Democrazia e verità

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In collaborazione con Fondazione per la Sussidiarietà.
Giuliano Amato, Presidente della Corte Costituzionale. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

Il Presidente della Corte Costituzionale, su un tema divenuto di drammatico interesse per tutti. Qual è la relazione oggi tra democrazia e verità? Sommersi da un flusso incessante di informazioni, spesso contrastanti, spesso non verificate né verificabili, la democrazia sembra cedere il passo alla propaganda, all’illusione di nuove forme più efficienti e autoritarie, le democrature. Se come diceva Vàclav Havel “Il rovescio della medaglia della democrazia è che chi è sincero ha le mani legate. Mentre coloro che non lo sono, fanno ciò che vogliono”, che ruolo ha la verità oggi, nel governo, nella partecipazione democratica alle istituzioni?

Grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, Tracce.

DEMOCRAZIA E VERITÀ

Giorgio Vittadini: Buongiorno a tutti. Benvenuti a questo incontro dal titolo “Democrazia e Verità” con Giuliano Amato, Presidente della Corte Costituzionale che ringraziamo per la sua presenza. Introduco questo incontro con alcune provocazioni libere al Presidente che poi, evidentemente, svilupperà il suo discorso: quattro brevi spunti e domande.

La prima sulla democrazia e il bene comune, che parte dal titolo – che è molto ambizioso: mettere in connessione oggi nel 2022 la democrazia con la verità, con la ricerca di verità. È un auspicio che la vita democratica nasca da un impegno ideale dei partiti che non sia un interesse particolare, corporativo che muove le posizioni di chi fa politica. Perché pensate come avviene quante, ad esempio, in questi anni quante leggi sono state fatte per difendere interessi particolari di particolare categoria e non hanno a che fare con il bene comune. D’altra parte, se abbiamo tanto debito pubblico, non è solo perché abbiamo speso in istruzione e sanità, anzi, lì abbiamo diminuito la spesa. E questo appello all’ideale ha a che fare con quello che ha detto il Premier Draghi nell’ultimo discorso il 20 luglio al Senato. L’Italia è forte quando è unita, ma non si è forti con la retorica o con l’arte del comodo; ma si è forti proprio su questa ricerca della verità pluralista, ma sacrificando l’interesse particolare per un bene comune. Il pluralismo non è contro questa ricerca della verità, anzi, quando si ricerca la verità, l’altro, la differenza è positiva.

In un intervento su Repubblica un po’ anni fa, Don Julian Carron scrisse: “L’altro è un bene” e questo vale in politica. La caduta del governo Draghi mostra come ci può essere un interesse particolare che sostituisce in un momento difficile l’interesse comune, e d’altra parte l’astensionismo, il fatto che si passi dal 30% dei consensi al 10% mostra quanto questo abbia effetto sul popolo. E allora la prima domanda è: com’è possibile che le legittime differenze di posizione tipiche di una società democratica pluralista concorrano alla costruzione di un bene comune, fatto di ricerca di verità, di risposte concrete. Collegare la ricerca della verità con la democrazia è compatibile con un pluralismo senza che si scada? Questo è il primo ordine di domanda.

La seconda riguarda le elezioni e la sussidiarietà: perché giustamente si dice “torniamo al popolo, torniamo a sentire com’è il popolo, alle elezioni”, però pensate a una cosa: le elezioni libere, apparentemente libere, sono anche oggi in regimi autocratici, perché i quei regimi succede che la gente vada a votare il dittatore di turno, ultimamente, perché è convinta. Perché? perché quando l’individuo è isolato è influenzabile.

In un incontro sul tema dei 100 anni di Giussani, il professor Magatti a Varese, diceva “L’intuizione più grande di Giussani è che il potere” – stessa intuizione di Pasolini e di cui parlava ieri Zuppi – “influisce sulla persona, riduce il desiderio, fa sì che ci si appiattisca di fronte a interessi particolari, per esempio un autoritarismo”. Allora perché dire elezioni e sussidiarietà? Perché ci siano elezioni veramente libere, bisogna che il soggetto che cerca la verità sia educato: l’uomo isolato è ricattabile, l’uomo isolato fa fatica a tenere una posizione alta. C’è bisogno di luoghi dove la verità viene educata, viene corretto l’inevitabile limite, dove si costruiscono nuove forme di convivenza. Questo è il nostro paese. Qualche anno fa nel 2011 abbiamo fatto con l’inaugurazione del presidente Napolitano una mostra sui 150 anni di sussidiarietà che sono stati opere sociali, ma anche la costruzione di partiti democratici che erano, che son legati a queste realtà sociali, tali per cui l’individuo, anche il non letterato, l’operaio, una qualunque persona aveva un’idea di democrazia che reggeva rispetto ai tentativi autocratici. Quindi questo nesso tra i partiti e le realtà popolari per noi è la garanzia della democrazia insieme alle elezioni libere. Allora la seconda domanda è proprio: come ridare vita alla democrazia, con questa triade che è fatta di elezioni, ma anche di luoghi dove la persona venga educata a esprimere un giudizio, a capire le cose, a non essere soffocati anche dai talk show, dall’opinione dell’ultimo momento: adesso 30 domani 10.

Terzo passaggio, sempre sulla sussidiarietà, è lo sviluppo sociale.

Io nel Meeting ho già detto più volte che questo rapporto sulla sussidiarietà curato con l’Istat in questi anni ha fatto emergere cose interessanti che, partendo dai dati del BES, cioè del benessere, indici sulla costruzione del benessere sociale, abbiamo visto che, quando ci si impegna in realtà sociali, c’è un aumento dell’occupazione, correlazione tra 0,1 e 0,7 o nasce l’impegno in attività culturali: 0,9, oppure anche meno rischio di povertà, meno rischio di morti evitabili. In generale il nesso tra impegno sociale e sussidiarietà è 0,91. D’altra parte nel nostro paese abbiamo 375.000 enti del terzo settore con 4 milioni di persone impiegate. Allora la domanda, un po’ strana, anche in campagna elettorale non se ne parla molto: ma c’è un nesso tra la democrazia e questo impegno di base, impegno costruttivo, non solo per le elezioni, ma anche per questo popolo operoso che comunque cresce. A me sembra che questo sia qualcosa di importante.

Ultima domanda sul ruolo del Parlamento, perché è legato a questo: partiti che sono legati alle realtà sociali, partiti che discutono in congressi le loro tesi. Si discute di tutto, il Presidente Amato in un incontro precedente, mi ha colpito tempo fa, dicendo: “noi discutevamo nei nostri partiti, addirittura nelle sezioni, dell’acquedotto della pace, i congressi sono quasi spariti”. Terzo passaggio è che si possa decidere chi votare: queste sono altre elezioni da nominati: decidono tutte le segreterie dei partiti. Si può tornare, tra preferenze e primarie, a decidere le persone?

E ultimo aspetto è il Parlamento: perché perdere il terzo potere dello Stato, il potere legislativo? Solo l’esecutivo e il giudiziario? Un po’ di anni fa dei leader dicevano: “Il Parlamento serve per alzare le mani”. Invece il Parlamento, guardando la storia, è una grandissima ricchezza. Quante leggi sono nate dal paragone, in termini di giudizio comune, collaborazione, un ruolo?

Queste sono le quattro domande che orientativamente pongo, ma evidentemente il Presidente potrà spaziare su questo tema che ci interessa moltissimo, perché per noi la vita personale senza una vita sociale e politica comune non è completa.

 

Giuliano Amato: In primo luogo grazie a tutti voi di essere qui. Io vi vedo poco, perché la luce non me lo consente, però vedo che siete tanti e vi ringrazio. Ringrazio Giorgio Vittadini per avermi voluto qua e anche per le domande che mi fa, alle quali risponderò prendendole dall’angolo che ho scelto per questa chiacchierata, nella quale ho cercato di porre a fuoco progressivamente quello che è il tema più importante, a mio avviso, che abbiamo nel nostro futuro, che è la tenuta delle democrazie e la loro rispondenza ai caratteri che devono avere, in un tempo difficile, difficilissimo che sarà quello che avranno davanti i figli e i figli dei figli, in un mondo sempre più caldo e sempre meno vivibile per gli esseri umani. Democrazia e verità: è un titolo pieno di promesse, e pieno di domande e non credo che in questa chiacchierata riusciremo ad affrontarle tutte. Io cercherò di affrontare quelle che, appunto, vanno a parare sul tema a cui prima mi riferivo. Certo, se leggete la letteratura, dai saggi ai libri, che sono usciti con questo titolo, ci trovate le domande più diverse. La prima per esempio è: si deve dire sempre la verità in democrazia? Allora la tua prima risposta è: “Beh sì, certo”, se la democrazia come tale è fondata sul consenso, se il consenso è fondato sulla fiducia, se la fiducia è tra persone che hanno solidarietà l’una verso l’altra, allora la verità è imprescindibile. Vero, ma fino a un certo punto. Se io che ho la responsabilità di governare so che tra quattro giorni ci sarà penuria di molti beni nei supermercati, è bene che non lo dica subito, se no provoco un fenomeno di accaparramento da parte dei primi che ci vanno e fanno razzia di tutto. Quindi attenzione c’è una regola un po’ viscida che dice che a fin di bene, entro certi limiti la verità si può anche non dire, ma certo nessuno che abbia scritto, pensato sulla democrazia darà una risposta alla seconda domanda: ma la democrazia deve combattere la menzogna? Risposta è necessariamente sì. La democrazia non può vivere sulla menzogna. Questo lo dicono tutti, ma attenzione, anche qui ci dobbiamo capire perché ci sono molti che dicono – e lo accennava già Giorgio Vittadini – ma in democrazia ci possono essere delle verità? Verità e democrazia ma la democrazia è il regime della libertà e in un regime di libertà quanto è compatibile che ci siano verità con la libertà? Ecco, cominciamo a capirci.

Punto primo: la verità dei fatti. La verità dei fatti è ciò che, secondo alcuni, oggi è davvero a rischio nelle democrazie perché il post moderno tecnologico ha sostituito – credo l’abbia scritto Luciano Violante nel suo libretto su politica e menzogna – il post moderno tecnologico ha sostituito il vero con il verosimile. Quindi attorno ai fatti si sviluppano opinioni che ne prendono alcuni brandelli e che quindi privano di sicurezza la ricostruzione del fatto per cui un’idea, su cui era fondata la democrazia quando io ero ragazzo, quando io cominciai a scrivere sui giornali, quando il mio primo direttore che era Lamberto Sechi, un grande giornalista, impostò il suo nuovo settimanale sullo slogan “I fatti separati dalle opinioni”. I fatti sono fatti, poi ciascuno può avere la sua opinione, ma i fatti sono fatti, sembra che non sia più vero. Sembra che l’opinione sia parte del fatto e il fatto dell’opinione e allora perdendo anche la certezza della realtà come si può costruire il consenso?

Avevo queste domande in testa da molto tempo, quando un signore che abita al Cremlino ebbe l’idea di aggredire un paese vicino, l’Ucraina. Nessuna guerra da parte della Russia – dicevano i suoi mezzi di comunicazione – era un’operazione speciale che andava a raccogliere i consensi per la Madre Russia in questa terra temporaneamente distaccata. Cominciarono a morire dei ragazzi, ragazzi che stavano facendo i militari e che non pensavano neanche che sarebbero finiti in un posto dove rischiavano di morire. Alle loro madri non venne detto, alle loro madri venne anche negato di sapere inizialmente che i loro figli stavano morendo, perché un’operazione speciale non provoca morti e chi provava a dirlo nelle strade di quel paese veniva semplicemente arrestato. Ecco mi sono detto a quel punto: da noi almeno questo non può accadere. Avremmo sfrangiato la verità dei fatti, ma non c’è verità ufficiale che in una democrazia riesca a reggere contro chi la contesta. Si è provato in democrazia a imporre delle verità ufficiali su fatti gravi. Ci fu molti anni fa un aereo che cadde a Ustica e ancora non sappiamo quale fu la verità, ma certo le verità imposte che si tentarono di imporre non sono riuscite a passare. Se avete dei dubbi sulla preferenza della democrazia rispetto a un regime autoritario, pensate a questo e pensate che almeno da noi c’è una stampa con mille voci, alcune vi piacciono, altre non vi piacciono, ma che ne ha abbastanza da mettere in croce chi in croce merita di stare perché ha negato la verità dei fatti. Perché avete un ordine giudiziario indipendente dove ci sono giudici che giudicano con la propria testa, perché avete un sistema costruito per andare alla ricerca della verità. Guardate nel mestiere che ho fatto in questi anni di giudicare le leggi, una delle leggi o tipi di leggi che più facilmente è caduta sotto il giudizio della Corte Costituzionale è stata quella che prevede che si attribuiscano delle conseguenze negative per le singole persone sulla base non della loro realtà, ma di presunzioni. Non è consentito, sulla base di una presunzione non verificata hic et nunc, tenere qualcuno dentro, adottare una misura di sicurezza contro qualcuno, privare qualcuno di un bene della vita che possiede. Ci vuole il fatto. Siamo strutturati così e quindi almeno sappiamo che le verità ufficiali non passano in democrazia e non vi contentate di questo, ma questo nel mondo di oggi conta: nessuno può essere arrestato perché dice il contrario. Questo oggi nel mondo conta, conta in Russia, conta nel Myanmar, conta in tanti altri posti.

E torniamo al punto di prima, al punto che la verità dei fatti, più che dalle verità ufficiali in democrazia, è facilmente aggredita e contrastata dalle non verità del verosimile, dal rifiuto per convenienza, o a volte, per ostinata difesa di gabbie ideologiche, di cui si è spesso custodi e prigionieri insieme che porta a negare e a dire: “non è così”. Di qui, l’abbiamo sperimentato anche durante la pandemia, le divisioni interne, le polarizzazioni, le radicalizzazioni, che rendono così difficili le decisioni in una democrazia. Qui, però, attenti, quando parliamo di verità entrano in gioco anche altre categorie, non solo quello del vero o falso, ma anche quella del giusto o ingiusto. Anche qui si arriva al fondo, “ma è vero che questo è giusto? Ma è vero che questo è ingiusto?”. E vedete le categorie vero, falso, giusto e ingiusto che cominciano a toccarsi tra di loro. E qui dobbiamo entrare in un altro aspetto importante vedete, perché le insidie, per le certezze di cui la nostra vita individuale e collettiva ha comunque bisogno, non sono dovute tanto, le insidie, al post-moderno tecnologico, quanto al relativismo individualistico che da decenni ha concorso potentemente a sfrangiare il tessuto connettivo delle nostre società. Sono tanti i fatti che hanno alimentato questo fenomeno: la individualizzazione delle nostre vite, quando la maggior parte di noi passarono dalle campagne e dalle grandi famiglie in cui si viveva nelle campagne, alla vita di città, dove magari si ritrovava uno da solo o il piccolo nucleo di lui, lei e uno o due bambini. La individualizzazione delle nostre vite nella società che per questo venne chiamata liquida da Baumann. La fine dei grandi aggregatori, certo, perché la individualizzazione delle vite coincide, non a caso, con la fine della capacità aggregante dei grandi partiti del passato che sapete, quando funzionarono, e funzionarono per decenni, erano il vero fattore che faceva funzionare la democrazia a beneficio di milioni e milioni di persone. Perché quando finalmente, alla fine dell’Ottocento, grazie ai partiti popolari e socialisti, le democrazie nate per le élite, per le habentes, le democrazie rappresentative, si trovarono alle prese con la domanda sacrosanta di partecipazione e condivisione dei milioni e milioni che erano fuori perché erano non-habentes. Si pose un problema gigantesco, la porta non poteva rimanere chiusa, ma come sarebbe stato possibile fare collimare fra di loro le domande, gli interessi e le aspettative di milioni e milioni di esseri umani e non più di quelle omogenee élite che avevano governato nell’Ottocento. Ebbene, quello che in termini automobilistici ho definito il differenziale della democrazia. Sapete cos’è il differenziale in un’automobile? È quello che consente a ruote sottoposte a movimenti in realtà diversi di convergere in un unico movimento che è poi quello che dà la direzione alla macchina. Beh, furono i partiti politici, che seppero unire in visioni comuni, in aspettative comuni, nella comune tensione verso un bene non solo individuale ma comune, le aspettative di questi milioni di persone. Le democrazie attuali hanno perso questo differenziale. Le vite individualizzate sono diventate esse stesse domande, aspettative, pretese di diritti individuali. Ed è allora che accade che un altro fenomeno contestuale, che è esso stesso sacrosanto, la crescita delle libertà di ciascuno, in questo contesto è stata letta come crescita di libertà per l’individuo in base al principio “a ciascuno il suo”. Ma a ciascuno il suo anche per le regole di vita. A ciascuno il suo anche per la morale che devo seguire? A ciascuno il suo anche per il bene cui devo dedicare la mia vita e quella dei miei familiari? Questa diventò la domanda cruciale all’inizio di questo secolo e nella risposta a questa domanda, devo dire, che dette il meglio di sé l’allora cardinale Ratzinger, a cui dobbiamo molto per l’approfondimento di questo tema. Quasi vent’anni fa, il suo famoso grande dialogo con un famoso filosofo non credente, Jürgen Habermas, ed entrambi si trovarono d’accordo sul fatto che una società vissuta solo come una società di individui era una società che non sarebbe riuscita a sopravvivere, che non avrebbe avuto il tessuto connettivo necessario per qualcosa potesse essere costruito e perché tutto non venisse distrutto, dai conflitti tra i diversi diritti e tra le diverse libertà. E quindi arrivarono alla conclusione che tutti, tutti, credenti in religioni diverse, credenti e non credenti, avevano il compito comune di trovare i valori che fossero a tutti comuni e che fungessero da piattaforma solida per il presente e il futuro delle nostre società. Io sono molto affezionato a questa idea perché ho dedicato, e continuo a dedicare, buona parte della mia vita al Cortile dei Gentili, che è una istituzione che è nata proprio su quella idea. Fu proposto da Benedetto XVI ormai, io ci lavoro da anni, e da anni vedo, insieme ad altri, che si creano visioni comuni, valutazioni comuni, tra credenti e non credenti. E abbiamo messo a punto piattaforme per temi difficili e delicati come quello del fine vita, che forse altrove non si sarebbero trovati, e che, con pazienza, con il rispetto reciproco, senza mai lasciarsi andare ciascuno alla hybris estremizzante delle proprie idee, abbiamo constatato che Ratzinger e Habermas avevano ragione: era possibile nella fede per taluni, nei valori cresciuti nella civilizzazione degli esseri umani per altri, riuscire a riconoscere che la persona viene prima dello Stato, che la persona non è solo individuo, è qualcuno la cui libertà presuppone la libertà degli altri, è qualcuno che ha diritto a realizzare il proprio progetto di vita, ma del suo progetto di vita non può non far parte il progetto di vita anche degli altri, anche di quelli che non sono in grado di formularlo, e che devono essere messi nella condizione di formularlo. Diritti e doveri. Partecipazione e solidarietà. Il Cristianesimo se volete offre un fondo più adatto di altre religioni a muoversi con la flessibilità, con la tolleranza, con la comprensione necessaria in tutto questo. Fatto si è che questi sono i grandi valori delle dichiarazioni dei diritti su cui è fondata la nostra civiltà, a partire almeno dalla Seconda Guerra Mondiale. “Tutti gli uomini e le donne furono creati uguali in dignità e diritti”. Se queste parole hanno un senso, se la Dichiarazione Universale dei Diritti degli esseri umani del 1948 ha un senso, allora è in questo riconoscimento reciproco, è in un bene comune che consenta a tutti di essere partecipi di ciò che insieme viene prodotto. Il soggettivismo si ferma davanti alle ragioni degli altri, ma si ferma davanti alle verità che la vita comune impone a ciascuno di noi. Non è vero che sul giusto e l’ingiusto ciascuno può avere la sua etica, dobbiamo avere il coraggio di affermare che ci sono verità mai assolute ma ferme, che distinguono il giusto dall’ingiusto. E dobbiamo avere il coraggio di fermare, dobbiamo avere il coraggio di fermare chi va oltre. Nella lunga storia dell’umanità le colonne d’Ercole si sono spostate, ma esistono ancora. E qui mi avvicino al tema su cui voglio chiudere: noi per tutti, per tutti, credenti e non credenti, dobbiamo essere consapevoli che a questo mondo siamo creature e abbiamo tutti la responsabilità di difenderlo il creato, non di distruggerlo, a beneficio di chi ne dovrà usufruire dopo di noi. E allora le verità, le verità, includono anche quelle che tali risultano da scienza e conoscenza. Negarle è entrare nel falso e perciò stesso nel non giusto. Guardate, questo è un principio molto astratto può sembrare, un brevissimo esempio concreto: due genitori che sin sono convinti, o si sono fatti convincere, che solo la medicina omeopatica può curare il loro bambino o bambina in questo momento malato, e che le rifiutano le cure mediche di altro genere da altri proposte, questi due genitori stanno facendo il male della loro creatura perché sono nel falso e sono nell’ingiusto. Perché avere seguito il falso li ha portati ad una decisione ingiusta verso la loro creatura. Sono queste le premesse sulle quali mi baso per arrivare alle altre domande che mi aveva fatto Giorgio Vittadini in apertura. Ecco, noi siamo davanti a un compito davvero difficile, il più difficile che l’umanità si sia mai trovata davanti nella sua lunga storia di questo pianeta: il compito di assicurare di esso la sopravvivenza di chi ci vive, la sopravvivenza dei giovani di oggi, e ce ne sono tanti qui, la sopravvivenza dei figli che avrete e quella dei figli dei vostri figli. Cambiamenti profondi saranno necessari per fermare il trend attuale, quello che, lo dicevo prima di entrare, porta i climatologi a definire l’estate che stiamo vivendo come la più fresca dei prossimi trent’anni. Avremo bisogno di nuove tecnologie, chi si intende di queste cose ci dice che le soluzioni ancora non le abbiamo del tutto, stiamo guadagnando tempo, perché l’innovazione e le tecnologie ci diano quello che ancora non ci hanno dato. Cambiamenti nelle energie che usiamo, cambiamenti nelle nostre stesse vite, con adattamenti anche dolorosi, con scelte comportamentali difficili, con nuove regole di vita che tutti dovremo osservare. Attenti, questo è il punto cruciale, vedete: caratteristica del fenomeno gigantesco che dovremo governare è moltiplicare per mille un fenomeno che già abbiamo vissuto con la pandemia, che è poi quello simboleggiato dalla mascherina, per tenere lontano il male, o domani, per fare il bene o il meglio. Ci sono delle regole che funzionano solo se le seguiamo tutti. Le regole che stabiliscono i governi in genere riguardano solo alcune persone o alcune categorie di persone, non riguardano tutti tutti. Che tutti insieme contemporaneamente le devono osservare e rispettare, ma con la mascherina è stato così: quando ci incontravamo o la portavamo tutti o, alla fin fine, diventava inutile averla, perché bastano quei due o tre che non la portano… e poi nel mondo globale è esattamente questo quello che accade: si sposta qualcuno… Come fa una democrazia a garantire il rispetto di regole che tutti devono osservare? Come fa? Manda i vigili? Prevede la multa? Certo, manda i vigili e manda la multa, ma li manda in qualche caso, non li può mandare sempre. La democrazia non ha gli apparati repressivi di cui dispongono i regimi autoritari e, se li avesse, se ne dovesse dotare per garantire il rispetto delle regole non sarebbe più democrazia. Vorrebbe dire che abbiamo deciso, in nome di regole ineludibili, che dobbiamo rispettare di rinunciare alla democrazia e passare all’autoritarismo. Non è questo vero quello a cui vogliamo arrivare? Noi dobbiamo arrivare qui a realizzare quello che è lo specifico della democrazia e di questo Giorgio Vittadini parlava. Che noi rispettiamo le regole comuni, seguiamo il bene comune per convinzione, non per costrizione. Non si è solidali, non si è partecipi per costrizione, lo si è per convinzione. Ed eccoci al punto di partenza, un’altra volta, della storia della democrazia per milioni di esseri umani. Come si fa a generare questo idem sentire tra milioni e milioni di persone? Io, come sapete, mi astengo dalla politica e dai giudizi sulla politica finché sono alla Corte Costituzionale, posso anche dire che ho stima per le persone che se ne occupano e che la fanno, quale che sia il nome che portano, ma non posso non constatare che, per le ragioni di cui parlavo prima, che hanno portato nella società liquida la fine dei grandi aggregatori, e che casomai più di recente hanno sostituito i grandi aggregatori con aggregatori fondati su ideologie, su estremismi, su radicalismi che dividono la società anziché unirla, pensate agli Stati Uniti, a quello che lì sta accadendo. Ebbene, io non credo che la politica di oggi, così come è, sia attrezzata per il compito immane che abbiamo davanti. E questo è il primo vero punto del nostro problema. I partiti di una volta, forse, avrebbero avuto la forza di convogliare i loro iscritti e d’avvalersi di loro per convincere altri verso le azioni necessarie al bene comune. E magari avrebbero avuto anche la forza su questo prioritario obiettivo di darsi tutti un unico bene comune. Ritengo che oggi non sia più così. Questa è una politica la cui fragilità strutturale la porta a seguire, non a guidare. A sentire gli umori, le domande attuali più che legittime, più che comprensibili degli elettori. Ma, proprio per fragilità interna, per non avere più quello che aveva la politica di un tempo, farcela da sola a portarli verso il futuro. Dovete rinunciare al futuro, dovete lasciarvi andare per questo? No, se questa è una democrazia che ancora coltiva dentro di sé i valori di cui parlavo, nella quale ancora ha un senso la persona, la solidarietà, la partecipazione, il cercare di trovarsi, allora noi dobbiamo dire, se la politica non basta. Una democrazia è tale se mette in campo tutte le sue risorse per realizzare il bene comune a cui deve tendere, e tutti, nessuno escluso, sono risorsa a questo fine. E allora come fare, e riassumo i fili che avevo cercato di stendere prima. Come ho sentito dire si rifà a un telegiornale, al grande e bravo velista Giovanni Soldini che tutti conoscete, lo abbiamo visto sul suo formidabile scafo in giro per gli oceani. Lui diceva: “Beh, un cambiamento climatico così non lo avevamo mai visto, dovremmo fare chissà quante cose per mitigarlo. Ce lo dovrà dire la scienza quali sono le cose che dobbiamo fare”. Ce lo dovrà dire la scienza. Dobbiamo, noi non gli abbiamo gli strumenti conoscitivi, dobbiamo affidarci alla scienza, avere fiducia in essa perché solo la scienza ha gli strumenti e le verità per indicarci il percorso, ma deve farsi riconoscere e attribuire la credibilità necessaria perché su ciò che ci dirà possano essere incanalate dalle istituzioni politiche le strade che tutti noi dovremo seguire. Fatemi dire che è un po’ come nella pandemia, ma questo mi consento di dirlo: dalla scienza mi aspetto comportamenti più sobri e distaccati di quelli che molti ebbero nel corso della pandemia, dove a volte sentivi parlare scienziati e pensavi di avere davanti la tribuna politica. Questo non deve accadere. Questo non può accadere, perché questo, questo riduce la credibilità della scienza. La scienza non è e non deve essere un monolite, la scienza procede anche per errore, per l’amor di Dio, ma ci deve essere la dignità e la professionalità di chi tiene tutto questo all’interno del suo lavoro e si tiene lontano dalle tribune che lo collocano nel mondo che non è più quello del vero ma quello del verosimile e dell’inverosimile. Noi dobbiamo chiedere tantissimo alla scienza, ci deve indicare la strada, ma di quel tantissimo c’è anche la responsabilità di chi è consapevole di quante persone dovranno avere fiducia in ciò che avrà detto. Quindi le istituzioni politiche e a valle, a valle deve esserci chi si adopera nel lavoro di convincimento collettivo per l’attuazione di un compito che non sarà della sola politica, ma di tutti noi. Ed è qui, vedete, che io penso al volontariato. Parlavo prima degli iscritti dei partiti di un tempo, erano più di 4 milioni quando io ero un giovane iscritto a un partito, ora sono meno di 700mila, e gravitano intorno agli apparati pubblici. C’è qualcuno che oggi ha più di 4 milioni di iscritti e che con questi 4 milioni di persone che si occupano solo degli altri e del bene degli altri, parlo del volontariato, ne vengono raggiunte altre 35, 40 milioni di persone. Questa è la risorsa che dobbiamo mettere in campo, questo è l’esempio e allo stesso tempo la motrice del convincimento collettivo di cui avremmo bisogno. In una discussione che si è svolta mesi fa io avevi proposto al volontariato: offrite il vostro personale direttamente alla politica, non l’avete mai fatto per paura di essere strumentalizzati, ma oggi lo strumentalizzatore è diventato molto più fragile di voi e quindi questo rischio non c’è. Mantengo quell’invito, ma, soprattutto, siccome quell’invito non può essere rivolto a tutto il volontariato, altrimenti avremmo una classe politica di 5 milioni di persone, più del necessario, l’invito è rivolto a tutto il volontariato di far proprio questo compito, che rientra nella sua attività quotidiana, che è il parlare con gli altri, che è l’occuparsi degli altri, che è trovare insieme ciò che insieme dovrà essere fatto. Ecco, il polmone, il polmone della nostra democrazia. Questo può essere questo mondo. E questa responsabilità deve assumersi in nome del futuro. E poi, naturalmente, ci sono i giovani, ci siete voi giovani, quanti siete qui dentro. Mi hanno scritto finalmente che i compiti che la repubblica ha in base alla Costituzione devono essere esercitati anche a beneficio delle future generazioni. È un’ottima cosa, ma siatene voi garanti. La Costituzione è un bellissimo documento, ma ha bisogno di garanti in carne ed ossa, quel garante siete voi per il futuro che abbiamo davanti. E qui concludo. Come avete potuto constatare, nonostante la mia veneranda età, continuo a funzionare. E vi assicuro che finché funzionerò cercherò di esservi vicino su questo percorso, ma affido a voi queste idee perché voi siete il futuro.

 

Giorgio Vittadini: La ringraziamo presidente perché il suo discorso da presidente della Corte Costituzionale, ricordo che è la prima volta che un presidente viene al Meeting, dà come la direzione e l’argine del nostro impegno, perché mostra come tutto quello che avviene nei diversi posti, qui al Meeting, in generale, come dedizione agli altri, come impeto ideale a partire dalla verità, corrisponde, oggi, al disegno di un’istituzione rinnovata. Ieri il cardinale Zuppi, oggi lei, mostra quanto è fondamentale quello che si fa, e che quindi l’impegno personale non è solo qualcosa di utopistico, ma è la costruzione di una nuova società. E questo vorremmo fare, vorremmo farlo coi partiti nei confronti che avremo in questo Meeting, vorremmo soprattutto farlo nella miriade di posti più sperduti dove siamo presenti, per servire. Proprio don Giussani ci ha insegnato che la cosa più importante è servire. Oggi questo servire non è certamente a noi stessi, alla nostra realtà, ma a quel bene comune, a quel popolo a cui apparteniamo nella tradizione dei corpi sociali a cui vogliamo continuare a rispondere. Grazie ancora presidente, faremo tesoro di quello che ci ha insegnato.

Data

22 Agosto 2022

Ora

12:00

Edizione

2022

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D3
Categoria
Incontri