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Dalle periferie della Cristianità L’ETIOPIA INNALZERÀ A DIO LE SUE MANI. Immagini di una tradizione millenaria
Nell’immaginario europeo l’Etiopia è sempre stata un impero cristiano nell’Africa sconosciuta e affascinante da dove era partita la Regina di Saba per incontrare Salomone.
Ma in questo remoto Paese di leggende e di fede, la vivacità della sua popolazione esprimeva la sua devozione cristiana sia nell’organizzazione politica che religiosa. L’imperatore negus neghesti aveva la responsabilità di difendere la fede e il compito di respingere gli attacchi dei Musulmani per cui era spesso sul piede di guerra per mantenere l’identità del suo dominio. La Chiesa incarnava la pietà popolare e dato l’alto tasso di analfabetismo trasmetteva il messaggio cristiano con immagini e simboli via via sempre più sofisticati e belli. La forza viva della fede ispirava la vita quotidiana, promuoveva creatività, sviluppava nuove espressioni del credo religioso.
Tuttavia una caratteristica della cultura etiope è stato l’attaccamento alla tradizione che ha favorito una certa staticità della società etiope.
Oggi però la situazione è cambiata e l’economia e la situazione politica sono in evoluzione verso la modernità e intente a combattere la povertà e a rispondere alle esigenze della popolazione, che ormai raggiunge i 100 milioni di abitanti e fa dell’Etiopia il secondo Paese più popoloso dell’Africa. Inoltre Addis Abeba è la sede dell’Unione Africana, ciò che le dà un respiro internazionale importante.
Nel processo di modernizzazione in corso del Paese, i Cristiani Ortodossi e la loro Chiesa cercano un ruolo pubblico, come del resto cerca di fare la forte minoranza musulmana, anche se la nuova costituzione etiope stabilisce la separazione tra Chiesa e Stato, e lo fanno rafforzando l’identità storica cristiana della cultura pubblica per quanto possono. In questo sforzo, la continuità delle espressioni devozionali è uno strumento efficace. Abba Paulos I, patriarca della Chiesa Ortodossa etiopica, osservò: “Il Dio invisibile, che desiderò di essere adorato con oggetti visibili, ha messo la sua saggezza nel cuore di artisti per la produzione di oggetti sacri (Esodo 31:6)” .[1]
Gli oggetti sacri venerati dalla Chiesa etiopica sono soprattutto le croci, le icone, i libri liturgici e i manoscritti biblici e devozionali, le pitture murali nelle chiese, corone e vari oggetti utilizzati nelle celebrazioni liturgiche come il calice, la mesoba worq (cestino per l’Eucarestia), etc.
Nell’ecumene cristiana, le icone etiopi costituiscono un capitolo originale: hanno una storia, identità e caratteristiche fisiche uniche, testimonianza di un’arte cristiana totalmente africana e totalmente cristiana. Influenze varie sono state esercitate sulla produzione artistica dell’iconografia etiope, dalle chiese dell’impero bizantino, da Venezia, etc., ma sono state assorbite nella tradizione locale, influenze che indicano il legame tra mondo cristiano orientale e occidentale e il nesso tra icona e liturgia e icona e trasmissione del messaggio cristiano. Nel mezzo di povertà e di lotte di sopravvivenza, la rappresentazione visibile, attraente, del messaggio evangelico nella sua essenzialità comunicava alla popolazione il senso della sua dignità nell’apertura verso la trascendenza, verso il mistero di Dio che presente nella storia nella persona di Gesù, attraverso di sé con aspettative che vanno al di là di ogni contingenza e limite esperimentato dal credente, incessantemente lo rinnova.
L’arte cristiana etiope si è sviluppata in un contesto unico dentro cui va compresa, ma porta un messaggio universale, un richiamo alla trascendenza. L’icona in particolare non può essere dissociata dalla fede e pratica religiosa per cui l’apparente staticità apre verso una dinamica spirituale che coinvolge. Questo potrebbe essere il frutto della mostra al Meeting e l’inizio di un dialogo con la Chiesa Ortodossa etiope partendo appunto dal messaggio cristiano che ci accumuna e ispira.
L’organizzazione di una mostra di icone, manoscritti, croci, etiopiche può far risaltare la duplice funzione che questi oggetti artistici hanno avuto e continuano ad avere nella società che li ha prodotti: la glorificazione di Dio, cioè l’aspetto propriamente liturgico e devozionale, e il sostegno alla dignità della persona al di là delle circostanze limitanti in cui si trova, cioè l’aspetto o la dimensione sociale.
L’allestimento riminese sarà la 4° tappa di questa mostra. Le precedenti sono state Venezia, Pordenone e Vicenza.
In mostra circa 80 pezzi scelti da una collezione privata comprendenti croci in bronzo, rame, etc., tavole lignee, manoscritti, icone e tessuti. A questo si aggiunge un video sulla vita liturgica e sociale etiopica.
In mostra sarà realizzato un corner dell’Università Cattolica di Addis Abeba.
[1] “For the last 3000 years, Ethiopian artisans have produced numerous treasures and liturgical objects for the service of God, in addition to the need of their daily lives. In performing the services, they followed the rules and took great care with the liturgical objects, preserving their symbolic meaning. The priests were entrusted with many responsibilities, especially throughout the Christian era (New Testament). The clergy was responsible for scholarly and moral education, legal procedures, recording the history and daily life of society, illustrating books, crowning kings, and ensuring the general well-being of the population. ….The historical relics preserved by the church were source of grace, evidence of past experience and the manifestation of Ethiopian excellence down through the ages. Animated by an ardent faith, the clergy preserved these treasures, the memory of their significance, and the holy traditions linked to them.” Ethiopian Orthodox Tewahido Church. Ethiopian church Treasures & Faith. France: L’Archange Minotaure, 2009, p. 6
A cura di Giuseppe Barbieri