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DISUGUAGLIANZA: IL PREZZO CHE TUTTI PAGHIAMO
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In collaborazione con Fondazione per la Sussidiarietà
José Manuel Durão Barroso, già presidente Commissione Europea e presidente non esecutivo Goldman Sachs International; Branko Milanovic, economista, tra i più noti esperti internazionali sul tema della disuguaglianza, professore alla City University of New York. Introduce Samuele Rosa, economista senior FMI (Fondo Monetario Internazionale) e Fondazione per la Sussidiarietà
Si pensa spesso che l’economia produca una sorta di pensiero unico che parte dal paradigma dell’economia classica con al centro l’agente che massimizza il consumo sotto vincolo di bilancio e l’impresa che massimizza il profitto date le tecnologie. Si assume che la forma storica della economia di mercato che ha preso il capitalismo moderno debba in qualche modo dare le basi per una prosperità equamente condivisa. In realtà non è così. Innanzitutto le diseguaglianze, in particolare dentro i paesi, stanno aumentando a dismisura. Inoltre, la storia del pensiero economico è molto più ricca di riflessioni su come lo sviluppo economico porta con sé diseguaglianze e quali politiche bisogna mettere in atto per ridurle. Dialogheremo su questo con il prof. Milanovic, l’economista di fama mondiale per le sue analisi sull’emergenza di diseguaglianze crescenti, che ha recentemente arricchito il suo lavoro rivisitando i maggiori economisti classici per svelare il loro punto di vista su questo tema; e chiederemo all’ex presidente della Commissione Europea Barroso quali politiche economiche e sociali sono state messe in pratica, in Europa e non solo, per affrontare questo problema.
DISUGUAGLIANZA: IL PREZZO CHE TUTTI PAGHIAMO
DISUGUAGLIANZA: IL PREZZO CHE TUTTI PAGHIAMO
Martedì, 20 agosto 2024 Ore 15.00
Sala Gruppo FS C2
Partecipano:
José Manuel Durão Barroso, già presidente Commissione Europea e presidente non esecutivo Goldman Sachs International; Branko Milanovic, economista, tra i più noti esperti internazionali sul tema della disuguaglianza, professore alla City University of New York.
Introduce:
Samuele Rosa, economista senior FMI (Fondo Monetario Internazionale) e Fondazione per la Sussidiarietà
Rosa. Buon pomeriggio a tutti e grazie tante per partecipare in gran numero a questo importantissimo incontro del Meeting di Rimini, che verte sulla questione dell’ineguaglianza, il prezzo che tutti paghiamo. Avremo quindi una conversazione all’intersezione tra economia e istituzioni, economia e politica. Per dare un po’ il quadro della questione di cui si tratta, la crescente diseguaglianza tocca differenti dimensioni, non solo reddito e ricchezza, poi ne parleremo. Per alcuni osservatori, l’iniquità di pensiero sta minacciando proprio la coesione delle nostre società. Contemporaneamente, molti economisti, che fanno parte di questa categoria, pensavano che la disuguaglianza fosse diventata quasi endemica al sistema economico e che fosse in crescita, nonostante nel frattempo si osservi una crescita della ricchezza importante nel mondo, secondo spinte di sviluppo di alcuni paesi. Abbiamo il problema dei divari in termini di reddito. Il divario di reddito tra i ricchi, tra l’1% della popolazione e la metà più povera, sta crescendo in maniera molto significativa in gran parte del mondo e generalmente all’interno dei paesi. Abbiamo visto che tra gli anni ’90 e il 2000 quasi la metà della ricchezza creata, diciamo così, l’incremento della torta, è andata nelle mani dell’1% dei più ricchi. L’accumulazione e la concentrazione di patrimonio, quindi non solo di produzione di ricchezza, quindi di flussi ma anche di stock, è stata quasi più importante. In alcuni anni questa ricchezza è stata ancora più concentrata. Ho un dato incredibile: nel 2016 l’82% della crescita della ricchezza, quindi il flusso, è andata per quasi il 70% nelle mani dell’1% della popolazione più ricca. Quindi sono questioni importanti, sono questioni che ci toccano ed è importante parlarne. Siamo in realtà molto fortunati di poter discutere qui con relatori eccezionali.
José Manuel Durão Barroso non ha bisogno di presentazioni, ma voglio dire due parole su di lui, sapendo che è anche un grande amico del Meeting, ex Presidente, come tutti sappiamo, della Commissione Europea, e attualmente Presidente del GAVI, l’International Alliance for Vaccines, quindi l’Alleanza Internazionale per i Vaccini. È stato nominato, come sapete, Primo Ministro del Portogallo nel 2002. Durante la sua presidenza, l’Unione Europea ha preso posizioni molto forti, per quello che io chiamo destino condiviso. Il professor Barroso, perché insegna anche all’università, ha fatto una richiesta importante affinché l’Unione Europea evolvesse come una federazione di stati nazionali, con una integrazione più profonda. Ha anche chiesto che vi fosse una integrazione bancaria più efficace per affrontare le sfide e il declino economico che ci si presentava.
Branko Milanovic ci segue da New York, lo ringrazio molto. Good to have you here, Branko. È uno dei più rinomati esperti internazionali sul tema dell’ineguaglianza, in pratica una sorta di testa di ponte, la punta di diamante, che ha focalizzato la comprensione di queste mega-dinamiche che stavano sviluppandosi sotto i nostri occhi. È professore alla City University of New York e giustamente l’area principale di cui si occupa è la disuguaglianza del reddito, ma anche altre dimensioni della disuguaglianza, a livello dei singoli paesi e a livello globale. Ha scritto una serie di libri che sono ormai famosi in questo settore, veri punti di riferimento. *Global Inequality* è un libro famosissimo che ha offerto una mappa di questa evoluzione della disuguaglianza a livello globale e all’interno dei paesi ed è stato tradotto in più di 16 lingue. E adesso ha scritto un libro che a me piace particolarmente perché affronta le questioni della storia del pensiero economico e quindi di come negli ultimi 200 anni i principali economisti, dai fisiocratici francesi fino ai più importanti neoclassici, incluso Kuznets, ma anche economisti che offrono altre prospettive, come Karl Marx, si siano posti il problema delle diseguaglianze. Si aspettavano che la diseguaglianza crescesse? Era la diseguaglianza un problema o no? È importante che un economista che ci ha permesso di vedere l’emergere della diseguaglianza dal punto di vista dei trend globali abbia poi intrapreso un cammino per rimettere in discussione il pensiero economico e reimparare ciò che ci veniva offerto come schema, come struttura di pensiero. A me questo piace davvero tanto. E questo, come dicevo all’inizio, è un contributo all’intersezione tra economia e politica. Volevo quindi ancora ringraziare i nostri relatori e li ringrazio per la loro disponibilità a dare il loro contributo nella piazza del Meeting, che ormai definisco una piattaforma che dall’Italia guarda il mondo, nella mia terra, che è la Romagna, come sapete bene. E qualcuno di voi è qui presente. Quindi sono molto contento di chiedere un caloroso applauso per loro. Cominciamo a interrogare l’economia per portare risposte alla politica.
Vorrei quindi rivolgere qualche domanda a Branko. Volevo iniziare dal tuo interesse, nel tuo ultimo libro, a ripercorrere la storia del pensiero economico, un tema che in Italia si studia e si insegna ancora molto nelle università rispetto ad altre realtà che ho visto in giro per il mondo. Nel tuo ultimo libro, *Vision of Inequality*, hai intrapreso una conversazione immaginaria ma serrata con i principali economisti della storia del pensiero economico. Ti chiedo: perché hai sentito la necessità di fare questo? Tu avevi già a disposizione dei dati. Noi economisti maciniamo dati. A volte sembra che avendo i dati tutto dovrebbe essere chiaro. Invece tu hai sentito il bisogno di reinvestigare, di rimettere in discussione i pensatori più importanti. Cos’è che non ti bastava sapere con i dati? E cosa hai imparato? Cosa devono sapere i giovani e le persone presenti in questo pubblico molto variegato di quello che tu hai imparato per capire il mondo che ci circonda? Questa è la prima domanda. Grazie mille, Branko.
Milanovic. Grazie mille, Samuele, per l’invito e per l’introduzione. Mi dispiace molto non poter essere con voi a Rimini, quindi questa è una scelta di ripiego, ma grazie alla tecnologia, comunque, ho la possibilità di partecipare, anche se davvero vorrei essere lì con voi. Cercherò quindi di rispondere alla tua domanda brevemente. Per prima cosa, mi sono sempre interessato a questi grandi pensatori e tutto è iniziato in particolare durante il Covid, quando ho cominciato a rileggerli. Ho ripreso in mano autori che non leggevo davvero da tantissimi anni. Li conoscevo già, ma era da tanto che non li leggevo. Vi darò sei nomi, in particolare, tra quelli presenti nel libro. Quindi tutto comincia con François Quesnay, prima della Rivoluzione Francese, i fisiocratici, e poi andiamo avanti con Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, Pareto e Simon Kuznets. E poi c’è l’ultimo capitolo che affronta gli sviluppi dopo Kuznets, dove non ci sono stati pensatori specifici, però comunque c’è stata un’evoluzione di questo pensiero.
Devo dire che ho davvero studiato moltissimo e ci sono centinaia di titoli su alcuni di questi pensatori, di questi economisti. È chiaro che ho cercato di concentrarmi su un aspetto specifico e in particolare mi sono posto una domanda: ho cercato quindi di immaginare una conversazione con loro, è chiaro che tutto questo è immaginario come pretesto narrativo. La domanda era questa: quali sono le forze che determinano la disuguaglianza nella sua epoca e come pensa che evolveranno nel futuro? Questa è una domanda importante perché, ad esempio, Adam Smith era molto concentrato sulla dinamica, mentre Marx era concentrato su un altro aspetto, ovvero la diseguaglianza generata da un’economia capitalistica, e soprattutto sulla concentrazione del capitale e il declino dei salari. Per quanto riguarda invece Pareto, Kuznets e anche David Ricardo, ebbene, loro si sono concentrati sull’elemento dinamico, chiedendosi cosa sarebbe successo se ci fosse stata una certa evoluzione economica e sociale e, soprattutto, se le leggi sul grano fossero state abolite nel Regno Unito.
Poi, tornando ad Adam Smith, devo dire che forse è risultato il più critico rispetto all’accumulo capitalistico, quindi rispetto a ciò che Marx definì più tardi accumulazione primitiva. Smith assume una posizione piuttosto forte di disaccordo rispetto anche all’origine del benessere e della prosperità, che risultano dal colonialismo, quindi anche da attività predatorie e di saccheggio. Questo mi ha leggermente sorpreso, soprattutto ho constatato un atteggiamento piuttosto critico rispetto alle diseguaglianze e ai metodi di accumulo della prosperità. Questa forse è una differenza che ho riscontrato rispetto ad altri pensatori ed economisti. È chiaro che non posso addentrarmi nei dettagli, ma analizzando i testi di Marx anche rispetto ai contenuti, credo che Marx pensasse, anche sulla base degli esempi che fornisce, ed era consapevole di questo, che i salari dipendono da elementi storici e che nei paesi più sviluppati ci sono salari reali più alti. Ad esempio, fa un confronto tra Russia, Austria-Germania e Inghilterra e, in particolare, evidenzia come in Inghilterra i salari reali siano più alti.
Poi ci sono altri temi affrontati da Marx, ad esempio la sua profezia secondo cui, se i profitti tenderanno a ridursi, potrebbe esserci anche una riduzione delle disuguaglianze. Ma è chiaro che se invece c’è una concentrazione della ricchezza, si assiste a una polarizzazione crescente. Voglio concludere la risposta dicendo che possiamo imparare due cose. Per prima cosa, la nostra visione delle divisioni nelle società di solito dipende dalle condizioni che caratterizzano quella società. In secondo luogo, possiamo capire meglio come è avvenuta l’evoluzione, perché l’elemento classista è sempre sembrato essere al centro di tutte le divisioni, quindi la divisione tra concentrazione della proprietà e forza lavoro. Con Pareto, invece, si passa alle disuguaglianze individuali senza considerare la proprietà e si arriva a distinzioni tra persone che vivono nelle aree rurali e quelle che vivono nelle aree urbane. Spesso però ci si dimentica di queste distinzioni, e gli individui sembrano diventare intercambiabili. Forse è in quest’ottica che le disuguaglianze non sono ancora state studiate abbastanza.
Poi c’è anche il contrasto di nuovo tra proprietà e forza lavoro, e infine le disuguaglianze di genere che non sono mai emerse nei lavori che ho riletto, ma anche questo è un nuovo tema. Ci sono delle divisioni che sussistono anche lì. Non vediamo ancora l’emergere di questo tema nella misura in cui lo vediamo emergere chiaramente oggi. In generale, rileggere questi economisti mi ha fatto focalizzare alcuni temi importanti. Sono sicuramente tra gli economisti più importanti, a cui sono stati dedicati tantissimi titoli, e sicuramente Marx è uno di quelli che ha fatto scorrere più inchiostro.
Rosa. Grazie mille, Branko. Allora vorrei fare un passo successivo. Alla luce di quello che, rileggendo i maestri, hai, come dire, rifocalizzato su quello che sai riguardo l’evoluzione delle disuguaglianze con i dati che continui ad aggiornare, quali pensi siano le principali linee di riforma di politica economica o anche di riforme istituzionali che possano, se non risolvere immediatamente, almeno affrontare al cuore il problema per come lo vedi oggi? Tutti noi vorremmo crescere in un mondo dove vi sia un po’ più di prosperità diffusa per i nostri figli rispetto a quella che abbiamo avuto noi o i nostri nonni. Non sembra più il caso. Cosa fare?
Milanovic. Beh, si tratta davvero di un problema enorme e pochi minuti per rispondere sono ragionevolmente insufficienti, ma anche se mi desse invece di 7 minuti 700 minuti, sarebbe comunque impossibile trattarlo esaustivamente. Quindi voglio innanzitutto cominciare con una piccola precisazione. Quando osserviamo le disuguaglianze all’interno dei singoli paesi, come hai citato, in molti paesi, soprattutto quelli più grandi come la Cina, gli Stati Uniti, il Regno Unito, o anche il Sudafrica, le disuguaglianze sono aumentate. Non c’è dubbio: negli ultimi trent’anni, ad esempio, le disuguaglianze sono aumentate moltissimo negli Stati Uniti. C’è stato davvero un grande aumento della disuguaglianza in alcuni paesi, ma a livello globale c’è stata una riduzione, e questo può portare a confusione. Le persone possono pensare che, se in alcuni grandi paesi le disuguaglianze aumentano, allora esse aumentino ovunque. Ma in realtà, a livello globale, le disuguaglianze sono diminuite perché paesi che erano piuttosto svantaggiati o che si sono arricchiti recentemente, come il Vietnam, l’Indonesia, la Thailandia, l’India e anche la stessa Cina, hanno generato tassi di crescita enormi. Negli ultimi 40 anni, c’è stata comunque un’evoluzione, con tassi di crescita annuali del 7-8%, fino al 9%, e questo ha portato a una riduzione delle disuguaglianze a livello globale. Quindi voglio essere chiaro su questo punto: a livello globale, c’è stata una riduzione delle disuguaglianze, anche se contemporaneamente c’è stato un aumento delle disuguaglianze in alcuni grandi paesi, inclusa la Cina. Questo era un primo punto che volevo chiarire bene.
Poi, per tornare alla domanda, credo che sappiamo quali sono gli strumenti per ridurre le disuguaglianze, quindi dall’istruzione alla tassazione, quindi gli strumenti fiscali, e anche la diffusione della proprietà. Vorrei dividere gli approcci in due categorie. Da un lato, bisognerebbe agire di più sul fronte fiscale, ad esempio con il patrimonio, i redditi da capitale, e i redditi più alti. I due approcci non sono alternativi, ma dovrebbero essere combinati, almeno analiticamente. Il secondo approccio consiste nel definire l’obiettivo di aumentare l’uguaglianza rispetto alla proprietà dei fattori di produzione. Può sembrare complicato, ma in realtà la diffusione del capitale al di là della classe media può ridurre le disuguaglianze, perché sappiamo che il 90% dei capitali finanziari è posseduto dal 10% della popolazione in media. Questo sarebbe un modo per ridurre le disuguaglianze. E poi, ovviamente, l’istruzione. L’istruzione dovrebbe essere più diffusa, e sicuramente può essere diffusa più facilmente della proprietà del capitale, ma anche questa può contribuire alla riduzione delle disuguaglianze. Quindi, analiticamente, ritengo che dovremmo cercare di agire su due leve: una che lavori sulla redistribuzione, quindi pensare a sussidi e a strumenti fiscali, e l’altra, più soggettiva, che includerebbe l’aumento della proprietà dei mezzi di produzione e del capitale oltre la classe media. Bisognerebbe migliorare l’istruzione, soprattutto nelle classi più svantaggiate. Questi sono due approcci analiticamente distinti, ma penso che ora potremo sentire il punto di vista della politica per vedere quali potrebbero essere le soluzioni.
Rosa. Grazie mille, grazie mille per questo. Questo mi dà l’opportunità di spostare la nostra conversazione sulla questione politica, istituzionale e sul ruolo che l’Europa ha avuto, può avere e dovrà avere per affrontare questi grandi temi, che sono ormai temi globali. Vorrei davvero interrogarti sulla tua esperienza personale; ne abbiamo parlato al telefono. È anche un’occasione per tanti giovani che sono qui di vedere un po’ come tu hai vissuto, come hai affrontato le questioni mentre cercavi di rendere l’Europa più un luogo di destino condiviso. Sappiamo, come ne parlavamo ancora al telefono, quanto sia importante la cultura per generare una visione sulle questioni, che poi permette di affrontare questi grandi temi e dare un contributo. Quindi partiamo da dove veniamo, e ci interessa sentirlo da te, sulla base della tua esperienza. Che cosa ha fatto specificamente l’Unione Europea per cercare di rispondere alla sfida dell’emergenza di questo tema delle disuguaglianze? Qual è il ruolo del mercato, dello Stato e dei corpi intermedi in questa questione? Che cosa avremmo dovuto fare meglio?
Barroso. Grazie innanzitutto, grazie mille per l’invito. Mi scuso per non parlare italiano; lo capisco molto bene, ma non riesco a parlarlo. È un grande piacere per me essere qui oggi, per la seconda volta. Sono stato qui nel 2011 e il mio amico Mauro mi ha invitato di nuovo, ed è un grande piacere per me essere di nuovo qui a Rimini, in Italia. Come sapete, uno degli obiettivi dell’Unione Europea è la prosperità condivisa. Quando fu creata come Comunità Europea negli anni ’50, e l’Italia fa parte dei membri fondatori, l’obiettivo principale era quello della pace, quindi rendere la guerra impossibile tra i membri della Comunità Europea. E possiamo dire che questo obiettivo è stato raggiunto, perché non c’è più stato un conflitto tra i membri della Comunità Europea. Ricordo molto bene quando ebbi l’onore di ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 2012 a Oslo, a nome dell’Unione Europea. Voglio sottolineare questo per dire che l’Europa non è solo un mercato. È un mercato, certo, ma è un mercato con obiettivi sociali e politici. Ecco perché nel trattato, il trattato di Lisbona attuale, si parla di prosperità condivisa, ma anche di coesione socio-economica e territoriale. Questo è quello che possiamo fare a livello europeo, poiché occorre fare una distinzione tra il livello europeo e il livello nazionale. Per quanto riguarda il livello nazionale, ci sono vari modelli. In termini, ad esempio, di tassazione, se facciamo un confronto tra la Svezia e l’Irlanda, ci sono davvero scenari molto diversi. Posso dire che, per quanto riguarda le differenze rispetto al livello di intervento dello Stato, quindi più Stato o più mercato, potremmo ridurre tutta questa domanda. Ebbene, l’Unione Europea è un po’ agnostica nel senso che lascia questa scelta agli Stati membri. Tuttavia, ci sono denominatori comuni fra tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, come l’economia di mercato sociale, così come la chiamiamo. Sì, siamo in un’economia di mercato, ma con livelli diversi di welfare. Non siamo come gli Stati Uniti d’America e la loro economia, questo è molto chiaro. Gli Stati Uniti sono più ricchi in termini di PIL pro capite, ma ad esempio la mortalità infantile è più bassa e l’aspettativa di vita è più alta in molti paesi europei. Ad esempio, malgrado tutti i problemi che ci sono stati in Grecia in passato con l’Euro, in Grecia c’è un’aspettativa di vita più alta e una mortalità infantile più bassa rispetto agli Stati Uniti, perché in Europa siamo molto più impegnati sul fronte della coesione sociale, anche se ci sono ancora problemi reali rispetto alle disuguaglianze e alla redistribuzione. Quindi è molto importante fare questa distinzione tra il livello nazionale e quello europeo, proprio perché a volte l’Unione Europea viene accusata di problemi che non può risolvere. Ad esempio, quando sono stato Presidente della Commissione, ci fu la crisi del debito sovrano e anche una grave crisi finanziaria. Chiaramente, l’Unione Europea cercò di trovare un equilibrio fra tutti i Paesi membri. Non ho bisogno di ricordarvi l’approccio della Germania e dei Paesi Bassi rispetto a questa crisi; il loro approccio non fu lo stesso rispetto alla Grecia, alla Spagna, all’Italia o anche rispetto al mio Paese, il Portogallo. Abbiamo sempre cercato di trovare un equilibrio. L’Europa oggi è composta da 27 Stati membri, paesi sovrani che condividono alcune competenze, ma che hanno poi visioni e punti di vista diversi. Ecco perché per noi nelle istituzioni europee, in particolare nella Commissione, abbiamo sempre cercato di convergere intorno a idee che potessero generare consenso. Quindi parliamo di solidarietà e responsabilità, ad esempio. Se parlassi solo di responsabilità, è chiaro che sarei fortemente sostenuto dalla Germania, ma magari non così tanto dalla Grecia. Ma se parlo anche di solidarietà, allora sarò sostenuto dalla Grecia, ma magari non così tanto dalla Germania. L’Europa è l’unione di tante culture, ma occorre alla fine avere un approccio che cerchi di generare il consenso. C’è stato un intellettuale italiano, Umberto Eco, che una volta disse che la lingua dell’Europa sono le traduzioni. Non solo nel senso stretto, quindi non solo linguisticamente, ma proprio traduzioni tra atteggiamenti diversi rispetto ai sistemi politici ed economici. Credo che se l’Europa rimarrà su questa strada, se continuerà a cercare di unire e a combinare il dinamismo dell’economia di mercato con un certo impegno rispetto alla redistribuzione del welfare e del benessere a livello sociale, ebbene è la strada giusta. Ma oggi sono preoccupato del fatto che l’Europa stia perdendo in termini di competitività. Ad esempio, se facciamo un confronto con gli Stati Uniti, vediamo che c’è una mentalità diversa negli Stati Uniti, molto più orientata alla crescita. E anche la Cina, con un altro sistema che è controllato dallo Stato, sta investendo molto di più, molto più di noi. Ad esempio, in tecnologie, in nuove tecnologie che sono fondamentali per la crescita. Quindi anche qui bisogna trovare un equilibrio: se si desidera avere una società più equa in termini di distribuzione, dobbiamo generare più crescita affinché si possa poi condividere questa prosperità.
Rosa. Parliamo prima dell’Unione bancaria e della tua visione dell’Europa come una federazione di Stati. Vuoi fare qualche esempio specifico di quando ti sei dovuto confrontare con delle forti resistenze a livello di Stati e come hai cercato di gestire questa situazione?
Barroso. Grazie, posso fare alcuni esempi. Uno degli esempi più importanti riguarda, ad esempio, il negoziato del programma di finanziamenti di sette anni. C’è sempre una divisione tra i contributori netti e i destinatari netti, per così dire. La Commissione, nell’approvazione di questo quadro multifinanziario, ha cercato di mettere l’accento su politiche di coesione disponibili per tutti i Paesi europei, ma in realtà gli Stati membri assunsero posizioni diverse rispetto a questo. Alla fine riuscimmo a trovare un compromesso, ma voglio essere onesto con voi. Purtroppo dovevamo abbassare le nostre aspettative, abbassare la sticella. Mi aspettavo e avrei voluto più solidarietà tra gli Stati membri. Ma è chiaro, dovevamo rispettare le posizioni dell’epoca. All’epoca avevamo 28 Stati membri. C’era ancora il Regno Unito, che era membro dell’Unione Europea. Anzi, il Regno Unito a quell’epoca fu uno dei partner più ostici, soprattutto rispetto alla quota di rapporto tra spese e investimenti. Ma il problema non fu soltanto il Regno Unito in quell’occasione. Faccio un altro esempio. Quando c’è una crisi in Europa, e questo avviene piuttosto spesso, alcuni politici nazionali danno la colpa all’Europa. Diciamo che europeizzano il problema e nazionalizzano la soluzione. Mi piace dire così: se le cose vanno bene, è merito loro; se le cose non vanno bene, è colpa dell’Europa. Faccio un esempio: ci fu un problema di licenziamento in Francia, poiché una grande corporation americana aveva deciso di abbandonare il mercato francese. I politici francesi allora chiesero all’Unione Europea: ma che cosa fate? Spetta all’Europa risolvere questo problema. Allora, in quell’occasione proposi la creazione di fondi per creare degli ammortizzatori sociali che potessero aiutare quei lavoratori a ricollocarsi. All’epoca lavoravo nella Commissione, forse te lo ricordi, e creammo un fondo di aggiustamento proprio per questi problemi legati alla globalizzazione. Ma a volte l’Unione Europea viene considerata un po’ il capro espiatorio di tanti politici a livello nazionale. Questo è un fatto, è vero. In altri casi, la questione è ancora più complessa. In passato, ad esempio, c’era un programma per le banche alimentari. Questo programma era realizzato grazie a risorse specifiche, ma una volta esaurite le risorse, la Commissione, la mia Commissione, decise di utilizzare risorse rimanenti dalla PAC, la Politica Agricola Comune, per utilizzarle in questo programma. Era un programma per le persone svantaggiate. Ma sapevamo che, da un punto di vista strettamente giuridico, è una questione complessa poter trasferire questi fondi verso un altro programma, quindi per sostenere persone che davvero non avevano di che mangiare, perché ci sono, ebbene sì, zone in Europa dove le persone non hanno di che nutrirsi, e quindi si avvalgono di queste banche alimentari anche in grandi città, in grandi metropoli. Ci sono persone davvero a livelli di indigenza incredibili. Cosa successe? Ebbene, due governi europei si opposero e citarono la Commissione in giudizio, dicendo che la Commissione non aveva l’autorità per fare questo e utilizzarono il principio di sussidiarietà come argomentazione. Secondo il principio di sussidiarietà, ebbene, il principio di sussidiarietà può a volte diventare quasi un boomerang, essere considerato in questo modo. Ricordo che uno dei rappresentanti di uno di questi Paesi, che veniva da un fronte politico da cui non mi sarei mai aspettato una posizione del genere, e che era un politico di alto livello, disse: “Ognuno si prende cura dei propri indigenti, dei propri poveri, quindi non sta a voi farlo, ognuno si cura dei propri svantaggiati”. In termini di principio di sussidiarietà, capisco, però questo significa quasi che poi l’Unione Europea viene percepita dai cittadini come un capo severo che non fornisce solidarietà ma impone regole rigorose. E questa è una difficoltà, perché l’Unione Europea è un progetto politico, e quindi, se si appare solo come istituzioni che impongono regole, che vogliono imporre rigore, non si può avere supporto politico così. È chiaro che le regole sono importanti, bisogna tenerle, sono essenziali per far andare avanti il mercato interno, però a livello europeo occorrono strumenti per dare corpo a una solidarietà reale. Potrei fare molti altri esempi, questi saranno alcuni, magari per la prossima volta.
Rosa. Tornerò fra un attimo chiedendoti un po’ il tuo punto di vista sulla frammentazione geopolitica e la sfida dell’Unione Europea di fronte all’emergenza di questi nuovi poteri regionali. Tornerò tra un attimo. Io adesso vorrei invece chiedere a Branko… Mi ha molto colpito quando prima tu dicevi una delle soluzioni, uno degli aspetti da considerare per affrontare alla base il problema della disuguaglianza, io la chiamo democrazia economica. C’è l’idea in qualche modo di facilitare la diffusione del capitale e quindi di presa di responsabilità, di capacità e di rischio il più possibile, in modo che ci sia sempre una quota importante di popolazione che è servita a prendere dei rischi e costruire qualcosa da cui si formino quelli di domani. Sai, Branko, mi dispiace che non sia venuto qua, spero che la prossima volta verrai. Questa è una terra ricca di biodiversità in questo senso, imprese cooperative, forte nel sociale, piccole e medie imprese molto coinvolte con il territorio, certamente grandi imprese, la grande industria, tutta la componentistica della metalmeccanica, anche dal punto di vista bancario, abbiamo banche cooperative che hanno un forte radicamento col territorio, abbiamo alcune delle più grandi banche d’Europa. Quindi questa biodiversità che qua si vede, a cui noi teniamo molto, qualche volta si teme che invece le grandi forze che poi portano a quell’esito della globalizzazione e della disuguaglianza di cui parli, la mettano in discussione, mettano in discussione anche un modello di vita. Faccio l’esempio dell’emergenza di questi, io li chiamo quasi oligopoli naturali, nell’e-commerce, nelle tecnologie avanzate, nell’information technology, che diventano potenze quasi superiori agli Stati democratici, capaci di orientare le scelte anche dal punto di vista della disuguaglianza senza un controllo democratico, senza un dibattito, semplicemente avendo un potere globale di mercato superiore. Quindi ti chiedo di condividere con noi qualche riflessione, magari sono pensieri iniziali della tua ricerca, ma non è che qua bisogna fare qualcosa anche a livello di cosa è l’impresa e quale è la forma propria di impresa che garantisce in qualche modo più condivisione di prosperità? Non è che abbiamo preso una strada molto interessante? Noi siamo di quelli che pensano che il mercato è un’istituzione sociale, storica, e quindi esige una consapevolezza chiara, democratica, di quali sono le regole del gioco. Dove sei arrivato su questi tipi di riflessioni? Sarà il prossimo libro? Vuoi condividerne con noi le prime pagine?
Milanovic. Grazie per questa domanda. Brevemente, lasciatemi dire che sono d’accordo con te, Samuele, e anche con il presidente Barroso, ovviamente, rispetto al fatto che il mercato sia un’istituzione sociale. Recentemente ho letto una nuova edizione di “La Grande Trasformazione”, un testo importante sul mercato, un mercato che deve essere radicato nella società, perché è proprio un costrutto sociale, in altre parole non è un fenomeno naturale che dobbiamo prendere come dato, ma possiamo formare, modellare socialmente, e questo può portare anche alla felicità umana se vogliamo. Riguardo agli oligopoli e ai monopoli, è un tema estremamente importante. Sapete meglio di me che la Commissione Europea e anche, più recentemente, gli Stati Uniti hanno intrapreso alcune iniziative rispetto alla riduzione di questi oligopoli che esistono come Google, altri fornitori e piattaforme, operatori di internet e così via. In un certo senso siamo arrivati a una situazione in cui c’erano dei monopoli naturali quasi, con queste nuove tecnologie si faceva fatica a controllare perché non si sapeva dove si sarebbe andati a finire. Penso che questo sia un problema e, come hai detto prima, con l’esempio della donna di Rimini e dell’Italia, ma anche in generale con questi ecosistemi di piccole e medie imprese di imprenditori molto vivaci, molto attivi, sono situazioni molto importanti però vivono anche situazioni di depressione. Un esempio noto a tutti è anche il piccolo commercio. Sappiamo che ci si è spostati molto verso gli acquisti virtuali online sul mercato elettronico, e questo ha creato essenzialmente un monopolio ampio di quel tipo di commercio al dettaglio, e questo ha portato anche al fatto di avere grandi magazzini o cose che non avremmo mai visto immagazzinate in certi posti. Quindi torniamo un po’ a quello che si diceva prima, che ha menzionato anche Samuele in un certo senso, rispetto a questa idea di diffondere sia la proprietà del lavoro che anche attraverso i fondi, dei sindacati. È un’idea che risale agli anni ’70 e ’80, e si vedeva anche, per quanto possa sembrare strano, anche nei lavori di Margaret Thatcher. Lei era molto consapevole del fatto che, se si voleva una società più aperta al capitalismo, bisognava avere più persone coinvolte anche nella proprietà, e sappiamo che nel Regno Unito le cose non sono andate poi così bene, però l’idea penso sia giusta, è quella di diffondere quindi la proprietà attraverso quote di lavoro, partecipazioni attraverso i sindacati con i lavoratori più preparati, più competenti. Per esempio, si possono investire 2000 euro in forme di assicurazione, di investimenti a livello di proprietà del lavoro. Però, per chiudere, vorrei anche dire che lo sviluppo tecnologico è stato molto veloce, molto rapido, per poter essere equo rispetto alle regole, e quindi è stato difficile creare delle regole per gestire lo sviluppo tecnologico, non si sapeva come sarebbe andato, una situazione che è esistita in molti altri Paesi.
Rosa. Ti dico anche che siamo qui con la fondazione della socialità costituendo un gruppo di persone che vuole ragionare su questi temi, quindi proveremo a tenere questo dialogo con te aperto perché penso che sia veramente un campo nuovo, quello di immaginare le forme nuove di diffusione della proprietà condivisa, della responsabilità condivisa, delle forme intermedie di impresa. Ed è una cosa su cui è quasi più difficile cominciare a porsi le domande che darsi le risposte, ma grazie a persone come te possiamo farlo. Abbiamo avuto in un altro incontro, se ricordi, Raghuram Rajan, che aveva la stessa idea, l’importanza di creare una struttura delle regole del gioco che non uniformasse totalmente lo spazio economico, perché è solo dalla crescita dal basso delle forme di responsabilità delle piccole imprese che si crea la capacità di generare sviluppo sostenibile. Siamo su un campo aperto, a noi interessa molto questo qua. Andiamo sul grande, andiamo sul grande sul futuro. L’Europa che tu ci hai descritto chiaramente è un contributo importante per una visione di destino condiviso e di responsabilità comune. Anche questa è una istituzione in divenire con tante sfide. Ma così come il mercato non è una forma astorica, così anche il contesto in cui l’Europa vive questa sua vocazione non è astorico e subisce evoluzioni globali importantissime. Adesso noi vediamo tutti l’emergere di questa frammentazione geopolitica, di questa incapacità di trovare un campo comune su cui dirimere le questioni fondamentali della crescita, dello sviluppo, del rapporto tra Stati e tra regioni. Devo dire che parlando con i giovani, qualche volta questa è una cosa che fa quasi un po’ paura, però occupa molto. E rispetto al problema, ad esempio, di creare un terreno per una prosperità condivisa, è come se ci fosse una minaccia dovuta all’incapacità di generare una fraternità tra i popoli adesso. L’Europa mi pare molto debole. Convincimi che non è vera, ma vorrei chiederti il tuo punto di vista. Cosa può fare? Che cosa non ha fatto? E qual è la radice del problema della nostra capacità di risposta su queste questioni?
Barroso. Grazie Samuele. Come ho detto, l’Unione Europea sta sempre un po’ indietro rispetto agli Stati Uniti, alla Cina e anche ad altri Paesi in termini di crescita. Abbiamo perso competitività negli ultimi anni. Abbiamo un sistema sociale relativamente buono rispetto ad altri posti nel mondo, però in termini di crescita, competitività e innovazione in certe aree tecnologiche, ci sono collegamenti geopolitici in alcuni casi e lì stiamo un po’ indietro. Il mondo diventa sempre più difficile, più duro giorno dopo giorno. Ci sono cose già che ho visto succedere, per esempio, tra Cina e Stati Uniti per ragioni geopolitiche e penso che queste cose diventeranno sempre più profonde. Come abbiamo visto, adesso c’è una divisione della filiera, abbiamo visto sempre più preoccupazioni sulla sicurezza economica rispetto all’efficienza economica. Ci sono anche alcune minacce sui mercati, anche in termini di protezionismo, non solo dalla Cina, con la sua economia guidata dallo Stato, ma anche, siamo onesti, negli Stati Uniti c’è un programma di protezione fortissimo, un modo per attrarre gli investimenti solo negli Stati Uniti, investimenti che altrimenti andrebbero altrove. Quindi bisogna adattarsi a un mondo che diventa sempre più tosto, molto difficile, e l’Europa cerca ovviamente di definire i termini della sua relativa autonomia. Ovviamente in termini di sicurezza, noi siamo con gli Stati Uniti, siamo con la NATO, però in termini economici abbiamo un problema, vero e proprio, che può aggravarsi con il nuovo presidente degli Stati Uniti a novembre. Quindi sono a favore della ricerca dell’Europa un po’ naif, ma non naive rispetto ai suoi propri interessi, perché quello che possiamo fare lo possiamo fare solo assieme, in maniera collettiva. Questo è qualcosa che ho imparato dalla mia esperienza quando rappresentavo l’Unione Europea al G8, al G7 o anche al G20. Come qualcuno ha detto, tutti i Paesi europei, gli Stati europei, sono piccoli. Il problema è che qualcuno non se ne è ancora reso conto. Ma quando confrontiamo anche i più grandi Paesi dell’Europa, la Germania o la Francia, quando si fa un confronto con gli Stati Uniti e con la Cina, siamo piccolissimi. Solo con la dimensione europea siamo in grado di competere. Abbiamo bisogno di questa misura, di questa dimensione. Ecco il motivo per cui siamo in attesa anche del rapporto del mio caro amico Mario Draghi rispetto alla competitività europea. Sono sicuro che metterà l’accento su questa necessità di ampiezza. Non possiamo continuare con 27 diversi mercati per i servizi. Abbiamo bisogno di un’unione di mercato di capitali. Molte aziende in Europa, quando vogliono crescere, si spostano negli Stati Uniti perché fanno una startup e lì non ci sono differenze importanti tra il mercato e le varie imprese. Stiamo anche invecchiando in Europa, c’è una questione demografica importante in Europa. Alcune persone parlano dell’inverno demografico in Europa e penso che abbiano ragione. Quindi il livello di innovazione sta scendendo rispetto agli altri. Quindi, non solo se andiamo in Cina, ma anche in Thailandia, in Vietnam. Se consideriamo i giovani di quei Paesi, il livello di dinamismo è molto più forte perché sono più giovani in media rispetto a noi in Europa. Quindi abbiamo bisogno di investire nella competitività e spero che la nuova Commissione, che ha fatto tantissime cose buone cercando di proteggere l’Europa durante la pandemia con i vaccini, ha dato una forte risposta alla Russia rispetto all’aggressione in Ucraina, però sinceramente penso che la questione del mercato interno e della competitività siano state un po’ a un secondo livello di priorità. Abbiamo bisogno di investire di più nella nostra competitività perché se non lo facciamo, non saremo in grado di trasmettere quei beni sociali che sono così importanti per noi. È vero che c’è anche una divisione ideologica in Europa tra chi pensa che ci debba essere più mercato e chi più Stato. Allora, se posso esprimermi in termini un po’ più personali, per così dire, ci sono due dei da non pregare. Io non prego il dio Stato e non prego il dio mercato. Quello che conta sono le persone, ogni persona. Non è il concetto astratto di Paese o il concetto astratto di mercato. Il tema di questo Meeting è “Se non c’è la ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”. E che cos’è questo essenziale? Per me sono le persone, le persone, le persone. E per citare Dostoevskij so che adesso non va tanto di moda citare autori russi, però, nonostante il regime politico, la Russia ha una civiltà grandiosa, una cultura grandiosa. E Dostoevskij, in uno dei suoi romanzi, “I fratelli Karamazov”, ha scritto: “Mio padre amava l’umanità in generale, ma odiava ogni persona in particolare”. Quindi non abbiamo bisogno di questo tipo di amore per l’umanità in generale. Dobbiamo pensare a ciascuna persona concretamente, a ogni uomo, ogni donna, bambino o bambina. E la nostra politica deve essere orientata al consenso di queste persone, non a concetti astratti di più mercato o meno mercato. Dobbiamo cercare di trovare la soluzione a livello pragmatico che possa permettere livelli più alti di prosperità e che ci consenta anche di avere più alti livelli di giustizia.
Rosa. Certamente, grazie per lo spunto, perché chiaramente tra Stato e mercato ci sono le persone. Le persone, citando invece Aristotele, poi si collegano secondo un senso di cammino nella vita, sono sociali. E questo mi porta a chiedere a Branko, ancora, faccio una domanda che, se vogliamo, lo costringe a uscire dalla sua comfort zone perché mi interessa sapere cosa viene dopo, ovvero la disuguaglianza non come cosa da spiegare, ma come punto di partenza, è lì del resto, per governare questi processi globali bisogna avere democrazie vive, democrazie partecipate, democrazie dove i cittadini sentano che la loro partecipazione alla vita civile e sociale dà la possibilità di dare una direzione positiva alle cose. Invece, come Branko tu sai molto bene, la disuguaglianza da questo punto di vista mina molto la fiducia nella democrazia e spinge verso una polarizzazione perché come punto di partenza senti la società come divisa tra chi ha e chi non ha. Quindi voglio chiederti, anche dal tuo punto di vista, come vedi il rapporto tra disuguaglianza e democrazia? I tuoi studi sono in grado di dare una conferma di questa evidenza un po’ empirica? E qual è il tuo pensiero su questo tema?
Milanovic. Sapete che le persone hanno cercato di condurre delle analisi econometriche per studiare questo rapporto, però è molto difficile. Le misurazioni della disuguaglianza, per esempio il coefficiente di Gini, sono troppo grezze e, come posso dirlo, non vanno a cogliere veramente quelle fenditure, quelle spaccature che sono così chiare a livello politico. Quindi dobbiamo essenzialmente rivolgerci agli studi di politica sociale, di antropologia, per capire meglio quello che ci dicono anche i numeri. Vorrei partire dal caso degli Stati Uniti. La disuguaglianza di reddito negli Stati Uniti ha portato a una polarizzazione politica e culturale che a sua volta ha portato a una polarizzazione politica che stiamo tutti per vedere con le elezioni di novembre. Quindi penso che si possa dire questa cosa chiaramente rispetto agli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Europa e i singoli Paesi, la situazione è diversa. Perché l’aumento della disuguaglianza è stato inferiore. Certo, c’è anche una certa polarizzazione, ma in misura minore. Pensiamo alla Germania. C’è una polarizzazione tra quella che era la Germania dell’Est e la Germania dell’Ovest. Abbiamo anche questioni legate alla migrazione, che sono molto sentite in Europa, soprattutto quando si fa il confronto con l’invecchiamento della popolazione. Se considerassimo le persone come degli avatar, non come individui, allora sarebbe facile trovare delle soluzioni all’invecchiamento europeo. Potremmo importare migliaia o milioni di persone dal Medio Oriente o dall’Africa che vogliono venire in Europa, però questo creerebbe delle questioni politiche come abbiamo visto anche solo un paio di settimane fa nel Regno Unito e in altri Paesi. Quindi queste spaccature, queste fenditure, che sono colte in maniera imperfetta dai numeri con cui lavoro, ci dicono che serve di più la scienza politica per poter capire il tutto. Se consideriamo l’Unione Europea a 27, ma non consideriamo i Paesi singoli, solo l’Europa, come ha detto anche il presidente Barroso, abbiamo avuto in Europa una diminuzione della disuguaglianza tra tutti gli individui, almeno mezzo miliardo in Europa, perché c’è stata una convergenza tra i vari Paesi europei verso un livello simile occidentale e abbiamo avuto una riduzione della disuguaglianza proprio a livello europeo. Questo è un risultato significativo ed è un obiettivo importante dell’Unione Europea, della Comunità Economica Europea, cioè portare degli standard di vita migliori, non solo a livello di Europa ma anche a livello più individuale nei vari Paesi.
Rosa. Ti volevo chiedere se volevi fare un commento su questo punto importante
Barroso. Sono d’accordo con quanto ha detto il professor Milanovic. L’Europa è stata definita la grande macchina della convergenza dalla Banca Mondiale. Ricordiamoci che la Spagna e il Portogallo, il mio Paese, prima di entrare a fare parte dell’Unione Europea, pensiamo come era la situazione allora e come è la situazione adesso. C’è una differenza enorme. Anche gli Ucraini vogliono fare parte dell’Unione Europea per ovvie ragioni. Quando c’è stato il crollo del muro di Berlino, c’è stato il collasso dell’Unione Sovietica, la Polonia e l’Ucraina erano più o meno allo stesso livello di sviluppo. Molti economisti avevano previsto che l’Ucraina si sarebbe sviluppata di più, sarebbe diventata più ricca, più velocemente rispetto alla Polonia, ma è successo esattamente il contrario perché la Polonia prende vantaggio dall’Unione Europea e dal quadro di stabilità, e purtroppo l’Ucraina non poteva beneficiare di tutto questo. Quindi nel suo insieme, come il professor Milanovic ha detto, l’Europa è stata formidabile, è una formidabile macchina di convergenza. Però è anche vero che in alcune aree, in alcuni dei nostri Paesi, anche quelli che consideriamo i vecchi Stati membri, hanno visto nuovi problemi legati alla disuguaglianza e problemi legati alla povertà come quelli che ho citato prima. E questa è una delle ragioni per cui abbiamo l’aumento del populismo anche per via del fattore migrazione. Sono molto aperto, di natura, ma credo che ci siano alcuni limiti al multiculturalismo in Europa, come abbiamo visto in varie parti d’Europa. Quindi dobbiamo gestire questo con grande saggezza. Consideriamo i Paesi Bassi, un Paese che ha una tradizione liberale grandiosa. Adesso sono guidati da un governo che praticamente è xenofobo. E questa è la realtà. Quindi dobbiamo capire qual è il consenso delle persone e non creare un’anatema contro di loro, ma essere costruttivi, essere razionali e arrivare con delle soluzioni ragionevoli. Purtroppo la razionalità adesso scarseggia.
Rosa. Benissimo, grazie mille, grazie mille. Ovviamente questa non è una conclusione ma è come aprire il cammino per nuove riflessioni che immagino si potranno fare molto bene al Meeting andando avanti. Branko, penso di poter interpretare la direzione del Meeting dicendoti che sei super invitato a venire qua una volta di persona a vedere questa terra ricca di diversità. Ringraziamo il Presidente, perché io ho lavorato in Commissione, purtroppo sei Presidente per noi a vita, Barroso, per essere venuti qua. Volevo veramente ringraziare per la loro disponibilità e lasciatemi un secondo per chiedervi un’attenzione su questo spunto. Ognuno di noi qua può dare un contributo decisivo al Meeting, e quello che vediamo insieme è partecipare attivamente a questa grande avventura umana, la ricerca dell’essenziale, e quindi potete trovare lungo tutto lo spazio del Meeting questi punti donaora che sono caratterizzati da un cuore rosso e questo per ricordare anche a noi che il Meeting è una fondazione ed è un ente del terzo settore, quindi chi sostiene il Meeting può usufruire dei benefici fiscali al momento della dichiarazione dei redditi. Ringrazio soprattutto voi per la vostra attenzione e spero che questo sia stato uno spunto interessante di riflessione. Buona giornata.