Chi siamo
“E VOI CHI DITE CHE IO SIA?”. IL NUOVO PODCAST DI DON GIUSSANI
Organizzato da Tracce
Dialogo con Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense. Con la partecipazione di Michele Borghi, curatore del podcast. Modera Paola Bergamini, giornalista Tracce.
Presentazione della nuova serie di podcast prodotta dalla Fraternità di CL con Chora Media: raccontati dalla viva voce di don Luigi Giussani, gli episodi della vita di un uomo che ha segnato per sempre il corso della storia.
E VOI CHI DITE CHE IO SIA?
“E VOI CHI DITE CHE IO SIA?”. IL NUOVO PODCAST DI DON GIUSSANI
Organizzato da Tracce
Venerdì 23 agosto 2024 ore 18:00
Partecipano:
Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense. Michele Borghi, curatore del Podcast.
Modera:
Paola Bergamini, giornalista di Tracce.
Bergamini. Buonasera e benvenuti all’Arena di Tracce. Questo di oggi è il terzo incontro. E voi chi dite chi io sia? è il nuovo podcast della Fraternità di Comunione e Liberazione, prodotto da Quora Media, che a settembre sarà disponibile su tutte le piattaforme. Che cos’è questo podcast? È il racconto, dalla viva voce di Giussani, di alcuni episodi dell’uomo che ha cambiato la storia, di Gesù. Presento i nostri ospiti, che sono qui con me e con cui dialogheremo per iniziare a conoscere questo Gesù e, soprattutto, per poter poi ascoltare questo podcast.
Padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, è un carissimo amico del Meeting, come molti di voi sapranno.
Tante volte, padre Mauro, lei è stato ospite del Meeting per incontri bellissimi e importanti. Io ricordo, forse qualcuno lo ricorda anche meglio di me, che nel il titolo del Meeting del 2003, “C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?”, fu proprio ispirato da padre Mauro, che tenne l’incontro di presentazione. È anche un carissimo amico di Tracce: con lui abbiamo fatto importanti interviste e importanti articoli, è sempre stato di aiuto per noi per giudicare tanti fatti, per vivere. E quindi, innanzitutto, io lo ringrazio perché ha voluto essere qui questa sera.
E poi Michele Borghi, che è il curatore di questo podcast. Laureato in filosofia, ha collaborato con la Fraternità e ha coordinato la mostra del centenario della nascita di Giussani. Insieme a Roberto Fontolan ha seguito il podcast “Il Senso Religioso”.
Bene, cominciamo questo incontro di presentazione, che sarà un dialogo tra noi tre. E incomincerei proprio da Michele, chiedendogli come è stato questo lavoro, che cosa ha suscitato in lui.
Borghi. Ringrazio la rivista Tracce per avermi invitato a questa presentazione. Ringrazio la Fraternità di CL per avermi affidato la curatela di questo progetto, soprattutto Michele, Alberto e Simone, che mi hanno accompagnato con disponibilità e tanta pazienza in questo lavoro, lasciandomi una libertà e una fiducia che ho davvero molto apprezzato. E poi ringrazio anche Roberto Fontolan, che due anni fa mi ha permesso di lavorare alla mostra “Il Senso Religioso”. Penso onestamente che senza “Il Senso Religioso” le probabilità di occuparmi di questo nuovo podcast sarebbero state ridotte a zero; quindi, è un ringraziamento che mi sento di fare.
Quando mi è stato chiesto di occuparmi di questo podcast, ho voluto prendere tempo prima di accettare. Le ragioni erano varie, ma principalmente perché avevo un senso di timore, un timore per il contenuto. Dedicare un prodotto di questo tipo alla vita di Gesù mi sembrava un’impresa sproporzionata, anche considerando le opere colossali che sono già state fatte sull’argomento e il fatto che, nell’ambito dei podcast, è un po’ una prima, almeno dal punto di vista del format. E poi un timore per ridare nuovamente voce a Giussani. Quando mi era capitato di lavorare con materiali di archivio di Giussani, avevo sempre fatto l’esperienza dell’essere travolto da un’ondata di espressività, di comunicatività. All’idea di dover fare nuovamente un lavoro di questo tipo, era fortissima in me la preoccupazione di custodire questa ondata di comunicatività, di custodire la parola di Giussani, la sua spontaneità, la sua precisione nella ricerca delle parole. Questo, per dare la possibilità a tutti di essere travolti dalla stessa ondata di comunicatività, senza ostacolarla. Questo era stato semplice, per certi versi, nel caso de “Il Senso Religioso”, perché era un percorso già fissato da Giussani nel corso delle sue lezioni e messo nero su bianco nel suo libro. Allora si trattava soltanto di seguirlo. In questo nuovo progetto, invece, non c’era nulla di simile. Dovevamo essere noi a costruire una tessitura che raccordasse i vari commenti al Vangelo di Giussani.
Questi erano i due timori principali che avevo e, in realtà, poi mettendoli a fuoco, sono stati anche la ragione per cui ho deciso di affrontare questo progetto, perché mi sembrava una sfida molto allettante. La base di partenza del nostro lavoro è stato un bacino di circa 350 registrazioni, da cui abbiamo pescato i commenti ai Vangeli che troverete all’interno del podcast e che sono tratti da occasioni diverse: esercizi spirituali, corsi universitari, convegni. Sono otto puntate che costruiscono una parabola che va dai primi incontri di Gesù all’emergere della grande domanda sulla sua figura, fino alla sua risposta, quella che Giussani chiama “la dichiarazione esplicita”, la pretesa di essere Dio. E poi si continua attraverso quegli incontri in cui si svela l’umanità di Gesù, l’amicizia con Pietro, fino ad arrivare a una puntata finale che però non voglio anticipare. Mentre ascoltavo gli audio di Giussani, l’immagine che mi veniva alla mente era quella di un uomo che, con la sola forza delle parole, tratteggiava come dei quadri.
Alla luce della preoccupazione che dicevo prima, la nostra scelta è stata quella di dare uno sfondo a questi quadri, introducendo l’ascoltatore nei contesti in cui le vicende di Gesù si sono sviluppate. Come era la Galilea del primo secolo? Chi erano i Farisei? Che cos’era il Sinedrio? Cosa succedeva quando Gesù gironzolava per quelle terre? Ecco, la narrazione introduce l’ascoltatore dando delle coordinate per cogliere i riferimenti del racconto di Giussani. E questa non è stata soltanto una scelta narrativa, un espediente narrativo. Il podcast, di fatto, andrà su delle piattaforme in cui sarà disponibile per chiunque lo voglia ascoltare. E mentre lavoravamo a questo podcast, io continuavo ad avere questa preoccupazione: la storia di Gesù sembra apparentemente nota, ma in realtà non è così veramente conosciuta. Anzi, in alcuni casi è anche una storia che può risultare respingente o ignorata. Ma allo stesso tempo, ascoltando Giussani, mi rendevo conto che questa è davvero una storia per chiunque, anche per chi non crede. Vale la pena raccontarla e valeva la pena trovare una chiave di accesso a questa storia che la sfrondasse del già saputo e delle possibili resistenze. E questa chiave di accesso ce l’ha data Giussani stesso.
Chi ha ascoltato “Il Senso Religioso” nell’ultima puntata, ma anche chi ha letto il libro, forse ricorderà che Giussani arriva alla vetta di quella ricerca che ha descritto nel corso delle sue lezioni, la ricerca del mistero, del senso del vivere, del significato di tutto. E su quella vetta si apre una possibilità: se il mistero non può essere raggiunto dall’umanità con le sue proprie forze, allora c’è la possibilità che sia il mistero stesso ad andare incontro all’umanità e alla sua ricerca. Ripercorrere il racconto dei Vangeli significa immergersi nella possibilità dell’irruzione del mistero nella storia dell’umanità. Il racconto dei Vangeli può parlare a chiunque, e questa è stata la ragione per cui poi abbiamo strutturato l’inizio in un certo modo. Può parlare a chiunque perché vive dell’umanità di ciascuno, della sete di conoscenza del proprio destino, della ricerca del significato di tutte le cose, dell’attesa di compimento per la propria vita. Ed è per questo che la prima puntata è dedicata al racconto con cui Giussani parlava sinteticamente di questa possibilità, cioè quel racconto di fantasia che molti probabilmente conoscono: la grande spianata su cui l’umanità cerca di costruire un ponte per raggiungere il significato di tutto, fino a che viene interrotta da un uomo solo che avanza sulla scena, come dice Giussani, e dice: «Fermatevi!». Ecco, è come dire all’ascoltatore: «quella in cui entriamo è la storia della tua ricerca umana, ed è la storia di un evento che l’ha intercettata. Fermiamoci anche noi, ascoltiamo quest’uomo, vediamo che cosa ha da dire».
Nel 1985, intervenendo proprio al Meeting, Giussani citava una frase di Teilhard de Chardin che dice che il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, ma è la perdita del gusto di vivere. Giussani commentava: «Quando ho letto questa frase di Teilhard de Chardin mi è venuto immediatamente al cuore e alla memoria come deve essere nato l’interesse per Cristo, come debba essere nato proprio storicamente». E diceva che ascoltando Gesù, nella gente poteva nascere questa domanda: «Ma perché Costui dice queste cose?» Dentro il cuore della gente, questa domanda trovava una risposta senza che essa, la gente, ne fosse cosciente. Immediatamente, se uno avesse formulato questa domanda, si sarebbe sentito rispondere: «Perché ama l’uomo? Perché ha passione per l’uomo. L’uomo concreto, non l’uomo alla Feuerbach o alla Marx, ma l’uomo. Io, tu» –
Questa è stata per me la chiave di accesso a questa storia, che mi ha lasciato due suggestioni, ascoltando Giussani e osservando il modo in cui lui sta di fronte alle vicende di Gesù, tenendo sempre in mente il lavoro fatto su “Il Senso Religioso”, che per me è stata una costante nel fare questo nuovo podcast.
Innanzitutto, mi ha colpito che nel passaggio da “Il Senso Religioso” a questo nuovo podcast, Giussani stia di fronte alla vicenda di Gesù senza dismettere la sua enorme passione per la ragione. Ci sono tanti piccoli passaggi. Per esempio, a Cana succede il primo, diciamo, miracolo. Oppure quel momento misterioso che la tradizione descrive come l’apparizione di un angelo. Oppure la misericordia, una parola impossibile. Cioè, non è un racconto devozionale, fideistico, ma è il racconto di un uomo che sta di fronte a un evento che lo sorpassa da tutte le parti e ci sta di fronte con tutta la sua dignità d’uomo che a volte magari non riesce a comprendere fino in fondo quello che sta succedendo. Questo fatto potenzia anche la sua apertura di fronte a quello che sta descrivendo.
Ma la cosa che più mi ha colpito è che nel passaggio da “Il Senso Religioso” a questo nuovo podcast, Giussani parla delle vicende di Gesù con la stessa passione con cui parlava dell’uomo. Sembra una cosa da poco, ma a me ha colpito molto. La vicenda di Gesù è interessante perché ha a che fare con il gusto del vivere. Questo è un racconto in cui, attraversando le vicende di Gesù, si toccano vicende che noi quotidianamente incontriamo o viviamo personalmente: il dramma del dolore, il dramma dei rapporti, il tradimento dell’amicizia, l’isolamento, la condanna ingiusta subita. E Gesù attraversa tutte queste situazioni. Ma nel racconto di Giussani non c’è traccia di autocommiserazione, di senso di colpa, di paura per il mondo, tante immagini con cui a volte si descrive l’atteggiamento cristiano. Non c’è traccia di questo. È innanzitutto un racconto pieno di passione e anche di gioia, di gusto. È la vicenda di un uomo, Gesù, che ha vissuto pienamente la propria vita e quella degli altri, e ha aperto a tutti le porte per fare lo stesso.
Queste sono le due suggestioni più forti che mi sono rimaste lavorando su questo progetto. Grazie.
Bergamini. Grazie mille, Michele. Mi sembra che sia stata un’avventura importante per te, mi sembra di capirlo. E adesso proviamo a entrarci anche noi in questa avventura, in questa conoscenza dell’uomo che ha cambiato la storia. Cominciamo ad ascoltare, ascolteremo insieme alcune clip, alcuni spezzoni di questi podcast e poi dialogheremo con Padre Mauro.
Dal Podcast: brano tratto dagli esercizi agli universitari del 1980
La vita, scrive Italo Calvino, è un inferno. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continuo, cioè, cercare e saper riconoscere chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno? È accaduto questo: vogliamo riprendere, scostando la nebbia dell’abitudine dal nostro occhio e dal nostro cuore, vogliamo riprendere la grande notizia, il grande annuncio, il grande fatto, il grande avvenimento: chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno. Il destino, il nostro destino, si è reso presenza, ma presenza come padre, madre, fratello, amico, come… mentre stavamo camminando, un compagno improvviso di cammino, un compagno di cammino, Emanuele, il Dio con noi. È accaduto questo.
Bergamini. È un inizio forte, dirompente. Almeno questa era stata la mia prima impressione quando avevo ascoltato tutto l’audio e poi questa clip in particolare, con questa citazione di Calvino. “Ciò che inferno non è” è anche il titolo del romanzo di Alessandro D’Avenia che racconta il suo incontro con Don Puglisi. L’ha trovato un incontro, un incontro che a lui aveva cambiato la vita.
Padre Mauro, la prima domanda che mi viene da farle è questa: che cos’è accaduto nella tua storia per cui la vita non è stata più un inferno, come cita appunto Giussani? Quali sono state, per chi ascolterà tutto il podcast, le tue “quattro del pomeriggio”, come appunto si sente nel podcast? Che cosa ha fatto sì che la vita non fosse più inferno?
Lepori. Anzitutto, la mia vita era un inferno perché, magari, più che Calvino, citerei Sartre: “L’inferno sono gli altri.” In fondo, vivevo dentro questa menzogna, perché non è vero. L’inferno non sono gli altri, ma la solitudine, cioè la non comunione. Avevo i miei amici, avevo una famiglia, avevo tutto, no? Ma ero solo, e questo era il mio inferno. E una incapacità strutturale a uscire da questo inferno. Pensavo che dovevo scalare chissà quale montagna per uscire da questa fossa di solitudine. Invece, l’incontro, in fondo per me è stato l’incontro con l’incontro di Cristo di Giussani. Lui mi ha trasmesso, me ne accorgo ora, il suo incontro con Cristo, come ha fatto Andrea, come ha fatto Pietro, quando, dal ritorno dall’incontro con Gesù, hanno testimoniato questo. Mi sono accorto dopo, che questo incontro di Giussani mi aveva raggiunto. E cosa mi ha annunciato? Che dalla mia solitudine non dovevo uscire, ma entrava qualcuno, che scendeva qualcuno, la discesa agli inferi di Cristo. Prima l’ho vista nell’esposizione di Russia Cristiana, questa idea della discesa agli inferi, quanto è importante, e quanto l’uomo contemporaneo, il giovane contemporaneo vive in fondo a questo inferno, fa di tutto per uscirne. Non ci riesce, perché ascolta anche falsi profeti che gli dicono: «l’inferno sono gli altri» e invece accade che qualcuno entra, che scende al fondo del tuo inferno. E questo mi ha salvato. Io ero già cattolico, ero già cristiano, ero già tutto, però non avevo ancora sperimentato la discesa agli inferi, (cioè nel mio inferno) di Gesù Cristo. E cosa mi ha rivelato immediatamente questa discesa? Che non ero solo. Non ero solo perché incontravo Cristo, che pensavo di aver incontrato già prima, perché Cristo mi metteva in comunione con tutti. Ed è questo irradiamento dell’incontro che dalle “quattro del pomeriggio” Giovanni e Andrea corrono a sperimentare, a partecipare la loro comunione, cioè la comunione che sentivano con tutti e con tutto.
Ecco, per cui le mie “quattro del pomeriggio”, più invecchio e meno penso che siano un momento nel passato. Le mie “quattro del pomeriggio” mi accompagnano ora. Sono adesso. È l’istante presente in cui Cristo mi rimane presente, in cui Cristo scende ora in fondo al mio inferno, perché anche dall’inferno non sono ancora uscito, ma ora sono come Adamo, che vede che Gesù è sceso e quando Gesù è sceso, poi al limite potrei stare anche all’inferno, se lui sta con me. Però è un continuo tirarti fuori. Ecco, per cui le “quattro del pomeriggio” in fondo è l’ora che ha messo all’ora giusta tutte le ore della mia vita, ogni istante. Ed è l’ora su cui devo, siccome io sono svizzero, l’ora su cui posso mettere all’ora l’istante che vivo adesso, che è sempre un po’ sfasato rispetto a Cristo presente, però Lui è qui.
Bergamini. Grazie mille. Continuiamo questo viaggio, continuiamo questa ricerca e ascoltiamo un altro brano di Giussani.
Dal Podcast: Brano. Ci stettero dunque tutto quel pomeriggio, con la bocca aperta a guardarlo parlare. Si sentivano, man mano che le parole arrivavano loro e lo sguardo penetrava, si sentivano cambiare, cambiare! Sentivano che le cose cambiavano, che il significato delle cose cambiava, che l’eco delle cose cambiava, che il cammino delle cose cambiava. E quando sono tornati la sera, sul finire della giornata, e molto probabilmente avranno ripercorso la strada in grande silenzio, perché mai avevano parlato dentro di loro come in quel grande silenzio, in cui un altro parlava, lui continuava a parlare, riecheggiava dentro di loro. In quel grande silenzio, sono giunti a casa e la moglie, guardando Andrea, diceva: «Ma che hai, Andrea, che hai?» I figlioletti guardavano stupiti il padre: era lui, ma non era più lui, era diverso. Era lui ma diverso. E quando lei gli ha chiesto: «Cosa è successo?», lui l’ha abbracciata. Andrea ha abbracciato la sua donna, ha abbracciato i suoi bambini: era lui, ma mai l’aveva abbracciata così. Era come l’aurora o l’alba al crepuscolo di un’umanità diversa, di un’umanità nuova, di un’umanità più vera.
Bergamini. Il silenzio. Riascoltando questo brano, io ho pensato alla mia esperienza. Mi riaggancio un po’ anche a quello che diceva prima Padre Lepori delle quattro del pomeriggio. Forse non sono state proprio le mie quattro del pomeriggio, ma facevo il secondo anno di università, facevo Lettere in Cattolica, seguivo i corsi di Giussani: “Il senso religioso” al primo anno e “Perché la Chiesa” al secondo. E ho questo ricordo ben stampato nella mia mente: ero in aula a San Tommaso, l’aula dove studiavano tutti quelli della comunità, e dove c’era quel pomeriggio una grandissima confusione. Chi ha la mia età ed è qua presente se lo ricorda bene. A un certo punto sono arrivati quattro miei amici. Si sono seduti intorno all’unico tavolo, forse ancora libero, e io vedevo che in silenzio leggevano degli appunti, sfogliavano un quadernetto. Io mi sono avvicinata, perché erano miei amici, erano persone piene di brio, non certo tranquille. E io gli ho detto: «Ma cosa è successo?». Ricordo che uno di loro si è girato e mi ha detto: «Siamo stati a lezione da Giussani, ci ha raccontato di Giovanni e Andrea». Lo racconto perché io ho la memoria netta e precisa di quel momento, perché quelli sono poi stati, o alcuni di loro, la maggior parte di loro, gli amici che più hanno segnato la mia vita, che mi hanno accompagnato, sono stati i Giovanni e Andrea per la mia vita. Riascoltare questo audio mi ha fatto fare memoria di questo passaggio e soprattutto dell’attualità.
Allora, Padre Mauro, per la sua esperienza, cosa vuol dire essere afferrati, anzi, usiamo un verbo caro a don Giussani, cosa vuol dire essere attratti da questa presenza? Questa corrispondenza che c’è in ogni giorno, in ogni attimo della nostra vita. Che cosa cambia?
Lepori. Io mi rendo sempre più conto che è un essere attratti da un punto che è il centro dell’infinito, di tutto. Cioè, è un punto preciso, un incontro, uno sguardo, una presenza, che però è il cuore di tutto. Essere attratti da Lui vuol dire proprio essere attratti da questo e quindi come un essere attratti e lanciati nello stesso tempo. Siamo chiamati a concentrarci: quando uno si innamora, si concentra sull’oggetto del suo amore. Questa non è che una pallida immagine di quello che succede con Cristo, perché l’innamoramento lo possediamo troppo, vogliamo troppo tenerlo nelle mani. Invece con Cristo è proprio un essere attratti là dove sei dilatato. Uno si concentra e viene dilatato. Ed è bello, in questi episodi di Andrea e Giovanni, come sono descritti da Giussani: hanno incontrato Cristo e vanno a casa, ma ci vanno come proiettati da quel punto. È un punto che ti dilata e che ti squarcia, in un certo senso. I momenti in cui veramente ho incontrato Cristo, in cui lo incontro, in un certo senso non sono momenti tranquilli, anzi, ne ho paura. Mi attrae e ho paura perché sento che più vado, più accolgo questa presenza, questo sguardo, questo abbraccio, più sono proiettato fuori di me. Divento più io, ma fuori di me. Chiamato a una dilatazione di me stesso che mi è impossibile, ma che Lui rende possibile. Per cui, come San Francesco, abbraccia un lebbroso e il lebbroso scopre una dilatazione, una bellezza del suo io che non aveva mai immaginato. Perché è Cristo che lo incontra e che lo lancia verso questo rapporto impossibile, questa dilatazione impossibile della nostra capacità di amare, di aderire alle persone, di avere cura di tutto. È la carità. Questa dinamica è sempre qualcosa di molto concreto, perché l’incontro con Cristo è veramente con un uomo con cui si sta, che ti tocca, che ti guarda. Nello stesso tempo ti porta fuori di te e poi non hai più il controllo di dove ti manda. Però vedi che tutto è contenuto in quel punto. Qualsiasi cosa ti sarà chiesta, verso qualsiasi infinito sarai proiettato, tutto è dentro quel punto, quell’incontro, quell’ora, quell’attimo, quello sguardo, quel volto. Ecco, questo fa paura e nello stesso tempo è la consolazione della vita, cioè scoprire che la vita è fatta per questo e che siamo fatti per questo, che non possiamo neanche immaginarlo. Mi sorprende sempre, anche in Giussani che descrive questa scena: descrive la scena, cioè si immagina questo ritorno a casa, ma non riesce a descriverla perché è una cosa impossibile. Cos’è quel mistero, che è reale, che uno va a casa, guarda sua moglie, l’abbraccia, ed è diverso? Quello che magari fa tutti i giorni, vede i suoi bambini, ed è diverso. Cosa c’è? Il mistero. Questo è proprio il mistero della presenza dell’infinito dentro la carne, dentro la realtà. Dobbiamo arrenderci a questa dinamica che è infinita e pure estremamente semplice, semplice come dice lui, il mistero entra come padre, madre, fratello, semplice come la quotidianità.
Bergamini. Grazie mille. Padre Mauro diceva adesso «Qualcosa che ti porta fuori di te, di cui quasi abbiamo paura, ma qualcosa che noi aspettiamo, che noi cerchiamo». Andiamo avanti in questa immedesimazione, in questa ricerca, in questo cammino che stiamo facendo oggi pomeriggio insieme, col terzo brano
Dal Podcast: brano tratto dagli esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione 1987 “Sperimentare Cristo in un rapporto reale e storico”
Ma era la faccia e lo sguardo, era tutta la persona di quell’uomo che investiva la povertà, la meschinità di Zaccheo, la smemoratezza infinita della propria dignità che aveva squalificato tutta la sua vita, riempiendola di istintività, di ingordigia. In un istante, in quella parola, Zaccheo si è sentito come totalmente liberato, liberato dal giogo del male. Non ha certo pensato tutte queste cose, allora, le ha sentite, le ha vissute, ma subito le ha anche pensate. Ognuno di noi si immagina di correre a casa, e come sua moglie l’avrà visto, e come i suoi figli l’avranno visto così improvvisamente, così totalmente diverso. Eppure lui… E non importa che cosa sia stato, come non importa che cosa sarà, perché io credo che sarebbe artificioso pensare che Zaccheo non si sia più arrabbiato con la moglie o non abbia più trattato male i figli, o abbia pregato Dio sempre con quella lucidità e con quella disponibilità con cui si è sentito percosso e trapassato su quell’albero, ed è corso a casa sua. Ma eppure non è stato più lui, anche di fronte alle sue rabbie e ai suoi peccati, alle sue ingordigie e alle sue istintività, a sua moglie e ai suoi figli. Non è stato più quello di prima. Per meglio dire: ai suoi propri occhi non fu più quello di prima. E la rabbia, e l’ingordigia secondata, e il maltrattamento della persona amica o cara… Pensiamo come ha rinnovato in lui, come rinnovava in lui, quello che si è sentito, accovacciato su quell’albero. Il dolore, ma un dolore che non riusciva a fugare. Quella certezza, quella volontà di ripresa, quella affettività, che tremando fin quando si vuole, ma è come il rimanere di una gioia. Siamo amati più di quanto sbagliamo. La definizione finalmente del mistero, il mistero di cui l’uomo non può parlare, su cui non può dire pensiero. Questo mistero in Gesù si è rivelato misericordia. «Prevarrà sempre il valore che io ti ho dato: mio figlio, ti ho dato la vita, ti ho dato me stesso. Questo prevarrà sul tuo male».
Bergamini. Sono degli incontri, appunto, quelli che racconta, come prima ci spiegava Michele, gli incontri di Gesù. La vedova di Nain, la Samaritana e poi arriva Zaccheo. In ognuno di loro Gesù, lascia una traccia, una traccia indelebile. C’è una frase che a me ha particolarmente colpito di questa breve clip: “Siamo amati più di quanto sbagliamo”. È qualcosa che, se ci pensiamo tutti, pensando ognuno alla propria vita, quando ci alziamo al mattino, quando andiamo a lavorare, quando stiamo con il nostro marito, con la nostra moglie, con i nostri figli, è qualcosa di vertiginoso, è questo amore che cambia, che cambia la vita, come si sente, come abbiamo ascoltato. Noi non sappiamo, ma è come per ognuno di noi, cosa è successo a Zaccheo quando è tornato a casa. Ognuno di noi avrà i suoi dolori, diceva Michele, avrà le sue difficoltà, ma non siamo più quelli di prima. Cioè, anche il male, anche l’errore, non sono più quelli di prima.
Allora, padre Mauro, che cosa significa? Che questo amore è più grande del proprio male. Hai in mente magari un episodio in particolare? io so che tu incontri tante persone, soprattutto tanti giovani. Magari spesso con storie difficili e dolorose, qualcuno forse anche alla ricerca della propria vocazione, forse anche qualche Zaccheo. Che cosa vuol dire per te questo?
Lepori. Io incontro tutti i giorni Zaccheo, la Samaritana, Pietro, il ladrone in croce, magari anche il cattivo, in me stesso. Sono io il primo Zaccheo, la prima Samaritana con i tanti mariti, le tante mogli che il Vangelo vuole raggiungere e per cui questi racconti sono tramandati, perché questo è il mio incontro con Cristo. Credo che il grande carisma di don Giussani sia rendere tutti questi incontri il mio, il nostro incontro con Cristo. Descrive e come lo descrive lo fa veramente diventare nostro. E credo che sia importante questo per accettare che la cosa più importante è l’apertura, la salvezza. Cioè, che la dignità dei redenti è più grande della dignità dei santi, se i santi non fossero quello che sono: dei redenti. Solo che noi spesso desideriamo una santità che non è redenta. Per cui persino la Madonna non si è lasciata incontrare da Dio senza accoglierne la Redenzione, fin dalla Concezione. Ecco, solo accogliendo questa identificazione, questa immedesimazione con Cristo attraverso coloro che Lui incontrava, uno scopre Cristo in chi incontra.
Uno Zaccheo che mi aiuta molto in questi tempi è un carcerato con cui sono venuto in contatto tramite un mio amico che va a fare dei corsi universitari in carcere. Da lì, lui ha letto anche gli esercizi, per cui è nata una corrispondenza. Non lo conosco ancora di persona, ma ci andrò. In questa corrispondenza ci raccontiamo la nostra vita. Io magari ho più la tendenza a fare il Buon Samaritano oppure a fare il prete; invece, lui mi dà molto di più, perché mi testimonia la libertà di chi si lascia salvare, di chi accetta la propria condizione. Quando lui mi ha scritto una volta, mi ha raccontato di un momento difficile in cui si aspettava un trattamento migliore e poi termina questo racconto dicendo: «Ma in fondo questo mi fa bene, ho bisogno di questo, questo mi redime». E io, che mi aspettavo che continuasse il lamento! Invece sembra il ladrone in croce. È bene per noi essere crocifissi. Lui è innocente. E questa testimonianza è per me un grande annuncio, perché nessuno è così libero come chi accetta, chi dice sì alla condizione in cui si trova, fosse anche una condizione di non libertà. Nessuno è libero come chi dice di sì a una situazione, perché la offre, perché scopre in essa una positività, ne fa sbocciare una positività che è piena di annuncio di Cristo. È proprio come qualcuno che dice: «Ma per me va bene essere in fondo agli inferi perché Cristo mi raggiunge, perché Cristo viene». Questa per me è una grandissima lezione, per cui l’amicizia con questo carcerato mi sta evangelizzando e mi sta convertendo, perché io non sono così, cioè non riesco ad accettare tutto quello che non mi va come una buona opportunità per la mia vita.
Ecco, come dicevo, è proprio la scoperta che ha fatto Zaccheo: è più importante essere redenti che essere santi. Ma direi un’altra cosa: Gesù porta sempre i suoi discepoli a casa di questi mafiosi, di questi malfattori. Li porta a casa loro. Matteo lo incontra, lo chiama e porta tutti a cena da lui. Chiama Zaccheo dall’albero e porta tutti a casa di Zaccheo a festeggiare. E chissà con che schifo istintivamente i suoi discepoli, magari un Simone lo Zelota, gente comunque che aveva una certa rigidità, sono entrati in quelle case lì. Ma Gesù li ha portati lì perché era lì che incontravano Lui. Perché era con quelle persone, guardando il suo sguardo su quelle persone, che incontravano Lui. Come anche la Madonna: immagino che, quando ha visto lo sguardo di Gesù sul buon ladrone, che gli diceva: «Adesso tu entri con me in paradiso», ha imparato anche da lui. Lei ha imparato cosa vuol dire il suo essere salvata, il suo essere salvata fin dall’eternità.
Bergamini. Grazie ancora, padre Mauro. Chissà cosa ha detto Pietro. Mi viene da pensare a quando è entrato nella casa di Zaccheo. Continuiamo ancora a proposito di Pietro e ascoltiamo questo brano.
Dal Podcast: brano tratto dagli Esercizi della Fraternità 1989 “Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne”
La strana posizione è questa: non è la perfezione misurabile della nostra esistenza, non è una corrispondenza delle leggi o degli ideali, ma è riconoscere questa presenza per quello che è, riconoscere nel fondo del cuore; essa ci condurrà a conseguenze che noi non abbiamo immaginato. Per cui ecco la strana posizione. In questo momento il mistero fatto uomo si rivolge a te come a Simone Pietro e, dicendo il tuo nome, ripete: «Mi ami tu?». Qui non è questione di una emozione, ma di un riconoscimento. Di ciò che è umano, intelligenza e volontà, di un riconoscimento di quello che sei per me e per tutto il mondo. «Ti riconosco, Signore. A te affido la testimonianza e la gloria mia nel mondo». E guarda che da questo piccolo, ma ancora acceso, fuoco, acceso dentro di te, nascerà qualche cosa che adesso tu non pensi.
Ciò disse alludendo alla morte con cui avrebbe glorificato Dio. Ma come e quando, non ti preoccupare! Come il bambino che metti al mondo, cioè i piccoli di 2-3 anni, non deve preoccuparsi di come affronterà i dolori e le difficoltà della vita. Sarebbe una cosa orribile, non vivrebbe più nessuno. Vediamo adesso la dinamica di questa situazione. La dinamica di questa situazione vede innanzitutto un soggetto nuovo.
Diceva Romano Guardini, una frase che abbiamo citato tante volte: “Nell’esperienza di un grande amore, tutto ciò che accade diventa avvenimento nel suo ambito”. Quando uno si innamora fortemente, tutto ciò che accade diventa un avvenimento nell’ambito del rapporto amoroso che è nato. Nell’esperienza di un grande amore, tutto ciò che accade diventa avvenimento nel suo ambito. È la definizione di un soggetto nuovo, un soggetto nuovo che implica un’identificazione con Cristo, per cui non è più obiezione la mia miseria. Tutta la mia miseria non definisce più il mio soggetto. Questo è il punto. Il peccato non definisce più il nostro soggetto. Allora vuol dire che uno è sempre sul bordo per uscirne. La risurrezione come legge della vita. La ripresa come legge della vita. Non c’è più tomba. Non c’è più prigione o tomba. Niente.
Bergamini. Occorre soffrire, perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne. Abbiamo incontrato, ascoltato, in questa manciata di secondi, la figura di Pietro. Come dice Giussani, una presenza ci condurrà a conseguenze che noi non avremmo mai immaginato. Pietro non immaginava la pienezza di vita che avrebbe avuto, né ciò che poi gli sarebbe accaduto. Era diventato un soggetto nuovo.
Allora, padre Mauro, come ultima domanda, ti chiedo questo: dove ti ha portato e dove ti porta il riconoscimento di questa presenza? Anzi, forse è meglio: Come questo amore per l’uomo che abbiamo sentito risuonare nelle parole di Don Giussani, dove le miserie e i rinnegamenti — pensiamo a Pietro, che l’ha rinnegato tre volte — non sono un’obiezione, permette di gustare il centuplo?
In tutti gli otto podcast si sente all’inizio questa domanda: “Che importa se ottieni tutto quello che vuoi e perdi te stesso?” Allora, forse qui c’è la risposta, ma per ognuno sarà una scoperta questa domanda, che rivedremo in tutti gli episodi. Quindi, ti ripeto la domanda: dove ti porta e dove ti ha portato il riconoscimento di questa presenza?
Lepori. Forse anche qui, invecchiare aiuta. Io, quando ho sentito la vocazione più intensamente nel mio cuore, ero nella Porziuncola di Assisi, e in quel momento mi sono seduto, mi ricordo sempre, in un angolo di un pilastro della Basilica di Santa Maria degli Angeli e ho scritto un bigliettino che è un po’ il mio contratto col Signore. Lì avevo scritto: “In un attimo di amore a Cristo non posso non decidere totalmente per Lui e per Lui solo”. Però, è solo invecchiando — questo accadeva quando avevo 18 anni — che mi sono reso conto di quanto sia importante capire che Lui ci chiede solo un attimo di amore. La tentazione che abbiamo, che aveva Pietro, è che, quando Gesù gli ha detto: «Sarai la Pietra della mia Chiesa, “lui ha cominciato a immaginare cosa doveva fare, cosa non doveva fare. «Darò la mia vita per te, farò chissà cosa». Invece Gesù alla fine lo riprende, e cosa gli chiede “Mi ami tu? “E Pietro doveva rispondergli «Sì, ora”. Non gli ha chiesto altro, e Gesù glielo ripete perché lui non inizi a immaginare che deve pensare chissà quale grande missione… E per la terza volta: «Mi ami tu? “cioè, gli ha chiesto un istante di amore, affinché questa domanda rimanesse in lui come l’unica esigenza che la chiamata gli chiedeva. Capire questo è come riconciliarsi con la vita e con i propri limiti. Anche quando Gesù gli ha detto, come scrive Giussani, «Un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi» Pietro non sapeva cosa volesse dire, ma ha dovuto capire che, come dice Giussani, non importava, non doveva capirlo, non doveva decidere lui la modalità, doveva solo lasciarsi prendere e si lasciava prendere donando ogni attimo questo amore che Cristo gli chiedeva e per cui a lui non era chiesto altro che quell’attimo. Ed è questa, per me, una coscienza che mi pacifica, che mi riconcilia anche con tutte le inadempienze nel seguire il Signore che accumulo ogni giorno. Perché è come quando un bambino dice a sua madre: «Ti voglio bene» è perfetto, è una cosa perfetta, totalmente perfetta e compiuta sia per il bambino che per la madre. Io ripenso sempre agli ultimi giorni della vita di mia madre quando aveva avuto un’emorragia cerebrale. Per nove giorni non poteva parlare, e poi è morta dopo questi nove giorni. Però lei mi sorrideva. Ogni volta che entravo da lei, che mi avvicinavo al letto d’ospedale, mi sorrideva. Solo mi sorrideva. Io penso che molti di noi, quando stanno perdendo i loro genitori anziani, sentono anche un grande, come dire, un grande bisogno di chiedere perdono, perché io penso che con nessuno come con i nostri genitori ci sentiamo in debito di chiedere perdono, anche per una istintività irriducibile che noi magari viviamo rispetto ai nostri genitori, un’impazienza…. E invece lei continuamente mi diceva: «No, io sono solo contenta che tu sia qui, io ti sorrido, e non voglio che recuperiamo chissà cosa, perché la pienezza del nostro rapporto è questo attimo».
Ultimamente, appunto, meditando su questa idea dell’attimo, ho visto che l’etimologia può essere duplice: o dalle lingue germaniche, Atem, respiro, soffio, oppure dal greco atomo, ciò che non è più divisibile, ciò che è totalmente unito. Penso che entrambi vadano bene, perché in un attimo di amore Cristo è proprio un soffio, è come recuperare il soffio di vita che mi fa. Mi rianimo nel rapporto con Lui e questo crea nel cuore e nella vita, e con tutti, un’unità indivisibile. Ecco, credo che Giussani fosse così. Quando lo incontravi, lui era in quell’attimo, era nel rapporto con te, era nella parola che diceva in quel momento. Era qualcuno che continuamente, eternamente diceva sì a Cristo che gli chiedeva: «Mi ami?» e questo è tutto ciò che ci è chiesto e soprattutto tutto ciò che ci è donato e per cui dobbiamo essere grati a Dio eternamente.
Bergamini. «Mi ami tu?» perché qui non è questione di un’emozione, ma di un riconoscimento di ciò che è umano, intelligenza e volontà, di un riconoscimento di quello che sei per me e per tutto il mondo. Questa domanda penso che ognuno la senta per la propria vita.
Io ringrazio molto i miei ospiti, sia Michele che padre Mauro, per questo dialogo che vuole essere un inizio per tutti per poter andare ad ascoltare dalla viva voce di Giussani il racconto di questi episodi della vita di Gesù, di questo uomo che ha cambiato la storia e ha cambiato la storia di ognuno di noi. Ripeto, sarà su tutte le piattaforme da settembre. Ringrazio tutti per la pazienza di essere stati qui. Buonasera a tutti.