DOPO FUKUSHIMA, SOLO RINNOVABILI?

Dopo Fukushima, solo rinnovabili

24/08/2011 - ore 15.00 Partecipano: Guido Bortoni, Presidente dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas; Marco Ricotti, Membro dell'Agenzia per la Sicurezza Nucleare e Professore Ordinario di Impianti Nucleari al Politecnico di Milano; Stefano Saglia, Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico; Paolo Togni, Presidente Associazione VIVA; Giuliano Zuccoli, Presidente del Consiglio di Gestione di A2A. Introduce Marco Bersanelli, Professore Ordinario di Astrofisica all'Università degli Studi di Milano.

Partecipano: Guido Bortoni, Presidente dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas; Marco Ricotti, Membro dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare e Professore Ordinario di Impianti Nucleari al Politecnico di Milano; Stefano Saglia, Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico; Paolo Togni, Presidente Associazione VIVA; Giuliano Zuccoli, Presidente del Consiglio di Gestione di A2A. Introduce Marco Bersanelli, Professore Ordinario di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano.

 

MARCO BERSANELLI:
Ok, buongiorno. Benvenuti a questo incontro su un tema molto importante e molto attuale, che riguarda tutti noi. E credo che anche la grande affluenza lo dimostri. Il tema dell’energia, soprattutto dopo quello che è accaduto a Fukushima recentemente. Quello dell’energia è uno dei temi più delicati e più complessi del nostro tempo ed è un tema vitale per la nostra vita, per l’uomo, in tutte le sue diverse manifestazioni e nelle diverse culture. In questo momento storico siamo come di fronte a una nuova ulteriore presa di coscienza dell’importanza di questo tema. E se c’è una certezza è che non esiste una soluzione banale. Ogni volta che si cerca di semplificare in modo artificioso la questione, ci si ritrova spiazzati. Oltretutto viviamo un momento in cui stanno accadendo a livello planetario delle cose nuove. Pensiamo alla crescita rapidissima di nuovi Paesi, con nuovi bisogni energetici. Pensiamo alla Cina, l’India, ma anche il Sud America, pensiamo all’instabilità politica che proprio in questi giorni è sotto gli occhi di tutti noi, pensiamo a quello che sta accadendo in Libia, oppure possiamo leggere per esempio sul Corriere della Sera di oggi l’intervista a Scaroni sul grado di instabilità che stiamo vivendo. E poi la preoccupazione ambientale, e poi le prospettive di nuove possibilità attraverso la fusione nucleare. Sono situazioni che potrebbero cambiare radicalmente lo scenario ma appaiono molto lontane, nonostante tutti gli sforzi dei fisici e degli ingegneri su questo tema. E naturalmente siamo ancora tutti con lo shock di quello che è accaduto a Fukushima, che ha rimesso naturalmente a tema la questione dell’energia nucleare e quello che è accaduto è uno dei più gravi, più forti terremoti della storia conosciuta che ha effettivamente causato questo incidente, da cui oggi vogliamo partire. Perché questo effettivamente è il punto che ha suscitato come un nuovo dibattito, una nuova presa di coscienza della problematica. E i mass media hanno dato molto spesso delle informazioni parziali, anche confuse, anche scorrette. Quindi non rubo tempo, perché abbiamo ospiti di altissimo livello e siamo veramente, io sono personalmente onorato di cercare di moderare questi interventi, questi incontri con persone che vivono dall’interno la questione. E vorremmo ottenere due punti, diciamo, due risultati. Uno capire meglio che cosa è accaduto a Fukushima, che cosa abbiamo imparato da questo. Ma a partire da questo evento domandarci quali sono gli scenari che si aprono oggi, sia a livello italiano, nazionale, ma anche a livello internazionale, a riguardo della politica energetica. Quindi adesso non rubo altro tempo, presento brevemente i nostri ospiti. Abbiamo Guido Bortoni, che è presidente dell’Authority per l’Energia Elettrica e per il Gas; Marco Ricotti che è membro dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare ed è professore ordinario di Impianti Nucleari al Politecnico di Milano; Stefano Saglia che è Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico con la delega appunto all’Energia; Paolo Togni che è Direttore della Scuola Superiore Territori Ambiente e Management dell’Università di Perugina; e Giuliano Zuccoli che è presidente del Consiglio di Gestione di A2A. Ecco, grazie a voi tutti di essere qua, il tempo è poco e i temi sono tosti, come si dice. Vorrei chiedere per cominciare al professor Marco Ricotti di partire dal fatto, il fatto che poi è il titolo da cui partiamo oggi, quello che è accaduto a Fukushima. Lui che è un esperto ci può in pochi minuti dare un’idea più precisa di quello che è accaduto e che cosa abbiamo imparato da quello che è successo e come potremmo evitare quello che è successo.

MARCO RICOTTI:
Grazie al professor Bersanelli e grazie all’organizzazione del Meeting per avermi invitato. Inizio con una battuta. Tu hai detto che sono un esperto. Quando mi hanno chiamato al telefono i responsabili del Meeting per chiedermi se volevo intervenire a parlare di nucleare e Fukushima, devo dire sono stato tentato di rispondere: ma perché chiamate me? Celentano non è disponibile? No, no, no, scusate, era una battuta. Ma siccome i fatti sono più testardi delle idee e delle ideologie che possono accompagnarli, parto con i fatti e i dati che forse non tutti hanno potuto leggere o ascoltare dai media. Li leggo su queste foto che rappresentano uno spaccato, molto piccolo ma eloquente, di cosa è accaduto con il quinto terremoto per intensità di sempre, accaduto in Giappone l’11 marzo. Alcuni dati al 25 aprile, presi da media e da agenzie specializzate giapponesi: il scisma e lo tsunami hanno causato 14.358 morti, 11.889 dispersi, 190.000 evacuati, 12.485 case senza elettricità, 79.000 case senza acqua potabile, 95.107 edifici completamente distrutti, 1.700 strade danneggiate, più di 50 ponti abbattuti, 1 diga crollata. Questo è lo scenario nel quale si colloca, a peggiorare ulteriormente una situazione molto difficile, molto critica, al limite della drammaticità, l’incidente di Fukushima. I dati sono al 10 maggio, sono morti 3 operatori non per cause legate alla radiazione, 1 per il crollo di una gru e 2 che erano nell’edificio turbine che è stato allagato e quindi sono morti annegati; 21 lavoratori sono stati contaminati ma fino ad alcune settimane fa ancora sotto i limiti previsti dall’autorità di sicurezza giapponese; 80.000 evacuati nel raggio di 20 chilometri; poi una parte di evacuazione è stata estesa tra i 20 e i 30 km. Aria, acqua e suolo sono ancora sotto continuo monitoraggio per valutare quali saranno effettivamente gli effetti a lungo termine delle radiazioni. Visto che è importante capire, un commento rapidissimo: perché un reattore nucleare è così unico nel suo genere, perché è così diverso dagli altri impianti per la generazione di energia elettrica? Un reattore nucleare può aumentare la propria potenza oltre alla potenza prevista in fase di progetto, si chiama incidente di reattività. Per questo, per evitare questo scenario, sono previsti i sistemi di sicurezza di arresto rapido della reazione nucleare a catena, cosa che in Giappone ha funzionato in tutti gli undici reattori che erano in quel momento attivi su quella parte della costa colpita dallo tsunami. Secondo motivo di unicità: anche se il reattore è spento, produce, continua a produrre energia termica; una potenza termica residua che cala nel tempo è la potenza di cadimento ma per asportare questa potenza e per evitare il danneggiamento del combustibile fino alla sua fusione, è importante avere in funzione dei sistemi di raffreddamento. Per fare funzionare questi sistemi di raffreddamento di emergenza, se non sono come alcuni progetti di nuova generazione basati su leggi naturali, per farli funzionare serve elettricità, cosa che è scomparsa per il terremoto che ha abbattuto le linee elettriche. Sono però partiti i diesel di emergenza, quindi per 46 minuti, prima dell’arrivo dell’onda dello tsunami, i sistemi di sicurezza stavano funzionando, ma arrivata l’onda, danneggiati i diesel d’emergenza, anche quell’energia elettrica di sicurezza indispensabile è venuta a mancare. Quindi per far funzionare i sistemi attivi serve in qualche modo energia elettrica. Terzo punto di unicità: in caso di incidente, il nocciolo, il combustibile del reattore, può reagire violentemente esotermicamente con l’acqua e il vapore prodotti all’interno, se sono raffreddati con questo liquido e queste reazioni esotermiche possono generare idrogeno; idrogeno che poi abbiamo visto esplodere nelle immagini che tutti ricordiamo. Cosa è accaduto quindi in sintesi? L’11 marzo, dopo il sisma di grado 9.5 scala Richter, dopo 46 minuti sulle coste di Fukushima arriva una prima serie di onde, la più alta delle quali raggiunge i 14/15 metri. Bene, come vedete dal diagramma, come si può intuire dal diagramma, il piano di base della centrale era 10 metri sopra il livello del mare; quindi arrivando un’onda di 14 metri, ha superato le barriere che erano poste a cinque metri e sette e ha inondato l’edificio turbina. Come vedete sotto l’edificio turbina c’è un riquadro con le lettere D e G, che stanno per diesel generator. I generatori diesel di emergenza, per produrre energia elettrica per far funzionare i sistemi di sicurezza, si sono allagati e quindi non hanno potuto più funzionare. Oltre all’inondazione bisogna ricordare che il maremoto ha portato ciottoli, sabbia, grossi pezzi di strutture distrutte durante l’impatto e questo ha ulteriormente danneggiato le strutture e l’impianto. Un’altra informazione interessante, questa è una foto delle unità 5 e 6 del sito di Fukushima Daiich; questi due reattori erano spenti ma è interessante notare nel riquadro con il cerchio giallo, un diesel, un diesel di emergenza che è stato l’unico a poter essere riavviato dopo il maremoto. Perché? Per due motivi: uno, non era sotto il piano dell’edificio turbine ma era su una collinetta, a oltre 14/15 metri di distanza di quota dal livello del mare e quindi l’onda non ha potuto intaccarlo. Secondo motivo della sua sopravvivenza, non era raffreddato ad acqua, quindi non necessitava di pompe di disponibilità di presa di acqua a mare per raffreddare il diesel, ma era raffreddato ad aria. Che cosa ci suggerisce questa immagine, questo commento? Che resistere a questo evento catastrofico limite, al quale ricordo nessun manufatto umano ha resistito, si poteva e si doveva…certo è facile dirlo col senno di poi, questa è una delle classiche lesson learned, lezioni imparate che il nucleare continua a dover imparare in casi limite come questo, come è stato per Chernobyl, come è stato dopo Three Mile Island. Se ho ancora qualche minuto, brevemente, cosa sta accadendo ora? La situazione è la seguente: stanno ormai scemando le emissioni di radiazioni dagli impianti nucleari; il primo step della road map prevista da Tepco, dall’operatore elettrico, è stato raggiunto, è quello di mantenere raffreddato il combustibile; ora si stanno avviando gli altri step ovvero portare i reattori in cold shut down, quindi raffreddamento stabile cosiddetto a freddo, quindi sotto i 100 gradi di temperatura con una circolazione dell’acqua a circuito chiuso, quindi non continuando a prendere l’acqua dall’esterno e iniettarla all’interno dei reattori. C’è un problema nei sistemi di decontaminazione dell’acqua radioattiva, ora funzionano solo al 50%, l’obiettivo è quello di raggiungere il 75% dell’efficienza; i risultati della prima valutazione della task force dell’IAEA, dell’Ente Internazionale dell’Energia Atomica di Vienna, che ha visitato a Fukushima il posto, presentano aspetti positivi e negativi. Ne cito solo tre, uno positivo e due negativi: il primo, pro, la capacità e l’abnegazione dei giapponesi nel confrontarsi con un evento incidentale incredibile; gli operatori hanno cercato di capire cosa stava succedendo in una sala controllo che era assolutamente priva di luci, quindi hanno cercato di intuire quale potesse essere la situazione reale del reattore e hanno operato l’evacuazione di 80.000 persone in tempi molto rapidi e in modo assolutamente ordinato. I contro però: il primo, questo evento di tsunami è stato sottovalutato, la prima linea di difesa era prevista a tre metri e due, poi autonomamente la Tepco l’ha innalzata a cinque metri e sette, ma l’autorità di sicurezza nucleare giapponese non ha rivisto, non ha controllato queste valutazioni; sembra che negli ultimi 150 anni già un paio di tsunami a quote di dieci metri e oltre fossero effettivamente capitati. Secondo, la struttura di controllo, che non era molto chiara e le interferenze a livello politico, a livello industriale paiono esserci state effettivamente nella gestione delle emergenze. Cosa accadrà ora nel mondo e nell’Unione europea? Revisioni sullo stato attuale della sicurezza dei reattori attualmente funzionanti, stress test in Europa circa il nucleare, se sia effettivamente sulla via del tramonto. Magari rispondiamo in seguito. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Grazie. Bene. Adesso chiederei subito all’onorevole Saglia, dopo quello che è accaduto, che abbiamo forse capito un po’ meglio, adesso, e dopo il referendum che c’è stato da noi in Italia, qual è la strategia energetica che l’Italia dovrebbe seguire e quale è più probabile che alla fine vada a seguire, se le due cose non coincidono? In particolare, è possibile realisticamente puntare tutto sulle fonti rinnovabili o sul carbone e con quale risultato, quale costo? Qual è anche il livello accettabile di dipendenza dalla fornitura di energia dai Paesi esteri, a questo punto? Grazie.

STEFANO SAGLIA:
Beh, innanzitutto la relazione di Marco Ricotti ci dà subito una indicazione che è quella che la demagogia e il populismo dovrebbero essere banditi dal dibattito nella politica energetica. Così purtroppo non è stato e non sarà mai, però la politica energetica meriterebbe grandi iniezioni di realismo, visto e considerato che i fattori che determinano una politica energetica sono in gran parte oggettivi e gli scenari e le analisi non dico che siano prevedibili, ma sono sicuramente degli elementi che possono essere messi su un piano perché siano prese delle decisioni. Permettetemi una parentesi: dovremmo essere anche un po’… – e questa è un’autocritica a me stesso e al Governo, visto e considerato che già abbiamo subito la vicenda da un punto di vista demagogico del referendum (almeno questa è la mia opinione) -, dovremmo rincorrere un po’ meno il populismo anche nella costruzione di questa manovra economica, che invece meriterebbe maggiore realismo e maggiore continuità, perché un dibattito quotidiano su alcune… su come smontarla, visto e considerato che l’abbiamo fatta, l’ha fatta il consiglio dei Ministri ed è sicuramente una manovra economica difficile, che contiene anche delle novità sull’energia – non particolarmente gradite ai produttori, e questo lo capisco – non porta da nessuna parte, perché sicuramente, comunque la si voglia modificare, non sarà mai una manovra bella, sarà sempre una manovra che crea dei malumori. Comunque, questo per dire che la politica, quando si sofferma sulla demagogia e sul populismo, fa dei danni. Allora, se è vero quello che diceva Ricotti prima, l’incidente di Fukushima è il terzo incidente rilevante dal punto di vista dello sfruttamento della energia nucleare. In questa stessa sala l’anno scorso ci siamo ritrovati a parlare del “rinascimento” dell’energia nucleare. Ora parliamo di uno scenario completamente diverso, è un dato di fatto che l’energia nucleare subirà un rallentamento, che i costi per la realizzazione delle nuove centrali, determinato dall’innalzamento degli standard di sicurezza, saranno più elevati… è un dato di fatto che il referendum ha comportato da parte del Governo italiano il ritiro del suo programma, ma è altrettanto un dato di fatto che se si analizza la vicenda giapponese e se si analizzano i fattori della possibilità di sfruttamento dell’energia nucleare, sicuramente l’umanità farebbe bene a non rinunciare. Meglio di me ha potuto dire Ricotti, quello che vorrei sottolineare è che noi abbiamo annunciato al Ministro Romani di voler proporre al Paese questo autunno, una nuova strategia energetica per il Paese, naturalmente collegata con gli scenari europei e mondiali. Ora, la prima cosa che balza all’occhio nel costruire gli scenari, le sintesi, i documenti dai quali poi faremo scaturire questa strategia nel confronto e nel dialogo con tutti i soggetti, è che senza energia nucleare è inevitabile che l’obbiettivo che si era posto la comunità mondiale, cioè quello di combattere i cambiamenti climatici, non dico che diventi impossibile, ma diventa sicuramente più difficile. Anche questo è un elemento sul quale, con realismo, si fa questa affermazione; se si cerca invece di inseguire la demagogia o il populismo, ci possiamo dire che i cambiamenti climatici saranno combattuti e contrastati esclusivamente con le fonti energetiche rinnovabili. Non è così e non può essere così, almeno nel breve termine; e quando si parla di breve termine nell’energia si parla di vent’anni, non di due giorni, perché il lungo termine sono cinquanta. Quindi, prima considerazione: poco populismo, poca demagogia, una strategia energetica; seconda considerazione: se guardano le fonti energetiche, e se l’Europa, come del resto ha confermato, vuole perseguire l’obiettivo di essere leader mondiale nel contrasto ai cambiamenti climatici e quindi nella riduzione di emissioni di Co2 nell’atmosfera, non può rinunciare all’energia nucleare. E di questo si potrebbe discutere a lungo, anche rispetto alle scelte che alcuni Paesi hanno fatto, anche alla scelta tedesca, che è ancora tutta da costruire nel tempo. Qual è l’elemento che ci consente di dire “centreremo gli obiettivi di Kyoto, e riusciremo a raggiungere la riduzione delle emissioni clima-alteranti”? Purtroppo negli ultimi anni è stata la recessione economica, la crisi economica. Allora, se il punto è: centreremo gli obiettivi, riusciremo a ridurre le emissioni di Co2, ma saremo tutti più poveri, perché è la crisi economica che riduce la quantità di Co2 nell’atmosfera, e non le tecnologie e gli investimenti, credo che il mondo, o quantomeno l’Europa, stia arrivando a darsi un paradiga piuttosto discutibile. Invece che cosa bisogna fare? Sicuramente bisogna utilizzare tutte le fonti disponibili; nella disponibilità italiana, ad oggi, non c’è più il nucleare, quindi è inevitabile che le fonti energetiche rinnovabili saranno in crescita, pur non essendo, diciamo, in grado di rispondere alla domanda complessiva nel giro di dieci o venti anni in maniera esaustiva. Cosa voglio dire? Consideriamo che la produzione italiana di energia primaria è stata il 2,7% del nostro fabbisogno per quanto riguarda le estrazioni di petrolio, il 3,7% per quanto riguarda le estrazioni di gas, e l’11,3% per le fonti energetiche rinnovabili, che è tanto. Noi siamo tra i Paesi, forse il Paese che in Europa ha visto crescere di più gli investimenti nelle fonti energetiche rinnovabili. Tante volte noi, per colpa anche del Governo, che ha una capacità di comunicazione piuttosto scadente, nonostante il nostro Presidente sia il più grande comunicatore della storia politica, noi non siamo capaci di spiegare che abbiamo investito non solo molti miliardi di euro delle vostre bollette nelle fonti energetiche rinnovabili, ma stiamo continuando a farlo. Tant’è che dal 2008 al 2010 le fonti energetiche rinnovabili sono cresciute del 30%. Però, vi ho detto questi numeri per dire che, probabilmente, forse riusciremo nel 2020 a centrare l’obiettivo che ci ha dato l’Europa, ma questo ovviamente sarà un obiettivo che comporterà la possibilità di coprire un 17% del fabbisogno con le fonti energetiche rinnovabili. Consentitemi una parentesi, se non ho ancora sforato: abbiamo costruito l’architettura normativa per arrivare a questi obiettivi e in settembre-ottobre usciranno i decreti attuativi per tutte le fonti energetiche rinnovabili, quindi biomasse, geotermia e quant’altro…, la parte che riguarda il fotovoltaico, il quarto conto energia è già in vigore, quindi diciamo che l’Italia oggi è, non solo un Paese in linea con gli obiettivi europei, ma è un’eccellenza nello sfruttamento delle energie rinnovabili. Nonostante questo, ovviamente, la parte preponderante sarà quella del gas: il gas tornerà – non è mai scomparso, per la verità – continuerà ad essere la principale fonte dalla quale generare energia elettrica e il nostro riscaldamento, e ovviamente il Governo dovrà porre grande attenzione a quelli che sono i problemi, a cominciare dalla Libia e dagli altri Paesi che hanno visto la cosiddetta rivoluzione dei Paesi Arabi. Quindi le fonti energetiche rinnovabili sono parte della strategia; l’Italia, ormai, ha una leadership quanto meno negli investimenti – sarebbe bene riuscire a prendersi anche la leadership industriale, anche se su alcuni pezzi, diciamo, è praticamente irraggiungibile perché i Cinesi hanno già spiazzato tutti, anche su quel tipo di prodotti -, il gas sarà assolutamente preponderante ancora per molto tempo, sul nucleare stiamo continuando a lavorare nei programmi di ricerca, e infine, concludo, una parte fondamentale del piano, della strategia, sarà quella dell’efficienza energetica. Anche qui l’Italia spesso non vuole o non sa spiegare all’Europa e al mondo le sue leadership. L’Italia è il primo Paese in Europa, nell’Europa a 27, per quanto riguarda il consumo di energia per unità di prodotto: vuol dire che siamo i più efficienti nei processi industriali, nei processi commerciali, nei processi economici, siamo i più efficienti d’Europa. Anche per questo, diciamo, i miglioramenti sono più difficili rispetto ad altri Paesi, ma anche l’efficienza energetica è un driver per la crescita, perché rappresenta la possibilità di fare di più con meno, quindi di riuscire a produrre, rimanendo il secondo Paese manifatturiero europeo, consumando per unità una quantità di energia inferiore. Questo è un obiettivo già raggiunto, e che si può continuare a perseguire, sempre secondo l’assioma che dovremo rispettare, quello di un ambiente più pulito, di un’energia meno costosa, di un mercato liberalizzato. Tutto questo lo si fa perché la nostra economia possa essere competitiva, poi, se uno ha altri obiettivi non lo so; io credo che un Governo normale, serio, dovrebbe avere questo tipo di obiettivi. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Grazie. Continuando su questo filo, io chiederei all’ingegner Bortoni: siccome lo scenario internazionale sta cambiando, vediamo quanto rapidamente, forse imprevedibilmente, stia cambiando, quanto noi siamo in grado di prevedere questo cambiamento? C’è qualche certezza che possiamo avere, diciamo per il prossimo futuro, in questo scenario, in Italia, nel contesto internazionale?

GUIDO BORTONI:
Sì, grazie, buon pomeriggio a tutti. Inizio subito dal punto della certezza o incertezza. Chi ha letto la nostra relazione in Parlamento, che abbiamo fatto il 6 Luglio, ha potuto notare come la nuova autorità – ci siamo insediati da appena sei mesi – si sia posta l’obiettivo di far progredire i settori che noi regoliamo e controlliamo, che sono l’energia elettrica e il gas, su quattro binari, le cosiddette quattro “c”: la crescita, il coordinamento comunitario europeo, la consapevolezza, il consumatore. Tra queste “c” non abbiamo menzionato la “c” di certezza, il titolo del Meeting 2011, ma non per una dimenticanza o perché non ve ne fosse bisogno: anzi, il contrario. Il discorso programmatico dell’autorità, se andate a rileggerlo, era tutto un lottare, un contrapporsi nei confronti – l’esatto contrario della certezza – delle incertezze che attanagliano il nostro presente e futuro, anche energetico. Sarebbe bello andare avanti sul tema della assoluta certezza, o immensa certezza, ma credo che sbaglierei convegno, quindi mi limito a fare il mio lavoro e a guardare alle incertezze nell’energia. Così come i mercati finanziari, anche i mercati dell’energia stanno vivendo una stagione di grande, e se si può dire, maggiore incertezza rispetto a quello che potremmo definire il nostro passato prossimo nell’energia. Il passato prossimo dell’energia – l’ha detto Stefano Saglia – così come il futuro, va a colpi di dieci anni; appena dieci anni fa era tutto un altro mondo, più certo, più prevedibile, più scontato. Adesso abbiamo di fronte un qualcosa di sicuro più turbolento, però dobbiamo comunque affrontarlo, aprire gli occhi e prevederlo. Faccio qualche esempio delle variabili incerte, che abbiamo già toccato con mano, proprio per capirle: la crisi economico-finanziaria e la conseguente riduzione dei consumi. Se uno guarda la curva della domanda energetica del Paese negli ultimi … diciamo, dal dopoguerra in poi, si notano gli shock petroliferi degli anni ’70, i due shock petroliferi che hanno dato un colpo in negativo alla nostra domanda, ma mai si era visto una recessione nella domanda energetica così intensa e così permanente, pervasiva, come quella che stiamo vivendo dal finire del 2008 nella cosiddetta crisi. L’incidente di Fukushima, che ha portato al ripensamento del nucleare. Otto mesi fa, io stavo parlando con – facevo un altro lavoro, ero al dipartimento per l’energia – stavo parlando con il mio collega di allora, il direttore generale dell’energia tedesco, il quale in una riunione internazionale è dovuto scappare via di corsa, “io devo andare a finire il documento per la Merkel, per prolungare la vita degli impianti nucleari”. L’ho salutato ed è andato. Dopo gli eventi di Marzo, lo stesso personaggio ha scritto un documento di segno opposto. L’evoluzione tecnologica. Si veda il caso dello Shell gas che ha cambiato l’orizzonte delle riserve di gas del mondo. Chi pensava che le riserve del gas potessero moltiplicarsi per cento anni, come invece sembrano essere quelle accertate, non quelle presunte? E anche in termini di localizzazione delle risorse del gas nel globo, non solo più nei Paesi, diciamo, un po’ critici. E l’instabilità politica nelle aree tradizionalmente chiavi del nostro approvvigionamento energetico sono sotto gli occhi di tutti.
Quindi questi sono solo alcuni punti incerti che abbiamo visto mutare repentinamente in maniera drammatica sulla pelle del nostro settore energetico. In questo quadro di variabili incerte si inseriscono le problematiche ambientali circa la crescita sostenibile dell’umanità e i suoi modi possibili, i suoi percorsi possibili, e la forte attenzione ai cambiamenti climatici che, badate bene, sono come forieri, sono prodromi di enormi risvolti sociali: se vuoi la pace conserva il creato, diceva Benedetto XVI. Ed è molto vero questo, con le connesse politiche di sostegno, lo sviluppo delle fonti rinnovabili – se guardate le fonti rinnovabili e il loro utilizzo è, come dire, avvenuto il ribaltamento del paradigma rispetto ai miti della rivoluzione industriale, in cui si predicava e si sottolineava il mirabolismo di tutto ciò che invece era artificiale, costruito dall’uomo.
Fonti rinnovabili, che sebbene possano rappresentare, unitamente all’aumento dell’efficienza energetica, una solida risposta ai problemi ambientali e di sicurezza degli approvvigionamenti, slegandoci un po’ dalle importazioni dall’estero, difficilmente da sole saranno in grado di dare una risposta alla sempre maggiore rischiosità dei mercati dell’energia. Anzi, probabilmente, le fonti rinnovabili, non tutte ma alcune tecnologie di fonti rinnovabili aumentano la rischiosità dei mercati energetici – magari lo approfondiamo dopo la replica nel secondo giro, ma sono sicuro che Giuliano Zuccoli già parlerà di questo D’altra parte l’incertezza in un settore come quello dell’energia presenta dei profili di grande criticità; in altri termini non si fa un piccolo danno se si sbaglia a fare il mix della produzione, degli approvvigionamenti, si fa un grande danno, che si riverbera sulle famiglie e sulle imprese, quindi ne va della competitività del Paese. Diverso è per esempio il settore – lo cito sempre – dell’ACT, delle telecomunicazioni, per cui uno oggi compra un tablet, sbaglia, dopo sei mesi va fuori dal suo, come dire, orizzonte, bèh, si riconvertirà con un po’ di fastidio; l’energia è esattamente il contrario: se si sbaglia si paga caro. Allora, arrivo alla fine: che cosa si può fare? Che cosa può fare il regolatore dell’energia? Noi, come autorità, non dobbiamo né vogliamo indicare al Paese la strada energetica, come invece è compito di Governo e Parlamento, noi possiamo aiutare; compito della regolazione è quello di mettere in campo una serie di strumenti – e qui vado ancora alla certezza-incertezza – strumenti preferibilmente di mercato, che senza distorcere i segnali di prezzo, consentano di ripartire più correttamente il rischio tra i diversi attori del sistema, riducendo così la dimensione dell’incertezza. Un tentativo, quindi, attraverso la regolazione dell’autorità di limitare, di assoggettare questa incertezza, che, come vi ho detto, è molto dannosa per il settore energetico. Se ho tempo, nel secondo giro vedremo un caso concreto di una nostra regolazione, che cerca di introdurre maggiore certezza o comunque un meccanismo che eviti le turbolenze tipiche di questi temi. Perché proprio il regolatore? Perché la natura stessa del nostro mandato, che come sapete è pluriennale, è svincolato da logiche di ricerca del consenso, legittime, eh, ma tipiche dei cicli politici ed elettorali. Questa natura del nostro mandato è la miglior garanzia della tenuta nel tempo di una certa coerenza di questi meccanismi di riduzione del rischio o delle incertezze nei mercati. In altri termini, cerchiamo di accompagnare con la nostra azione la dinamica dei mercati, introducendo una coerenza intrinseca. Noi rimaniamo sette anni – sette anni è un battito di ali rispetto alle vite tecniche, economiche degli investimenti nell’energia, però è certamente meglio un periodo di coerenza di questo tipo piuttosto che un cambiamento, diciamo, tutti i giorni, quotidiano, delle decisioni che possono far male al settore dell’energia. Questa lotta alle incertezze, oltre a questo aiuto che viene dal regolatore, con il suo mandato settennale, non si fa solo cercando di rendere coerente l’azione pubblica nel tempo, ma anche cercando di stabilizzarla, ampliandola nello spazio, ampliandola di orizzonte, e ovviamente capite che vado verso l’Europa. Se le politiche energetiche, non dell’autorità, ma la regolazione dell’autorità, possono essere svolte in ambito – verranno svolte – in ambito europeo, si possono cogliere sinergie, assorbimenti di rischi, aumenti di dimensioni, leve finanziarie, che sono impensabili ad un livello nazionale. È sotto gli occhi di tutti quanto l’esiguità dell’ambito decisionale nazionale è, come dire, causa dell’incapacità di risolvere problemi globali o integrati, che dir si voglia. Certo, andranno vinti, per andare su questa strada, individualismo, nazionalismi, a tratti anche egoismi, ma è l’unica via concreta per far fronte e diminuire questa incertezza. Un esempio concreto di nazionalismi o di egoismi è quello degli eurobond: l’autorità è talmente convinta di questo allargamento, che vada fatto questo allargamento europeo, che è arrivata ad auspicare, sempre nella relazione annuale, che la neonata Agenzia per il coordinamento dei regolatori nazionali, che sapete ha sede in Slovenia, arrivi ad assumere il ruolo analogo nella regolazione energetica, ovviamente, a quello che la BCE ha per le banche centrali di ogni stato dell’Unione europea. Quindi noi arriviamo anche ad immaginare questo: una devoluzione dei poteri regolatori a livello europeo per consentire questa stabilità. In sostanza, e chiudo, in questo contesto di incertezza che oggi, e ancor più in futuro, è destinato a caratterizzare il mercato dell’energia, il ruolo della regolazione, in sintesi, è di promuovere la realizzazione di una rete di protezione, un’assicurazione, una sorta di meccanismo di stabilità, in grado di attutire gli effetti di eventuali shock, garantendo così un ordinato funzionamento dei mercati. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Grazie. Quindi procediamo, riprendendo anche alcuni degli spunti che già sono emersi, con il professor Togni, al quale chiederei di intervenire anche sulla tematica ambientale, che sembra essere al centro, no?, come il driver degli interessi, soprattutto rispetto alle fonti rinnovabili dell’energia. Chiederei appunto quali sono gli aspetti critici che devono essere affrontati per sviluppare in modo sano, in modo realistico, questo tipo di fonte di energia che, come abbiamo detto, come abbiamo ascoltato, vede l’Italia in pole position, anche a livello internazionale.

PAOLO TOGNI:
Vorrei cominciare facendo una premessa: delle persone che sono a questo tavolo, io sono l’unico che non ha compiti di gestione o di controllo istituzionale. Questo per me è motivo di frustrazione, però per voi sarà motivo di sapere che dico quello che penso e non quello che devo dire. Allora, allora… parliamo di ambiente. Vado velocissimo, ma intanto siete tutti adulti e vaccinati e sapete ricollegare le cose. L’ambiente è essenziale alla vita dell’uomo. Non è l’uomo essenziale alla vita dell’ambiente. Nella visione della dottrina sociale cristiana c’è un chiaro approccio antropocentrico alle problematiche ambientali, cioè l’ambiente è qualcosa che deve garantire la miglior condizione di vita dell’uomo. Questo risale alla Genesi, quando, dopo la creazione, il Padreterno assegnò ad Adamo il compito di godere del creato ed è sempre stata una costante nel pensiero cattolico, l’ambiente quindi è uno strumento che però occorre tutelare. E perché occorre tutelare? Perché naturalmente noi ne siamo gestori e fruitori, ma non ne siamo proprietari. È qualcosa che ci è stato trasmesso perché lo possiamo utilizzare, e che noi dobbiamo trasmettere perché i nostri figli, nipoti e pronipoti fino alle generazioni delle generazioni possano anch’essi utilizzarlo. Allora, c’è un impegno duplice: da un lato quello di utilizzare l’ambiente per il benessere delle persone, dall’altro l’obbligo di tutelare l’ambiente per le future generazioni. La difficoltà di tutte queste cose è quella di trovare una linea di equilibrio che consenta di coniugare al meglio l’una con l’altra esigenza. Non c’è una strada di tutela dell’ambiente che non preveda grandi costi. Chi dice che l’ambiente è un’opportunità e non un costo è un mentecatto. L’ambiente è un costo, e anche un costo pesante, che bisogna avere la responsabilità di pagare, perché è necessario per garantire, come ho detto prima, il futuro delle nostre generazioni. E questa è una prima premessa. Volevo fare una seconda premessa, sull’energia. Dall’inizio della rivoluzione industriale, siamo a metà, seconda metà del 1700, ogni cittadino del mondo sviluppato ha aumentato il consumo di energia di almeno 40 mila volte. Questo è un calcolo fatto considerata l’energia a disposizione, considerata anche l’efficienza, però migliorata, degli strumenti di utilizzazione, eccetera. A fianco di questo andamento fortemente crescente dei consumi – fino a qualche decennio fa il consumo di energia si raddoppiava ogni vent’anni nel mondo, quindi era un andamento molto forte – cos’è successo? L’aspettativa di vita è raddoppiata, la popolazione è cresciuta, si è moltiplicata in maniera notevole, almeno per 15 volte, in nessun momento della storia tante persone sono state bene e in salute come adesso. Certo, ci sono le sacche di disagio, ci sono i bambini che muoiono per non avere disponibilità di acqua buona da bere, però in percentuale, sul complesso della popolazione, questa fetta di fratelli disagiati è in costante diminuzione, perché il benessere si diffonde anche quando non lo si vuole, si trasmette, si allarga con un processo suo proprio. E anche le qualità ambientali sono migliorate. Se noi vediamo, contro la disinformazione e la mistificazione che circola, se noi vediamo i dati sulla qualità dell’aria delle città di 40 anni fa, quando si è cominciato a fare… 45 anni fa, quando si sono cominciate a fare le rilevazioni, e adesso, vediamo che il miglioramento è stato drastico, e lo sanno bene i milanesi. Perché? Perché non hanno più la nebbia in cui non si poteva neanche camminare, perché la qualità dell’aria è migliorata, ci sono meno corpuscoli diffusi, quindi le cose vanno avanti. Quindi, di fronte a questo quadro – seppure sintetico – dobbiamo dire no ai pauperismi. Lo sviluppo è un bene in sé, che deve essere condizionato e organizzato per garantire non solo lo sviluppo in sé ma anche che lo sviluppo avvenga nel rispetto della qualità ambientale necessaria per garantire la qualità della vita umana. E questo, guardate che vale per noi, ma vale anche per i Paesi emergenti. Tutti voi avrete letto su qualche giornale della nuvola nera di inquinamento, che incombe sulla Cina, che si vede dai satelliti, eccetera. Sarà pur vero. La verità è che la Cina e i Paesi emergenti stanno attraversando oggi la fase che noi abbiamo attraversato 50 anni fa o 60 anni fa, in cui il produrre era prioritario rispetto alla qualità dell’ambiente. È chiaro che se noi abbiamo messo 50 anni per riuscire a produrre nel rispetto dell’ambiente, questi Paesi, che possono sfruttare le conoscenze tecniche e le tecnologie che noi abbiamo conquistato, ci metteranno un periodo maggiore. Io intanto tra 50 anni non ci sono più, quindi non è un problema, ma sono pronto a scommettere con voi che fra 50 anni le forme di inquinamento oggi esistenti non esisteranno più nel mondo. Allora, veniamo all’Italia: noi consumiamo io sapevo sui 50, 55 mila gigawatt all’anno, e c’è il problema di vedere da dove li peschiamo questi qui. Non voglio parlare del nucleare, perché forse Stefano Saglia si ricorda che l’anno scorso, proprio su questa cosa, io dissi: tanto il nucleare non si farà mai, non perché non sia possibile, non sia… ma perché manca la capacità amministrativa per poterlo fare. Allora quindi per me non è…

STEFANO SAGLIA:
Non dirne altre, quest’anno…

PAOLO TOGNI:
basta così… tanto ormai si è chiusa… dico, quindi io non parlerò di nucleare, perché nel mio ragionamento non c’è mai stato. La verità è che, nel creare il mix energetico, dobbiamo tenere presente una serie di fattori che sono quelli già accennati della sicurezza, dell’articolazione degli approvvigionamenti, del costo degli approvvigionamenti. E allora, io, da povero ignorante, direi che sicuramente dobbiamo premere un po’ di acceleratore sull’uso del carbone, che è la risorsa più economica tra quante ce ne siano disponibili; cercare, se è possibile, di raffinare ancora l’uso dell’idroelettrico, che già in Italia è molto sviluppato, perché si è fatto… si chiama carbon bianco. Non so se vi ricordate, quando io ero piccolo si diceva: l’Italia c’ha il carbon bianco, cioè l’energia prodotta con i salti d’acqua, e spingere anche l’acceleratore sul discorso delle rinnovabili. Migliorare l’efficienza energetica, hanno detto bene, ha detto bene chi mi ha preceduto, è estremamente difficile, perché l’efficienza energetica italiana è ai massimi livelli nel mondo. E quindi, certo, si potrà migliorare, ma il miglioramento marginale è sempre molto difficile e costoso. E quindi è una partita da tener presente ma non da assolutizzare. Sulle rinnovabili, qual è il problema? Il problema è quello del rapporto costi/benefici. Naturalmente nei costi e nei benefici non bisogna includere solamente il dato economico, ma anche quello ambientale e sociale, per poter avere un quadro completo e credibile. Ora, io sommessamente ritengo che in questo momento ci sia un eccesso di incentivi nei confronti delle energie rinnovabili (poi a casa passerò un guaio e chi mi conosce sa perché) però… però… e quindi, su questo fronte bisognerà fare una valutazione seria per valutare se e quanto, come e dove convenga insistere sugli incentivi e dove invece sia più opportuno attenuarli o addirittura sospenderli. Io mi ricordo un dato nell’orecchio: 100 miliardi di euro di incentivi nei prossimi 10 anni è la manovra economica. Voglio dire: leviamo gli incentivi alle rinnovabili e stiamo tutti bene. Questo, questo potrebbe essere… questo potrebbe essere una soluzione. Allora, comunque… vengo a una conclusione perché sto già… comunque, il problema qual è? È che nella articolazione della produzione siamo in ritardo e dobbiamo investire sugli impianti e articolare questi impianti in modo tale che siano corrispondenti alle esigenze. Quindi, insisto ancora, maggior carbone e maggior razionalizzazione degli altri impianti. Poi, ragionare sugli incentivi delle rinnovabili… a proposito, io arrivo da Roma venendo… e proprio qui alle porte di Rimini c’ho… ho passato una frazione di Santarca… non so, non di Rimini, ma di un altro paese, che si chiama sant’Ermete. Io credo che l’abbiano costituita i sostenitori delle rinnovabili in onore di Realacci, che doveva esser qui e non è venuto, però insomma… va beh, a parte questo, a parte questo, concludo. L’umanità ha progredito, nel tempo, attraverso sfide costantemente rinnovate, costantemente vinte e costantemente superate. Questa del dopo Fukushima, cioè la cessazione anche dell’illusione della prospettiva del nucleare, è un’ulteriore sfida che ci si pone davanti. Però ricordiamoci che il Vangelo ci dice che il Padreterno non pone a nessuno delle sfide che non possa superare. Questo è motivo dell’immensa certezza che possiamo esporre anche in questo Meeting.

MARCO BERSANELLI:
Grazie. Adesso chiediamo al dottor Giuliano Zuccoli, che, come ho detto, è presidente della A2A, una testimonianza, un breve esempio, ma importante, di come una utility, appunto, come la A2A di importanza nazionale, oggi può agire nella situazione attuale. Quali scelte devi fare e quali sono le condizioni in cui il suo contributo può essere meglio al servizio del bene comune, soprattutto tenendo conto della difficoltà economica in cui ci troviamo?

GIULIANO ZUCCOLI:
Grazie. Siccome io faccio parte di quella pattuglia che era qui l’anno passato a confrontarsi sul tema del nucleare, in un clima completamente diverso da quello che abbiamo davanti oggi, mi consenta il moderatore di fare qualche riflessione sul tema. Poi magari parliamo del discorso locale, però il livello del confronto e del dibattito è talmente alto che qui io metto il cappello di presidente della Edison e di presidente della Associazione dei produttori, per entrare un po’ nel merito della discussione che è stata aperta oggi. Dicevo, ero qui l’anni scorso a difendere il nucleare, sono venuto qui quest’anno pronto a fare delle domande e devo dire che il professor Ricotti mi ha buttato nello sconforto più totale, perché il professor Ricotti ha anticipato la risposta, mi ha detto: di morti a Fukushima non ce ne sono stati, di irradiati non ce ne sono. Ma allora noi, che eravamo qui a difendere la logica del nucleare nel contesto energetico, ci siamo ritirati di fronte all’arroganza e al fatto di tenere alta la voce di coloro i quali in realtà hanno difeso e sostenuto una cosa falsa. E allora è giusto, è giusto che oggi ci chiediamo: abbiamo cambiato idea, noi? No, noi non abbiamo cambiato idea, anzi, siamo qua a dire che forse questi ragionamenti dovevamo farli 5 o 6 mesi fa. Ma la domanda successiva è la seguente. Nell’interesse di chi era il concetto di demolire, attraverso Fukushima, l’avventura del nucleare? C’erano e ci sono interessi nascosti o c’era una mera ignoranza o comunque volontà di non affrontare il problema? Io credo che oggi la riflessione sia importante, non tanto e solo in questo settore. Faccio l’esempio di quello che sta succedendo sui mercati finanziari. Quando ci vediamo un’azienda come la mia, 10500 dipendenti, 6 miliardi di euro di fatturato all’anno, che la mattina vale 80, la sera vale 50, la mattina dopo vale 70: ma chi ci sta prendendo in giro? Io non credo, non credo che siano i piccoli risparmiatori, i pensionati, che la mattina vanno a vendere l’azione della A2A e la sera le vanno a ricomprare. C’è qualcosa d’altro dietro, e quindi anche nel nucleare, a mio parere, c’è stato qualcosa d’altro. Cioè interessi forti concentrati e mirati a demolire una logica di modernità. Perché vedete, cari amici, il nucleare è una cosa moderna ma è antica. 13 miliardi e mezzo di anni fa c’era… qualcuno dice una capocchia di spillo, qualcun altro lo definisce come una piccola sfera. Bang! Da lì, da energia pura è nata la materia. E da lì in avanti l’universo è retto solo dalle leggi legate alle reazioni nucleari. Il fotovoltaico in realtà è figlio di una reazione nucleare, perché nel sole ogni minuto, ogni istante, c’è una fusione continua dell’idrogeno, che produce energia che poi farà il fotovoltaico. Quindi, le reazioni nucleari sono alla base delle leggi di natura. E allora come si può immaginare di buttare nella spazzatura un concetto che, da una quantità di materia che sta nel pugno di una mano, produce tanta energia pulita quanta se ne produce da 5 o 6 petroliere che navigano negli oceani? Come si può difendere e andar contro questo principio solo sbandierando il concetto dell’ignoranza? Io non ci credo, anche perché oggi la rete è tale per cui l’ignoranza non è più ammessa, le informazioni girano a tutti. Quindi vuol dire, al contrario, che la rete serve agli interessi di pochi per pilotare poi il pensiero di tanti. Il rischio quindi è che noi andiamo verso una emarginazione degli spiriti liberi per difendere, per difendere i concetti dei pochi. Quindi questo è il mio pensiero sul nucleare. Questa è la verità, ma la realtà è un’altra. La realtà è che non si fa, e allora dobbiamo, in modo pragmatico, cercare di seguire altre cose, anche se continueremo a difendere il nostro modo di pensare, perché la ricerca della verità comunque è scritta nel nostro blasone. La realtà è che dobbiamo dare risposte alternative. Anche qui vi inviterei a riflettere sulla necessità di non farsi piegare dagli slogan. Noi non abbiamo bisogno di cosiddette fonti rinnovabili fra virgolette, dietro le quali… dietro questa parola si possono nascondere le più grandi nefandezze, che poi, magari, accennerò. Noi dobbiamo parlare di fonti che producono energia a basso costo e che non sia inquinante. Se poi per fare questo uso il nucleare o uso altri strumenti, non importa. Non è il concetto del fare il rinnovabile in sé che fa testo o che fa legge. Ripeto, che fa testo o che fa legge è che devo produrre energia a basso costo, non inquinante. A basso costo per aumentare, aiutare lo sviluppo dell’umanità, non inquinante perché non possiamo lasciare e consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti uno schifo di pianeta ormai appestato. Allora, l’altra riflessione che voglio condividere con voi è quello che succede a livello internazionale. Negli Stati Uniti non è mai stato un problema quello che noi stiamo dibattendo. Sono sempre stati molto laici, hanno seguito per certi aspetti il discorso del nucleare. Non ci sono mai state grandi concentrazioni o grandi aziende internazionali. Veniamo invece in Europa. In Europa le posizioni sono molto chiare. Da un lato la Francia: era ed è nuclearista convinta, non ferma le centrali nucleari. Quindi di nuovo qui mi chiedo: noi abbiamo fatto la battaglia per non fare il nucleare perché abbiamo paura delle scorie radioattive? Ma le centrali francesi sono appena aldilà della frontiera! Credetemi, le radiazioni non si fermano per mostrare il passaporto alla frontiera. Tranquillamente passano le Alpi e arrivano a casa nostra. Quindi, il concetto che noi abbiamo fatto una battaglia per uscire dal nucleare, ma che non andiamo in Francia per obbligare i francesi a chiudere le loro centrali, mi sembra un atteggiamento veramente poco serio. Allora, comunque la Francia ha riaffermato il principio: lì è e lì ci sta. Perché, provate a immaginare se domani la Francia dovesse fermare le centrali: il Paese va in default, l’Europa salta per aria, noi tutti andiamo in recessione. La Germania di suo, anche perché in questo momento ha al vertice un personaggio che ovviamente interpreta anche le sue inclinazioni, ma io credo più per motivi nazionalistici e revanscistici, non vuole piegarsi alla supremazia francese del nucleare e quindi ha detto: io il nucleare non lo faccio, faccio altre cose. Nel frattempo la più grande azienda elettrica tedesca locale ha chiuso recentemente i bilanci, dichiarando perdite o minor guadagni in modo rilevante, anche derivante dalla chiusura della centrale nucleare in Germania. L’Italia – e qui al mio amico Stefano ho l’obbligo di dare qualche punzecchiatura e qualche stimolo, altrimenti sarebbe un pomeriggio perso – l’Italia da questo punto di vista non c’è, non si è ancora espressa. Io credo che il punto fondamentale è che si superi il principio del territorio. Il problema dell’energia non può essere un problema del Comune, ma neanche della Provincia, se ci saranno ancora. Ma neanche della Regione. È un problema nazionale. Noi ne abbiamo viste di tutti i colori. Ne abbiamo viste di tutti i colori quando siamo andati a far le centrali là dove… non là dove servivano ma là dove il sindaco accettava, magari in un posto che si chiama Scandale, sperduto in Calabria. Abbiamo fatto una centrale da 800 megawatt, perché il sindaco, poveretto lui, con i contributi che magari riusciva a portarsi a casa, 100 mila, 200 mila euro, metteva a posto il suo bilancio. Ma non era… lì la centrale non serviva. Sul discorso, ad esempio, del fotovoltaico – e qui apro un altro fronte, sugli incentivi – quello che dice il professor Togni è sacrosanto: la logica è che gli incentivi non ci siano. La logica è che i soldi servano per far ricerca, in particolare in un settore arretrato come quello del fotovoltaico. Addirittura, lo dico contro la mia natura ma lo dico lo stesso, è più ragionevole immaginare che il fotovoltaico sia costruito da un soggetto pubblico, il quale a quel punto non fa, non persegue la logica dell’utile e quindi non fa lobby per aumentare le bollette, ma fa, investe, e quello che ricava dall’attività lo usa per innovare e far ricerca. Noi oggi abbiamo delle tecnologie obsolete e superate. Noi cittadini tutti stiamo finanziando chi? Non lo sappiamo. E questo è l’ultimo passaggio, nel senso che stiamo arrivando al fai-da-te dell’energia, altra cosa di una pericolosità totale. Mi si dice che a fine anno ci sarà un… ci saranno un milione di punti di consegna, appunto, di questi impianti. Ma chi va a controllare che il singolo operatore, per esempio, non usi la batteria dell’automobile per andare a fatturare il chilowattora a 500 euro a megawatt ora? Chi lo sa? Un milione! Ma chi fa le fatture, chi va a controllare i contatori? Per che cosa? E poi, ripeto, in un sistema delicato come quello elettrico, che per definizione ha bisogno di una regia nazionale integrata. Perché, se manca improvvisamente il vento o manca il sole, cosa succede? Non vediamo la finale di Coppa dei campioni? Per carità, mai! Quindi la cosa sta diventando seria, il Governo ben ha fatto nel cercare di tamponare in qualche modo questo assalto alla diligenza che è stato fatto: secondo noi non è sufficiente. Concludo, anche qui con una battuta: Robin Hood non ha mai fatto una guerra per mettere le tasse. Robin Hood ha sempre fatto la guerra per abolire le tasse, perché Robin Hood era contro lo sceriffo di Nottingham, non era a favore dello sceriffo. Quindi, la tassa che oggi si immagina di mettere sui produttori – che qualcuno dice “tanto non si trasferirà sui prezzi”: non so come, perché se perdiamo soldi in qualche modo verrà trasferita – la dice lunga su come questa componente della manovra vada riletta e riscritta in una logica più generale. Basta tirare per la giacchetta i nostri governanti, lasciamoli lavorare. Che facciano un intervento coordinato, sistematico, giustamente improntato all’equità, ma non alla stupidità. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Ringrazio tutti gli ospiti perché davvero ci stanno dando un affresco della situazione attuale da cui almeno io personalmente sto imparando moltissimo. Si capisce anche tutta la complessità del tema. Io chiederei adesso un secondo giro, rapido, in modo che ciascuno possa sinteticamente raccontarci in pochi minuti quali sono le criticità, le strategie e le opportunità, perché se c’è qualche cosa che ci muove in positivo è quello di cogliere, anche nel momento più critico, come questo può essere una nuova opportunità per l’Italia e nel contesto internazionale. Chiedo quindi di intervenire a Paolo Togni.

PAOLO TOGNI:
La domanda non è semplice, voglio dire, che se sapessi trovare la risposta ve la venderei ben cara. Se mi consentite, allargo un attimo il contesto economico complessivo. Io credo che l’aumentare delle tasse non sia mai servito a rilanciare un Paese. I Paesi si sono rilanciati o quando è stato fatto un forte indebitamento, che noi non possiamo fare, oppure quando le tasse sono state decisamente ridotte, e a quel punto si è rimesso in moto il meccanismo economico. Abbiamo due esempi concreti, specifici. La Thatcher e Reagan, che sono due persone che hanno tagliato le tasse e hanno determinato così, dopo un brevissimo ciclo negativo, una forte ripresa della loro economia. Questo vale anche per l’energia; è chiaro che Robin Hood era contrario alle tasse, e quindi questa Robin Tax la chiamerei piuttosto Nottingham Sheriff Tax, perché tanto alla fine finisce che mette sempre le mani in tasca a noi, così come, torno a ricordarlo ancora una volta, ogni soldo di incentivo che lo Stato, il sistema pagano ai produttori di energie rinnovabili è un soldo che noi abbiamo pagato, perché come tutti voi sapete, gli incentivi si ripagano con una quota della bolletta energetica, e quindi, evidentemente se c’è un signore che lucra perché opportunamente e intelligentemente si è fatto un buon impianto foto-voltaico, lui lucra e noi paghiamo, e questo non mi pare che sia la cosa migliore da farsi in assoluto. Io credo che di questo ci sarebbe da parlare tanto. Sul cambiamento climatico, io credo che noi non possiamo far nulla perché non c’è nessun elemento di causa umana nell’andamento delle temperature, non ci vengano a raccontare della CO2, non ci vengano a raccontare che entro il 2050 dovremo spendere 100 mila miliardi di dollari per abbassare la temperatura di 0,6 gradi, che è l’obiettivo che l’IPPS si è posta e ha diffuso. Secondo me, è la più grande truffa della storia dell’umanità, poi potrete pensare che io sia un demente e un mascalzone, tanto sono abituato a queste cose, dato che io dico quello che penso e non trovo tanti consensi in genere. Però io credo, a parte tutte queste cose, che il nostro Paese debba ritrovare un minimo di spirito di sacrificio, non di coesione, perché i progressi più grandi l’Italia li ha fatti in un momento in cui c’era una divisione maggiore di quella che c’è adesso, nell’immediato dopoguerra fra democristiani e comunisti, i comunisti ammazzavano i democristiani e i democristiani cercavano di mandare in galera i comunisti, non sempre riuscendoci. E in quel momento il nostro Paese ha fatto la massima crescita, allora la coesione non serve, è una sciocchezza, serve invece che si ritrovi spirito di sacrificio e volontà di impegnarsi. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Dottor Zuccoli…

GIULIANO ZUCCOLI:
Nel secondo giro voglio parlarvi dell’utility, un mondo importante, un mondo che ha segnato la storia di molte città, e voglio ricordare e ricordarvi che negli ultimi anni queste realtà sono diventate importanti nel contesto. Voglio ricordare l’operazione diffusione tra la M di Milano e la SM di Brescia, e certamente noi che conosciamo la nostra storia, sappiamo che fin dal Medioevo era impossibile uscire dal muro di cinta per andare nel paese vicino, il fatto dunque di aver creato una realtà che metta assieme due città come Brescia e Milano, a mio parere, è un segnale confortante che apre uno scenario di positività. Adesso il nostro compito è di fare argine al preponderante, al violento attacco che ci viene dall’estero, in cui ci sono degli operatori internazionali che vedono l’Italia come un mercato. Noi dobbiamo essere in grado di rispondere, non alzando le barriere protezionistiche ma dimostrando di essere più bravi di loro, anche attraverso la ricerca di un’unità di intenti e una condivisione di obiettivi. Io credo che le molte utility oggi siano un esempio classico, molto di più dell’azienda a capitale privato; lo spirito che si respira nel nostro mondo è questa volontà di dimostrare che non siamo inferiori agli altri, anzi, per certi casi siamo più bravi. E allora, nel settore dell’energia dell’ambiente diamo le risposte che contano, il teleriscaldamento, gli inceneritori – la nostra azienda ha risolto il problema di Napoli e stiamo sistemando quello di Acerra, senza il quale Napoli avrebbe la spazzatura al terzo piano delle case -, stiamo attenti all’ambiente, al territorio, vogliamo rilanciare l’auto elettrica, perché questa è la nostra missione, però chiediamo alla politica che ci difenda, per certi aspetti ci aiuti a difenderci da un attacco violento, concentrato e concordato da parte degli operatori internazionali, che molto spesso sono operatori pubblici, ancor più pubblici di noi. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Marco Ricotti.

MARCO RICOTTI:
Sì. Continuo la simpatica polemica di Celentano e quindi sarò ligio al detto milanese: “ofelé fa’ il to mesté”, cioè “parla di quello che sai”, quindi gli ultimi tre commenti. Nucleare sulla via del tramonto: ci sono molte incertezze a riguardo, alcuni Paesi sono verso il face out, la Germania lo ha dichiarato per il 2022. Ricordo che dei 58 mila articoli apparsi sulla stampa e nei media su Fukushima, in Europa circa 40 mila sono stati prodotti solo in Germania, quindi la situazione politica è effettivamente molto difficile e complessa. Anche la Svizzera ha deciso di uscire dal nucleare, ma nel 2034, il Giappone sta pensando a quali strategie per i l futuro, però sembra che non voglia abbandonare a breve il nucleare. Ci sono altre nazioni invece che hanno ripensato al face out, la Svezia prima di tutte, ma anche la Spagna ha qualche dubbio in proposito, poi ci saranno certamente rallentamenti sulle nuove costruzioni, anche per le verifiche di sicurezza sulle centrali attuali, ma paiono mantenere per la propria opzione nuove costruzioni sul nucleare Stati Uniti, il Regno Unito, la Corea, i famosi Paesi BRIC, cioè Cina, India, Russia, soprattutto la Cina, e anche il Brasile; poi è delle ultime settimane, degli ultimi mesi, la decisione di Polonia, Lituania e Slovacchia di completare o costruire nuove centrali. L’Italia dovrà partecipare, perlomeno agli stress test, ha sulle spalle il compito di effettuare le commisioning e trovare un deposito per i propri rifiuti generali. Un rapido commento generale al titolo, “Dopo Fukushima solo rinnovabili”: ecco, qui mi calo completamente nella parte del professore universitario, anche nella mia veste di vicedirettore del più grande dipartimento di energia oggi operante nelle università italiane, che è quello del Politecnico di Milano, che è nato solo tre anni fa, quindi mi tocca difendere le rinnovabili, ma lo faccio con piacere dal punto di vista tecnico scientifico, anche se non ce n’è bisogno. Devo dire che “solo” è un avverbio che non esiste nel problema energetico, non è realistico, come ci è stato detto, infatti, da oculati investitori, occorre diversificare e investire su tutto; è giusto spingere sull’innovazione, soprattutto sulla ricerca e sviluppo, in particolare sulle rinnovabili. Forse su questo settore siamo un po’ indietro, ma serve investire in ricerca e sviluppo anche su tutte le altre fonti energetiche. I due driver principali, a mio modesto avviso, per una politica energetica, devono essere oggi, senza nucleare, una riduzione del costi della bolletta energetica e cercare di sfruttare questa debolezza strutturale italiana (non abbiamo fonti energetiche in casa) per favorire uno sviluppo industriale ed economico. Chiudo con una fortissima preoccupazione per il mantenimento delle competenze, e quindi sulla formazione, sulle ricerche e sviluppo del nucleare, nonostante le dichiarazioni in periodo referendario. Anche se avessimo chiuso il nucleare, comunque avremmo dovuto andare avanti sulla ricerca e sviluppo. Siccome è il primo referendum che passo, il primo l’ho fatto da studente e poi da professore, dopo Chernobyl so che cos’è avvenuto, beh qualche preoccupazione ce l’ho, soprattutto per l’istituzione Paese. Servono esperti per capire, serve stare al passo con i nuovi sviluppi, serve partecipare alle verifiche internazionali, e serva anche supportare l’industria italiana, che comunque continuerà a fare business nel settore, ovviamente all’estero. Se mi permettete, chiudo con un sms che mi ha inviato un mio carissimo collega, professore insieme a me al Politecnico, lo sposo in pieno, lui dice: non c’è certezza senza ragionevolezza, che comprende ovviamente l’imparare. Se per il momento smettiamo di costruire o di impegnarci sul nucleare, almeno però non smettiamo di imparare. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Grazie. Ingegner Bortoni.

GUIDO BORTONI:
Avevo fatto la promessa di fare un esempio di come la regolazione fa fronte allo scenario futuro e la mantengo. Ecco, uno dice: adesso hanno parlato un po’ tutti, anch’io prima, siamo di fronte a uno scenario da qui al 2020, dopo non si sa, ma almeno da qui al 2020, le fonti che ci saranno sono quelle indicate da Stefano Saglia, quindi il gas e le fonti rinnovabili, quel poco carbone che abbiamo e il petrolio che è in discesa – sto parlando del mix elettrico. Siamo in grossa sovracapacità, quindi c’è molta capacità produttiva, come diceva prima Giuliano Zuccoli, abbiamo molte centrali anche nuove, nuovissime, che non lavorano per il numero di ore annue per cui sono state progettate, quindi c’è grossa abbondanza di capacità produttiva e che cosa facciamo? L’autorità introduce un meccanismo, che avrete sentito nella vulgata, si chiama capacity payment, in realtà non è un capacity payment ma è una sorta di assicurazione, detta bene, a far sì che da qui al 2020 la capacità convenzionale, quindi termoelettrica, anche quella nuova, che servirà per far fronte allo scenario tumultuoso di fonti rinnovabili, rimanga in servizio. Perché quella centrale, io non glielo auguro, di Scandale che oggi non lavora, non è detto che io la ritrovi nel 2020 con il cellofan su, da qua al 2020, spacchettata e pronta; probabilmente qualche impianto chiude. Allora, da uno scenario di sovracapacità felice rischiamo rovinosamente di catapultarci in uno scenario di scarsità con alti prezzi ecc. Quindi il nostro meccanismo che abbiamo fatto recentemente, che abbiamo inviato al Governo per l’approvazione e che può andare in vigore dal 2016-2017 in poi, è una sorta di assicurazione a due corni: un corno è quello che assicura, ai produttori esistenti e nuovi che faranno trovare capacità all’orizzonte stabilito, al 2016-2017, un premio, un sussidio, un contributo che li aiuti, non che gli ripaghi completamente i costi necessari a mantenere in vita la capacità che è necessaria; l’altro corno è un’assicurazione sui consumatori: se andiamo verso uno scenario, e poi dirò una parola, di assoluta predominanza delle rinnovabili intermittenti, immaginate il foto-voltaico previsto per 23 mila mw nel sud Italia, potremmo trovarci nella situazione in cui il foto-voltaico, quando non produce perché passa la nuvoletta, debba essere supportato dai necessari mezzi convenzionali, quindi dalla produzione termoelettrica normale, per far fronte e farci vedere la partita di fine Coppa Italia. Questo vuol dire che accanto a questo scenario di grosso e tumultuoso sviluppo di fonti rinnovabili, noi non possiamo comunque fare a meno di una sorta di generazione tradizionale di backup. Che cosa può succedere da qui al 2020? Che specialmente nel centro-sud del Paese, perché poi è lì dove il sole incide maggiormente, potremmo trovare che per un numero enorme di ore all’anno, di giorno, il foto-voltaico la faccia da padrone, e quindi non essendoci la nuvoletta che spiazza, come si dice tecnicamente, i cicli combinati, produce lui e gli altri stanno fermi. Che cosa succede in un regime di mercato, se questi impianti devono portare a casa i loro costi, ergo non devono fallire, nelle poche ore in cui passa la nuvoletta? Se immaginano che il foto-voltaico inizi a tossire, e quindi a non produrre, devono fare dei prezzi fantasmagorici per poter portare a casa in trenta, cinquanta, cento ore l’anno, ce ne sono 8.760 nell’anno, i ricavi necessari a stare i piedi. Ecco il meccanismo dell’autorità che arriva a tutelare, a proteggere, ad assicurare il consumatore finale da questi picchi di prezzo, che saranno assolutamente naturali se andiamo in uno scenario centro-sud Italia di questo tipo. Il nord è risparmiato? Ma neanche per sogno. Il presidente del RTE, del gestore di rete francese, ha detto che la Francia avrà dei problemi di copertura del carico elettrico nel 2016, perché non fermano il nucleare ma avranno dei programmi di riorganizzazione del parco nucleare. La Germania, è stato già detto qual è lo scenario a cui fa fronte, e quindi è chiaro che anche la parte del nord Italia sarà esposta sempre di più ad un accoppiamento elettrico con questi Paesi, che ci chiederanno energia, e voi sapete benissimo che in un’area di mercato in cui viene richiesta energia per esportazione, il prezzo aumenta. Ma non è giusto in questo scenario, e concludo perché mi rendo conto che è un po’ complicato, che il consumatore italiano del nord paghi un prezzo alto dell’energia perché c’è una opportunità di esportazione verso Francia e Germania. Ecco quindi che anche nello scenario del nord, questa assicurazione del capacity payment da una lato, primo corno, assicura che noi arriviamo, o comunque abbiamo un percorso di generazione convenzionale compatibile con la tumultuosa generazione rinnovabile, in particolare foto-voltaica, che nel Paese progressivamente si sta installando, e dall’altro assicura che nello scenario di accoppiamento verso i Paesi di Francia e Germania, i picchi di prezzo vengano sterilizzati, o comunque limitati, contenuti sul consumatore italiano. Questo è un esempio, forse il più complicato, dovevo annoiarvi di meno, ma è un esempio di un meccanismo che l’autorità ha messo in piedi e che cerca di aumentare il grado di certezza, che è poi all’origine del nostro convegno. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Grazie. Onorevole Saglia.

STEFANO SAGLIA:
Visto che dobbiamo concludere, esprimerò un auspicio che è il seguente: siccome entro il 2014, se non sbaglio, le borse energetiche d’Europa, le borse nazionali, dovranno armonizzare i loro meccanismi di calcolo e quindi creeranno un po’ di più il mercato europeo, l’orizzonte che noi abbiamo di fronte dovrebbe essere un mercato europeo dell’energia. Non è uno slogan ma una cosa concreta: entro 2014 ci saranno questi fatti, oltre ovviamente a tutte le direttive e quant’altro. Questo significa che a noi un mercato un po’ più europeo conviene, visto e considerato che il mix energetico italiano, di cui abbiamo parlato fino ad adesso, è sbilanciato e il mix europeo invece è ben bilanciato: nucleare, carbone pulito – o, insomma, ristrutturazione in carbone pulito – rinnovabili e gas. Per cui se il mercato a cui noi aspiriamo è un mercato europeo, un mercato più continentale e meno nazionale, che ci azzecca, per dirla con Di Pietro, che noi abbiamo ancora il titolo V della Costituzione con la legislazione concorrente, cioè, per l’energia? Andiamo verso una globalizzazione dell’energia, un mercato unico europeo, ci sono già delle scadenze sul tavolo, la nostra Costituzione, ahimè, cambiata a colpi di maggioranza nel 2001, prevede che l’energia sia concorrente fra regioni e Stato. L’abbiamo superato, lo dovremmo superare, è in corso l’iter parlamentare della riforma costituzionale che toglierà anche questo elemento. Infatti, non è un elemento qualsiasi, perché riuscire non a escludere – perché poi gli enti locali nei processi autorizzativi e in queste competenze continueranno ad esserci – ma che vi sia una politica energetica nazionale bene definita anche dalla Costituzione, è un patrimonio gigantesco, importante, la cui mancanza negli ultimi dieci anni ci ha fortemente penalizzato. Quindi concludo dicendo una cosa, che è molto politicamente scorretta: pur credendo in un’economia di mercato, pur credendo che il mercato energetico debba continuare a essere un mercato, la liberalizzazione deve essere interrotta. Anche noi che diciamo “facciamo la strategia energetica nazionale”, forse dovremmo dire “facciamo il programma energetico nazionale”, cioè facciamo una cosa dove qualcuno decide e qualcuno realizza, attraversando gli schieramenti politici, perché un programma energetico ha bisogno di vent’anni e ha bisogno di scenari fino al 2050. Quindi un bel programma energetico non è una sovietizzazione dell’argomento. Ho premesso “viva il mercato”, ma il programma energetico è necessario per dare delle certezze ai cittadini, a delle imprese di un Paese che ha l’ambizione, penso, di continuare a restare nel G8. Grazie.

MARCO BERSANELLI:
Io penso che possiamo raccogliere questo auspicio che l’onorevole Saglia ci ha lanciato. Il tema dell’energia è un tema stabile al Meeting di Rimini, un dialogo come quello di oggi non è una cosa ovvia, non è ovvio poter entrare in rapporto con chi, appunto, vive la questione internamente e ha un orizzonte ampio sul tema, è un’occasione grande. Io mi auguro quindi che l’anno prossimo, con questo realismo, con questo coraggio con cui vogliamo continuare ad affrontare questo tema che ancora ha bisogno di ricerca, io spero che l’anno prossimo al Meeting ci sia uno spazio, magari ancora più ampio di quello che abbiamo avuto oggi, per poter vedere evolvere la situazione. Grazie a tutti.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2011

Ora

15:00

Edizione

2011

Luogo

Sala Neri GE Healthcare
Categoria
Incontri