, perché mi piace parlare in italiano, quindi differenziale tasso, più che spread, che porti in qualche maniera a compensare questo tipo di rischio percepito. Il rischio percepito, per quanto ci riguarda, non è un rischio reale, ma è un rischio politico, in quanto l’Italia è il paese più virtuoso economicamente delle nazioni europee. Mi rifaccio alle parole anche di un amico qui in platea, che mi ha fatto notare questo piccolo dettaglio qualche secondo prima dell’inizio di questa conferenza. Il problema dell’etica è un problema che ha a che fare con le basi su cui negli ultimi cinquecento anni l’Europa è stata forte. C’è uno scrittore, un grande teorico dell’economia, che si chiama Ferguson, che parla dell’etica e dell’economia della supremazia occidentale; lui si rifà alla politica e all’economia dei paesi anglosassoni, quindi allo scissionismo, a Martin Lutero; io, da italiano e da cattolico, mi rifaccio alla forza dell’economia del Rinascimento e quindi alla base dell’influsso cattolico all’economia e al fiorire delle economie, e su queste basi e sulle basi della nostra cultura cattolica, della nostra etica cattolica, della nostra etica della famiglia, su cui bisogna ripartire, per far sì che noi troviamo la possibilità, per i nostri figli, di migliorare.
Altro piccolo argomento che poi andremo a dibattere, quindi vado per sunti, è la differenza di capacità di creare benessere. Il 90% del benessere in una nazione è creato all’interno della nazione stessa. Solo il 10%, in linea di massima, viene dalle esportazioni, dal 10 al 20%, do dei numeri approssimativi, quindi quando pensiamo alla crescita, pensiamo al benessere, dobbiamo pensare a sviluppare all’interno della nostra nazione, del nostro paese, delle nostre comunità, una forma tale di sussidiarietà, in qualche maniera, che però non vuol essere regalo, non vuol essere lascìo, non vuol essere lassismo, ma vuol essere creazione, con dei presupposti economici seri, per la crescita, perché il 90% del GDP, del prodotto lordo di una nazione viene creato all’interno. Questo vuol dire che l’Italia dovrebbe fare veramente i conti con se stessa e dovrebbe cercare di far ripartire il paese dall’interno, affinché solo lì si ricreano le competenze per l’occupazione, per la crescita, per la ricerca e per il, diciamo, il ritrovamento delle basi etiche, che sono quelle che si fanno vicino a casa, che si fanno andando in chiesa, che si fanno andando in banca, che si fanno andando a trovare il vicino di casa e far sì che tutti vivano in una visione di prosperità. Quindi deve partire da noi.
Altra cosa importante. Da questo può partire una politica economica che poi porta all’esportazione, ma l’esportazione tendenzialmente del benessere dell’Italia e del Mediterraneo è venuta sempre dal Sud, lo guardiamo dai Romani: ogni volta che abbiamo avuto storicamente a che fare con il Nord Europa, abbiamo trovato una barriera culturale; ma non l’abbiamo trovata con Martin Lutero, l’abbiamo trovata già con Giulio Cesare duemila anni fa, l’abbiamo trovata nella seconda guerra mondiale, nella prima guerra mondiale. I mercati a noi vicini, su cui dobbiamo fare base per la nostra crescita, sono l’Est, il Sud e l’Ovest, il Nord un pochino meno. Quindi il problema dell’Europa viene anche da una differenza culturale e una differenza di interessi. Fin quando noi non saremo una nazione, non saremo l’Europa, ma saremo l’Europa dominata dai tedeschi, quindi non una associazione di nazioni, ma un’egemonia tedesca, franco-tedesca, la chiamiamo franco-prussiana, in qualche maniera, noi non andremo da nessuna parte. Noi dobbiamo ritrovare le basi dell’economia del Mediterraneo, che hanno una cultura, e la cultura di base del lavoro e della società, e da queste culture, da questa base dobbiamo far ripartire l’occupazione e i valori della nostra società. Grazie.
MODERATORE:
Grazie a Francesco. Passerei a Federico Golla.
FEDERICO GOLLA:
Grazie. Mah! Con Francesco abbiamo discusso già a tavola della dominanza tedesca e della dominanza dei Savoia. Riprenderemo magari questo tema dopo, che ci vede, ovviamente, non perfettamente d’accordo.
In questi giorni, preparando il mio intervento, ho cercato di capire le ragioni di questa crisi e ho cominciato a riguardare i giornali dell’estate del 2008, dove sulle spiagge italiane si cominciava a parlare della crisi americana, dei subprime, e questa crisi sembrava una cosa totalmente estranea a noi, sembrava un fatto americano, no?, i soliti americani, la finanza allegra, la finanza intelligente, e così non è stato. Ci siamo accorti poi che questa crisi americana ci ha invaso, ci ha contagiato. Noi fino a questo momento avevamo una concezione molto diffusa dell’Europa come uno Stato, un aggregato di Stati che funzionava, una moneta unica forte, che aveva debuttato nel 2001 in parità col dollaro, nel 2008 era a uno punto cinque; dei paesi con economie trainanti, la Germania e la Francia, ma perché no anche l’Italia. E all’improvviso ci siamo trovati uno scenario direi molto diverso, che è quello che oggi continuiamo a vivere.
Un’altra riflessione che ho fatto, riprendendo dalla letteratura del passato, è stata quella del concetto di recessione. Oggi si dice: siamo a rischio recessione; no, siamo in recessione dal 1991. Vi dimostro perché. Negli anni del boom economico, prendiamo…, trascuriamo il dopoguerra, dagli anni sessanta fino agli anni novanta, in un periodo anche di forti tensioni sindacali, negli anni di piombo, del terrorismo, che molti di noi non hanno dimenticato, l’Italia cresceva mediamente del 4% all’anno, quindi era un paese in sviluppo. Dal ’91, ‘92, quindi inizio di seconda repubblica ad oggi, l’Italia è cresciuta, su media comparabile, dello zero punto nove per cento, che, secondo le teorie degli economisti, si chiama recessione. Quindi, primo mito da sfatare, non siamo a rischio di recessione, siamo nella recessione piena da venti anni, e questo è un vincolo importante. Queste sono le varie origini.
Un altro dato che ho riscoperto, che risale molto più indietro, è una data storica per l’economia, 15 agosto 1971, il presidente Nixon decise per la prima volta di svincolare il dollaro dalle riserve auree americane, il ché, tradotto in soldoni, vuol dire uccidere l’economia reale, perché l’oro era… è ed era un materiale reale, pesabile, contabile in lingotti, e aprire la via della finanza allegra, senza regole, aiutata dalle transazioni veloci, aiutata dalle informatiche. Quindi, tutti questi ingredienti mi hanno portato a pensare che i problemi di oggi non siano i problemi di ieri mattina, ma che derivino da molto lontano. Qui si apre il problema delle soluzioni. E’ ovvio che oggi siamo in crisi, è ovvio che c’è un problema di competitività del paese Italia e del sistema Europa. Quello che io mi chiedo, mi sto chiedendo insistentemente in questi mesi, in questi giorni, che anche nella colazione che ha preceduto questo incontro abbiamo affrontato: è possibile pensare oggi a un’Italia virtuosa, che si dia una serie di regole e che implementi queste regole, cosa che sta peraltro, al meglio delle sue possibilità, come opinione del tutto personale, facendo il governo Monti, per seguire delle politiche di sviluppo sociale, industriale, anche etiche, di sviluppo dei giovani, totalmente svincolati dall’Europa? Noi abbiamo costruito un’Europa artificiale, che però esiste; il bambino è nato, probabilmente non è arrivato neanche alla prima elementare, però è nato. Riusciamo oggi a fare un discorso di Italia e del futuro al di fuori del sistema Europa, o comunque dobbiamo necessariamente passare a un gradino più alto e ragionare in termini di Europa come unica possibile soluzione futura del nostro paese e del nostro continente? Io credo che questo possa essere poi un elemento di discussione nel secondo giro di interventi. Io, quello che definisco l’ultima chiamata, non credo che per salire a bordo ci sia più tanto tempo, credo che sia veramente giunto il tempo dell’ultima chiamata, nel senso che, o l’Europa, e con l’Europa i grandi paesi e l’Italia, – Francesco, io sono perfettamente consapevole del ruolo della Germania e dei limiti dell’inflessibilità economica e politica della Germania – ma fortemente credo che l’Europa debba essere necessariamente uno Stato unito d’Europa, dove inevitabilmente, per un dato di fatto, per una questione di capacità industriale innegabile, alla Germania si debba in un certo futuro assegnare un ruolo di leader. Prima dicevo con gli amici colleghi: la Washington d’Europa potrà essere Berlino, a condizione che Berlino non sia l’egemonia tedesca, di cui tutti noi abbiamo un po’ paura, anche chi lavora col mondo tedesco da trent’anni, ma che sia una guida politica condivisa per degli Stati veri Uniti d’Europa. Grazie.
MODERATORE:
Grazie Federico. Maximo Ibarra.
MAXIMO IBARRA:
Buonasera a tutti. Mi atterrei un istante al titolo dell’incontro di oggi, quindi “globalizzazione” e partirei prima da questo termine per inquadrare un po’ lo scenario di riferimento. Abbiamo una serie di paesi che sono ad altissimo tasso di sviluppo, i BRIC; abbiamo altri paesi che hanno delle economie più consolidate e che comunque continuano ad essere traino dell’economia mondiale, come gli Stati Uniti; e altri paesi, che si affacciano sul mercato, che iniziano, come dire, a percorrere una traccia che è già stata percorsa da altri paesi ad altissimo tasso di sviluppo, come ad esempio gran parte dei paesi sudamericani. L’Europa in tutto ciò è pur sempre la seconda economia del mondo, presa come unico sistema, al netto dell’Europa, ogni singolo paese probabilmente non ha un peso specifico importante per poter competere, per potersi confrontare sullo scacchiere internazionale; per cui, se dovessi ragionare in ottica prospettica, non esiste una alternativa all’Europa come un organismo sistemico, che riesca a garantire da una parte una domanda interna significativa, e dall’altra a poter competere sui mercati grazie all’innovazione e alla qualità dei prodotti. Se guardiamo all’interno dell’Europa come deve essere la casa, chi deve partecipare di più e di meno, è evidente che ci sono delle differenze enormi, sostanziali; è indubbio che non soltanto da un punto di vista del tessuto economico, ma anche da un punto di vista culturale, i paesi del nord Europa e i paesi dell’Europa mediterranea sono diversi. Se fossero meno diversi, è evidente che in questo momento non staremmo qui a discutere se la Grecia deve uscire, se l’Italia e la Spagna sono paesi che meritino la legittimazione di poter far parte di questa casa comune europea; ci troveremmo in una situazione diametralmente diversa. Invece quello che accade è che, dal punto di vista dei parametri, il costo del lavoro è diverso, l’efficienza infrastrutturale e di sistema e di governance, sono diverse; anche gli apparati industriali sono diversi: la Germania e la Spagna, dal punto di vista di quello che è il tessuto industriale, non hanno assolutamente nulla a che vedere l’una con l’altra; l’Italia si trova in una via di mezzo, è sicuramente un paese mediterraneo, ma l’Italia del nord ha un tessuto industriale che ovviamente non teme il confronto con nessun altro distretto industriale europeo. Quindi, come dire che siamo un po’ una via di mezzo.
Sulla diagnosi, ritengo che tutti siamo abbastanza d’accordo; non cresciamo da dieci anni, forse anche di più, abbiamo un debito imponente, siamo un paese, l’Italia, che da un punto di vista industriale si sta depauperando, tutte le realtà aziendali, che hanno come unico mercato di sbocco i consumi domestici, soffrono – perché soffrono? perché chiaramente c’è un calo significativo del potere d’acquisto – e le uniche aziende che riescono ad avere un ruolo da protagonista a livello mondiale sono le aziende dei nostri famosi prestigiosissimi distretti industriali, che lavorano spesso su mercati di nicchia e su prodotti che riescono ancora ad essere molto competitivi semplicemente perché hanno un contenuto, o di design o tecnologico, superiore rispetto a quello che si produce in altri paesi del mondo. La domanda vera che dobbiamo porci è: qual è il disegno strategico, la visione strategica di un paese come l’Italia? Al di là di cimentarci con il tema dello spread, al di là di ragionare su temi del fatto che il debito pubblico è molto grande, dovremmo tutti insieme ragionare e guardarci un attimo come se stessimo davanti a uno specchio e dire: l’Italia, fra sei anni, sette anni, che cosa sarà? E’ un paese industriale? E’ un paese turistico? E’ un paese dove le infrastrutture debbono essere di un tipo totalmente diverso rispetto a quelle attuali? La formazione che dobbiamo avere fra cinque anni è la stessa formazione che garantisce oggi l’Italia? Non so se avete letto, ma sicuramente lo sapete meglio di me, che nessuna università italiana è nel ranking delle prime cento, che è un fatto assolutamente dannoso, perché significa che noi non stiamo investendo nel fattore umano. Il fattore umano è importante, perché attraverso il fattore umano si riesce ad applicare e ad implementare una rivoluzione culturale anche dei costumi, che permette a tutti il sistema di rinnovarsi. Quando noi parliamo e diciamo: i giovani di oggi non son…, non è vero che i giovani di oggi non son capaci; i giovani di oggi sono lo specchio degli adulti e delle persone più senior che oggi ci sono in Italia. Quindi, una maggiore attenzione alla formazione, anche dalla scuola, dalle elementari. Stiamo prestando molta attenzione a questo aspetto? Secondo me, no. E poi, ripeto, da un punto di vista industriale, di servizi, dal punto di vista infrastrutturale, dell’Italia che vogliamo fra cinque o sei anni, ce ne stiamo occupando abbastanza? Io, che mi occupo di aziende ormai da tantissimi anni, mi occupo di due aspetti fondamentalmente. Il primo è: decidere qual è il posizionamento della mia azienda sul mercato. Noi sappiamo oggi qual è il posizionamento dell’Italia sul mercato europeo, sul mercato mondiale? Forse lo sapevamo venti anni fa, io ho qualche dubbio sul posizionamento dell’Italia oggi e che cosa debba essere. Se non esiste una guida strategica da questo punto di vista, ma guardiamo l’emergenza di brevissimo termine, o di breve termine, è evidente che non sapremo mai dedicare le risorse giuste all’attività giusta per poter uscire da una situazione di pericolo. Quindi, visione strategica, posizionamento del sistema paese, formazione, che è un aspetto importantissimo per poter costruire la classe dirigente del domani; e queste cose non si costruiscono dall’oggi al domani, non sono attività che noi tutti possiamo immaginare o pensare di riuscire a mettere in piedi nel giro di due, tre anni. Non esiste; bisogna cominciare a lavorare oggi affinché le prossime due generazioni abbiamo dal punto di vista culturale, dal punto di vista formativo, dal punto di vista delle opportunità, la capacità di poter creare, costruire quei lavori, che oggi purtroppo non esistono, e che invece dovranno esistere, perché è chiaro che dal punto di vista anche antropologico e culturale, il mondo del lavoro sta radicalmente cambiando. Oggi esiste una offerta ed esiste una domanda. La domanda oggi non trova offerte e viceversa. Perché? Perché il lavoro sta cambiando, ma noi non siamo in grado di cogliere queste differenze. Dal punto di vista degli investimenti, quanto investe l’Italia nelle start-up, quanto investe l’Italia nell’innovazione delle aziende? Molto poco. Quanto investe nelle infrastrutture? Ancora meno. Le infrastrutture sono quasi tutte fatiscenti, risalgono agli anni sessanta, agli anni settanta, ed è evidente che se noi non mettiamo a posto le cose che ci riguardano, non saremo capaci domani di poterci confrontare con gli altri paesi europei e poter dare un contributo importante a quella che è l’organizzazione sistemica dell’Europa. Quindi la mia ricetta è: iniziamo a ragionare sul domani, perché sul passato ormai abbiamo tutti consapevolezza e cognizione di causa di quello che è accaduto, e di quello che sta accadendo. Quindi, se noi vogliamo evitare che nel 2015-16 siamo ancora qui tutti insieme a ragionare sul perché la domanda interna non cresce, o sul perché siamo considerati un paese di serie B, è evidente che non avremmo fatto le cose di cui vi ho parlato prima e che ritengo siano una ricetta indispensabile per mandare avanti il paese nei prossimi anni. Grazie mille.
MODERATORE: DOMENICO LOMBARDI
Grazie Maximo. Io vorrei riprendere uno dei temi che è stato sollevato da alcuni relatori, quello del differenziale di competitività delle varie economie all’interno dell’area dell’euro e se noi guardiamo al costo del lavoro per unità di prodotto dell’Italia rispetto alla Germania, l’Italia ha accumulato un divario di circa 25%. Naturalmente ci sono tantissimi altri indicatori di competitività relativa che più o meno mostrano la stessa tendenza. E chiaramente gli economisti che si sono focalizzati su questo aspetto hanno sottolineato la necessità di colmare questo divario, per stabilizzare le prospettive economiche, nonché finanziarie, dell’euro-zona. È chiaro che se ci si muove a velocità diverse è difficile poi stare insieme. Ma la mia domanda è, in pratica, come è possibile per l’Italia colmare questo divario quando le imprese italiane hanno enormi difficoltà di accesso al mercato del credito e quindi hanno enormi difficoltà a effettuare investimenti che sono fondamentali naturalmente per diventare competitivi nell’area dell’euro ma anche e soprattutto nell’economia globale? D’altro lato le imprese tedesche si trovano nella situazione diametralmente opposta, in cui non solo hanno un’estrema facilità di accesso al credito, ma questo credito viene erogato a tassi storicamente bassi. E quindi profittando della vostra presenza come leader del mondo delle imprese e di società finanziarie vorrei chiedervi un pio’ una riflessione su questo, e comincerei da Francesco Confuorti.
FRANCESCO CONFUORTI:
La prima cosa importante è semplicissima: il surplus tedesco è fatto per l’80% in Europa, e guarda caso, è fatto con le regioni del sud europa, le regioni latine, che hanno un surplus di circa 250 billion ???. La Germania sta all’Europa come la Cina sta agli Stati Uniti, quindi tutto questo benessere tedesco è finanziato dal sud Europa. Il problema della competitività è un problema di stati che sono all’interno di una moneta che non gli appartiene, l’Europa è un vassallo o un valvassore dei tedeschi: questo è il vero problema dell’Europa, perché se no gli aggiustamenti si sarebbero fatti. Quando dei paesi che hanno una politica un po’ meno forte sono in qualche maniera bloccati dal poter usare una politica monetaria di loro favore, o quindi quella possibilità che ha il Giappone, che ha il 200% del debito, o anche gli Stati Uniti stessi, o anche l’Inghilterra, hanno una forza che si chiama in Inglese “col-strenght”, una forza non indifferente. Quindi questo grande panzer, questa grande working-.machine tedesca, ha il suo surplus con l’Europa del sud. Quindi signori, non andiamo a cercare le chimere dell’efficienza: l’efficienza è dovuta a una valorizzazione del marco, quando si è fatta l’Europa con l’euro, interessante per i tedeschi e una valorizzazione non interessante per il resto degli europei mediterranei (Italia, Spagna ed eventualmente Portogallo e Grecia) che in qualche maniera hanno perso di competitività. Quindi noi fuori dall’Europa non riusciamo a crescere, o non riusciamo ad esportare. All’interno siamo meno competitivi per la situazione del credito, quindi il problema sta nell’Europa, e non in un’Europa che sia gestita da tedeschi, ma in un’Europa gestita dagli europei per il benessere di tutti, dove il credito sia dello stesso livello su tutti. Vi dico una piccola cosa: Basilea 3. è il nuovo fondamento per le banche europee, di cui la capitalizzazione, o il rapporto di capitale, delle banche europee, deve migliorare perché deve dare più solidità. Allora le banche italiane sono le banche più virtuose in Europa: non hanno chiesto una lira a nessuno, sono capitalizzate, non hanno fatto gli eccessi degli spagnoli, non hanno fatto le porcherie dei francesi e non hanno fatto le porcherie di nessuno, ma sono quelle che avranno più grosso problema finanziario per le aziende medio-piccole, perché la definizione del “risk-weighting cioè di quella che è la ponderazione del rischio, dei crediti nelle banche è anche funzione della grandezza dell’azienda finanziata e quindi della ponderazione del rischio stesso. Quindi noi che siamo un’economia di aziende medio-piccole, siamo non solo puniti nel credito, ma puniti anche nell’accantonamento e nella valutazione del capitale nelle nostre banche, perché le nostre aziende sono viste in maniera più onerosa e meno competitiva. Quindi questa Europa così, questa in- competitività italiana questa mancanza di competitività, questo paese allo sfascio, è in qualche maniera allo sfascio perché nella famiglia europea, oltre ai nostri problemi,ci sono due pesi e due misure, e i pesi sono a favore dei tedeschi, in qualche maniera anche dei francesi, ma poco o niente nei confronti degli italiani, che sono il terzo contribuente in Europa a far fronte alle spese per l’Europa- e l’Europa all’Italia non ha dato mai una lira, l’ha detto anche il nostro Primo Ministro Monti in maniera molto chiara. Quindi il nostro problema è come ci rapportiamo con i nostri interessi e gli interessi dei vostri figli e delle nostre generazioni in questa nazione che ha mancanza di solidarietà, che è anche mancanza di etica, di comunità, perche uno non lascia che il proprio vicino vada fallito o possa morire approfittandone, perché questo non ha un senso comune, non è una nazione comune, ma è una nazione a beneficio di qualcuno, e solo di qualcuno, non di tutti. Prego.
MODERATORE:DOMENICO LOMBARDI:
Federico Golla
FEDERICO GOLLA:
Un aspetto del tutto nazionale e poi vediamo quella di prospettiva europea. Il dipartimento europeo nel fondo monetario nel 2000 , nel 2010 scusate, diceva che i problemi dell’Italia vanno ben oltre quella crisi che era appena iniziata, e che erano problemi così categorizzabili: basso potenziale di crescita (evidente, sta nei fatti), declino della produttività, (un sistema di regole burocratiche, sindacali, i lacci e lacciuoli che hanno comunque compresso la crescita della produttività ), un ristagno dei redditi ( sappiamo che il potere d’acquisto negli ultimi 10 anni, dall’abbandono della scala mobile a tutte le altre politiche che sono state fatte, senza andare a cercare oggi le colpe principali, le abbiamo tutti, il ristagno dei redditi ha portato un decremento del potere d’acquisto quindi ha contribuito alla recessione e non ultimo il problema dell’innovazione, l’Italia non è più capace di innovare. Quindi la prima cosa da fare è sistemare le cose in casa nostra, dopodiché, condivido perfettamente il punto di Francesco, di guardare l’Europa come un unicum e di capire qual è il ruolo della Germania ma non solo il ruolo della Germania.
Io credo, lo penso veramente, credo che sia un po’ anche una provocazione che l’Europa debba aumentare la sua capacità di mercato interno perché comunque per rapporto ad crescita asiatica a un mondo nord-americano, sud-americano, il mercato europeo è un piccolo mercato, noi continuiamo a parlare della Germania, ma la Germania non si auto- sostiene, non lo sarà mai e neanche la Francia.
Io mi rendo conto che ci sono problemi culturali, problemi psicologici, problemi anche religiosi, ma io fortemente credo che il mercato vincente dell’Europa del futuro, da quando non lo so, sia quello che veda dentro due grandi Paesi come la Turchia e la Russia, due Paesi che se l’Europa non saprà portare nel proprio territorio domestico andranno da un’altra parte e quindi aumenteranno ancora lo squilibrio fra quelle che sono le nostre capacità di utilizzare il prodotto interno a livello continentale, utilizzando due Paesi che sono Paesi che sono numericamente importanti, con risorse anche petrolifere e di materie prime, con un grosso potenziale. Io credo, che a questo punto, il problema non sia più il vecchio dualismo Germania – Francia, che non sia più l’inizio secolo del dominio Britannico e dei contrasti con la Francia, son passati un secolo e mezzo da questi tempi; noi dobbiamo cercare di capire, e quando io parlavo di ultima chiamata, intendevo esattamente questo, se siamo in grado di individuare gli stati uniti d’Europa o se dobbiamo passare mano e lasciare perdere.
Chi conosce gli Stati Uniti, sa che nei 50, 51 stati dell’America, la ricchezza, il pil, la capacità produttiva è enormemente diversa, chi conosce la California vede la California come l’eden del mondo, con capacità di fare che cosa ? tutto quello che manca a noi: l’innovazione, la produttività, l’inventiva , la diversità, aggregare i giovani, e ci sono tanti stati del Midwest, del nord America che sono stati depressi, fortemente agricoli. Ecco, gli stati uniti d’Europa, dovranno contenere, se saranno capaci di farlo, questi contenuti di sussidiarietà, essere un grande stato che superi il fatto e anche il “to be proud “ di essere tedesco o francese o inglese o italiano, che un po’ secondo me la nostra palla al piede.
Io continuo continuamente a pensare e a sostenere che uno dei rischi che abbiamo è l’eccessiva fiducia sula nostra cultura, sulla nostra storia, sul nostro passato, è un valore fondamentale, nessuno nega il contributo della Grecia, dell’ antica Roma, degli Egizi, del bacino del Mediterraneo ma non è più condizione sufficiente quindi utilizziamo le nostre capacità culturali, intellettuali ma cerchiamo di creare uno Stato che sia uno Stato competitivo, da un lato verso Est, verso il mondo Asiatico e da un lato verso un Paese che comunque rimarrà un Paese grande, di guida come quello degli Stati Uniti d’America.
MODERATORE:
Francesco una breve battuta e poi Maximo.
FRANCESCO CONFUORTI:
L’America è un Paese dove c’è una base che si chiama “plain-field”, tutti giocano sulle stesse basi, in Europa la legge e il credito e la fiscalità non è applicata a tutti allo stesso modo, quindi tu puoi avere delle differenze regionali, però su cui poi ci sono delle basi di presupposto di credito uguali per rialimentare la crescita. In Europa questo non c’è e quindi questa differenza sostanziale è mancanza di democrazia economica che non può essere tollerata nella creazione di un mercato unico.
FEDERICO GOLLA:
Che si chieda alla politica nazionale, nell’individuare gli Stati Uniti d’Europa si chiede un passo indietro alla singola sovranità nazionale altrimenti perfettamente non funzionerà.
FRANCESCO CONFUORTI:
Quelli che fanno il 5% di surplus.
FEDERICO GOLLA:
Non si è sentito
MODERATORE:
Anche perché se dobbiamo avvicinarci a questa prospettiva di Stati Uniti d’Europa, naturalmente la Germania deve essere sempre più come la California nell’ambito di un sistema in cui vi siano forme di sussidiarietà che al momento non sono neanche lontanamente concepite in quel Paese, come leggiamo sul giornale tutti i giorni, ma vorrei dare la parola a Maximo Ibarra per il suo round d’intervento.
MAXIMO IBARRA
Hai toccato un argomento importante che è quello che dice: siamo in un contesto dove avere dei soldi in prestito, per poter finanziare attività economiche è una delle cose più complesse, perché le banche, se sei una piccola azienda tendono a non finanziarti, così come accade anche per le famiglie che devono avere un mutuo per acquistare la casa , in questo momento l’attività di avere soldi in prestito, o hai una storia creditizia particolarmente importante o sei una grandissima azienda eccetera, eccetera , però per le piccole aziende in questo momento è veramente complessa.
Se non si riescono ad avere soldi in prestito, esiste una strada , un’altra, che è un po’ più complessa, forse più difficile da raccontare però la si può trovare nell’ambito della ricerca dell’efficienza, ecco l’efficienza, ogni volta che si parla di efficienza in azienda è una parola un po’ astrusa, un po’ noiosa perché dice l’efficienza adesso bisogna guardare ogni singola voce di spesa, diventa quasi una attività contabile.
Se voi leggete, come sicuramente lo fate, i vari articoli sui giornali, quando si incomincia a parlare di spending review, tipicamente le persone cominciano ad avere, sì d’accordo non è un argomento particolarmente interessante, è come se fosse una attività ragionieristica , in realtà, se voi da normali cittadini , in tutte le vostre interazioni con la pubblica amministrazione , con qualsiasi organizzazione pubblica o para-pubblica , vi rendete conto che in effetti noi stiamo parlando di sacche di inefficienza che rasentano livelli esagerati e quando si raggiungono livelli di grande esagerazione è evidente che abbiamo raggiunto un limite oltre il quale non bisogna andare.
Quando si arriva in un aeroporto italiano, quando si prende la metropolitana a Roma, quando bisogna fare qualsiasi attività, in Italia comincia a diventare difficile perché sembra che venga gestita da una terza parte che non ci riguarda. Quindi io partirei da un concetto base, che ovviamente, non è particolarmente semplice, però dal quale non possiamo ovviamente uscirne, ed è quello di trovare quella disciplina, quello spirito civico in tutti noi ,e penso che il Meeting e tutti i volontari del Meeting siano espressione lampante, chiara e schietta di quello che sto dicendo, di riuscire sostanzialmente ad avere una sorta di atteggiamento meno alla ricerca dell’alibi, molto più centrati su quello che sono le cose che possiamo fare e nell’ambito di tutte le nostre piccole attività cercare di essere più efficienti. Non esiste, non è tollerabile un Paese che abbia livelli di evasione fiscale come quelli che esistono in Italia, non esiste che un Paese come l’Italia che è piena di risorse importanti turistiche, culturali, industriali di “know-out” decida fondamentalmente di buttare tutto al vento semplicemente perché non gli interessa niente a nessuno.
La disciplina, lo spirito civico, la capacità di ricominciare a camminare anche sulla base di investimenti sulla formazione importanti, secondo me, sono il retroterra culturale dal quale dobbiamo partire altrimenti non si riesce più ad andare avanti come questo Paese lo merita, quindi è evidente che oggi sul mercato dei capitali siamo svantaggiati, con uno spread ed un differenziale così elevato , è evidente che indebitarsi in Italia non conviene, mentre invece per la Germania è tutto molto più semplice. Siamo sempre alla ricerca di quell’aspetto tattico, di breve termine, di equilibrio nell’ambito del rapporto dei vari Paesi, noi, secondo me, dovremmo guardarci dentro , fare leva su tutti i giovani che appena usciremo da questa sala troveremo in giro, e cercare sostanzialmente di investire su di loro perché sono lo specchio del Paese e sono le persone, che con un po’ più di disciplina e di coscienza civile, riusciranno a far decollare l’Italia, combattendo quelle inefficienze che sono un po’ dappertutto.
MODERATORE:
Maximo, prima nel tuo intervento tu hai parlato di spread ed è stato anche riecheggiato da altri relatori, ma quando voi fate degli investimenti in Italia o in altre regioni, diciamo più a rischio dell’area dell’euro, veramente percepite un rischio maggiore rispetto ad altre parti del pianeta od altre regioni, diciamo con un rating più elevato, nel nord Europa e se sì cos’è che rende questo investimento più rischioso? Comincerei magari in ordire inverso, con te Maximo.
MAXIMO IBARRA:
Direi che nei miei incontri con gli azionisti, e questo anche molto recente, quello che vi sto raccontando è una cosa che è capitata praticamente qualche settimana fa, è una domanda che ho fatto io direttamente come amministratore delegato di Wind in Italia ai miei azionisti del tipo qual è il vostro livello di fiducia rispetto alle attività che esistono in questo Paese? La risposta è stata molto schietta, estremamente schietta ed è: mercato della telefonia in Italia particolarmente saturo, Wind è una azienda che, devo dire, con un posizionamento chiaro, per cui è riuscita a difendersi molto bene, l’Italia è un Paese in cui nel quale crediamo fermamente , l’euro è sicuramente una incognita , però se, dal punto di vista delle regole che sono alla base del corretto e normale andamento del mercato della telefonia sono trasparenti, schiette, facili, comprensibili a quel punto noi continueremo ad investire perché vi dico questo, ovviamente voi non siete esperti di telefonia, però esistono alcune azioni che il governo italiano, lo stato, può mettere in piedi dopodomani mattina , in modo tale che tutte le aziende del settore delle telecomunicazioni possano investire molto più facilmente domani.
Voi avete sicuramente sentito parlare di fibra, dell’ultimo miglio, del NGN, del LTE per quanto riguarda la telefonia mobile, bene tutto questo è possibile se dal punto di vista delle infrastrutture , dal punto di vista dei limiti elettromagnetici , dal punto di vista dei permessi ci si ammoderna e ci si allinea a quelli che sono i normali standard europei. Se voi guardate il settore della telefonia, per tornare un attimo indietro a quello che avevo detto nel mio primo intervento , nel 1997-1998 , lo condividevo a pranzo con le persone che sono qui sedute, nel 1998 l’Italia era un Paese leader al Mondo nelle telecomunicazioni mobili, ecco se avessimo avuto un po’ più di “vision”, un po’ più di visione strategica, probabilmente oggi l’Italia sarebbe ancora il Paese leader nel Mondo della telefonia mobile. Invece oggi tutte le aziende di telefonia mobile e non in Italia, quasi tutte, appartengono ad azionisti stranieri, quindi questo vuol dire che all’estero credono in noi molto più di quanto noi crediamo in noi stessi.
MODERATORE:
Federico Golla
FEDERICO GOLLA:
Per noi, paradossalmente, il problema economico del Paese non è uno dei grandi ostacoli nell’elemento di valutazione di possibili investimenti, quello che spaventa di più ai tedeschi, o quello che spaventa di più agli investitori internazionali sono le regole appesantite della burocrazia e l’incertezza del diritto. In Italia non sai mai come finisce una gara d’appalto, non sai mai quanti ricorsi ci sono, non sai mai se hai vinto se porterai a termine l’opera, quindi tutto quello che fa parte del contesto burocratico è quello che realmente spaventa. Un’altra situazione, che è un aggravante nella decisione di investire in un Paese come l’Italia è quello del credito dell’amministrazione pubblica, ci sono dei dati unici, forse solo la Grecia ci batte, che sono scandalosi, oggi qualunque azienda vive di un equilibrio di cash, quindi ha bisogno di generare flussi di cassa per poter mantenere i suoi cicli di business, e questo in Italia è praticamente impossibile. Questi sono i due grandi elementi, ovviamente non va trascurato il fattore Meridionale che è un grande elemento di freno per il nostro Paese perché quando si parla di possibili investimenti, anche agevolati, nel Sud Italia, giusto o sbagliato che sia, questa immagine di un Paese, o di una Parte del Paese più a rischio, ovviamente c’è. Detto questo, di positivo, devo dire, che almeno in casa Siemens, l’Italia è considerata un Paese sul quale investire ancora, e soprattutto un Paese dove la qualità delle risorse umane, la qualità dei giovani, la qualità delle nostre persone è sicuramente superiore a tanti altri Paesi della Comunità Europea. E’ vero che noi nelle prime 100 università non ne abbiamo neanche una, però vi posso dire che abbiamo delle eccellenti collaborazioni con il Politecnico di Milano e Torino, con la Bocconi, e quindi quello che per noi in Germania è il “modello duale”, industria-università che stiamo cercando di sviluppare anche in Italia viene apprezzato perché la qualità dei giovani e la voglia di fare, e di questo me ne compiaccio, sono sicuramente, una delle leve che possono portare un grande gruppo come Siemens in Europa, ad investire in Italia piuttosto che in altri Paesi.
Evidentemente la burocrazia è un elemento di fondo, ma lo è anche per la Francia, lo è anche per altri Paesi, noi dovremmo, nel sistema Paese, cercare di semplificare le regole del gioco il più possibile. I governi precedenti ci hanno provato, avevamo addirittura i Ministri dedicati alla semplificazione però i risultati sono ancora davanti agli occhi di tutti.
MEDERATORE:
Grazie Federico, Francesco Confuorti.
FRANCESCO CONFUORTI:
Tutti parlano dell’inefficienza italiana; l’Italia queste situazioni le sta affrontando in maniera abbastanza chiara, c’è la consapevolezza dell’inefficienza italiana però, quando hai tolto l’inefficienza c’è comunque una non equità, inequità di accesso, tant’ è vero che noi dal punto di vista finanziario siamo oggetto di colonizzazione. Il credito in Italia è, per una buona parte, in mano ai francesi, ai tedeschi, anche agli spagnoli, con il consumer credit di Santander e di altre banche del genere. Quindi, da un certo punto di vista, le risorse economiche di questa nazione fanno gola a tutti. Per esempio so che la SIEMENS sta facendo una acquisizione con Ansaldo, con quelle parti importanti dell’industria italiana che ha a che fare con una struttura. Quando parliamo della telefonia i signori della WIND quando hanno comprato, hanno comprato in un mercato protetto perché l’Italia dà un flusso e una protezione nei flussi di cassa non indifferente e quello che si chiama default ratio, quindi la possibilità di fallimento o di non pagamento degli italiani è molto più bassa degli inglesi, dei francesi e di tante altre nazioni. Quindi quando vai in una consumer industry, una azienda si consumo, come potrei definire una società di telefonia, i flussi e l’uso e la profittabilità in Italia sono molto alti. Mentre ci sono dei protezionismi importanti di cui la Telecom beneficia, però l’Italia è un mercato che in inglese si chiama “differenziale di guadagno” cioè ha un margine di inefficienza che, per chi ha delle posizioni di rendita, l’Italia è una vacca da mungere ancora. Munta la vacca il latte non viene dato agli italiani, viene portato fuori. Il problema vero è che noi e i nostri giovani italiani dobbiamo beneficiare di questo, perché non vedo nessun investimento paneuropeo che tenga presente di una situazione in cui tanti gruppi beneficiano e che rimettono questo nel sistema italiano: la roba viene presa dall’Italia e portata fuori, è una forma di esportazione indiretta. Detto questo, gli italiani devono essere molto più coscienti delle loro capacità, delle loro difficoltà e soprattutto del fatto che l’indipendenza economica è l’investimento sul proprio territorio e sulle proprie persone ed è la prima base per avere un rispetto e per avere una forza più ampia in Europa che fu fondata all’inizio del rinascimento, ritorno ancora li, quindi con le signorie fiorentine etc. ed era definita dal decentramento, decentralizzazione del potere. Questa Europa è fatta sulla centralizzazione del potere, a Strasburgo e altrove, noi siamo una periferia, e come periferia siamo trattati come tali pagando, quindi il prezzo della periferia. Vedete la differenza le città, il centro e le periferie? Noi siamo trattati nella stessa maniera, mentre le periferie in molti casi sono quelle che danno il benessere al centro. Quindi dovete partire da questo presupposto e fare di questa una grande lezione affinchè noi, avendo più forza economica, essendo più virtuosi, riusciamo ad avere un posto di centralità nonostante siamo lontani e non siamo a Strasburgo. Prego.
MODERATORE:
Grazie Francesco. Ci avviciniamo alla fine di questa sessione e allora io vorrei proporre di raccogliere qualche domanda tra il pubblico rispetto alle quali inviterei poi i nostri relatori a rispondere.
DOMANDA 1:
Prima di tutto ringrazio perché tutti gli interventi mi sono piaciuti tantissimo. Arriva una domanda che forse è più rivolta a chi si occupa di finanza. Quello che circola un po’ sui giornali e anche a livello di giudizio diffuso è che una grossa responsabilità della crisi attuale, oltre ai problemi interni dell’Italia noti a tutti, sia quell’effetto particolare della globalizzazione che sono i conti trimestrali. Una finanza che ha dettato dei tempi di profitto, soprattutto le grandi aziende, incompatibili con una crescita economica sana di medio – lungo termine e questo sembra essere stato imposto, al di là delle debolezze politiche, legislative eccetera, da una finanza mondiale che io vorrei capire come si fa a convincere in qualche modo che distruggendo l’economia poi piano piano distrugge anche se stessa, perché ci saranno tante vacche da mungere in giro per il mondo ma alla fine della fiera se si mungono poi tutte si ha tanto bel denaro virtuale, ma non servirà più a niente. Grazie.
MODERATORE:
Ci sono un paio di interventi, in prima fila, alla mia sinistra…
DOMANDA 2:
L’altra domanda si collega in maniera molto precisa con il primo intervento, con la prima domanda ed è questa: questo continuo pompaggio di base monetaria, di moneta, non solo a livello europeo, ma a livello mondiale unitamente alla continua e progressiva “finanziarizzazione” dell’economia non rischia in maniera molto marcata di avere degli effetti devastanti a brevissimo termine anche sull’economia reale sul modello di sviluppo occidentale?
MODERATORE:
Una domanda in seconda fila, alla mia sinistra…
DOMANDA 3:
Buongiorno, vi ringrazio per gli interventi; mi è piaciuto molto l’intervento che parlava di una visione futura e anche degli Stati Uniti d’Europa. Parlando ancora di storia, gli Stati Uniti ci hanno messo circa cento anni per diventare gli Stati Uniti perché erano degli stati tutti divisi e uno dopo l’altro si sono aggregati, finendo con una bella guerra civile nel 1960 come noi sappiamo. Dal punto di vista del futuro, come vedete una possibile evoluzione dell’Europa in questo modo, cioè come diventeremo gli Stati Uniti d’Europa, come tratteremo la parte politica, qual è la vostra visione dell’Italia nell’Europa e negli Stati Uniti d’Europa? Grazie.
MODERATORE:
Un’ultima domanda in seconda fila, alla mia destra…
DOMANDA 4:
Le banche italiane non sono state così brave. Sono stati bravi colore che hanno preso i denari dalle banche italiane, perché sono state milioni di piccole aziende non sono state quindi le grandi aziende che hanno creato i problemi, come negli Stati Uniti, in Francia e da altre parti, ma il tessuto produttivo italiano si è dimostrato interessante. Secondo problema: noi siamo un paese industriale, esportatore e turistico. Dobbiamo unire questi tre aggettivi, perché questa è la visione del nostro paese. Il terzo problema lo dice il professor Sartori in un articolo di due mesi fa, in cui dice: gli Stati Uniti d’Europa hanno la necessità di avere almeno per i primi tre anni delle barriere protezionistiche del loro tessuto produttivo, altrimenti è difficile. E l’ultima osservazione è, signor Confuorti, è che la vocazione dell’Italia da quanto ne so io –e da quanto ne sa lei- ha vinto nelle Gallie, non ha sicuramente perso. Grazie.
MODERATORE:
Grazie per questi interventi, allora inviterei Maximo Ibarra, Federico Golla e Francesco Confuorti alla fine.
MAXIMO IBARRA:
Vorrei dare delle risposte abbastanza brevi e sintetiche rispetto alle domande che sono state poste. Alla prima, se non si sia esagerato dal punto di vista della trimestralizzazione di quelli che sono i conti delle aziende, in particolare delle aziende che sono quotate in borsa, perché poi alla fine, se non sei quotato in borsa hai meno vincoli dal punto di vista finanziario. La risposta è sì, si è esagerato: le grandi aziende guardano in modo ansiogeno rispetto a quella che è la pubblicazione trimestrale dei propri numeri e questo sicuramente impedisce il fatto che si possano fare dei ragionamenti a medio – lungo termine in maniera più pulita rispetto a quanto accade oggi. Quindi sicuramente c’è un eccesso di pressione dal punto di vista di quella che è la trimestralizzazione dei risultati: il fatto di poter fare vedere un EBITDA positivo, la cassa positiva spesso porta le grandi aziende a fare delle azioni che sono non particolarmente ben ragionate, soffocando così quello che potrebbe essere un investimento a medio – lungo termine.
La seconda domanda, che riguarda il ruolo della finanza nell’ambito di quello che è accaduto oggi nel mondo. È evidente che la finanza abbia strumentalizzato un po’ troppo quelli che sono i propri ambiti di manovra: la crisi del 2008-2009 è ancora in corso, le ultime notizie su quello che fanno adesso alcune banche d’affari, lo scandalo dell’Euribor coi quali ci confrontiamo giornalmente stanno a dimostrare che evidentemente c’è bisogno di una nuova struttura di Governance anche per quanto riguarda la finanza mondiale, altrimenti si va sicuramente a detrimento di quella che è l’economia reale. La moneta economica e la moneta finanziaria sono due cose radicalmente diverse.
La terza domanda, che riguardava la visione, e quanto hanno impiegato gli Stati Uniti nel poter fondamentalmente raggiungere l’equilibrio che ha raggiunto, sono assolutamente d’accordo: l’Italia è uno Stato da 150 anni e l’Europa è un sistema da molto meno. È chiaro che sono processi che richiedono moltissimo tempo, molti step e alcuni sono dolorosi, sicuramente qualche volta di andrà a sbattere la testa contro un muro. Spesso si dovranno affrontare alcune emergenze, prima di riuscire effettivamente a raggiungere un costrutto che possa dare un vantaggio a tutte le persone che abitano in Europa, però ritengo che l’investimento europeo sia inevitabile anche per un motivo pratico: la popolazione europea è una popolazione che è non radicalmente superiore alla popolazione americana. Suo mercati mondiali ormai si ragiona su dei mercati interni che debbano essere significativi; se l’Europa dovesse disgregarsi è evidente che il suo ruolo nello scacchiere mondiale e internazionale sarà molto più scarso rispetto a oggi. Bisogna lavorare tutti insieme e dal punto di vista della domanda interna, quindi lo stato Italia, quindi mettere i propri conti a posto da soli, senza necessariamente chiedere aiuto a chicchessia, dall’altro lavorare come sta facendo il governo attuale per riuscire ad avere un ruolo all’interno dell’Europa e riuscire a compensare quegli squilibri che possono creare in futuro dei problemi gravi per quanto riguarda la propria partecipazione a questa casa comune europea. Mi pare che fossero queste le domande…
FEDERICO GOLLA:
Allora, sul primo tema, quello degli orizzonti temporali della globalizzazione: certo che sì, guidare una azienda su base trimestrale è un incubo. Fare dei piani strategici di cinque anni e correggerli ogni tre mesi è un incubo, è ovvio che per un manager di azienda di economia familiare era un’altra cosa. Quando uno ha un orizzonte di cinque anni, di dieci anni può investire, può fare dei piani di crescita, può aggiustare il tiro, ma ha una prospettiva di futuro. Questo è nato dalla finanza, è nato dai fondi di investimento pensioni negli Stati Uniti, dove si poteva in una notte spostare milioni di dollari e quindi togliere ossigeno e dare ossigeno.
Personalmente credo che il titolo in borsa abbia un valore, ma non sial’elemento dominante della strategia e del futuro di una azienda, perciò sicuramente questo è successo. In più senza alcuna nota polemica ricordo che in Italia non esistono agenzie di rating, in Europa non esistono agenzie di rating: tutti quelli che ci giudicano dall’esterno vengono dal mondo anglosassone, dal mondo americano e non è detto che sempre, al di fuori della finestra si veda sempre tutto quello che succede all’interno di una azienda. Quindi per noi lavorare su brevi periodi è un problema in più ed è un problema che rischia di destabilizzare il futuro delle aziende.
La seconda domanda sul contagio della finanza sull’economia, sì: difatti quando io parlavo prima delle regole del futuro dell’economia reale uno dei punti è proprio quello di riportare l’economia reale, quindi i risultati, i valori, le crescite, dimenticando solo i numeri e quello che è l’aspetto legato alla finanza, anche se creativa. È vero che gli Stati Uniti ci hanno messo 150 anni, ma noi non abbiamo questo tempo davanti a noi, non possiamo aspettare nemmeno 15 anni per fare dell’Europa una Europa nuova e gli Stati Uniti d’Europa. Credo che l’Europa non abbia che cinque anni per potersi dare una struttura politica, una struttura economica, una moneta che per fortuna ha già, anche una struttura di politica estera e di esercito unico: essere veramente l’alter ego di quel Paese che noi tutti abbiamo conosciuto e apprezzato, che sono gli Stati Uniti d’America: i 150 anni non ce li possiamo più permettere. Grazie.
MODERATORE:
Grazie Federico. Francesco Confuorti.
FRANCESCO CONFUORTI:
L’America si è unita uscendo dalla colonizzazione. Quindi il processo da cui l’America diventa gli Stati Uniti d’America con la dichiarazione di Filadelfia (o Philadelphia), dove c’era anche un italiano che si chiamava Philip Mazzei, fra i sette firmatari della formazione degli Stati Uniti d’America, veniva però da una base culturale molto simile, perchè erano tutti sudditi della Regina o del regno unito d’Inghilterra e avevano interessi comuni. Il problema dell’Europa.. – l’Europa non ci metterà 150 anni, potrebbe anche non metterceli o non farcela perché l’Europa, per come è fatta rischia un processo di colonizzazione che è qualcosa che si voleva fare già 150 anni fa, dalle guerre prussiane, da Napoleone e così via – quindi il problema dell’Europa non è se ce la farà l’Europa, ma come ce la farà e quali sono le condizioni di democrazia sulla quale si basa l’Europa.
Seconda risposta sulle banche. Voi vi ricorderete -o avrete sentito parlare perché nessuno di noi è così anziano- che nel 1929 ci fu una crisi finanziaria di cui certe volte si evoca lo spettro in questi momenti. Nel 1934 c’è stata una legge in America che si chiama il Glass-Steagall Act, che divideva le funzioni delle banche di investimento dalle banche commerciali. Il fascismo di Mussolini, nel 1926 o 1928 o da quelle parti là, ha azzerato tutte le posizioni di mismatching, che il credito a breve va a finanziare (quello a) lungo e ha creato tre segmenti di aziende e ha tolto la speculazione dal sistema italiano inserendo una funzione che si chiamava medio credito. Questa cosa qui, il signor Clinton nel 1994 l’ha abrogata e ha fatto venire fuori la Banca Globale, dove per la prima volta nella storia si è dato alle banche una capacità finanziaria -alle banche commerciali, non alle banche di investimento!- di poter fare di tutte le erbe un fascio e di fare un piccolo giochino che si chiama mismatching of risk, cioè hanno preso le asimmetrie del rischio; il rischio è conoscenza e quando ad un cliente normale –ad una normale persona che non capisce il rischio- tu vai ad attribuire dei rischi, hai fatto un disservizio alla società. Le banche europee a differenza di quelle americane rappresentano in termini speculativi tre volte il prodotto lordo del nostro continente; i tre quarti delle banche europee è controllato dai francesi e dai tedeschi (poi c’è qualche inglese, che però è fuori e sono un po’ più spostati verso est). L’ultima considerazione: c’è un problema che si chiama trasparenza per le trimestrali: la borsa italiana è più piccola di quella del Portogallo, quindi la rappresentazione della nostra economia nel contesto del mercato, di quello che chiamano le azioni quotate, è minore di quella del Portogallo, quindi noi siamo la terza nazione in Europa –siamo l’ottava, la decima al mondo- e abbiamo una rappresentazione in borsa molto più bassa. Le trimestrali non sono una funzione di trasparenza, sono una funzione di non coerenza, perché con i dati a breve termine, ci vanno a coprire quelli che sono i problemi a medio termine, quindi, noi di cosa avremmo bisogno? Avremmo bisogno delle semestrali e di un rapporto all’anno, ma in un contesto legislativo ed economico di trasparenza; questo darebbe più spazio all’economia e alla crescita reale e quindi a “non eccessi” di carattere di prezzo o di oscillazioni di prezzo -che poi sono una funzione molto importante e molto onerosa per tutti i risparmiatori e siccome la civiltà economica è anche definita dal risparmio e il risparmio deve andare in borsa perché trova la liquidità e la capacità di poter andare i diversi segmenti dell’economia a seconda di quelli che sono i cicli economici- secondo noi le trimestrali non vanno bene, ma ci vogliono delle regole di trasparenza che non ci sono; le regole di trasparenza non le fanno le agenzie, le fanno la comunità civile e le banche, per come sono messe, per come sono organizzate, non hanno nessun interesse alla trasparenza perché voi non sapete dove finiscono i vostri soldi in quanto non ci sono più le banche di investimento e le banche commerciali, ma tutta l’erba è un fascio, in questo contesto. Grazie.
MODERATORE:
Vi vorrei ringraziare perché siete stati perfettamente nei tempi, noi abbiamo qualche minuto, se vi fossero ancora un paio di domande, forse faremmo a tempo a chiedere ai relatori di ribattere. C’è una domanda in terza fila, alla mia sinistra…
DOMANDA 5:
Un dubbio che mi rimane. In Italia interi settori produttivi non erano già scomparsi prima dello scoppio della crisi finanziaria? Il dubbio lo collego a questo, a quanto è successo nei mercati mondiali dopo l’ingresso di Paesi di enorme potenziale umano e che hanno portato delle modificazioni enormi, per cui mi chiedo: non può essere successo come il caso in cui si parlava di una persona morta di cancro, un’altra morta di infarto, un’altra morta di infezione e tutte e tre avevano fra gli ottanta e i novanta anni, per cui il buon Dio disse: ma molto probabilmente sono morti perché erano troppo vecchi. Mi chiedo cioè se la crisi finanziaria non sia uno squilibrio già esistente già scoppiato sotto l’urto già esistente dello Tzunami della globalizzazione.
MODERATORE:
Ci sono un paio di domande in quarta fila sul lato destro…
DOMANDA 6:
Un ex dirigente di una impresa finanziaria acquistata dai francesi; vorrei parlare della responsabilità di questa colonizzazione finanziaria italiana. Mi sono posto il problema, ma di chi è stata la responsabilità? Dell’imprenditoria? Della politica? Della finanza? E mi rifaccio a Confuorti: ma non è che Matternich nel 1812 (1814!!) al Congresso di Vienna disse che l’Italia non era altro che un giardino dove venivano tutti a passeggiare? Non è cambiato niente.. cioè che per 200 anni noi siamo rimasti sempre il giardino dell’Europa, dove tutti venivano a passeggiare e adesso la finanza è rimasta la colonizzazione per noi?
MODERATORE:
Avevo visto una mano alzata qui alla mia destra… no. Allora, direi che abbiamo ancora pochi minuti, comincerei da Francesco Confuorti.
FRANCESCO CONFUORTI:
Per quanto riguarda la domanda del signore, secondo me nella globalizzazione ci sono due fattori molto importanti: una è la velocità del denaro perché gli scambi aumentano e vanno in maniera più vertiginosa e quindi ci sono degli effetti negativi, perché nella velocità si viene a creare anche una cosa che si chiama volatilità nei mercati, quindi i flussi sono molto più.. quindi la globalizzazione ha i suoi problemi, ma i problemi più grossi non sono la globalizzazione, ma è la mancanza di regole comuni nella globalizzazione, quindi il problema è la regolamentazione, ma di troppe regole: poche e buone e trasparenti, questo è il primo problema. Il secondo, che l’Italia sia il giardino d’Europa, purtroppo io devo essere d’accordo, ma io mi rifiuto di pensare che l’Italia sia il giardino d’Europa e per questo motivo io invito gli italiani ad essere molto più italiani in senso europeo, cioè vivere bene con i propri vicini, ma curarsi di quelli che proprio gli vivono accanto e far sì che questa Italia sia un’Italia che abbia una voce più grossa e più importante e che sappia difendere i propri interessi, questo è un po’ il mio concetto di società.
MODERATORE:
Grazie Francesco. Federico Golla.
FEDERICO GOLLA:
Sul primo tema, sì, è vero, certamente il processo di deindustrializzazione nell’industria italiana risale a molto prima dello scoppio della crisi finanziaria. Ricordo due settori fondamentali: quello della chimica e quello della farmaceutica che sono praticamente spariti dal territorio nazionale. Le ragioni sono tante, uno secondo me è che c’è troppo Stato nell’Industria, troppo aiuto dello Stato alle aziende private e troppo poco libero mercato e che oggi paghiamo e che mi porta a rispondere alla seconda domanda. Anche io mi rifiuto di pensare che l’Italia sia il giardino dell’Europa però credo che oggi stiamo scontando il fatto che i francesi e altri possono comprare, in un libero mercato, in un modello liberale delle aziende italiane è perché le aziende italiane sono scalabili. Se fosse il contrario –citiamo il caso Fiat- con mille difficoltà di contorno, Fiat è riuscita ad inglobare Chrysler e riuscita e riuscita a ridare una spinta e uno slancio diverso all’industria Italiana. Quindi non piangiamoci troppo addosso; è vero che veniamo da una cultura colonialistica ed è anche vero che al di là della piccola e media impresa –ma più della piccola impresa- non siamo stati capaci a sviluppare le grandi industrie in questo Paese e questo non è colpa né dei francesi, né dei tedeschi, è un esame di coscienza che dobbiamo farci.
MODERATORE:
Grazie. Maximo Ibarra.
MAXIMO IBARRA:
Non ho molto da aggiungere rispetto agli interventi di prima. Direi che sì, la crisi finanziaria non è stata la causa del fatto che sono spariti interi settori industriali, così come la crisi finanziaria non è causa del fatto che anche l’industria automobilistica in Italia ormai stia non dico soffrendo, ma siamo su quella strada. Ritengo che non ci sia stata una grandissima visione strategica, un piano strategico che avrebbe dovuto lavorare dieci, quindici anni prima per stabilire, difendere e rendere più competitive, intere grandi aziende e medie aziende in Italia, che ovviamente sono sparite in quanto, non esistendo alcun tipo di supporto, né da parte del mercato, né da parte dello Stato, né da parte di quelle che sono le infrastruttura nazionali ovviamente sono passate nelle mani di chi questo gioco lo sapeva fare molto meglio.
MODERATORE:
Grazie Maximo. Prima di applaudire i nostri relatori, vorrei fare una battuta. Certamente sarà vero che il nostro Paese non ha avuto una vision, una visione strategica; senz’altro credo che nella sessione di oggi i nostri tre relatori hanno avuto una vision estremamente chiara e articolata dei problemi che abbiamo di fronte e vorrei invitarvi a fare un applauso e a ringraziare veramente i tre relatori di eccezione.
Trascrizione non rivista dai relatori