Chi siamo
E io che sono? Natura umana e rapporto con la natura
In diretta su Repubblica TV.
A cura di Fondazione Lombardia per l’Ambiente.
Raffaele Cattaneo, Assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia; Davide Rondoni, Scrittore e poeta; Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Introduce Fabrizio Piccarolo, Direttore Fondazione Lombardia per l’Ambiente.
Un rapporto, quello tra Uomo e Natura, fragile eppure essenziale, dal quale scaturisce un compito preciso: custodire e coltivare il Creato. Chiederemo ai nostri ospiti come si possa svolgere questa missione nei propri ambiti di attività: politico, agricolo, alimentare e sociale.
Con il sostegno di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Avvenire, MARR.
E IO CHE SONO? NATURA UMANA E RAPPORTO CON LA NATURA
Fabrizio Piccarolo: Buongiorno a tutti, benvenuti a questo incontro. Inizio a ringraziare i relatori di oggi Davide Rondoni, poeta e scrittore, Raffaele Cattaneo, Assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia e Giorgio Vittadini presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Io mi presento sono Fabrizio Piccarolo, Direttore della Fondazione Lombardia per l’Ambiente. «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.» Questo è il titolo che abbiamo scelto per caratterizzare la nostra presenza al meeting quest’anno. Questa è una frase direi profetica di Benedetto XVI che diede il titolo al suo intervento nel 2010 per la giornata della pace, ed è evidentemente di una attualità straordinaria oggi. Abbiamo voluto proprio porla al centro della nostra mostra, che abbiamo qui al padiglione A3, che realizziamo insieme, in collaborazione con Arpa Lombardia. Perché l’incontro di oggi e perché la nostra presenza al Meeting. Il titolo di quest’anno del meeting, «Una passione per l’uomo», ci ha provocato in modo particolare e ci è sembrata una bella opportunità per mostrare quello che è il nostro approccio nel fare ricerca e cultura sull’ambiente, che è proprio lo scopo della Fondazione Lombardia per l’Ambiente, un ente scientifico che fa ricerca, studi, progetti, e attività divulgativa culturale sui temi ambientali e sulla sostenibilità, Il punto di partenza è proprio questo: non può esserci passione per l’ambiente se non come passione per l’uomo e questo è il primo punto che vorremmo poi chiedere agli ospiti di oggi, questa è la domanda che vogliamo rivolgere oggi e che proviamo a rispondere anche attraverso la nostra presenza al meeting. Quello che vogliamo approfondire nell’incontro di oggi è proprio un punto originale nell’affronto dei temi della sostenibilità che ha origine nel messaggio della «Laudato sì” di Papa Francesco, che, a sua volta, esplicita un percorso che da decenni la Chiesa sta portando avanti. Pensiamo alla “Populorum progressio”, di Paolo VI, alla “Sollecitudo rei socialis” di Giovanni Paolo II e alla “Caritas in veritatem” di Benedetto XVI. Il percorso della Fondazione Lombardia per l’Ambiente sulla Laudato sì comincia proprio nell’estate del 2015, a pochi mesi dalla pubblicazione dell’enciclica; è un percorso che da subito abbiamo scelto di non fare da soli, di essere aiutati, di fare un cammino insieme ad altri soggetti come noi appassionati dell’uomo, e quindi di sostenibilità, e i tre relatori di oggi sono tre grandi compagni di viaggio in questo percorso. Il tema della cultura ambientale ha sempre avuto un ruolo di rilievo nell’ambito delle attività della Fondazione Lombardia per l’Ambiente e risponde a un proprio scopo statutario specifico. La Fondazione nasce nell’86 e pensate che il nome originario della Fondazione era proprio “Fondazione per lo studio del rapporto tra l’uomo e l’ambiente”. Quindi questo tema, che viene esplicitato quest’anno con la passione per l’uomo nel meeting, è sempre stato costitutivo della nostra attività, dell’attività della Fondazione, sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista culturale. Oggi, dopo sette anni dalla pubblicazione dell’enciclica, il messaggio di Papa Francesco è più che mai urgente. Lo vediamo da tutti gli avvenimenti di questi ultimi mesi e l’incontro di oggi ci dà l’occasione per capire come è possibile realizzare, attraverso la testimonianza dei nostri amici, questa alleanza tra uomo e ambiente che proprio Papa Francesco ci indica e invoca. Infatti con il concetto di ecologia integrale Papa Francesco ci dice che non si può dividere il problema ambientale da quello economico e sociale, sono temi che riguardano principalmente l’uomo, principalmente la persona e come tali necessitano di una lettura integrale e di un approccio integrale, appunto l’ecologia integrale di cui ci parla la Chiesa. Ma è necessaria veramente questa alleanza tra uomo e ambiente? L’uomo è relazione e la natura stessa è relazione, e questa relazione è talmente costitutiva e originale che, nel momento stesso in cui l’uomo guarda la natura, guarda il creato, contempla il creato, nasce subito la domanda su di sé, nasce subito la domanda sul significato della propria vista, e il titolo che abbiamo voluto dare all’incontro di oggi nasce proprio da questo, citando il famoso canto di Leopardi «ed io che sono», proprio perché il Pastore, guardando la luna e guardando il firmamento, mentre contempla questo dato, questo pezzo di creato la prima domanda che nasce è «ed io che sono». Quindi questo rapporto è costitutivo, questo rapporto tra uomo e il creato è costitutivo. Ed è questa la nuova antropologia che ci propone Papa Francesco, che è necessario porre come fondamento della transizione ecologica che stiamo vivendo in questo periodo. Sono sicuramente questioni aperte che dopo sette anni, come abbiamo detto, sono estremamente attuali e a cui proviamo a rispondere oggi pomeriggio con i nostri ospiti, chiedendo innanzitutto a ciascuno di loro come approcciano ciascuno nel proprio ambito di professione, di attività, di vita questi temi, questa concezione, questa visione della sostenibilità. Il fatto che siano personaggi autorevoli di campi estremamente diversi ci dà anche l’idea di come questa integralità dell’ecologia possa essere davvero reale e possibile, quindi sarà sicuramente interessante sentire ciascuno di loro dal proprio punto di vista. Inizio da Davide Rondoni, se posso introdurti dicendo che l’occasione di conoscerci in modo approfondito è stata l’anno scorso, durante l’anno del settecentesimo anniversario della morte di Dante, Davide è venuto a fare una lezione su Dante e la natura e da lì sono emersi tanti spunti, tanti aspetti, tante provocazioni che abbiamo ritenuto interessante condividere e approfondire poi durante tutto l’anno fino a oggi. In particolare lui in quella occasione ci disse che la domanda sulla visione della natura è la domanda sulla natura umana stessa e anche questo concetto abbiamo voluto porlo come titolo dell’incontro di oggi proprio a significare questa originalità comune tra natura umana e natura. Quindi a te Davide la parola.
Davide Rondoni: Grazie Fabrizio, facciamo un applauso a Fabrizio perché anche l’introduzione ha il suo valore. Grazie per l’invito! A quella domanda di Leopardi “e io che sono?”, non “chi sono”, “che sono”, è una domanda del 1830 quindi non è proprio recente, perché Leopardi, come alcuni altri geni del suo tempo, aveva capito che a questa domanda la cosiddetta modernità o la sua contemporaneità non riusciva più a rispondere. E se non rispondi a questa domanda come fai a guardare la natura, perché la natura esiste per l’uomo. I carciofi non si fanno il problema della natura. E quindi il punto di vista con cui guardare la natura, innanzitutto necessita di una riflessione su di sé: e io che sono. A questa domanda in realtà non si è risposto, la si lascia un po’ in sospeso. Oggi, così entro subito nel campo, c’è una risposta parziale, perché sembra che la risposta alla domanda “io che sono” si diluisca, si frammenti in una serie infinita di identità: io sono italiano, io sono bianco, io sono omosessuale, sono eterosessuale, come se quelli aggettivi, li chiamo così per intenderci, fossero la mia natura. La risposta che la nostra cultura, la nostra società sta dando a quella domanda, che è fortissima ed è inevitabile, qualsiasi uomo se la fa o guardando alle stelle o guardando il fatto che la natura è bella ma anche tremenda. Quando tutti hanno cominciato a parlare di natura, ministri, virologi eccetera, io che mi occupo di poesia ho detto ma forse Lucrezio, Leopardi, Mario Luzi, che è stato il mio maestro, di natura hanno parlato. I poeti hanno sempre parlato della natura. E come ne hanno parlato? come tutti gli artisti. Guardando il paradosso che la natura porta con perché. Perché è molto naturale e bello il cerbiattino che ti commuove, ma è naturale anche il tumore al pancreas. È molto naturale e bello il bosco, io ho portato la mia famiglia a vivere in un bosco, quindi mi piace la natura, però in un bosco ci abiti con una casa che ti difende dai cinghiali, dai topi, cioè devi anche combattere la natura per abitarlo. Adesso va molto di moda abbracciare gli alberi, stacci una settimana in un bosco abbracciato a un albero, non so come ti ritrovano. Quando ho visto che tutti parlavano di natura ho cominciato a dire: ma forse i poeti hanno qualcosa da dire, e ho fatto questo libro che si chiama “ Che cos’è la natura, chiedetelo ai poeti”.
E questo paradosso, il senso di questo paradosso, Leopardi capisce che il vulcano non chiede il permesso a quelli sotto per eruttare. Ed è natura. Sentire questo paradosso fa sorgere la domanda “e io che sono”, cosa ci sto a fare in questo posto meraviglioso e tremendo. Meraviglioso, incantevole, ma anche terribile. Io cosa sono, cosa c’entro con queste cose. Quando ho sentito che tutti parlano di natura mi sono accorto che il tema natura veniva trattato in maniera che eliminava questo paradosso, come se la natura fosse una sorta di Eden, di purezza, la luce azzurrina dietro alla pubblicità dell’aspirapolvere, che se compri quello si salva il pianeta, come se la natura fosse una cosa fondamentalmente cordiale con noi e basta. Tanto è vero che sulla parola natura sono tutti d’accordo apparentemente, i miei amici lo sanno meglio di me, quando poi ci si trova a discutere su come salvare la natura non si mettono mai d’accordo, chissà come mai. Perché sulla parola natura sono tutti d’accordo, quando cominciamo a discutere su cos’è naturale, cos’è una morte naturale, cos’è una nascita naturale, stiamo tutti discutendo di questo, perché sull’aggettivo è più difficile mettersi d’accordo. Allora la domanda “io che sono” sorge tanto più senti il paradosso della natura. Se te lo eliminano davanti agli occhi quella domanda scompare, cioè scompare la domanda di senso. Si tratta l’uomo come un carciofo, il cui unico problema è durare, la salute come ideale assoluto della vita. Ma l’uomo non è fatto per durare, è fatto per chiedersi il senso. Perché cos’è il tempo per un uomo, è il cronometro? O è il significato degli eventi che lo attraversano. Ora tutte queste cose, scusate se dico sinteticamente, forse confusamente, hanno a che fare con quella domanda che Leopardi non a caso aveva posto, e a cui la nostra cultura non ha risposto, meglio hanno risposto alcuni grandi geni. Pasolini quando gli chiedono “mi dai una definizione di te stesso, cosa sei” disse “come chiedere la definizione dell’infinito”. Riecheggiando le stesse parole che usava anche don Giussani dice “ io è rapporto con l’infinito”. Basta questa è la tua natura. Tutti gli altri sono aggettivi. Io sono romagnolo, come credo che si fosse capito, e che se io pensassi che essere romagnolo è la mia natura, intanto dovrei arrabbiarmi perché nella Costituzione Italiana non ci sono delle parole in romagnolo. Io vorrei che la Costituzione Italiana al primo articolo dicesse “non facciamo pataccate”. Così mi sento incluso, perché se la mia natura è quella, se la mia identità è quella, cioè se la mia identità coincide con la natura ci siamo capendo. Oggi questa confusione è fortissima. Tant’è vero che non si può discutere più di niente, perché se ogni cosa identitaria è la mia natura, ti offendo ogni volta che ti critico. Perché se io dico a Fabrizio “il tuo gessato non mi piace molto”, è bellissimo ovviamente, ma non mi piace molto, dice “è la mia identità”, come si fa, e oggi è questo. Perché l’unica risposta che abbiamo dato a “e io che sono” è un catalogo tendenzialmente infinito di identità. Ce ne sono alcune più forti, più premiate dal potere, altre meno, ma è questa confusione che stiamo facendo, ed è gravissima. E lo dirò forse meglio dopo, è una confusione che genera ansia, perché nessun aggettivo è un posto dove puoi abitare con la tua natura. È una giacca che ti soffoca, e infatti i più giovani sono soffocati da questo gioco delle identità, sono resi ansiosi da questo gioco dell’identità. Allora non si può parlare di natura senza rispondere adeguatamente a quella domanda, e di questo invece non si parla. Si parla di abbracciare gli alberi, di ridurre le emissioni, di ridurre il consumo dell’acqua. Tutte cose giuste per carità, anche se io non penso che se bevi più tisane invece di whisky hai per forza una vita più naturale. Non credo che la vita naturale risieda solamente nel cambio di usi e costumi, anche, ma non solo. Non sentite quasi nessuno, o meglio, si lavora molto su cos’è la natura umana, ma non se ne parla. Il progetto più finanziato della Unione Europea non è sull’accoglienza dei migranti ma sul brain project, cioè il lavoro sul cervello, perché si vuole indagare cos’è la natura umana. Però non si parla tanto di questo, si dà per scontato che sappiamo cos’è la natura umana con questa ideologia tendenzialmente turbocapitalista, come aveva capito Pasolini, è un nuovo fascismo per cui c’è l’Amazon dell’identità, scegli quello che vuoi, come ti scegli lo shampoo al supermercato, ti senti libero, perché scegli anche la tua natura, cioè la tua identità. Ora questo è quello in cui viviamo, lo dico per rispondere alla tua domanda, quello che vedo io è questo una grande, e anche giusta, esigenza di vita naturale, però se non è chiaro il punto di vista, se non si risponde adeguatamente a quella domanda di Leopardi “ io che sono”, qualsiasi discorso sulla natura diventa grottesco. Sei un carciofo? Sei un computer? Che cosa sei tu? Cosa definisce la parola io? Il fatto che sei romagnolo, o bianco, o italiano, omosessuale, se non è chiaro questo, se su questo non ci si intende, parlare di natura è farlocco. E infatti si vede che è un discorso, come lo vediamo, poi lascio la parola a loro che lo sanno meglio, in campo sociale e politico, la natura è diventato un argomento su cui uno mette di tutto, dalle centrali nucleari alle zone pedonali, tutto perché tutto è in nome della natura. Perché è diventato assolutamente estensibile, molte volte grottesco. Poi nel secondo giro dirò qualcos’altro, ma credo che la situazione sia questa, e bisogna capire che questa è un’ideologia molto forte, perché non rispondere, o meglio rispondere surrettiziamente in modo parziale e quindi violento e quindi soffocante e quindi ansiogeno a quella domanda di Leopardi è il nucleo su cui poi sta intorno tutto. E su quella cosa c’è un’ideologia feroce perché ci vogliono convincere che il problema della vita è durare, come se fossimo dei microbi, come se il problema della vita fosse la durata. Allora perché ammiriamo Falcone che ha sacrificato la sua vita per qualcosa di più grande? Siamo scemi? Oppure se mi chiedessero vuoi due anni in più di vita tu o due mesi tua figlia? È il tempo il valore? Dico questo, sembra scontato a dirlo, ma viviamo in un tempo dove invece l’ideologia dell’uomo come elemento biologico che deve far durare la specie, come se questo fosse l’unico problema dell’uomo, è violentissima, è fortissima, e se dissenti da questo menano, ma menano forte, in campo culturale, in campo accademico, menano forte. Lo dico perché non siamo in un momento semplice. Affrontare queste cose vuol dire affrontare oggi la frontiera più forte del potere. Che non è il potere che viene a disturbarti a casa con i vigili urbani, ma il potere che attraverso una fortissima influenza della società dello spettacolo, della fiction, della televisione, dei media sta mettendo in testa a tutti noi che noi siamo degli organismi che devono durare. Certo che ci auguriamo tutti di campare più a lungo possibile, ma non è questo il problema della vita. Perché abbiam deciso che la vita di un ottantenne vale più di quella di un ventenne? Abbiamo deciso questo,? Che la bambina morta di malattia naturale a cinque anni vale di meno di un novantenne invece che l’ha scampata fino a novant’anni? Abbiamo deciso questo? Questa è secondo me la questione a cui Leopardi ci richiama con un’urgenza a cui pochi grandi geni hanno risposto. Io sono il rapporto con l’infinito. Un grande poeta, che si chiamava John Keats, a suo modo rispondeva dicendo “ io non ho natura”, non ho natura, cioè non trovi un aggettivo che riesce a identificarmi fino in fondo. Io sono molto romagnolo ma non sono solo romagnolo, io sono molto maschio bianco. Oggi invece siamo dentro una fiera delle identità come collage per cercare di rispondere a quella domanda, e questo sta creando molta ansia e, secondo me, un punto di vista sbagliato per affrontare il tema della natura che è bello, che è urgente ed è tremendo, perché il vulcano continua a non chiedere il permesso a quelli che sono sotto.
Fabrizio Piccarolo: Grazie Davide, come sempre ricco di provocazioni e di spunti, ma ci sarà modo, come hai detto, di tornare su alcuni aspetti che hai toccato. Raffaele Cattaneo, Assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia, siamo quasi alla fine di questa legislatura e la Fondazione Lombardia per l’Ambiente è un ente del sistema regionale di Regione Lombardia e gli studi e le ricerche che svolgiamo servono proprio per fornire dati, informazioni, risultati e conoscenza ai decisori politici, in particolare di Regione Lombardia. Quindi abbiamo condiviso, ci conosciamo in realtà molto di più, però in particolare abbiamo condiviso questi cinque anni di politiche ambientali in Regione Lombardia molto da vicino. E se posso proprio usare in estrema sintesi uno slogan per definire quello che mi sembra il significato delle politiche per la sostenibilità che hai portato avanti è che in questa legislatura l’uomo è stato al centro, le politiche ambientali di Regione Lombardia hanno messo al centro l’uomo. Allora ti chiedo, tornando alla domanda che vale per tutti, qual è l’origine di questa concezione, qual è il punto di partenza di queste politiche che hanno riguardato, che stanno riguardando l’ambiente, la sostenibilità, ma che pongono l’uomo al centro.
Raffaele Cattaneo: Grazie Fabrizio e grazie a tutti voi perché essere qui all’una e mezza così numerosi e così attenti non è scontato. Io non sono un poeta, sono un politico, un amministratore pubblico, quindi mi occupo di delibere, di leggi, di politiche pubbliche. Però ho una cosa chiara in testa: senza un pensiero adeguato non si fanno politiche adeguate, se c’è un pensiero approssimativo si fanno politiche approssimative, delibere approssimative, leggi approssimative. Se c’è un pensiero superficiale, si fanno provvedimenti superficiali. Nel prossimo giro parliamo delle politiche, ma in questo primo giro vorrei stare sul livello a cui hanno posto la questione Fabrizio nella sua introduzione e Davide nel suo intervento. Perché io sono profondamente convinto, lo sono ancora di più dopo aver fatto per ormai quasi cinque anni l’assessore all’ambiente, che il tema della questione ambientale, il tema della transizione ecologica, l’espressione più corretta è il tema della sostenibilità, cioè di costruire un modello di sviluppo sostenibile, è il tema cruciale di questi prossimi anni, se vogliamo darci un orizzonte, di questo decennio e dei prossimi tre decenni, fino al 2050. E sarà un tema che per dimensione e pervasività, probabilmente paragonabile solo alla rivoluzione industriale, quel modo che ha cambiato sistema di produzione e di consumo, ha cambiato la vita di tutti noi due secoli fa. Quindi la questione è molto seria, ed è molto seria per dei dati di realtà. Io ricordo che quando all’Università Cattolica quarant’anni fa seguivo i corsi di don Giussani di Introduzione alla Teologia, don Giussani diceva, nel suo corso sul Senso Religioso, che la prima premessa di metodo è il realismo, cioè bisogna amare la realtà più dell’idea che ci siamo fatti di come dovrebbe essere. Oggi, se guardiamo la realtà, la realtà dice che il tema ambientale è un tema che non possiamo ignorare, perché? Perché la temperatura media del pianeta è cresciuta di 1,2-1,1-1,2 gradi dal 1880 e il 95% dei climatologi ci dicono che possiamo arrivare fino a un grado e mezzo in più, da lì in poi le conseguenze diventeranno sempre più catastrofiche. E se guardiamo come vanno le emissioni, le emissioni, in particolare, di gas serra, di gas climalteranti, l’anidride carbonica è il più importante di tutti, vediamo che siamo invece assolutamente fuori traiettoria. Le emissioni continuano a crescere e, con questo andamento inerziale, entro la fine del secolo noi arriveremo a 3,4-3,5 gradi in più con delle conseguenze drammatiche che adesso non voglio approfondire perché non è il tema di oggi. Però i dati ci dicono questo, i dati ci dicono che siamo di fronte a una drammatica perdita di biodiversità, che mette a rischio il 40% circa delle specie viventi. Cosa è stato il Covid, la pandemia, se non un esempio di una rottura di un equilibrio che la natura aveva creato in milioni di anni e che quindi ha permesso poi lo spillover di un virus che c’era da sempre nel mondo animale verso l’uomo. Dietro ci sono queste questioni, di cui noi vediamo, con gli episodi di queste ore, che sono sempre più frequenti, gli incendi a Pantelleria e contemporaneamente la tromba d’aria in Versilia o anche qui a Rimini, con tutti i danni che hanno fatto. Questo è solo l’inizio delle conseguenze di quello che potrebbe essere. La realtà ci metti davanti una sfida, dobbiamo affrontare un modello diverso, ma come si fa ad affrontare un modello diverso? Innanzitutto, ci vuole un pensiero diverso, all’altezza della sfida. Ecco io credo, e questa è la cosa più importante che vorrei trasmettere, oggi c’è un bisogno radicale di un pensiero politico, ma ancor prima culturale, adeguato alla sfida dello sviluppo sostenibile. Da questo punto di vista la Laudato si, l’enciclica citata in apertura da Fabrizio, è un po’, rispetto alla questione ambientale, secondo me, quello che è stato la Rerum Novarum di Leone XIII nel 1891 rispetto alla questione sociale, alla questione operaia, alla nascita del movimento socialista. E come è successo allora, la Chiesa arriva un po’ spiazzata, e anche il mondo cattolico arriva un po’ spiazzato. Il tema dell’ambientalismo non è un tema tipico del mondo cattolico, è stato lasciato ai Verdi, ai movimenti ambientalisti, come se fosse una questione che bastasse, per essere affrontata, quell’approccio culturale lì. La verità è che non è così. Quell’approccio culturale non è in grado di dare una risposta e quindi di generare delle politiche, e lo vedremo poi con gli esempi, all’altezza della sfida. Ci vuole invece una visione dell’uomo e della realtà, il Papa usa l’espressione antropologia, una visione dell’uomo e della natura all’altezza della sfida. Il Papa dice nella Laudato sì, al punto 118: “Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia”. Cosa vuol dire concretamente, vi faccio qualche esempio. All’interno del movimento dei Fridays For Future che hanno tanti pregi, anche quello di aver tirato giù dal divano tanti ragazzi, è nato in Inghilterra un movimento che si chiama Birth Strikers, sciopero delle nascite, la leader si chiama Bryce Pepino, ha scritto un pamphlet che si intitola Contro i figli, in cui teorizza che una delle misure più efficaci per combattere le emissioni di CO2 e di gas climalteranti è smettere di fare figli. Sempre nel movimento dei Fridays For Future in America è nato un altro gruppo che si chiama Jinx Green Inclinations No Kids, che vuol dire siccome siamo ambientalisti mettere al mondo i figli in un ambiente così scassato è pericoloso, noi non li mettiamo al mondo più. Persino Alessandra Ocasio Cortez, che è stata la più giovane parlamentare al Congresso degli Stati Uniti del Partito Democratico, oggi uno dei leader emergenti del Partito Democratico, ha detto dobbiamo porci seriamente questo tema, se vale la pena di mettere al mondo i figli in un mondo così scassato. Allora il tema del “Io che sono?” c’entra moltissimo con quello di cui stiamo discutendo. Vi sembra questa un’antropologia all’altezza della sfida, cioè siccome il mondo è rovinato da un ambiente scassato, noi anticipiamo l’estinzione, non mettendo più al mondo i figli. Un po’ paradossale no? Certamente non è questa l’etica di cui abbiamo bisogno per affrontare una sfida così, e questo è il punto che poi genera come conseguenza le politiche. E da questo punto di vista la discussione non è neanche se posso permettermi, se al centro c’è l’uomo o se al centro c’è la natura. Questo è stato il tema del dibattito per molto tempo, antropocentrismo, al centro c’è l’uomo, quindi siccome al centro c’è l’uomo, se quello che serve all’uomo scassa la natura, l’importante è l’uomo fa niente. Oppure al contrario, adesso va di moda, biocentrismo. Anche qui guardate non sono questioni astratte, come il tema delle nascite di prima non è astratto, e non è solo americano, il Comune di Cremona, tre anni fa, ha fatto un pamphlet in cui diceva che non fare i figli è una delle misure di contrasto al cambiamento climatico. Il Comune di Cremona poi l’ha ritirato dopo le polemiche, ma l’ha fatto e l’ha reso pubblico. Così la questione dell’antropocentrismo e del biocentrismo non è astratta. Il Ministero della Pubblica Istruzione ha fatto una circolare in cui dice che bisogna smettere di parlare dell’ambiente mettendo al centro l’uomo, bisogna cominciare a mettere al centro la natura, biocentrismo. L’uomo è solo uno dei tanti organismi viventi e quindi quello che conta è la natura. Se si porta all’estremismo questo pensiero, succede quello che adesso viene teorizzato con il termine antropocene. C’è anche un documentario che è uscito tre anni fa che fa vedere come, sono tre registi che hanno girato per tre anni tutto il mondo e hanno documentato come l’uomo abbia devastato la natura, e l’idea che c’è dietro, con immagini potentissime, è l’uomo è come un virus, se lo lasciamo andare distrugge la natura, bisogna fermarlo, altrimenti la natura non avrà più un futuro. Ecco questo è il livello della sfida culturale a cui siamo di fronte. Con che cultura rispondiamo noi cattolici. Anche rispetto alle politiche. Io dico che c’è uno straordinario bisogno di mettere in campo una visione culturale e politica che sia in grado di dare una risposta equilibrata a questa sfida e il Papa, e finisco su questo, ci dice attenzione il tema non è l’antropocentrismo o il biocentrismo, se al centro c’è l’uomo o se al centro c’è la natura, sono sbagliati tutti e due. Il problema è la relazione, dobbiamo costruire una relazione adeguata tra l’uomo e la natura, perché l’uomo è una parte della natura, e il creato è fatto dell’uomo e della natura, l’uomo è quel livello che si pone la domanda sul significato, ma proprio per questo non può ignorare che deve costruire una relazione positiva con la natura che ha intorno. Allora se noi continuiamo a scassare il pianeta con l’inquinamento, se ignoriamo il problema degli effetti del gas serra, se ignoriamo il problema della perdita di biodiversità, stiamo costruendo questa relazione equilibrata? No, e allora abbiamo bisogno di capire come possiamo farlo, con quali politiche, ma soprattutto di avere una visione culturale che non abbia l’approccio ideologico dei Fridays For Future, di Greta e dell’ambientalismo, che dice di fronte ai problemi dell’ambiente possiamo sacrificare tutto, e al tempo stesso non abbia neanche l’approccio negazionista, che nei fatti va così di moda, anche fra tanti di noi, che in fondo questi sono problemi un po’ gonfiati, possiamo andare avanti a fare come abbiamo sempre fatto che non succede niente. Non è vero che non succede niente, stiamo vedendo l’inizio di quello che può succedere, abbiamo bisogno di una grande trasformazione, avverrà, che ci piaccia o no, nei prossimi trent’anni, dobbiamo decidere se vogliamo esserne protagonisti con una passione per l’uomo capace di dare alla realtà una risposta adeguata, o se vogliamo subirla passivamente.
Fabrizio Piccarolo: Grazie. Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, l’interesse della Fondazione per la Sussidiarietà per i temi della sostenibilità è sempre più forte e questa è stata l’occasione anche di incontro e di un lavoro insieme che sta proseguendo, la giornata di oggi si inserisce in questo percorso di lavoro insieme con la Fondazione per la Sussidiarietà. E la domanda per Giorgio è la stessa, in particolare perché la Fondazione per la Sussidiarietà si occupa anche di sostenibilità. Io provo, se posso, giusto per darti uno spunto, provo a dare una chiave di lettura che, sempre traendo spunto dall’Enciclica di Papa Francesco, che dice che la concezione di casa comune che propone la Laudato sii è legata direttamente al concetto di bene comune, quindi in questo senso il bene comune è affidato alla responsabilità di ciascuno. Quindi forse in questo senso la sussidiarietà si lega in modo stretto con la sostenibilità, però è uno spunto e a te, Giorgio, la parola.
Giorgio Vittadini: Se mi permetti, viene un po’ prima, perché chi mi conosce sa sempre che mi sono definito, molto prima di Papa Francesco un cattolico verde, proprio trent’anni prima quando tutti i cattolici dicevano, come dirò dopo, bisogna difendere l’uomo non la natura. E dico perché, come questo nasca profondamente dalla mia concezione, quindi riprendo in che senso la relazione con la natura, leggendo un brano, poi dirò di chi, sul mare. Siamo al mare. “Questo mare che ora è calmo e a stento l’odi appena ansare sulla riva e sembra che sogni, e dopo poche ore è tutto tribolato e ansimante e appassionato, e non sai perché, ma calmo o agitato, silenzioso o irato, il mare ha ogni giorno, ogni istante un minimo comune denominatore, un significato base unico e inesauribile, che è la sua grandezza, il senso travolgente di un’immane aspirazione all’infinito, al Mistero infinito. Così la tua vita nelle vicissitudini angosciose o serene che si innalzano apparentemente senza motivo, c’è una voce, una passione, un’agonia che sta alla base di tutto, è la voce, la passione, l’ansia di Lui, felicità, bellezza, bontà suprema.” Questo evidentemente è don Giussani, che dice che il tema da cui tutto prende, molto prima della sostenibilità, è lo stupore. Solo lo stupore conosce. A me piace la natura, è un gusto estetico che mi costituisce. Come di fronte alla pietà di Michelangelo, io non posso che rimanere stupito di fronte a questo. O partiamo dallo stupore, o da una parte o dall’altra, come dirò, è un enorme moralismo che non muove. Io sono contento come uomo di vedere che ci sono gli alberi, che c’è l’aria, io adoro che ci sia il lupo, o la tigre, per me è fondamentale come per un bambino, che esista, anche se non la vedrò mai, perché fa parte del mio essere, il mio essere ha bisogno di questo rapporto. Come è stato per duemila anni, prima dell’eco del neoliberismo distruttivo che ha massacrato l’ambiente. Io sono costituito da questo modo di conoscere. O il punto di partenza è un’estetica che ha a che fare col mio senso religioso, con la mia domanda di essere, o è un tema morto, perché l’uomo deve partire dal fatto che sono contento che ci sia. Io sono grato alla Regione Lombardia non perché conviene, ma perché grazie al fatto che ha fatto il Parco del Ticino e il Parco Sud, la mia terra esisterà, non sarà distrutta dalla speculazione edilizia come è stata la Brianza, il Varesotto e il Comasco, distrutti dal fatto che non hanno fatto un parco così. Mi spiace per voi. Ci sarà sempre questa possibilità non di andare in Amazzonia, ma di girare lì e di vedere la bellezza a cinque chilometri da Milano, di vedere gli animali che vivono, gli alberi, le cascine, dentro lì. Questo è fondamentale per me come per milioni di persone, questo è fondamentale prima ancora del perché il parco darà l’ossigeno, perché se no sarei meno io. Io sono fatto di quella terra, come Davide sarà fatto dalla Romagna. E allora questo essere, è la bellezza il punto di partenza per cui desidero il pianeta prima del resto. Invece quali sono le due alternative. La prima diciamo che esiste, non è che è finita, è questo neoliberismo, questo uomo distruttore, questo uomo che non ha a che fare con niente con la religione. L’economia dell’egoismo dei singoli attraverso la mano invisibile che porterà il benessere collettivo e invece che ha distrutto tutto, ha creato l’ineguaglianza, ha creato la distruzione, ha creato le guerre. Questo uomo ridotto, che mosso dall’egoismo ha distrutto anche l’ambiente, e questo rimane perché lo speculatore edilizio, o quello che inquina, o quello che distrugge l’Amazzonia, quelli sono criminali. Criminali, che non hanno più niente di umano, e rimangono il nemico perché riducono la bellezza al denaro, e rimane il primo nemico. Questo non è apparso, il movimento ambientalista è nato perché c’è un nemico che continua a esserci, che è il più grande di tutti, che specula sulla natura, che se ne infischia anche se non c’è la sostenibilità in nome dell’essere. E i politici che per prendere i soldi l’hanno sostenuto in tutto il mondo. Ma il secondo è, l’ambientalismo di oggi da dove nasce? dal moralismo. Non devi distruggere il pianeta. Scusate, guardate la traccia di Greta, a me spaventa, “sei cattivo, stai distruggendo”, ma non ti muove nessuno di uno così, ma se ci pensi bene è un personaggio antipatico, perché tu devi partire dal fatto di dire che è bella una cosa, ma in qualunque argomento. Ma prendete un bambino e mettetegli davanti la paura, questo qui ti dirà sì, sì, sì, e appena può ti frega. Tu devi partire dal fatto che costruiamo insieme, non demonizzare il mondo. Anche i poveri cristi che cercano di lavorare quindi fanno una fabbrica, costruiscono una casa. Il moralismo ambientalista distrugge lo stesso stupore, è per questo che non muove, è per questo che diventa un enorme moralismo di massa, perché o tu ti muovi rispetto all’uomo e al suo desiderio di questo essere, anche distruggendo nei cattolici l’idea o l’uomo o la natura, imbecilli, l’uomo e la natura. Ma guardate quei bambini, i bambini hanno dentro questo istinto, questa è un’idea da veramente da deficienti, figli del moralismo con cui siamo andati avanti per anni. Quindi l’ambientalismo è moralista, e quindi come tale, come tutti i moralismi riduce la verità. Quindi primo lo stupore, secondo tema di questa concezione: la convenienza. Uno deve capire perché è conveniente la raccolta differenziata, perché è conveniente mettere un depuratore, perché è conveniente non fare delle città come si facevano negli anni sessanta in cui il cemento domina ovunque, in tutto il mondo. Tu devi far capire il perché, è meglio per te, è meglio per produrre. La sostenibilità deve avere un’educazione in cui uno capisce perché non val la pena di fare il bagno nel Gange, rendendolo uno dei fiumi inquinati del mondo, anche se non ci sono industrie, perché non val la pena che a Pechino non si viva più perché c’è la cappa di smog che copre. Tu devi aiutare la gente a capire, non gli puoi dare una serie di norme, devi far capire perché e come non va bene la plastica, se tu non fai un percorso educativo la gente si trova a dover applicare delle norme senza capire il perché. C’è innanzitutto, e lo dirò dopo nella seconda parte degli interventi, c’è un percorso educativo che deve essere fatto, che deve far capire ogni strumento perché serve. Allora io sono contento, quando vedo che cade un ghiacciaio, di fare il mio pezzettino perché questo non cada. Faccio capire il nesso. Ho visto un bellissimo documentario a Superquark l’altro giorno in cui ti faceva vedere il deserto, poi ti faceva vedere come piantare milioni di alberi lì, ferma il deserto, o come si può ricostruire la foresta, e questo aiuta. Allora ti fa capire lo scibile, ecc. Ma se non c’è questo percorso educativo, tu fai fuori l’uomo in questo modo, e oggi? questo è il secondo problema. Allora quindi concludendo, la concezione di cui parlavano loro, è una concezione che mette a tema lo stesso tema dell’io religioso, dell’io come rapporto, ed è questa secondo me la novità di Papa Francesco, che è riuscito a superare, come del resto secondo me le posizioni come Giussani, ma anche Pasolini, perché Pasolini uno dei discorsi più belli, dei punti più belli, è il discorso delle lucciole, in cui il discorso delle lucciole da cui è partito è perché gli piacevano le lucciole, e allora ha fatto l’esempio, si capiva che voleva le lucciole. A cosa servono le lucciole, poi va a vedere a cosa servono, ma innanzitutto ti piacciono. Se tu non hai questo percorso non c’è la concezione, e quindi la gente si troverà di fronte a un nuovo moralismo, che poco o tanto proverà in distruzione. Questo è il nostro compito educativo.
Fabrizio Piccarolo: Grazie Giorgio, grazie a tutti e tre per questo primo giro che mi sembra che ci avete aiutato davvero con profondità e con verità a centrare il problema e a capire i termini della questione che è davvero urgente e importante. La seconda domanda che volevo porre a tutti è: come si attua questo cambiamento culturale, come, o almeno tentativamente, quali sono i punti di caduta concreta per riuscire a vivere questo cambiamento all’altezza dell’urgenza e della verità che ci chiede. A Davide in particolare mi ha colpito, se vuoi nel tuo intervento anche tener conto di questo, la questione che hai citato prima della durata, del tempo, perché mi colpisce che tu dici che l’approccio generale ai temi ambientali, la domanda che ci si pone sui temi ambientali, sulla natura, è una domanda di durata e non di significato. Questo mi colpiva se vuoi riprenderlo e poi la domanda resta quella di prima. Grazie.
Davide Rondoni: Credo che esattamente il punto è questo, cioè cos’è il tempo per un uomo, perché certi giorni ti senti ringiovanire, altri giorni invecchiare. Ci sono giornate che durano tantissimo perché non succede niente di interessante e giornate velocissime perché sono investite da un’energia bella. Il tempo per un uomo, lo diceva già Eliot, è il significato del tempo, se noi riduciamo l’esperienza umana a durata, a cronometro, a anni, la durata del pianeta, Dante si chiedeva il senso del cosmo non la durata del pianeta. Se riduciamo il tempo a durata è la prima fregatura, la prima fregatura educativa. Perché quella vibrazione di stupore, che diceva prima Giorgio, che io allargherei a stupore e tremore, che è il senso del sacro, che è l’unica cosa che non è commerciabile, perché al turbo capitalismo non si oppone il comunismo, si oppone il sacro, come aveva capito Pasolini, e Giussani negli stessi anni. Cioè l’unica cosa che si oppone al turbo-capitalismo, al consumo nella realtà, è che esista qualcosa di sacro. Ma questo qualcosa di sacro riverbera in te guardando il mare, o guardando anche il vulcano che ti può sterminare in un attimo. Tant’è vero che Leopardi, per citare il nostro vecchio amico, nella Ginestra, la Ginestra, non so se c’è qualche insegnante qui, nel mio libro l’ho ricommentata tutta, perché la Ginestra viene sempre fatta passare come una poesia dove questo dice di fronte alle sfighe teniamoci insieme con la social catena, che è una cosa a cui sinceramente ci arrivava anche la mia nonna Peppa, cioè non c’è bisogno di Leopardi. E quel canto lì non a caso inizia con un esempio del Vangelo di Giovanni, lui dice è arrivata la luce ma gli uomini hanno scelto le tenebre, di che cosa sta parlando? È un trattato di antropologia cristiana, infatti a un certo punto, lo cito perché vorrei essere esatto, Leopardi sostanzialmente dice che è da reputare scemo l’uomo che fa mostra della sua forza basata sui soldi, sull’onore, sulla ricchezza, sul potere, perché dice che invece l’uomo saggio non fa “risibil mostra” di queste cose ma “s’è di forza e di tesoro mendico”, mendicante, il problema è educarsi a essere mendicanti, Leopardi dice che l’uomo nella natura deve avere la posizione del mendicante, e del mendicante creativo, perché, come Giorgio sa bene, il parco di cui parlava prima non l’ha fatto la natura, l’ha fatto la Regione Lombardia, cioè l’ha fatto l’uomo, cioè l’ha fatto il rapporto tra l’uomo e la natura, questa è una cosa che noi dobbiamo metterci in testa dal punto di vista educativo, qui c’è un lavoro da fare molto chiaro. Non si può parlare di natura senza parlare di natura umana, non si può lasciare nell’ombra questo discorso, è troppo comodo, perché è lì che inizia il problema. A quella domanda di Leopardi tu devi rispondere, se no il parlare di natura è a vanvera, e il contenuto di quella domanda porta in campo il fatto che l’uomo è un abisso di stupore e di tremore, che l’uomo è una cosa sacra, non commerciabile. Ora, rieducarsi al sacro è la cosa più importante di questo momento. Pasolini l’aveva già capito, lo aveva capito Eliot cent’anni fa, nel ’22, Eliot pubblica “La terra desolata”, che sembra proprio un titolo ecologista, the westland, la terra guasta, desolata. La terra desolata inizia con una citazione di uno scrittore latino, dove dei ragazzi chiedono alla Sibilla, la Sibilla è la figura del sacro, la Sibilla addirittura Michelangelo la mette nella Cappella Sistina come un profeta, era quella donna che lasciava i carmi, da cui la parola poesia, sulle foglie che erano difficile da interpretare, cioè la donna della soglia tra l’al di qua e l’al di là, era la donna del sacro, questi ragazzi chiedono alla donna del sacro, alla Sibilla, cosa desideri adesso? E lei dice: “io desidero morire”. La morte della Sibilla, cioè la morte della figura del sacro coincide con la terra desolata, con l’inizio della terra guasta. Ora quindi se tu mi chiedi dal punto di vista culturale, educativo, la prima urgenza è che il discorso della natura o ripesca a questo livello di rieducazione del sacro, dei segni del sacro, dello stupore e del timore, che ti fa mendicante. Infatti non a caso avete notato che nella citazione che ha fatto prima Giorgio di Giussani c’è la parola agonia, cioè il mare ti suscita anche l’agonia, non solo lo stupore per i delfini e i pesciolini, perché è inscindibile lo stupore per la bellezza e il tremore per il timore, è il senso del sacro, senza citare Rudolf Otto o i grandi studiosi che hanno parlato di queste cose. Oggi, e Pasolini aveva capito, vedendo la scomparsa del sacro diceva: verrà un nuovo fascismo, altro che la Meloni, un nuovo fascismo, che è il fascismo del turbo capitalismo di cui sanno chiederci quelli di sinistra, esattamente quello che sta succedendo. Perché se non opponi il sacro tutto è consumabile, tutto è commerciale, è il motivo per cui era contro l’aborto, Pasolini non era contro l’aborto per un motivo morale, diceva che, scandalizzando, essendo lui omosessuale, di sinistra, ecc., diceva io sono contro l’aborto, perché? Perché togli il sacro dalla realtà. Ora questo credo che sia, mentre stanno educando tutti i nostri figli al green, al consumo responsabile, alla sostenibilità, tutte cose giustissime, a bere più tisane di whisky, ok, d’accordo, abbracciare gli alri, ok, d’accordo, ma se questo non coincide con un’educazione al sacro son tutte favole. E questo non lo può fare chi non ha questo timore e tremore, chi non prova questo timore e tremore, e stupore di fronte alla realtà. Non possiamo chiedere a Greta o a qualche politico di fare questo, non è possibile, perché lo può fare solo chi lo sperimenta, solo adulti commossi dal sacro possono rieducare al sacro, e quindi a un rapporto che in quel punto tocca la coincidenza tra uomo e natura. Perché l’uomo può non concepirsi come un carciofo o come un computer perché riconosce di avere in sé qualcosa di non consumabile, di non commerciabile, e quindi lo riconosce anche in ciò che lo fa, che è la natura, se non c’è questo elemento la congiunzione uomo natura su cosa si fonda. Certo, è una continua trattativa. Il paesaggio, di cui si è parlato fino adesso, è la trattativa tra l’uomo e la natura, ma non è quello il punto di congiunzione, il punto di congiunzione è il senso del sacro, occorre la pratica di questo, che deve tener conto sia di chi deve aver la casa popolare per cui forse ci vuole ogni tanto anche qualche costruttore edile, nei… ci vuole gli alberi, qual è il punto di trattativa tra l’uomo e la natura? Che a volte la trattativa è dura, perché l’uomo per abitare in certi posti con la natura ha dovuto lottare, e viceversa ha dovuto accogliere la natura per evitare certi posti, è una trattativa continua, non è quello il punto di congiunzione. Il punto di congiunzione è il senso del sacro, ma se non sappiamo cos’è, se non sperimentiamo cos’è, questa battaglia è impossibile.
Fabrizio Piccarolo: Grazie, Davide, purtroppo ci restano sette minuti a testa per la prossima, invece appunto la stessa domanda per Raffaele, nell’ambito politico quali sono proprio per rispondere e per concretizzare, per mettere appunto a terra quello che abbiamo detto prima, quello che tu hai detto prima, quali sono gli obiettivi, le azioni, i risultati di Regione Lombardia, ma forse anche più in generale su cosa la politica deve puntare e quale deve essere l’obiettivo proprio per aiutare e accompagnare questo tentativo di relazione tra uomo e ambiente.
Raffaele Cattaneo: Rispondo subito ma voglio spendere un minuto sulla questione che ha introdotto Davide, perché non vorrei che passasse un’idea che Giorgio con la consueta travolgente forza che tutti gli invidiamo, forse ha potenzialmente un po’ equivocato. La terra che lui ama così tanto che la Lombardia ha tutelato con i parchi anche nel Varesotto e nel Comasco, ne abbiamo più di quaranta in Lombardia, Parco del Campo dei fiori, Parco delle Groane, Parco Adda nord, Parco Adda sud, ecc. ecc., in Lombardia ci sono una quarantina di parchi, 235 siti di interesse comunitario, cioè zone di protezione speciale della natura, 23% del territorio tutelato, ecc. ecc. Ma quella terra lì che lui ama, e io la amo tanto quanto lui, provate a pensare come era 1500 anni fa. La Pianura Padana 1500 anni fa era un acquitrino insalubre, malsano, invivibile, chi l’ha resa quel territorio lì? Il lavoro dei monaci che hanno bonificato le paludi e hanno reso la Pianura Padana quella terra fertile che è. Nella Genesi si dice che Dio mette l’uomo nel giardino dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse, questi due secoli abbiamo sviluppato molto il coltivare, la rivoluzione industriale e tutto quello che ne è conseguito, adesso dobbiamo ritornare al custodire, ma attenzione custodire non vuol dire lasciare tutto così com’è, questa idea che l’ambiente è buono se non viene toccato è una gigantesca fesseria, perché se l’ambiente non viene coltivato e custodito dall’uomo, diventa una selva inospitale, la natura diventa una selva, provate a stare nel bosco e a non coltivare il bosco a vedere cosa succede. Se non ci fosse una azione positiva dell’uomo non ci sarebbe neanche un ambiente vivibile, quello che rende l’ambiente vivibile è un’azione positiva dell’uomo. Vengo agli esempi, brevemente. Avete in mente la questione dei rifiuti, i termovalorizzatori di Roma, ecc., bene, a Milano l’emergenza rifiuti ce l’abbiamo avuta nel 1995, me lo ricordo bene perché ero appena arrivato in Regione, collaboravo con Roberto Formigoni, improvvisamente la discarica dove andavano tutti i rifiuti di Milano, la discarica di Cerro Maggiore, che era di proprietà del fratello di Berlusconi e che fino a qualche mese prima era andata benissimo, improvvisamente viene bloccata dagli ambientalisti, magari c’era anche qualche ragione politica, e ci troviamo a gestire una gigantesca emergenza rifiuti. Milano si riempie di rifiuti, danno fuoco ai cassonetti, ecc. Gli ambientalisti dicevano bisogna fare la raccolta differenziata e basta quello, il mondo industriale, ecc. diceva ma no, basta fare qualche discarica in più, o al massimo gli inceneritori e bruciare tutto. Cosa abbiamo fatto noi? abbiamo preso il meglio dell’uno e dell’altro pensiero e l’abbiamo messo insieme. Abbiamo introdotto la raccolta differenziata in Lombardia, e oggi in Lombardia la raccolta differenziata dei rifiuti è al 73,3%, poi abbiamo fatto gli impianti perché queste frazioni separate dalla coscienza ambientale delle famiglie potessero essere effettivamente recuperate, e abbiamo fatto anche i termovalorizzatori che servivano. In Lombardia adesso ne abbiamo 11 su 37 in Italia che trattano i rifiuti urbani, ma è solo alla fine, noi oggi abbiamo impostato le politiche dell’economia circolare innanzitutto sulla riduzione dei rifiuti, che in Lombardia almeno quelli urbani continuano a calare, poi sul recupero di materia, 73% di raccolta differenziata consente di avviare al recupero di materia il 62% dei rifiuti e di riciclare effettivamente il 55% dei rifiuti. Più della metà di rifiuti in Lombardia ritorna a essere materia riutilizzabile, prodotti seconda vita, e quello che però non può essere riutilizzato come materia, è meglio metterlo in un buco in una discarica o è meglio dargli la possibilità di essere un combustibile alternativo al gas e al petrolio per produrre energia e calore? Nei termovalorizzatori lombardi il 27% dei rifiuti che non viene recuperato come materia, viene recuperato come energia. Nel ‘95 andava in discarica oltre l’80% del rifiuto tal quale, sapete l’anno scorso quanto è andato in discarica in Lombardia come rifiuto tal quale? lo 0,02%, praticamente la discarica in Lombardia per i rifiuti urbani non esiste più, e anche considerando le frazioni decadenti lo 0,5%. Questo è un esempio di una politica costruita con una visione, a mio parere, adeguata, che sa tenere insieme il meglio. Qui in prima fila c’è un signore che si chiama Roberto Sancinelli, che dove c’era un’acciaieria in provincia di Bergamo ha costruito un’impresa che recupera 750.000 tonnellate di rifiuto organico, della frazione umida, dell’umido che fate voi, e 250.000 tonnellate di plastica, e con la frazione organica ci fa il compostaggio, poi il biogas, poi il biometano, che va in rete al posto del metano che arriva dalla Russia, tira fuori l’anidride carbonica e la usa per gasare le bibite. Capite cosa vuol dire l’economia circolare frutto di una concezione adeguata, quelle cose qua. Potrei fare tanti altri esempi non c’è più tempo ma, tema di oggi è la transizione energetica verso le fonti rinnovabili per contrastare le emissioni climalteranti, ma cosa vuol dire concretamente, anche qui cerchiamo di non essere ideologici, tutte rinnovabili, tutte fonti rinnovabili bene, abbiamo appena approvato in giunta il piano energetico regionale per la Lombardia. In Lombardia oggi sui consumi finali di energia, quindi l’energia elettrica, ma anche l’energia termica per riscaldare o raffreddarsi, l’energia per muoversi. Le fonti fossili sono l’85%, le fonti rinnovabili sono solo il 15%, se noi vogliamo rispettare l’obiettivo dei fit for fiftyfive cioè ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 dobbiamo fare nei prossimi otto anni queste due cose contemporaneamente, ridurre di un terzo tutti i consumi energetici, quindi ogni famiglia, ogni impresa, ogni istituzione, deve consumare un terzo in meno di energia. Peccato che i consumi energetici in Lombardia sono stabili da oltre vent’anni, sono scesi un po’ col covid, da 25 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio a 23 e mezzo, appena è ripartita l’economia sono risaliti. Pensate quale dimensione di pervasività ha e quanto bisogna coinvolgere tutti, le famiglie, le imprese, in un approccio sussidiario per raggiungere quell’obiettivo in otto anni, ma insieme dobbiamo raddoppiare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Quali sono le fonti rinnovabili oggi, la più importante è l’idroelettrico, secondo voi possiamo raddoppiarla nei prossimi otto anni col fatto che c’è meno acqua, meno neve, l’idroelettrico non lo raddoppiamo. La seconda fonte sono le biomasse, noi abbiamo 450 impianti che usano i reflui zootecnici, cioè lo sterco degli animali degli allevamenti del sud della Lombardia per fare biogas e biometano, ma stanno in piedi con gli incentivi che finiranno tra il 2026 e il 2028, difficile pensare che quella possa raddoppiare, non abbiamo il vento, in Lombardia non c’è l’eolico, non abbiamo il mare non ci sono le maree, possiamo usare il fotovoltaico, ma per insediare il fotovoltaico che serve per poter raddoppiare dal 15 al 30°5 le fonti rinnovabili vi dico di cosa abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di mettere a terra 7 gigawatt di produzione di impianti fotovoltaici, un gigawatt sono mille megawatt, un megawatt sono mille chilowatt. Per fare un megawatt di energia fotovoltaica ci vuole un ettaro di territorio, anzi un po’ di più ma contando sull’efficienza un ettaro. Un ettaro è un campo da calcio come quello di San Siro, 110 per 90, 7 gigawatt vuol dire 7000 ettari, 7000 campi da calcio, in Lombardia abbiamo 1500 comuni, vuol dire che ogni comune nei prossimi otto anni dovrebbe mettere a terra, solo per arrivare al primo step, per arrivare al 30% di produzione da fonti rinnovabili, non al 100%, troverete la terra da quattro a cinque campi da calcio di pannelli fotovoltaici. Vi sembra una cosa semplice? È facile dire lo slogan tutto rinnovabile, poi bisogna fare quelle cose qui, questo è il realismo di cui abbiamo bisogno, per questo per esempio ci vuole il nucleare. Il nucleare di quarta generazione, possibilmente la fusione nucleare. Io concludo dicendo che o la politica recupera questa capacità di realismo e di profondità, di pensiero e di azione, oppure potremo riempirci la bocca di slogan, potremo dire che dobbiamo arrivare alla completa decarbonizzazione, finirà come il debito pubblico, che abbiamo sempre detto che dovevamo diminuire ed è continuamente aumentato. Peccato che questa volta il prezzo che pagheremo sarà molto più alto e non possiamo permetterci di perdere questa sfida, per questo bisogna sostenere, anche alle prossime elezioni, le forze politiche che hanno questo equilibrio, questa sensibilità e questa cultura, altrimenti di ideologia si muore.
Fabrizio Piccarolo: Grazie. Giorgio, come si recupera.
Giorgio Vittadini: Volevo premettere quello che dicevo prima con il lavoro della Fondazione per la Sussidiarietà, però facendovi una domanda che secondo me fa capire il problema. Voi sapete i 17 obiettivi di sostenibilità dell’ONU? Alzi la mano chi se li ricorda, tutti, questo dice qual è il problema, che con tutte queste cose, avendo ridotto a 17 obiettivi che vi leggo per far capire come è difficile. Povertà zero, fame zero, salute e benessere, istruzione di qualità, uguaglianza di genere, acqua potabile pulita e igiene, energia pulita, lavoro dignitoso, industria e infrastrutture, ridurre disuguaglianze, città e comunità sostenibili, consumo e produzione responsabili, agire per il clima, la vita sott’acqua, la vita sulla terra, pace e giustizia, partnership per gli obiettivi. Ditemi qual è il filo rosso di queste cose, se voi riuscite, è per quello che non ve li ricordate, non ci ricordiamo, perché ci vuole un filo rosso, perché gli elenchi non diventano azione. Allora dico qui il lavoro della Fondazione è così, primo punto: bisogna capire quali sono i punti che connettono la concezione personale, lo stupore, il tremore, la convenienza con le operatività, primo punto io vi dico quali sono per me i fili rossi. Il filo rosso di questa questione è innanzitutto l’uomo, perché è l’uomo che vuole lavorare dignitosamente, è l’uomo che vuole le città sostenibili, è l’uomo che vuole ridurre le inuguaglianze, è l’uomo per cui il clima deve funzionare. Ma se non mettete l’uomo voi non riuscite a costruire un filo rosso, quindi il tema dell’uomo, del soggetto, che abbiam detto prima, è un tema anche sull’operatività, quindi vuol dire domandarsi: cosa vuol dire introdurre l’uomo nell’economia, nella sociologia, nelle scienze. Perché ricordatevi che August Comte, fondatore della sociologia, 1800, parte dal presupposto di far fare delle scienze umane qualcosa di analogo alla chimica, alla biologia, cioè di ridurre, di astrarre da queste il soggetto umano. Quindi voi capite che tutto l’approccio, nel momento in cui è fatto di queste scienze riducendo l’aspetto umano è un approccio che non funziona, non è sostenibile. Allora il lavoro che come Fondazione si vuol fare, per dire, cosa vuol dire nell’economia partire dall’uomo, un lavoro dignitoso, cioè un lavoro in cui non ci sia, come diceva Michelin quando venne qui, la risorsa umana, ma l’uomo come risorsa, un lavoro che rispetti che ci sia la famiglia, che uno abbia la maternità, un lavoro in cui la creatività valga e nell’istruzione non sia la massificazione ma si tenga conto dei non… della creatività, un lavoro in cui un tipo di costruzione di una città in cui la persona si tenga presente. Tutto questo è la base della sostenibilità, senza questo non si capisce, è per questo che poi uno dice il moralismo è la dimenticanza, perché non hai un filo rosso. Secondo passaggio. Ci sono due concezioni, una l’abbiam vista, quella della distruzione, se no la decrescita felice. Ma ditemi come voi, l’han detto prima, potete ripristinare la foresta vergine, l’Amazzonia, dopo questo, ci vuole un enorme lavoro, in cui scienziati capiscono, come hanno capito, che mettendo insieme una serie di semi e mettendoli lì in alcuni anni rinascono pezzi di foresta, oppure piantando le agavi alla base del deserto si chiude l’avanzata del deserto, oppure, per salvare Venezia, voi avete bisogno del Mose, cioè avete bisogno di lavoro, avete bisogno di lavoro anche per migliorare il livello del lavoro. Pensate a tutto il tema dello smart working e altri, l’istruzione si fa di più con internet, quando internet non è solamente i social ma qualcosa che permette di conoscere. Il lavoro dell’uomo è lo strumento per realizzare oggi la sostenibilità, anche il clima, perché tu alla distruzione del clima hai bisogno di tanta scienza, tanta tecnologia, anche perché la decrescita felice vuol dire che non hai più il reddito per pagarti la sanità, non hai più il reddito per istruire, non hai più il reddito per fare le strade, ditemi se voi siete disposti a questa cosa, siamo tutti d’accordo salvo che poi uno ha bisogno di una sanità e di questo. Quindi il lavoro, la tecnologia, la scienza, la conoscenza dell’uomo, è il fattore che permette di costruire un io che va. Terzo passaggio la sussidiarietà, per due aspetti, perché l’io innanzitutto va educato, se va educato a qualcosa come il sacro, anche questo ha bisogno di luoghi dove questo va educato, perché l’io da solo non viene educato, ha bisogno di luoghi, anche il sacro ha bisogno di luoghi, religiosi, umani, ma l’io che costruisce lavoro e altro, è sempre un’equipe, è sempre un team, non è più l’uomo solo al comando, non è Michael Douglas Wall Street, non va più di moda quel tono, andate a vedere, io ho un amico che lavora… per Musk, il lavoro è in team, chi fa da solo non funziona, pensate che lì quando uno fa un progetto, prima di darlo al cliente deve sottoporlo alla verifica e alla critica di tutti i dipendenti, anche quelli sotto di lui, perché vale l’idea che tu devi essere criticato, devi rispondere. Quindi questo punto di educazione, punto di costruzione, ma anche punto di dialogo, perché su certi temi di sussidiarietà bisogna dialogare. Io per esempio da ambientalista sono per il nucleare contro l’idroelettrico. L’idroelettrico distrugge i fiumi, è la cosa peggiore, molto meglio un impianto nucleare pulito, mi piace discuterne senza ideologie che ti spremono addosso, mi piace discutere coi gruppi ambientalisti, mi piace discutere con gli industriali, è fondamentale perché nessuno ha la verità in tasca su questi temi, si tenta, si deve ragionare, già con team di scienziati poi tra i politici, non si può andare ad anatemi. Quindi la sussidiarietà come punto di dialogo, punto di confronto è fondamentale. Allora capite che lavorare per un’economia che ha al centro l’uomo, per un’educazione che costruisca la persona, per una possibilità di una politica che permetta il dialogo e sottolinei i punti come il parlamento, come il dialogo tra partiti e realtà di base, che danno informazioni, che mettono a tema la gestione popolare dei parchi piuttosto che di pezzi di città, è una questione fondamentale, e allora hai bisogno di politiche sussidiarie di questo tipo. Allora capite che io, lavoro e sussidiarietà sono i fili rossi che fanno ricordare una sostenibilità. A me piacerebbe sviluppare questo aspetto che, anche dei grandi esperti come Giovannini, dicono che non è stato sviluppato, che il pilastro sociale della sostenibilità è debole, è molto forte tutta la riflessione ambientale sul clima, ma questo aspetto è debole, e fino a quando non sfondiamo questo aspetto noi non riusciremo a fare politiche, perché tutti noi, già in questa stanza, saremo lontani, mentre nel momento in cui nel nostro paniere di beni, nel nostro desiderio di tirar su i figli, educarli, dargli la salute, c’è dentro questo ma praticabile, comprensibile, con luoghi in cui questa educazione avviene, noi potremo partecipare a questo. E penso questo anche il punto per cui il Meeting, la Fondazione per la Sussidiarietà si interrogano di questo, perché il metodo affrontato per affrontare l’economia, l’educazione, i corpi intermedi, la sussidiarietà, è anche il metodo per rendere la sostenibilità qualcosa di popolare.
Fabrizio Piccarolo: Grazie, grazie davvero ai nostri ospiti, mi sembra che la visione, l’approccio, il metodo che abbiamo sentito oggi siano il modo giusto, il modo corretto, o comunque un tentativo assolutamente interessante di cui tener conto nell’affronto dei temi della sostenibilità. Citando ancora Papa Francesco stiamo vivendo un cambiamento d’epoca e per viverlo all’altezza della sfida che richiede davvero ci vuole un cambiamento culturale, un cambiamento antropologico che chiede anche Papa Francesco. Quindi a me, a noi come Fondazione Lombardia per l’Ambiente sicuramente interessa insieme agli amici che abbiam sentito oggi approfondire e continuare il lavoro. In questi giorni noi siamo presenti al padiglione A3 dove proponiamo tutto il giorno momenti di incontro, laboratori, mostre, tante proposte, se volete venire a trovarci continuiamo il lavoro sui temi della sostenibilità insieme. In particolare alle 17 e alle 19.30 tutti i giorni ma in particolare oggi se volete siete invitati, ci saranno due momenti uno più scientifico alle 17, uno invece più di carattere artistico curato da Davide alle 19.30, sono momenti di incontro con tutti. Termino con un ultimo avviso. Il Meeting è un evento del tutto unico, è l’esito sorprendente e sempre nuovo di una straordinaria collaborazione umana. Una civiltà non cresce senza cultura, dialogo e bellezza ne sono la linfa vitale. Il Meeting è da sempre luogo di cultura e ciascuno di voi può contribuire a far continuare questa grande storia. Lungo tutta la fiera troverete le postazioni “Dona Ora”, caratterizzate dal cuore rosso, le donazioni dovranno avvenire unicamente ai desk dedicati dove vi aspetteranno i volontari che indossano la maglietta rossa “Dona ora”. È un’importantissima novità da quest’anno la Fondazione Meeting è un ente del terzo settore, chi sosterrà il Meeting potrà usufruire dei benefici fiscali al momento della dichiarazione dei redditi. Quindi buon Meeting a tutti e grazie ancora a Davide, Raffaele e Giorgio per questa grande opportunità che ci hanno dato. Grazie.