Dalla mia vita alla vostra

Luigi Maria Epicoco, Sacerdote, teologo e scrittore, Assistente ecclesiastico del Dicastero per la comunicazione ed editorialista dell’Osservatore Romano; Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione; Massimo Turchetta, Direttore Generale e Publisher Rizzoli. Introduce Alberto Savorana, Responsabile attività editoriali di Comunione e Liberazione.

In occasione della pubblicazione del volume antologico Alle radici di una storia, omaggio dell’Editore Rizzoli a un suo importante autore nel centenario della nascita. «Don Giussani è stato il più grande educatore del Novecento, ogni suo brano arriva al cuore di noi lettori, scardina i modi di pensare abituali e innesca una scintilla nuova di conoscenza» (dalla Nota dell’Editore). Al Meeting 2022, un dialogo attorno alla proposta educativa di don Giussani e alla sua attualità. Con la sua testimonianza di un cristianesimo vivo, non ha lasciato indifferente nessuno, vicini o lontani dalla Chiesa; anche chi non era interessato alla fede si è trovato sfidato da una proposta carica di significato. E oggi? Che cosa ha da dirci la sua vita? Quali domande intercetta come decisive per l’uomo di oggi? Quali suggerimenti ci offre per affrontare questo momento della storia del mondo? Quale contributo offre per l’educazione di un soggetto in grado di affrontare da protagonista, senza paura, la realtà e le sfide quotidiane?

Con il sostegno di Tracce.

DALLA MIA VITA ALLA VOSTRA

Alberto Savorana: Aspettate ad applaudire, non abbiamo ancora detto niente. Benvenuti a questo incontro al 43° Meeting dell’amicizia fra i popoli che intende rendere omaggio, con un gesto di gratitudine, alla figura di don Luigi Giussani, senza la cui vita e testimonianza il Meeting semplicemente non esisterebbe. E il motivo di questo momento di dialogo che abbiamo pensato è la pubblicazione di un’antologia di testi di don Giussani dal titolo “Alle radici di una storia” che l’editore Rizzoli, che è l’editore che dal 1993 pubblica senza soluzione di continuità le opere di don Giussani, ha inteso offrire come omaggio a uno dei suoi autori più significativi. Don Giussani ha vissuto il cristianesimo e lo ha testimoniato, e con la sua testimonianza non ha lasciato indifferente nessuno, i vicini e i lontani dalla Chiesa, e anche chi non era interessato direttamente alla fede si è trovato sfidato da una proposta carica di significato. Ma don Giussani è morto nel 2005, e oggi, ha ancora qualcosa da dire? La sua testimonianza, la sua proposta di vita, è in grado ancora oggi di raggiungere gli uomini, le donne, del nostro tempo, il tempo dell’incertezza? È ancora in grado di dare un contributo alla strada più o meno faticosa che ciascuno deve percorrere? È in grado ancora di aiutare e di accompagnare la generazione di un soggetto umano in grado di stare di fronte alle sfide quotidiane, di offrire un contributo alla vita personale, pubblica, sociale della Chiesa? Ecco, oggi ne parliamo con tre ospiti. Il primo è in collegamento con noi dall’estero ed è Massimo Turchetta, Direttore Generale e publisher della Rizzoli, cui dobbiamo questo libro. Per collegarsi con noi ha dovuto affittare un centro congressi perché era l’unico che consentiva una connessione sicura, e non riceverà rimborso spese. Il secondo ospite è alla mia destra, è Luigi Maria Epicoco, è un sacerdote – la tua fama ti ha preceduto – è sacerdote, teologo e scrittore. È stato nominato da papa Francesco assistente spirituale del dicastero della comunicazione ed è editorialista dell’Osservatore Romano. Grazie di essere con noi.

 

Luigi Maria Epicoco: Grazie a voi

 

Alberto Savorana: E, infine, il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi. Prima di introdurci al dialogo devo un saluto a Lucio Lorenzi della BUR, in sala con noi, e che ringrazio perché in queste settimane passate ha dovuto compiere un doppio salto mortale. Il primo è stato quello per pubblicare il primo di tre volumi di studi scientifici sul pensiero di don Giussani, in tempo per la presentazione che c’è stata qui al Meeting domenica sera. E il secondo

Salto mortale per aver consentito la stampa in tempo utile, anche questo per il Meeting, del libro di Davide Perillo su Rose e le sue donne di Kampala. Quindi benvenuto e grazie.

Mi ha molto colpito che Manuela Galbiati, che è la editor saggistica della Rizzoli, e che ha curato la selezione dei brani di don Giussani che trovate nel libro appena pubblicato, abbia scelto come testo iniziale un brano in cui Giussani racconta come è cominciato tutto nella sua vita. Il brano si intitola “Il bel giorno” e mi permetto di leggervene poche righe che mi sembrano adeguate per introdurci all’ascolto di quello che ci diranno i nostri ospiti. «Per me, tutto avvenne come una sorpresa di un bel giorno, quando un insegnante di prima liceo, avevo 15 anni, lesse e spiegò la prima pagina del Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne”, ovvero, “Ciò di cui tutto consiste si è fatto carne”, diceva, perciò la Bellezza si è fatta carne, la Bontà si è fatta carne, la Giustizia si è fatta carne, l’Amore, la Vita, la Verità si è fatta carne. L’Essere non sta in un iperuranio platonico, si è fatto carne, è uno tra noi. mi ricordai in quel momento, continua Giussani, di una poesia di Leopardi studiata in un mese di fuga in terza ginnasio, intitolata “Alla sua donna”. Era un inno non a una delle sue tanti amanti, ma alla scoperta che improvvisamente aveva fatto, che ciò che cercava nella donna amata, era qualcosa oltre essa. In quell’istante pensai che Leopardi fosse stato, milleottocento anni dopo, una mendicanza di quell’avvenimento che era già accaduto, di cui San Giovanni dava l’annuncio. Ecco, esclama Giussani, questo è tutto, perché la mia vita da giovanissimo è stata letteralmente investita da questo. L’istante da allora non fu più banalità per me. Tutto ciò che era, perciò tutto ciò che era bello, vero, attraente, affascinante fin come possibilità, trovava in quel messaggio la sua ragion d’essere, come certezza di presenza e speranza mobilitatrice che tutto faceva abbracciare». È una scoperta che non abbandonerà mai più don Giussani. E qual è questa scoperta? La grandezza della fede cristiana senza nessun paragone con qualunque altra posizione è questa: Cristo ha risposto alla domanda umana, perciò hanno un destino comune chi accetta la fede e la vive e chi, non avendo la fede, si annega dentro la domanda, si dispera nella domanda, soffre nella domanda. Questa è l’origine della profonda passione per l’uomo, chiunque esso sia e in qualunque condizione si trovi di don Giussani. La fede in cristo che lo rende appassionato a chi si annega, dispera e soffre nella domanda. Perché la sua forza, la forza di don Giussani, era nella consapevolezza di essere stato afferrato per sempre da un Altro. Era l’imponenza della vita di Cristo nella sua vita che gli faceva scrivere, a 24 anni: «La gioia più grande nella vita dell’uomo è quella di sentire Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore». Vivo e palpitante, cioè qualcosa di presente, non un ricordo del passato. Per questo ha speso tutta la sua vita, per comunicarlo, attraverso un grande gesto di carità che è stata la sua vita dedicata all’educazione della persona. Un’educazione che mettesse ciascuno in grado di stare nella realtà, da protagonista, foss’anche il ragazzo che al Meeting di Rimini spazza le sale. E per questo andò al Berchet, a metà degli anni Cinquanta, per mostrare, diceva lui, la pertinenza della fede alle esigenze della vita, l’utilità della fede per vivere la realtà di tutti. E disse il primo giorno di scuola: “Non sono qui perché voi riteniate come vostre le cose che vi dirò, ma per insegnarvi un metodo per verificare se le cose che vi dico sono vere”. Che stima nella persona, nella ragione, nel cuore, nella libertà dell’altro per consegnargli nelle mani la verifica. E come indica questa strada della verifica? Invitando a un paragone di tutto ciò che si ascolta, che si incontra e che si vede con il cuore, con quella che lui chiama esperienza elementare, qualcosa di oggettivo che è in ciascuno di noi. E come la descrive? “Un complesso di esigenze ed evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste. A esse potrebbero essere dati tanti nomi, ma possono essere riassunte con alcune espressioni: esigenza di verità, esigenza di felicità, esigenza di giustizia eccetera”. È questo che ha fatto di don Giussani un protagonista, perché per lui la fede, l’incontro con Cristo, non ha segnato la fine dell’avventura, anzi, ha messo in lui un senso della drammaticità dell’esistere per cui a poco più di vent’anni scriveva: “Io non voglio vivere inutilmente, è la mia ossessione”. E cos’è per lui l’utilità della vita? La vita per la felicità degli uomini. Io ormai, scrive, non piango più che per due motivi: il pensiero dell’infelicità eterna degli uomini, il pensiero dell’infelicità terrena degli uomini, simbolo di quella eterna. Appunto, una passione sterminata per l’uomo. Ed è questo che gli faceva guardare con simpatia tutto e tutti, in un dialogo diuturno, senza sosta, con il cuore dell’uomo, delle donne, dei giovani che incontrava. Senza paura del mondo, anzi, buttandocisi dentro a capofitto, tanto era certo di ciò che aveva ricevuto. Ho parlato già troppo e vorrei dare la parola a Massimo Turchetta che dirige la Rizzoli, che dal 1993 pubblica don Giussani. Massimo, nella nota dell’editore che hai collocato proprio all’inizio dell’antologia che hai pubblicata leggiamo: “Don Giussani è stato il più grande educatore del Novecento. Ogni suo brano arriva al cuore di noi lettori, scardina i modi di pensare abituali e innesca una scintilla di nuova conoscenza”. Ci dici il perché di questa selezione? E perché un grande editore laico considera utile il pensiero, la proposta di don Giussani, in questo preciso momento storico? In altre parole, a quale bisogno preciso risponde secondo te? Grazie.

 

Massimo Turchetta: Grazie Alberto e grazie a tutti quelli che ci stanno ascoltando. Intanto, prima di risponderti, lasciami dire che sono molto orgoglioso di avere l’occasione di essere con voi, seppure in collegamento, e di rappresentare la presenza non solo dell’editore Rizzoli ma anche di tutto il gruppo Mondadori a questa importantissima occasione. Rispondo alla tua domanda sul perché abbiamo considerato importante, più che importante direi imprescindibile, l’esperienza come educatore di don Giussani. E il desiderio di dare in qualche modo testimonianza delle tappe principali che lui ha percorso ha originato questo libro, lo sforzo di dare con questo libro una completezza sistematica. E a me piace anche pensare, ne abbiamo parlato a volte con te, di come nel motivo dell’educatore ci sia un’attenzione anche appunto per il mondo che parla ed è viva anche per il mondo che non ha la fede. Per esempio, subito dopo il brano che tu hai citato relativo al “Bel giorno” c’è un brano sulla trascuratezza dell’io, in cui dice che il supremo ostacolo al cammino dell’uomo è la poca attenzione all’io. Sembra un’attenzione che è quella che riecheggia nel Dhammapada di 2500 anni fa, in cui chi è vigile e totalmente vivo, ma anche Eraclito lo diceva: attenzione costante alla vita, all’essere vivi e non morti. Questo è un messaggio che continuamente don Giussani dà e che in questa antologia si ritrova più volte. E in più c’è un elemento che ritorna e che a me piace particolarmente sottolineare, anche perché c’è Luigi Maria Epicoco, che nel suo ultimo libro, la scelta di Enea ha toccato i temi dell’educazione e dell’accompagnamento. Se posso citare un autore a me molto caro che è, citare, ricordare, lo psicologo junghiano Hillman, in Puer aeternus, conferenza in cui racconta la storiella che lui dice che soltanto gli ebrei possono permettersi di are storielle così sugli ebrei. Allora racconta questa storia di un padre ebrei che dice al suo bambino piccolo di salire su una scala, buttarsi e lui lo prenderà. Lo prende. Il bambino ha un po’ paura ma è felice. La stessa cosa ripete al terzo gradino. Il bambino si bitta, il papà lo prende e il bimbo è felice. Poi al quarto, poi al quinto, adesso non li faccio tutti i gradini della scala, e poi, al gradino più alto, il papà non lo prende, lo lascia cadere, il bambino piange. Il bambino piange e in qualche modo Hillman conclude: c’è un aspetto di soffuso antisemitismo che solo gli ebrei possono permettersi sugli ebrei, cioè non fidarti mai di un ebreo anche se è tuo padre. Questa è la parte più comica della battuta di Hillman. Ma la seconda profonda verità è che per crescere devi imparare a lasciare andare la mano che ti ha tenuto fino a quel momento. Cioè un elemento fondamentale della crescita è che è un’esperienza relazionale. Bisogna anche in qualche modo accompagnare ma lasciare andare, e lasciare andare è l’atto di crescita più importante, il fidarsi anche degli errori dell’altro. E questo, appunto, il libro di Epicoco sulla scelta di Enea e sul rapporto col figlio Ascanio, che a un certo punto Enea ha una tale fiducia nel figlio da lasciare andare, aprire la mano e lasciarlo andare. Io credo che in questo lasciare andare ci sia tanto dell’insegnamento vivo di don Giussani. A credenti e anche a non credenti. Cioè una fiducia nell’uomo che permette di integrare l’esperienza relazionale anche dell’allontanamento e del ritorno.

 

Alberto Savorana: Nei primi mesi della pandemia tu hai scritto, quando mordeva, quando eravamo tutti disorientati e confusi, e il papa non ha mancato di sottolineare questo disorientamento tutti sulla stessa barca. Tu hai scritto che il problema principale no era tanto sopravvivere al contagio, ma era un altro, cioè comprendere, e cito, “che non possiamo più rimandare la grande domanda di significato sulla vita” che la pandemia stava rimettendo energicamente in campo. Il papa ce lo ha ricordato tante volte questo, ne cito una tra le tante: “la grande minaccia è la perdita del senso del vivere”. e allora, l’incontro che tu hai avuto a distanza, non avendolo mai conosciuto personalmente, ti domando: “Quale contributo ha dato e può dare don Giussani sulla strada della soluzione di questa che tu chiami la grande domanda sul significato e che cosa innanzitutto sta dicendo e dice a te.

 

Luigi Maria Epicoco: Bene, innanzitutto grazie. Grazie, voglio dire la mia gratitudine perché credo che non sia mai scontato trovarsi davanti a qualcuno che ti dà la parola, che si mette nell’atteggiamento di ascoltare. Ringrazio per avermi invitato oggi a condividere questo momento e vorrei fare una piccola premessa a quell’itinerario che ho in mente di condividere con voi oggi pomeriggio. Pensavo che c’è un gesto che in realtà è già presente nella Chiesa fin dall’inizio. Sapete, quando si vuole incontrare qualcuno, quando si vuole avere qualcosa di credibile su qualcuno ci si rivolge a chi ha incontrato realmente quel qualcuno. Non ci sono testimoni più credibili se non quelli, come dice Giovanni, hanno toccato, hanno fatto un’esperienza diretta di quella persona, di quell’avvenimento. Eppure, noi non ci pensiamo mai, eppure la Chiesa, fin dall’inizio, nel raccontarci la storia di Gesù, non raccoglie semplicemente la testimonianza di quelli che lo hanno incontrato direttamente. Il vangelo non è semplicemente il racconto di Matteo e di Giovanni, che sono due persone che effettivamente hanno avuto un’esperienza da vicino del loro maestro, di Gesù. Ma i vangeli sono anche i racconti di Marco e i racconti di Luca, persone che forse hanno incontrato di striscio, forse nemmeno hanno mai visto dentro la loro vita quella persona, ma in un certo senso l’hanno incontrata nei suoi discepoli, l’hanno incontrata in quel circuito di relazioni che quell’uomo aveva creato. E queste testimonianza sono ritenute credibili anche se non sono testimonianze dirette. È da qui che io prendo il coraggio di poter dire qui, in questa sede, una parola su don Giussani, trovo il coraggio di dire una parola pur non avendo mai incontrato questa persona, non avendola mai guardata negli occhi, non gli ho mai stretto la mano, non ho mai sentito direttamente la sua voce. Ma, in una certa misura, ho potuto incontrare Giussani come lo incontra Marco, come lo incontra Luca, attraverso la contaminazione dei suoi amici, delle persone che gli erano introno. E spero quindi che quello che posso dirvi io questa sera abbia una credibilità non perché io abbia una qualche credibilità, ma perché umilmente ci si può mettere in ascolto anche di uno che è fuori, di uno che apparentemente non c’entra nulla con quello che molti di voi hanno chiaro perché l’hanno incontrato personalmente e direttamente dentro la loro vita. Ma per stare ancora più sicuro, vorrei che questo intervento fosse abbracciato da due parentesi, due citazioni del vangelo, come un abbraccio. Perché quando rimettevo a posto dentro la mia testa gli appunti da condividere con voi questa sera mi tornava alla mente un versetto del vangelo di Giovanni, che in realtà è ambientato in un momento suggestivo del vangelo. Siamo di notte, e Gesù sta incontrando un discepolo notturno, che è Nicodemo, un uomo che assomiglia tanto all’uomo contemporaneo. Uno che si fa le domande ma non vuole mai prendersi alla luce del sole la responsabilità delle domande che sta vivendo. E proprio a Nicodemo Gesù rivolge queste parole, dice così: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va. Così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Penso che tutti noi siamo d’accordo che, quando pensiamo a don Giussani, pensiamo a un uomo nato dall’alto, nato dallo spirito, cioè un uomo in cui ha agito l’esperienza di un carisma, l’esperienza di uno spirito. E, nella storia della Chiesa noi sappiamo che, ogni volta che c’è qualche tentativo di voler imprigionare lo Spirito in un contenitore, in una casella, questi tentativi sono sempre destinati a fallire. Anche il nostro tentativo di voler rinchiudere don Giussani in una casella è destinato a fallire, perché essendo un uomo attraversato dallo Spirito è per sua natura imprendibile, incasellabile. Non possiamo trovare una formula che dica tutto di quest’uomo, perché quest’uomo riverbera dentro di sé la libertà dello Spirito, che non sai da dove viene né dove sta andando. È qualcosa che produce costantemente novità, ed è interessante che la parabola esistenziale di quest’uomo si conclude nel 2005, ma la forza di questo attraversamento dello Spirito nella sua vita continua a stupirci, continua a stupire e dovrebbe continuare a convertirci, cioè a farci tornare a quella verità di fondo che ha mosso la sua vita e che costantemente noi siamo portati a volerla cristallizzare, rinchiudere, formulare, in un modo tale che pensiamo che poterla trasmettere agli altri significa riproporre una formula. Ma non c’è nessuno formula. C’è soltanto lasciarci evangelizzare da una testimonianza che non soltanto è stata liberante per lui, ma liberante per tutte le persone che lo hanno incontrato. Ed è stato un po’ così anche per me. Mentre rileggevo questa antologia pubblicata sapientemente dalla Rizzoli, rileggendo questa sorta di Zibaldone dei suoi pensieri e delle sue riflessioni, ho pensato così, anzi ho fatto risuonare dentro di me qual era l’effetto di don Giussani dentro la mia vita, innanzitutto dentro la mia vita cristiana. Io posso comunicarvi qualcosa non perché sono prete, questa cosa potrebbe anche non dir nulla, ma perché mi sento un battezzato, profondamente cristiano, profondamente innestato a Cristo. Allora c’è qualcosa che leggendo Giussani mi è parso evidente, ed è qualcosa che dovrebbe essere provocatorio per ciascuno di noi. la prima è questa: quando tu leggi Giussani non leggi mai di una persona che fa ragionamenti in astratto, ma hai sempre la sensazione che si stia rivolgendo a qualcuno. La scrittura di Giussani è sempre la scrittura negli occhi degli occhi di qualcuno. Del lettore, di un interlocutore, di una persona concreta. E sapete, questo non è banale, perché molto spesso, come Chiesa, noi ci siamo rinchiusi in grandi riflessioni che funzionano in astratto, ma non sanno dare più del tu alla gente. Cioè la gente non si sente più coinvolta, come se fosse protagonista di quella discussione, come se quella verità che uno ascolta, l’ascolta in terza persona. Tu leggi Giussani e leggi un uomo che ha il coraggio di dire: mentre studiavo teologia a un certo punto non mi diceva più niente quello studio. Avevo il bisogno di tornare in mezzo, di stare in mezzo ala gente, in mezzo ai ragazzi. Come a ricordarci che c’è qualcosa di più interessante di dire una cosa interessante, e di imparare l’alfabeto attraverso cui si possa dire qualcosa di interessante. E questo alfabeto non nasce dal fatto che tu dici qualcosa, ma ti metti innanzitutto in ascolto di qualcuno che sta parlando. Giussani mi sembra quell’educatore che comprende che c’è una priorità anche alla riflessione, anche al gesto educativo, la priorità educativa è l’ascolto di chi hai davanti. Non puoi offrire a nessuno una risposta se innanzitutto non dai il tempo alla persona che hai di fronte di poter formulare una domanda.

E l’ansia che tutti noi abbiamo è a volte l’ansia evangelizzatrice che attraversa la chiesa, è quella di correre immediatamente alla risposta e questo, a mio parere, è la testimonianza della nostra mancanza di fede. Quando una persona corre subito alla risposta e ha nostalgia di dire costantemente la risposta senza dare il giusto spazio alla domanda, cioè alla crisi, all’inquietudine, è perché non crede veramente a quella risposta, e allora vuole sorvolare velocemente la domanda. Allora educare non è tanto rispondere alla domanda, ma aiutare le persone a farsi bene la domanda, caratteristica che ho sentito dentro di me nel leggere Giussani. La radicalità. Diciamoci la verità: don Giussani è un estremista, nel senso che porta radicalmente le questioni alla loro radice ultima, cioè quello che tu pensi, quello che tu dici, quello che tu ti domandi deve arrivare alla sua radice più profonda. Solo così la vita poggia su qualcosa di affidabile, invece viviamo in un mondo che ha sviluppato un pensiero che chiamerei un pensiero di intrattenimento”. E anche a volte una certa pastorale che noi portiamo avanti è una pastorale di intrattenimento, non è più un’azione che aiuta le persone ad arrivare alla radice, alla radicalità di una domanda. Quello che tu citavi prima in merito alla pandemia è una cosa di cui io sono estremamente convinto. A volte noi uomini abbiamo bisogno di dover incontrare qualcosa di terribile, forse anche una tragedia, per essere quasi costretti ad arrivare a porci in maniera radicale la domanda della vita. Io mi domando: dobbiamo per forza arrivare a una tragedia per diventare profondi? Per diventare radicali? Che cosa significa poter educare se non aspettare per forza qualcosa di estremo, ma essere sempre pronti, portati a guardare dentro le cose in maniera decisiva, appunto, radicale? Allora, quando tu arrivi alla radice di qualcosa, puoi anche costruirci la tua vita su quella cosa ma, finché non arrivi alla quesitone di fondo, è sempre tutto molto provvisorio. Voglio citarvi una parola di don Giussani a questo proposito: “La parola cristiana è la parola umana cui è stato rivelato, svelato il suo vero oggetto che non annulla niente che non manda via nulla, ma di tutto svela la verità. Tutto rivela come segno di sé.” quello che può sembrare qualcosa di così vero, ma apparentemente faticoso da comprendere.

Don Giussani ci conduce al terzo punto che vorrei condividere con voi, e cioè la necessità del dialogo. Vedete amici, noi non dialoghiamo per moda, non dialoghiamo per emulazione, non dialoghiamo perché vogliamo assumere un atteggiamento seducente nei confronti del mondo e degli altri, pensando che la seduzione di un certo dialogo ci aiuti a raggiungere i nostri fini. Questo non è il dialogo. Il dialogo è essere convinti, come dice Paolo, che tutto è stato fatto per mezzo di Lui, cioè di Cristo, e in vista di Lui, quindi non esiste niente dell’esperienza umana, niente delle persone, niente delle culture, niente di tutto ciò che è creato che non abbia a che fare con Cristo. Per questo noi possiamo dialogare, perché tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui, qui si fonda il dialogo cristiano.

Questo ci può far dire, senza che nessuno si scandalizzi, che possiamo persino capire qualcosa di bene che è nascosto nel demonio. Non sono impazzito. Se leggete il Vangelo – una cosa che mi piace sempre sottolineare – le più belle professioni di fede vengono fatte dagli indemoniati. Si rivolgono a Gesù: “Noi che abbiamo a che fare con te? Sappiamo chi tu sei, tu sei il Santo di Dio, tu sei il figlio di Dio.” Neanche il demonio sfugge a questo paragone con Cristo. Allora lì dove noi troviamo la verità dobbiamo essere assolutamente interessati a tirarla fuori, a evidenziarla; e questo significa allora che il dialogo non è una strategia, è una professione di fede. E lì dove dei credenti non sono disposti a dialogare, lì manifestano la loro apostasia. Il dialogo è la dichiarazione più grande di quanto Cristo sia veramente via, verità e vita. Questo credo che in Giussani sia lampante. Quando tu ti avvicini a quest’uomo, non è interessante essere d’accordo con lui, è interessante però vedere in lui riverberata la luce di qualcosa che sia vero, cioè, esiste una verità per cui valga la pena vivere. Ma dove nasce quest’uomo?

Sono applausi a Giussani, questi. La sua testimonianza.

 

Alberto Savorana: Sono applausi al testimone che, non avendolo mai conosciuto, ne parla. Lo hai detto all’inizio: altrimenti potevamo trovarci a fare un bel corso di lettura di Giussani, ma non parlerebbe come ci sta parlando in questo istante attraverso la tua faccia.

 

Luigi Maria Epicoco: Vedete, amici, c’è una cosa che mi sta a cuore condividere con voi questa sera. Quando Giussani parla di Chiesa, quando parla di compagnia, quando parla di relazioni, mi colpisce moltissimo una cosa e insieme a questo avverto anche un grosso rischio e cerco di spiegarlo nella maniera più semplice possibile. Quando leggi la vita di Giussani, – ringraziamo Alberto perché ce ne ha fornito davvero una lettura profonda nella sua biografia – e hai a che fare con quello che ha fatto dentro la sua vita, tu ti accorgi che l’incontro con Cristo è un incontro che ha la categoria, la caratteristica del dono, non è il prodotto di una tecnica, è un dono che a un certo punto accade nella vita come un evento traumatico e quando dico traumatico significa che quando accade quell’incontro, esso segna in maniera traumatica un prima e un dopo. Ora, poter incontrare Cristo in questo modo è sempre un dono, non è qualcosa che si può propiziare con una tecnica, non basta essere amici per provocare quest’incontro. Perché questo incontro, in ultima analisi, rimane sempre un dono. È sempre così. E l’unica cosa che noi possiamo fare, ecco la pedagogia, ecco l’educazione, ecco l’evangelizzazione non è avere la pretesa di dire: “Se tu incontri me, è sicuro che incontri Cristo”, ma attraverso delle relazioni, un’amicizia, una compagnia, risvegliare nelle persone una nostalgia di questo incontro e portare la gente a desiderarlo fino al punto da pregare e dire “Signore, dammi questo incontro, donami questo incontro”. Ma non è una tecnica, quindi questo ci mette tutti in quello che, a mio parere, ha a che fare con quella che Giussani chiama la mendicanza, cioè infondo siamo dei mendicanti con le mani aperte che possono soltanto desiderare ostinatamente di incontrare qualcosa che gli cambi la vita, desiderarlo che infondo è poi la radice ultima della preghiera. Penso allora che una Chiesa che si ricorda che può semplicemente suscitare questa nostalgia, che può far venire agli altri il desiderio di questo incontro – che è sempre un dono, e non è il frutto di una educazione, non è il frutto di ragionamenti che possiamo ripetere anche a memoria, non è il frutto della ripetizione di cose che in un certo momento storico sono state vere. Non basta questo. Basta tornare umilmente a questo desiderio e suscitare realmente questo desiderio nel cuore delle persone, perché poi a rispondere a questo desiderio non centriamo più noi, ma è la grazia di Dio. Per questo, il catechismo ci dice che la fede, la speranza e la carità sono virtù teologali che riceviamo in dono, e non vengono trasmesse attraverso nient’altro, se non attraverso la dinamica del dono. Ma vedete un po’ come la vita di Giussani è contemporanea a quello che noi stiamo vivendo in questo momento storico e mi ha colpito questo testo che, secondo me, è di una profezia terribile e chiara, che sembra scritto questa mattina, non anni addietro. Vedete un po’ come Giussani guarda la realtà e dice qualcosa della realtà parlando dei giovani, parlando delle persone, parlando della realtà che ha davanti, dice così: “Vi è come un plagio fisiologico operato dalla mentalità dominante così le persone, i giovani stentano molto di più a tirar fuori una vita convinta, vita e convinzione che, in quello ci annunciamo addirittura in quello che annunciamo agli altri, si rimane da una parte astratti nel rapporto con se stessi come affettivamente scarichi, ci si scarica subito” dice Giussani “ affettivamente rispetto al passato”, come delle pile che invece che durare sei ore, durano sei minuti. “Dall’altra, per contrasto, ci si rifugia nella compagnia come in una protezione, non si è assimilato veramente quello che si ascolta e quello che si vede”. Ma vedete la profezia di quest’uomo? Allora, la compagnia, le relazioni, la Chiesa non sono un guscio, ma sono un arco che mi proietta in avanti, non è la ricerca di una riva rassicurante, di un’appartenenza che ci metta al riparo dal mare aperto, ma è esattamente il contrario, è sentirsi talmente tanto di qualcuno da poter prendere il mare aperto e prendere sul serio la parola di Gesù che dice: “Duc in altum” (“Prendete il largo”). È proprio perché siamo amici che possiamo osare e non perché abbiamo paura di osare, allora ci rifugiamo nell’amicizia tra noi, che potenza! E quanto questa cosa può farci ragionare e farci convertire in questo momento, anche quando come Chiesa ci accontentiamo semplicemente di costruire dei gusci. Ecco Giussani anticipa quello che papa Francesco sta ripetendo a tamburo battente: Chiesa in uscita, che non è uno slogan, è l’atteggiamento di chi non si sente protetto, rassicurato, e al comodo di questo grembo, ma proprio questa appartenenza lo autorizza ad arrivare fino agli estremi confini della terra, ad arrivare a quelli che papa Francesco chiama “le periferie esistenziali”. Che cosa ha generato Giussani se non persone capaci di andare nelle periferie esistenziali geograficamente, umanamente, spiritualmente, culturalmente? E dove trova uno il coraggio di entrare nel mare aperto se non in questa appartenenza? È una bella domanda quella che ci pone Giussani. Noi siamo Chiesa così? So che ho già parlato troppo, vorrei arrivare alla conclusione di questa mia riflessione. In questi giorni, mentre tenevo un corso di esercizi spirituali a un gruppo di sacerdoti, è capitato di leggere pagine di un uomo, un grande maestro di vita spirituali, anch’egli morto di recente, un monaco trappista André Louf. E a un certo punto, leggendo una pagina di questo autore, ho pensato che fosse la descrizione più bella di don Luigi Giussani, e voglio leggervela, a mo’ di conclusione di questa mia riflessione: “Di tutte le cose che un padre dà a un figlio, la sua parola è probabilmente una delle più essenziali. La parola di un padre è quasi uguale al dono della vita: un padre muto o afono non sarebbe in grado di assumere il suo ruolo nei confronti del figlio, perché non basta che il padre generi, e doni la vita, bisogna anche che egli si faccia carico di essa, la orienti, e le dia un senso, bisogna che la chiami per nome. Altrimenti la vita di suo figlio rimarrà per sempre informe, una massa di possibilità infinite, ma indeterminate, e che non farà nascere nessuna di esse, perché nessun padre l’avrà realmente liberata, donandole un nome e un’identità. Attraverso la sua parola, ogni padre genera il figlio una seconda volta e lo proietta con fiducia nell’avventura dell’esistenza.”

Ho detto fin dall’inizio, è impossibile incasellare don Giussani: di lui si può dire la stessa parola che leggiamo nel Vangelo rivolta a Giovanni Battista che dice così: “Giovanni non ha fatto nessun segno, nessun miracolo, ma tutto quello che Giovanni ha detto di Gesù era vero e in quel luogo molti credettero in Lui”. Credo che questo sia stato , Don Luigi Giussani, un padre che ha offerto al mondo il miracolo di dire cose vere nei confronti dell’Unico di cui vale la pena dire qualcosa, Gesù Cristo. Grazie.

 

Alberto Savorana: Segnati in agenda per il Meeting dell’anno prossimo e poi hai facoltà di scegliere il giorno. Grazie per averci restituito Giussani vivo e palpitante. Non come il devoto ricordo dei pochi o tanti che hanno avuto il privilegio o la fortuna di mangiare o bere con lui, ma come qualcosa che innerva con la sua misteriosa presenza la vita di tanti tra noi oggi qui e nel mondo, ma in particolare per me è stata una sorpresa per la tua vita, la tua vita con la storia e il cammino che stai facendo. Davide!

 

Davide Prosperi: Grazie, buonasera a tutti e ringrazio il Meeting per questo invito, che ci consente, come stiamo vedendo, di entrare una volta di più dentro il cuore del nostro amatissimo don Giussani. Devo dire che tutto quello che abbiamo sentito finora – almeno io l’ho avvertito così – mi semplifica un po’ la mia parte di compito di questa sera perché tante delle cose che vorrei dire con altre parole, con le parole che nascono dall’esperienza di ciascuno, sono già state dette, sono già state filtrate dalla vostra esperienza. Confermo quanto diceva don Luigi all’inizio e cioè che, lo dico adesso con le mie parole, infondo la verità di un carisma, la verifica di un carisma è proprio nel fatto che ha da dire non solo ai suoi, ma è per tutti. Questo io penso che è uno dei grandi meriti di questa selezione per cui ringrazio la Rizzoli per aver curato questa antologia proprio nell’anno del centenario, perché è una raccolta preziosa che potrà contribuire a far conoscere e a fare approfondire per chi già conosce il messaggio educativo e l’insegnamento appassionato di don Giussani, perché questo insegnamento che ha segnato tanti di noi non solo noi, anche molti credenti e non credenti nel mondo. Da questa antologia trarrò anche alcune delle citazioni che ora intendo recuperare. La prima cosa che voglio dire è, appunto, che scorrere i titoli dei brani qui raccolti mi ha fatto come rinascere la gratitudine per quel dono grandissimo che sono state appunto la vita, la testimonianza di don Giussani. Ne cito alcuni: “La persona rinasce in un incontro”, “La pretesa cristiana”, “Nella semplicità del mio cuore, lietamente ti ho dato tutto”, “Riconoscere Cristo”, “Donna, non piangere”, “Il coraggio di dire io”, “Cara beltà”, e così via…

La passione per l’uomo che, come ben sappiamo, è non a caso – proprio nell’anno del centenario della sua nascita – è il titolo di questo Meeting, la passione per l’uomo che traspira da questi testi è originata in ogni virgola dall’incontro con Colui che solo rende l’uomo vero, rende l’uomo compiuto e quindi a sua volta appassionato della realtà e del mondo, Gesù di Nazareth. Non c’è pagina, non c’è riga o parola in questo libro da cui non emerga tutta l’affezione, la commozione e la fede carica di ragioni. Questa è una caratteristica chiave dell’insegnamento e dell’esperienza della vita di don Giussani: una fede carica di ragioni che lui mette in campo per ciò che lui stesso definisce “una cosa dell’altro mondo”. Cito: “il mistero, l’infinito a cui ogni uomo anela consapevolmente o inconsapevolmente, l’infinito è con noi, è sulla stessa barca con noi e c’è una cosa dell’altro mondo anche dentro la libertà che lo riconosce” ritroviamo p. 218-219, in questo senso la passione di don Giussani nel comunicarci quel bel giorno di cui accennava Alberto nell’introduzione di questo incontro e di cui lui ha fatto esperienza come quel momento iniziale carico di promessa in cui c’era già tutto come un embrione che attende di svilupparsi. Ecco, questo è sempre stato tutto teso a educarci a riconoscere quel Gesù così presente nelle pieghe della sua esistenza, e quindi della nostra esistenza, a dire sì con tutta la nostra libertà, senza tralasciare nulla, senza censurare nulla del nostro dramma persino del nostro niente. Tale a volte avvertiamo anche nell’aridità di alcuni momenti della nostra vita. Anzi, quella di dio per ognuno di noi è una compassione, una pietà, una passione. E chi può rimanere indifferente a una simile promessa, speranza per la propria vita? È qui che io credo che tutta la grandezza educativa di Giussani ha il suo cuore pulsante che adesso vorrei cercare di descrivervi, con le mie parole, anche secondo la mia esperienza.

Parto da questa nota che è presente all’inizio del libro, nota di Rizzoli, già citata “Don Giussani è stato il più grande educatore del ‘900”: questa non è una esclamazione iperbolica, come potrebbe apparire, ma certamente viene da domandarsi come e perché può aver senso usare una definizione del genere che, come amici di don Giussani ci riempie di gratitudine, ma occorre andare al fondo del significato di una simile espressione, non tanto per sottolinearne l’unicità, quanto per sottolineare in che senso è stato veramente educatore. Perché questo ha da dire a noi oggi, a me, da educare i miei figli, i miei amici, me stesso. Don Giussani è stato prima di tutto, non solo questo, ma prima di ogni altra cosa, un educatore ed è di questo che principalmente voglio parlare. Siccome ho detto non solo, devo anche sottolineare che, come sappiamo tutti bene, non solo chi l’ha conosciuto personalmente, don Giussani è molto difficile da racchiudere in una definizione, un sostantivo. Questo è vero per qualunque persona, ma dovendo parlare in questo caso è stato molte cose. Certamente è stato un grande conoscitore dell’uomo e, nello stesso tempo, un grande conoscitore di Cristo e anche comunicatore di questa conoscenza. Una capacità comunicativa davvero sorprendente. Ma è stato un grande oratore, è stato un appassionato ascoltatore e interprete, vorrei dire critico della musica, un lettore fecondo di tante opere classiche, un poeta, perché, in fondo, tutta la sua vita è stata poesia, ma anche un pittore, perché con le sue parole e le sue azioni sapeva dipingere davanti allo sguardo di chi gli stava davanti, il suo interlocutore, davanti al nostro sguardo, orizzonti e scenari di vita sempre nuovi, immagini che rendessero comprensibile ciò che spesso appare distante o addirittura incomprensibile alla mentalità comune. Ma, se devo dire, appunto, se c’è, devo dire un sostantivo che lo descrive più di tutti gli altri, questo è senz’altro educatore. Allora, per Giussani chi è l’educatore? L’educatore è colui che, avendo incontrato altre persone, ma questo lo avete già detto anticipandomi, e quindi essendosi appassionato al loro presente e al loro futuro, perché anche questo è importante, al loro volto nel mondo, intende aiutarli a crescere verso il loro destino. Ecco, però, su questo voglio dire, verso il loro destino vuol dire anche come possono essere utili al mondo. Perché questa è la domanda che abbiamo tutti. Allora io potrei moltissimi esempi anche personali, ma preferisco usare un’immagine. Allora, diciamo, supponiamo che qualcuno tra i suoi più stretti collaboratori possa essere paragonato alla piena di un torrente che scende tumultuosamente da una montagna. E alcuni abitanti del villaggio cominciano ad agitarsi e si rivolgono preoccupati all’ingegnere. Ecco, don Giussani potrebbe essere paragonato a quell’ingegnere che, invece che adoperarsi per fermare l’irruenza delle acque, come avrebbero fatto quei cittadini, ha avuto l’intelligenza di costruire argini robusti e installare le pale a mulino, trasformando la minacciosità di quella forza della natura, in un’energia utile per la comunità. Qualcuno di molti potremmo dire: questo è ciò che stando con lui è avvenuto. Come direbbe il cardinal Zuppi: “Ogni riferimento è puramente casuale”. Beh, del resto, don Giussani è stato animato innanzitutto da una grande capacità di incontro, prima si diceva dialogo no? E in questo poteva essere l’amico appunto coinvolto con sé nella responsabilità del movimento, così come abbiamo in mente quanti racconti su questo, il tassista o la persona seduta al suo fianco in treno, o in aereo o sul tram insomma. Poteva essere uno studente del liceo o dell’università dove insegnava. Ovunque fosse non ha mai sentito nessuna persona come estranea, anzi, ha percepito tutti come un dono fatto a lui, e per questo come una responsabilità. E quindi non stupisce che un evento come il Meeting, appunto, sia giunto alla sua 43^ edizione senza dare segni di stanchezza, non so quanti… perché il Meeting sgorga da quella stessa sorgente vitale, incontro appunto. E tanti che l’hanno incontrato possono proprio testimoniare questo. E io, che ho avuto anche la fortuna di poterlo frequentare personalmente per alcuni anni, lo posso dire per esperienza. Questo è il mio ricordo personale come quello di molti che lo hanno conosciuto e amato. Don Giussani si abbeverava all’altro come una spugna, fosse un uomo potente o l’ultimo degli ultimi. Questo aspetto era impressionante, almeno per me era impressionante. Lo ascoltava come se fosse l’unico uomo al mondo che gli interessasse. Imparava, ti trovavi davanti uno che era sproporzionatamente, in termini di conoscenza, di sguardo, di sentimento umano più grande di te, eppure capivi che era lì per imparare da te che non sei niente. E dedicava un tempo spropositato ai colloqui con le persone, ma nello stesso tempo, proprio in ragione dell’incontro con Cristo che lui aveva fatto, si insinuava delicatamente negli spazi aperti dall’altro per suggerire domande, riflessioni, proposte, suggerimenti. E non era mai imperativo nel farlo, però nemmeno elusivo. Non si imponeva sull’altro, ma cercava di aprirgli sempre strade, strade nuove, verso la verità e il suo bene. Cercando di capire insieme, a lui o lei. E nel farlo rispettava talmente la libertà dell’altro che, il suo primo obiettivo, se così possiamo chiamarlo era di risvegliare quella che nel libro viene richiamata come educazione alla critica. Questo è un punto importante, per cui mi permetto di citare, perché è un brano ripreso dal Rischio Educativo, non a caso, che rileggendolo, mi ha fatto molto riflettere pensando proprio al tempo presente. E sono i tre punti basilari della sua proposta educativa: Primo, proporre adeguatamente il passato, ovvero la tradizione proposta come ipotesi di lavoro. Secondo, il passato presentato dentro un vissuto presente. Un vissuto presente che ne sottolinei la corrispondenza, lui dice, con le esigenze ultime del cuore. Infine, il punto chiave, la vera educazione deve essere educazione alla critica. Cioè il passato, la tradizione e le ragioni che la rendono viva nel presente, a un certo punto devono diventare, lui dice, problema. E così, cito: “Con l’aiuto di una compagnia può dire sì oppure no. Così facendo prende la sua fisionomia d’uomo” e rendiamoci conto della stima per l’umanità, per il cuore e la libertà di ciascuno come emerge in queste parole. Poi fa un’osservazione che secondo me è validissima anche oggi: “Noi vogliamo liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente degli altri”. Pensiamo a quanto sono attuali queste parole nell’era del dominio culturale dei social media, specialmente per le nuove generazioni. Va beh su questo non mi dilungo, ma sarebbe interessante entrare un po’ in questo tema. Però vengo al punto che mi interessa toccare più attentamente. Allora, prima di tutto, nel suo essere educatore Giussani era un padre e un’autorità. E vorrei spendere due parole su questo. Era un padre perché sapeva di partecipare di quell’unica paternità che è quella di Dio verso la Sua creatura. Io non so quanti di noi percepiscono la propria paternità così, ma certo questo mette un senso di vivacità e di responsabilità nei confronti di chi incontri. E un’autorità, perché aveva la passione di veder crescere l’altro. Autorità no? Auctoritas, che è la parola latina che indica proprio questo veder, questa idea del far crescere no? Per eliminare ogni rischio di possesso e di assoggettamento delle coscienze a sé, cioè l’altro deve crescere, questa è la verifica di una educazione. E come già, appunto, come è già stato detto, come ogni vero educatore, non racchiudeva il suo interlocutore in uno schema, in una idea già bella e fatta. Ogni persona per lui era un unicum. Nello stesso tempo voleva che partecipassero di qualcosa di più grande del rapporto personale con lui, perché questa è stata la mia esperienza: sono stato messo dentro un orizzonte più grande, una compagnia più grande, uno sguardo più grande, a una comunità di amici che traeva la sua ragion d’essere dall’iniziativa di Dio verso gli uomini, in una storia santa di cui ciascuno fosse attore insostituibile. E io spero vivamente che le cose che dicendo non vengano interpretate come un prontuario per una strategia ideale di educazione, perché tutto questo è esperienza vissuta. Gli stessi testi di don Giussani che sono qui riportati altro non sono che le riflessioni su un’esperienza, su tale esperienza. Io stesso, se guardo alla mia esperienza personale, al mio percorso anche professionale, devo riconoscere che quello che sono oggi è stato fondamentalmente determinato dall’appartenenza a questa compagnia che mi ha educato con questa concezione della vita, della libertà e della responsabilità. Oggi sono professore universitario in biochimica, e se ho potuto anche crescere professionalmente, costruire un gruppo di ricerca scommettendo sulla responsabilità dei miei collaboratori, anche e ottenere certi risultati accademici e scientifici, molto, indubbiamente, lo devo all’educazione ricevuta. Paradossalmente, anche se, anzi, non anche se, ma proprio perché la responsabilità nella nostra compagnia mi ha richiesto tempo e impegni per molti anni, dedicati a seguire le nostre comunità sparse in Italia, in Europa e nel mondo. Io di questo sarò sempre grato. E, nel libro di Rizzoli, c’è un brano, un bellissimo passaggio che fa Giussani da gustare proprio su questo: “Vi dico una bellissima cosa: la forma di questa presenza, la presenza di Gesù nella vita – sta parlando di questo – da cui si parte per arrivare alla realtà, per arrivare a quella presenza, è una compagnia. La compagnia non come sentimenti degli uni verso gli altri, e quante volte noi riduciamo l’amicizia a questo – commenta Giussani -, ma nel suo valore, scusate se dico una parolona, ontologico, cioè di avvenimento reale. È la compagnia come avvenimento”. Ecco Giussani ci ha indicato con fervore la strada fissata da Cristo stesso, che è la strada più interessante, non certo priva di fatiche, ma è la strada più commuovente che ancora oggi rimane l’unica strada. “La condizione per affrontare il futuro – dice – è la certezza di una presenza, la presenza di una compagnia. Siamo tutta gente che ha risposto a una presenza. Allora la compagnia diventa a sua volta un grosso incontro, un grosso avvenimento per altri, è un avvenimento continuo”. E quante testimonianze possiamo dire di aver avuto di questo avvenimento continuo appunto, il Meeting stesso.

Secondo aspetto importante: come ogni vero educatore Giussani, ecco questo, aveva il senso del prima e del poi. Perché anche questo è importante. Cioè non anticipava mai delle dottrine da imparare teoricamente, aspettava sempre che fosse la vita dell’altro ad aprirsi verso indicazioni di cammino che lui stesso, poi, suggeriva e indicava, facendotele scoprire nella tua esperienza, come fattori costitutivi della tua esperienza ancora prima che tu magari te ne accorgessi. E del resto il tratto educativo, il suo tratto educativo della mossa della libertà di ognuno non ha mai omesso la necessità di un cammino, di un lavoro. Celebre la sua frase “Non aspettatevi un miracolo ma un cammino”. E c’è un brano tratto da “Le mie letture” che spiega questo che dice: “Primo aspetto della libertà è il riconoscimento dell’appartenenza, di un’appartenenza, e come sua acuzie, dell’appartenenza a Cristo”. Il secondo aspetto interessante e decisivo della libertà è il seguire, o il mondo o Cristo. Non c’è alternativa per lui. E se devo pensare quanto sia attuale la proposta educativa di don Giussani, questa è senz’altro uno, il punto più rilevante, più sfidante e, se posso dirlo, anche più rifiutato, spesso. Cioè lo stesso punto più volte, che tra l’altro ha sottolineato anche papa Francesco, che non molto tempo fa ha detto che l’educazione è “il naturale antidoto alla cultura individualistica che a volte degenera in vero e proprio culto dell’io e nel primato dell’indifferenza”. E cito ancora Giussani: “Parlare di seguire, oggi, può suonare particolarmente ostico, e, infatti, è paradossale, ma comprensibile che, proprio in un’epoca in cui l’uomo si sente lasciato indurre da comportamenti sempre più standardizzati, resi anonimi in una massa, in cui tutti sono omologati, uguali, pianificati, si manifesti, almeno a parole, il bisogno di una vera personalità, il bisogno di non conformarsi. Ma – e qui è la vera provocazione – a che cosa ci si può conformare consapevolmente, imparando sempre di più? – cioè in positivo. Volendo bene sempre di più, con una tenerezza sempre più grande se non a Colui a cui apparteniamo. Colui con la C maiuscola chiaramente. Ecco, un educatore sa che nella vita di ogni uomo ci sono alti e bassi, momenti di avvicinamento e di lontananza. Un educatore, quindi, sa aspettare, lascia aperta la porta. Nello stesso tempo trova le strade per rendersi vicino. Una telefonata, un biglietto, una parola. Ma sono sempre strade impreviste, ma della proposta di una presenza. Insomma, il seguirLo, il seguire Cristo, cito ancora: “capovolge la situazione, e il segno di tale capovolgimento è che il presente diventa affascinante, nuovo”. Qua mi ha ricordato il recente editoriale su Avvenire per la ricorrenza dell’assunzione del cardinal Zuppi che scrive: “Da quando abbiamo abbassato il cielo dei nostri desideri, restringendolo all’orizzonte del nostro io, anche la terra ci sembra più avara di vere soddisfazioni e di autentici entusiasmi”.

Terzo aspetto, ultimo, dell’insegnamento offertoci dalla sua vita: un vero educatore non è un angelo né una persona perfetta. e qua tiriamo un sospiro di sollievo. Si diventa educatori prendendo anche coscienza dei propri limiti, con umiltà, anche dei propri errori quando li si fa, e li si fa, della necessità di essere corretti. Don Giussani ha parlato più volte di questo riferendosi a se stesso. Paradossalmente, proprio la coscienza viva della sua fragilità lo rendeva così misericordioso e attento verso la fragilità degli altri. E lui stesso, per tornare a quanto già mi è stato anticipato, si è definito un mendicante. Un vero educatore è un mendicante del compimento della propria umanità nell’umanità del suo discepolo, del figlio, anzi, come dell’amico. Il compimento della propria umanità nell’umanità del figlio. Penso questo sia il senso più profondo della parola “comunione” che don Giussani ha insegnato a vivere a migliaia di persone. E allora permettetemi di lasciarvi con un augurio, attraverso le sue parole rivolte a un ragazzo in un’assemblea con alcuni giovani, che troverete a pagina 246: “Per rimanere giovani bisogna rimanere fedeli a ciò per cui si è nati, al proprio cuore. Ma il potere ha fissato tutti i tabulati, tutte le tue esigenze e le parole che le richiamano hanno già una risposta nel vocabolario del potere. perciò – ecco il mio augurio per voi e per me chiaramente – perciò mettiti insieme ad altri che vogliono rimanere fedeli al proprio cuore. Sii fedele al cuore e agli amici, e ti assicuro che vai fino al polo. Ragazzi, dobbiamo ammettere che è una cosa senza paragone che il cristianesimo dica che Dio è diventato uomo e permane in questa compagnia di amici per far sì che la giovinezza duri per sempre”. Hai ragione don Gius, non c’è nulla, nulla di neanche lontanamente paragonabile e più affascinante di questo. Grazie.

 

Alberto Savorana: Poiché il tempo è tiranno e ci sono alle porte i presidenti della regione che devono prendere possesso della sala, mi limito solo a due parole per ringraziare chi è intervenuto a questo incontro. Nel messaggio al Meeting del papa c’è scritto: “Quanto bisogno hanno gli uomini e le donne del nostro tempo di incontrare persone che non impartiscono lezioni dal balcone, ma scendano in strada per condividere la fatica quotidiana del vivere, sostenute da una speranza affidabile”. Credo che oggi, il vostro contributo, abbia annoverato la figura di don Giussani tra questi testimoni affidabili. E a queste parole del papa fa eco la fine della mostra virtuale che è stata proposta anche al Meeting, un breve intervento di don Carron che, come sapete, è stato presidente della Fraternità di CL dal 2005 al 2021 e che dice: “In questo momento storico, in cui spesso ci troviamo scombussolati per l’incertezza che domina a tutti i livelli, trovare presenze significative che ci aiutano a orientarci è un dono prezioso, perché questo è il motivo della nostra gratitudine a don Giussani, per la novità che ha introdotto nella vita nostra e di tanti altri”. E questo è il motivo del desiderio struggente che abbiamo di condividere questa vita, questa scoperta, con chiunque incontriamo. Incarnando, con tutti i nostri limiti, quell’ideale di Chiesa in uscita di papa Francesco. Di lui riprendo una cosa, perché mi ha colpito la sottolineatura sul tema dell’incontro che Luigi hai fatto come uno dei cardini di don Giussani. Dice papa Francesco: “Voi sapete quanto importante fosse per don Giussani l’esperienza di un incontro. Incontro non con un’idea, ma con una persona, con Gesù Cristo. Così lui ha educato la libertà, guidando all’incontro con Cristo, perché Cristo ci dà la vera libertà”. Ma proprio questo è il punto, mi sembra, più acuto della sfida della modernità, che ritiene impossibile che un incontro imprevedibile, come tu l’hai descritto, possa essere la chiave di volta della soluzione alla domanda di significato. E chiudo con una delle frasi per me più sorprendenti di don Giussani, come giudizio storico e come indicazione della strada, di una strada che è alla portata di tutti, chiunque sia. “La cultura di oggi – scriveva – ritiene impossibile conoscere, cambiare sé stessi e la realtà, solo seguendo una persona. la persona infatti nella nostra epoca non è contemplata come strumento di conoscenza e di cambiamento. Invece, Giovanni e Andrea, i primi due che si imbatterono in Gesù, proprio seguendo quella persona eccezionale, hanno imparato a conoscere diversamente e a cambiare sé stessi e la realtà. Dall’istante di quel primo incontro il metodo ha cominciato a svolgersi nel tempo”, e aggiungo io, ed è arrivato fino a noi, dalla sua vita alla nostra. E parte di questa vita, che è di tanti di noi, è il Meeting.

Data

22 Agosto 2022

Ora

15:00

Edizione

2022

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D3
Categoria
Incontri