Da Galileo ai giorni nostri: la natura della conoscenza scientifica

Hanno partecipato: Antonino Zichichi, Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; Alfonso Perez De La Borda, Docente di Storia delle Scienze all’Ateneo di Salamanca; Carlo Borghi, Docente di Fisica Teorica e Calcolo delle Probabilità. Moderatore: Guido Tartara.


G. Tartara:

Apriamo l’incontro di questa mattina sul tema della scienza “Da Galileo ai giorni nostri: la natura della conoscenza scientifica”. La scienza, come sapete, è un fattore determinante nella cultura e, in particolare, lo è stato nella cultura europea. Anch’essa, come del resto tanti altri valori, in questi ultimi anni non sfugge al clima di crisi, se vogliamo di rimessa in discussione. Da una parte essa gode di un altissimo credito per quanto, come spesso il prof. Zichichi sottolinea, la cultura scientifica non sia sufficientemente diffusa, tanto che la parola “scientifico” viene usata spesso, anzi se ne abusa, come sinonimo di “vero”, di “indiscutibile”; d’altra parte è cresciuto specie in questi ultimi anni un certo disincantamento, a volte una diffidenza e a volte addirittura una messa sotto accusa, a motivo essenzialmente delle applicazioni della scienza nella trasformazione delle condizioni di vita che hanno sollevato alcuni problemi riguardo all’ambiente, ecc. – Comunque in ogni caso la scienza è un fattore decisivo per la vita dell’uomo d’oggi e quindi per la cultura, se vogliamo che la cultura dell’uomo sia per l’uomo preso integralmente così com’è e come esso vive. Su questo, questa mattina abbiamo la possibilità di sentire personalità di grande prestigio, la cui attività nel campo scientifico e della cultura scientifica è ben nota e riconosciuta internazionalmente.

Lo schema dell’incontro di oggi è il seguente: avremo anzitutto delle relazioni, qualche intervento programmato e poi apriremo un dibattito che possibilmente potrà anche continuare, in forme varie, nel pomeriggio. Le prime relazioni vertono su un punto cruciale: la nascita della scienza moderna. Seguiremo nell’ordine degli interventi un criterio storico in relazione al materiale trattato e, perciò, senza perdere ulteriore tempo, darei senz’altro la parola al prof. Perez De La Borda, che tratterà la fase immediatamente pregalileiana dato, che appunto Galileo rappresenta un punto cruciale, una svolta, per la nascita della scienza moderna. il prof. Perez De La Borda è professore di Storia e Filosofia delle Scienze all’Università di Saiamanca, presso la Facoltà di Filosofia. I suoi interessi vertono soprattutto sulla storia della scienza, i suoi rapporti con la filosofia e la teologia e sul rapporto tra scienza e fede. Darei subito la parola al prof. Perez De La Borda.

A. Perez De La Borda:

Disgraziatamente dovrò parlare in spagnolo, perchè non posso assolutamente comunicare nella meravigliosa lingua italiana. Parlerò di due problemi fondamentali dei secolo XVI, due problemi dove veramente entra in gioco la nascita della scienza moderna. Voi avete già sentito parlare di Copernico che, com’è noto, era un canonico polacco. Copernico, per varie ragioni, alcune curiose, disse che il sole era immobile. La verità è che, secondo l’esperienza di tutti, il sole si muove e che è la terra a sembrare ferma. Copernico invece decise che non era proprio così, ma che era la terra a spostarsi, mentre il sole stava fermo. Voi vi domanderete perchè Copernico ha detto ciò. Non perchè l’astronomia della sua epoca non funzionasse; doveva senza dubbio essere ancora perfezionata, ma lo stesso vale anche per la nostra. L’astronomia all’epoca di Copernico, o meglio alcuni anni dopo, ha avuto bisogno di una correzione di 11 giorni: ossia gli astronomi si accorsero che il calendario aveva un ritardo di 11 giorni rispetto al sole, pertanto decisero di sopprimere 11 giorni e questo accadde precisamente il giorno in cui morì S. Teresa di Gesù, il 4 ottobre 1582. Come voi vedete, c’erano degli errori nell’astronomia dell’epoca, ma anche oggigiorno ve ne sono. Non so se ricordate che due anni fa è stato necessario sopprimere un secondo. Copernico ha tentato di cambiare l’astronomia per ragioni che riteneva fossero di semplicità. Egli non aveva assolutamente nuove esperienze e neanche aveva fatto nuove osservazioni; tutto ciò che sapeva – o quasi tutto – già lo sapevano i Greci, ma pensò che per ragioni soprattutto di semplicità matematica fosse molto meglio dire che la terra si muoveva e che il sole era fermo. La verità è che in tutto lo sviluppo dell’opera di Copernico non si riuscì assolutamente a raggiungere la semplicità da lui voluta. L’astronomia di Copernico è divenuta così complicata, come praticamente quella antica. Adesso vediamo dove era il punto veramente difficile. Da sempre, da Platone, si è pensato che c’erano movimenti naturali e movimenti voluti. Quelli naturali si svolgono per natura e senza nessuna spiegazione. Nell’astronomia c’erano all’epoca dei Greci, come pure al tempo di Copernico, due dogmi fondamentali: che i movimenti degli astri e dei pianeti erano circolari ed uniformi. Che accadeva sia per i Greci che per Copernico? Le osservazioni fatte sulle stelle o sui pianeti non hanno assolutamente una spiegazione attraverso questi movimenti circolari e uniformi. Noi oggi sappiamo che si tratta di movimenti elittici. Con questo concetto di semplicità e pensando di poter mantenere questi due dogmi della circolarità e della uniformità, il canonico polacco tentava di migliorare l’astronomia e quindi su questi concetti costruì la teoria. La verità è che alla fine, come ho già detto, la sua teoria risultò complicata come quella dei Greci, ma conteneva qualcosa di molto importante: lasciava fermo il sole e faceva muovere la terra. Dopo di lui arriveranno altri astronomi, come Keplero, che convertiranno questo movimento circolare in elittico e questa è la grossa rivoluzione dell’astronomia. Copernico decise di lasciare il sole fermo al centro, perchè ebbe l’intuizione che il sole era qualcosa di molto importante, sia per l’astronomia, che per il cielo, che per l’universo; qualcosa di così importante che venne chiamato “imperatore del mondo” e gli imperatori restano fermi e seduti sul loro trono mentre tutti gli altri vi girano intorno. Inoltre Copernico penso che siccome tutta la vita dipende dall’energia solare, così bisognava situare l’astro almeno quasi al centro di tutto l’universo. Ma questo ebbe delle conseguenze molto gravi. Facciamo un esperimento mentale. Se noi gettiamo una piccola pietra e la terra si mantiene ferma, io posso prevedere il punto di caduta. Se la lascio cadere su questo tavolo, la pietra cade proprio nel punto che indico. Era stato sempre detto e pensato che se la terra si muove, nel tempo impiegato dalla pietra per cadere, la terra si sarebbe spostata. Quindi dovrei vedere che la pietra non cade più nel punto da me previsto. Allora tutto il mondo poteva affermare che era ovvio e controllabile sperimentalmente che la terra non si muoveva. Inoltre voi avete visto gli uccelli che volano nel cielo. Se l’uccello si trova su un albero e inizia a volare, l’albero, che si sposta alla velocità della terra finirà per sorpassare l’uccello stesso. Inoltre le nuvole, se la terra è in movimento, resterebbero anch’esse indietro. Tutte queste ragioni si opponevano al moto della terra. Cartesio e Galileo inventarono una soluzione straordinaria per tutti questi problemi: la legge d’inerzia. Questa convinzione non era conoscibile da Copernico, che scelse di mantenere fermo il sole e fare ruotare la terra solo per ragioni di semplicità. Da qui si vede già come sia necessaria l’invenzione di una fisica diversa per risolvere i problemi dell’astronomía. Passiamo al secondo punto. La fisica che inventa o finisce d’inventare Galileo, è una fisica essenzìalmente antiaristotelica. Durante molti secoli, dai Greci fino al 600, si è pensato che il movimento fosse suddivisibile in due tipi fondamentali (si parlava di movimento locale, perchè qualsiasi trasformazione era ritenuta anche un movimento, ma oggi noi consideriamo la parola “movimento” soltanto relativa a quella che gli antichi chiamavano movìmento locale): i movimenti naturali e quelli violenti. Quali erano i movimenti naturali? Tutti quelli che seguono lo sviluppo naturale delle cose, come ad esempio la caduta delle pietre. Infatti noi constatiamo che le pietre cadono, perchè tendono al loro luogo naturale che è il suolo. Ora occorre spiegare perchè le pietre risalgono. Se io violento la pietra, questa avrà un movimento che non è naturale, cioè verso il basso, ma un movimento violento. Consideriamo il fumo e il fuoco: è un esperimento mentale che molti avranno fatto. Se accendete il fuoco in cucina, sarete molto sorpresi se vedrete le fiamme che scendono verso il basso anzichè salire in alto. Voi, come Aristotele, pensate che le cose leggere vadano verso l’alto e pertanto ciò che avrebbe bisogno di una spiegazione non è il fatto che il fumo vada verso l’alto, ma il fatto che il fumo vada verso il basso. Vedete quindi che ci sono quattro possibilità: c’è il movimento dei gravi che cadono; il movimento dei corpi leggeri che salgono; poi ci sono i movimenti violenti. Ebbene, studiamo due tipi di questi ultimi movimenti, sempre seguendo l’ottica dell’aristotelismo, cioè del buon senso. I gravi, in caduta, aumentano gradualmente la velocità: vediamo perchè. La spiegazione è che i corpi tendono al riposo. Quando un asinello si avvicina alla greppia va più veloce, perchè li può riposare. La stessa cosa succede ai gravi quando si avvicinano alla terra. Passiamo al movimento violento. Se io spingo violentemente la pietra, allora si crea un grandissimo problema. Quando io tocco la pietra le comunico una violenza, ma quando questa si separa dalla mano come mai continua a mantenere la violenza impressale? Questo problema era molto complesso ed è stato dibattuto per secoli. Aristotele pensava una cosa ridicola, ma coerente come spiegazione: la mano spinge la pietra, la pietra spinge l’aria, l’aria si sposta e confluisce nel vuoto lasciato dalla pietra. E’ l’aria sospinta che finisce per spingere la pietra. Aristotele e gli aristotelici furono molto soddisfatti, perchè in questo modo si spiegava tutto. Molti si accorsero che era una spiegazione troppo ad hoc e, pertanto, dal secolo XIV tentarono un altro tipo di spiegazione che, però, non era migliore della precedente. Era la fisica dell’impeto. Che cos’era l’impeto? Nessuno lo sapeva. Era una specie di habitus, di sostanza, che la mano imprimeva alla pietra spostandola. Una volta che l’impeto era consumato, la pietra cadeva. Ora vediamo come si svolge questo movimento violento. Un italiano che voi conoscete, Tartaglia, scrisse un piccolissimo libro intitolato “Nova Scientia”. Questa espressione, ripresa anche da Galileo per tutto il ‘500, indicò la nuova scienza che, per Tartaglia, era la balistica. Come si svolge il lancio di un proiettile? Voi sapete che a quell’epoca furono inventati i cannoni (molto meglio delle bombe al neutrone!). Come venivano create le traiettorie dei cannoni? La polvere dà un impeto violento al proiettile, che compie la prima parte della traiettoria in modo perfettamente rettilineo. Successivamente, quando comincia a consumarsi l’impeto, prevale il movimento naturale, cioè una traiettoria curva che porta il proiettile a terra. Per tutto il secolo XVI, si spiega in questo modo il movimento dei proiettili. Tartaglia, già anziano, si accorge che tale spiegazione non è coerente, perchè se questo proiettile pesa, peserà sempre per tutta la traiettoria. Allora il movimento sarà curvilineo già all’uscita dal cannone e non ci sarà mai una traiettoria rettilinea. Nessuno prese in considerazione Tartaglia fino a Galileo; non lo ascoltarono gli ingegneri e gli artiglieri, perchè sperimentalmente il modo di sparare era quello di puntare direttamente il cannone sull’obiettivo. Quando Tartaglia diceva agli artiglieri che dovevano mirare un po’ più sopra dei loro bersaglio per colpirlo, era ritenuto pazzo. Pensavano fosse un filosofo e non un fisico sperimentale. Ora siamo di fronte ad un piccolissimo gruppo dove troviamo Keplero e il giovane Galileo che si preoccupano di queste due cose: la terra si muove e il sole sta fermo. Queste – secondo Keplero e Galileo – non sono delle ipotesi maternafiche, ma realtà fisiche e sono le uniche esistenti, anche se vanno trattate matematicamente. E’ falso dividere il mondo in due realtà: da una parte quella matematica e, dall’altra, la realtà astronomica. Occorre invece che, basandosi sulla matematica, le teorie rendano conto delle osservazioni fatte e le spieghino, affermando – però – una cosa molto importante: queste teorie sono la verità dell’Universo. L’universo funziona davvero in questo modo. La fisica, dunque, non può essere separata dalla matematica, anzi, occorre fare una unica teoria fisico-matematica e questa ci dirà com’è il mondo attorno a noi, ci dirà la verità. Questo è il concetto con cui arriviamo al secolo XVII. I due grossi rappresentanti di questo concetto, sono Cartesio e Galileo. Visto che non parlerò di Galileo, per concludere farò un salto. Voi sapete che la fisica che ha inizio in quest’epoca arriva ad uno dei suoi massimi splendori con Newton. Dopo gli scienziati, come sempre, arrivano i filosofi. Voi conoscete un filosofo di nome Kant, che partì da questo presupposto nel suo lavoro: dato che è provato per sempre che la fisica galileiana e newtoniana esprime la verità e che il mondo è così come dice la fisica, allora essa non è una serie di semplici ipotesi, ma arriva al centro della realtà. Kant allora si chiede: “Com’è possibile che la nostra mente sia capace di pensare la fisica?” – Infatti la fisica, in fin dei conti, è stata elaborata da uomini. Questo è uno dei grandi problemi di Kant. Cosa è accaduto dopo Kant nei rapporti fra filosofia e fisica? Le cose funzionano molto bene fino all’inizio del nostro secolo, quando – nei primi decenni – si creò un gravissimo problema, dovuto al fatto che la fisica di Newton non è esattamente la realtà. Ciò non significa che fosse una bugia, ma solo un’approssimazione della realtà. Questo ha provocato gravi problemi in tutti i pensatori, fino al punto che fra il 1920 ed il ’70 i fisici e i filosofi dimenticarono la realtà e dissero che quello non era un loro problema. In fondo, quello che noi sappiamo è ciò che noi sperimentiamo. Vale a dire che noi sappiamo quello che già sapevamo, e in queste condizioni non può esistere un confronto fra la fisica e la realtà. I filosofi sono soddisfatti di questo, ma i fisici no. Questi ultimi continuano a chiedersi molto seriamente che cosa sia la realtà. E’ un po’ sorprendente che io dica che oggi i fisici si preoccupano di porsi questa domanda; i fisici che vent’anni o trent’anni fa non si preoccupavano della realtà e ne avevano una concezione diversa. I fisici, soprattutto quelli più avanzati, tutti quelli che arrivano a toccare la teoria della meccanica quantica, se ne preoccupavano ovviamente, ma si preoccupavano dei loro esperimenti, delle loro osservazioni e per molto tempo pensarono che non si poteva dire nulla su ciò che il mondo è, al di fuori delle loro osservazioni: “Se mi consentite vi dirò molto rapidamente e molto sempiicemente, cioè molto francamente, che il mondo non esiste al di fuori delle nostre osservazioni – dicevano i fisici – non si sa, non ha senso parlare di esso”. Io vi dico che oggi, come sempre, perchè sempre ci sono stati alcuni fisici che l’hanno pensata così (per es. A. Einstein) e, cioè, che hanno detto che nella realtà sia la filosofia che la fisica se parlano di qualche cosa, debbono parlare di qualche cosa che sta ai di fuori di noi e che esiste e ha una realtà, benchè noi chiudiamo gli occhi dinnanzi ad essa; io vi dico che questo gruppo di fisici, che sicuramente oggi incomincia ad essere un po’ più importante degli altri, dice che quelli precedenti praticavano la politica dello struzzo, che nasconde la testa così non vede i problemi. Oggi invece si pensa che la realtà sia un problema reale, benchè nessuno lo osservi; pertanto significa che le teorie della fisica debbono valere al di fuori del mondo degli osservatori. Questo è quanto io volevo dirvi per impostare un’ampia panoramica sul pre-galileismo e su alcune delle conseguenze che, secondo me, hanno provocato la fisica e la filosofia.

A. Zichichi:Il mio compito è un po’ arduo, perchè parlare di ciò che è successo da Galiieo ad oggi non è facile; comunque ci proverò. Mi sta molto a cuore parlarne, non solo come conquiste scientifiche ma perchè questa scienza, di fatto dimenticata per un paio di secoli, è oggi destinata ad avere grande rilievo per il significato stesso della nostra esistenza di uomini ed è questo il fatto che a me sta molto a cuore. Mi sta molto a cuore, perchè è stato Giovanni Paolo II che me l’ha fatto notare due anni fa; la scienza deve dire che cosa significa essere uomini, quando essa è nata per dare dignità culturale alle cose volgari come le pietre, gli spaghi e i legni. Vi darò un esempio fra poco di che cosa questo significa. Quando – circa quattrocento anni fa – una pietra, uno spago, un pezzo di legno, venivano considerati cose volgari (cose quindi non degne di essere prese in considerazione in quanto dal loro studio non poteva venir nulla di buono), nasce invece qualcosa di straordinario. Un uomo di fede cattolica, Galileo Galilei, dice: “Un pezzo di pietra, uno spago, un legno non sono oggetti volgari, sono opera di Dio”; Galileo diceva queste cose, non quelle che gli fanno dire Brecht o altri diffamatori e persone non certamente fedeli a quello che è veramente successo. Il giorno in cui si scriverà la storia della scienza, fra cento, duecento (adesso siamo in cronaca, non in storia), fra mille anni, duemila, dovrà pur dirci questo storico come è nata la scienza; non è nata come dicono questi signori e come hanno scritto su pagine e pagine gettando fiumi di inutile inchiostro – la scienza è nata come atto di fede verso la natura per opera di Galileo Galilei, il quale ha saputo dare dignità culturale a oggetti volgari. Adesso non è più così, la scienza – voi sapete – viene presentata come nemica della fede; anni di battaglie culturali stanno cominciando a lasciare i segni e in questo voi giovani cattolici siete una punta di diamante. La scienza non è nata nè in casa marxista, nè in casa laica; è nata in casa cattolica e noi di questo dobbiamo essere orgogliosi, perchè la scienza rende l’uomo protagonista nella più civile sfida di tutti i tempi: capire la natura, sapere leggere il libro della natura, come diceva Galileo Galilei. Non lo sto inventando io, come ha detto un cosiddetto storico della scienza moderna: questo è scritto da Galileo Galilei, si può trovare, non è mia invenzione. Galilei diceva che la natura non è un libro scritto a caso da un pazzo e noi sappiamo oggi, dopo trecentocinquanta anni di scienza, che non una sola virgola in questo libro è stata scritta a caso; la scienza permette all’uomo di sentirsi protagonista in questa civile sfida che la natura ci pone ogni giorno dicendoci: “Cerca di capirmi”. Oggi, a quattrocento anni circa dalla nascita della scienza come atto di fede verso le cose volgari, ci troviamo di fronte a una umanità in cui domina la mistificazione culturale; la più grande di queste mistificazioni, è quella che pretende essere la scienza nemica della fede e vedremo fra poco. Ma questa mistificazione ha portato a delle cose incredibili: non le pietre, oggi, non gli spaghi, non i pezzi di legno sono considerati cose volgari, ma si nega agli uomini la dignità di essere figli di Dio, la libertà di pregare; agli oggetti volgari – pietre, spaghi, legni – oggi si sostituisce l’uomo. Come mai avviene questo? – a causa della crisi culturale del nostro tempo. La crisi dei nostro tempo non è basata sulle testate nucleari, sui missili e sui carri armati, è una crisi di cultura. Noi siamo dinnanzi ad un bivio: da un lato c’è la cultura dell’odio, della lotta, della vendetta, la cultura che predica la distruzione del nemico; dall’altra, c’è quella dell’amore, della carità, del perdono, quella che vuole vedere in ogni uomo un figlio di Dio; la scienza fa parte di questa cultura, della cultura dell’amore. Non si può studiare una cosa che non si ama; lo scienziato ama la natura, e qui interviene un altro fatto che voglio citare subito in apertura, un’altra mistificazione culturale del nostro tempo: la totale confusione che la cultura dominante ha voluto fare tra scienza e tecnica. Giovanni Paolo II è il primo grande uomo di questo secolo che ha detto con estrema chiarezza due anni fa: “La tecnica può rendere l’uomo schiavo di se stesso, della propria stessa potenza, non la scienza”. La scienza dà all’uomo felicità intrinseca, ha valori che sono totalmente nostri, della cultura cattolica e vi dò un solo esempio di questo. Potrei io come scienziato dire: “Non credo a questo teorema, non credo a questa scoperta, non credo a questa legge perchè l’ha scoperta un negro?” – sarei fuori della scienza. Per noi cattolici un negro, un giallo, un rosso, un azzurro, sono tutti fratelli in Dio; il razzismo non esiste nella scienza, né esiste nella religione cattolica. Come fa una cosa chiamata scienza a essere considerata nemica di un’altra cosa chiamata religione cattolica se le due cose hanno valori identici: la religione nel mondo trascendente, la scienza nel mondo immanente è questa la grande sintesi del nostro tempo. Voler confondere scienza con tecnica fa parte di quella stessa struttura logica che porta ad identificare la scienza come nemica della fede; se fosse vero che la scienza e la tecnica sono la stessa cosa, noi dovremmo immediatamente interrompere la ricerca scientifica. E questa è la forma del moderno oscurantismo. Quando Chadwick scoprì il neutrone dette all’uomo una cosa stupenda: io peso circa settanta chili, trentacinque chili dei mio peso sono neutroni, quindi Chadwick non si occupava di cose astratte come spesso dicono gli stessi esponenti della cultura dominante, la scienza si occupa di cose reali, del mondo immanente. Quando Chadwick scoprì il neutrone dette all’uomo una delle più belle pagine della scienza moderna; la scoperta del neutrone non ha nulla a che fare con la bomba al neutrone, non c’è bisogno di scomodare la fisica moderna, la fisica nucleare, per scoprire che la potenza dell’uomo può essere nel bene e nel male, basta ricordarsi delle varie età come quella del ferro in cui venne fuori il bisturi, tecnica buona, e il pugnale, tecnica cattiva. La tecnica dà all’uomo potenza nel bene e nel male; la scienza dà all’uomo conoscenza, gli permette di capire, di leggere questo meraviglioso libro scritto da Dio, come diceva Galilei. Se fosse vero che la bomba al neutrone deriva dalla scienza dovremmo smettere di far scienza e invece non è così, dobbiamo smettere il connubio fra tecnica e potere politico cattivo; ci sono queste due espressioni dei mondo di tutti i tempi: la potenza del male che accoppiata alla potenza politica del male può portare l’umanità a drammi enormi. Ma questo non ha nulla a che fare con la scienza, chiudere il libro della natura è quello che vogliono coloro che accusano la scienza di colpe che non ha. Adesso, nel portarvi da Galilei ai nostri giorni, voi toccherete con le mani se è o no giusto smettere di fare scienza, come sarebbe implicito in questa deliberata mistificazione culturale del nostro tempo, che vuole la scienza nemica della fede, la scienza e la tecnica identiche e tante altre cose che affliggono la nostra vera cultura. Tutte quelle deformazioni della cultura attuale non hanno nulla di culturale, nel senso profondo di prodotto di questa cosa chiamata uomo; vedremo che cosa la forma vivente chiamata uomo sa dare a noi come espressione di una forma della natura che si distingue dalle altre. L’uomo ha due modi di distinguersi da tutte le altre forme di materia vivente. Uno è il trascendente, la scoperta del trascendente che ha radici nella verità rivelata. L’ateo può anche non credere al trascendente, però non può negare che altri suoi simili trovano in questo trascendente un grande motivo di forza interiore: chi dà a madre Teresa di Calcutta quella enorme forza d’amore che le permette di aiutare migliaia e migliaia di vittime dell’ingiustizia umana? Certamente Madre Teresa di Calcutta non fa quelle cose perchè mangia bistecche; chi dà a Giovanni Bachelet la forza di invocare il perdono degli assassini dei padre davanti al cadavere di Vittorio Bachelet? – certamente non perchè aveva preso un ricostituente la mattina. L’ateo può credere che il mondo trascendente non esiste, però non può negare che i valori trascendenti cui milioni di persone credono danno queste conseguenze immediate nei fattì della natura, osservabili, come quelli che io ho citato. Questi sono i prodotti della cultura dell’amore, noi offriamo questo a coloro che seminano odio e morte, noi seminiamo amore e vita. E questi valori vengono dal trascendente. Questo è un modo in cui l’uomo si distingue dalle altre forme di materia vivente; non c’è nessun’altra forma di materia vivente che riesce a concepire il mondo trascendente. Se adesso dal trascendente passiamo al mondo immanente fatto delle cose che si toccano, come questa bottiglia o come questa penna, scopriamo un’altra grande cosa: la scienza. Limitandoci al mondo dell’immanente, la scienza permette di distinguere l’uomo da tutte le altre forme di materia vivente. Una scimmia non ha mai scoperto un teorema o una legge fisica, nessun animale è mai arrivato a tanto. Questa esigenza di scoprire le leggi della natura, questo bisogno di saper leggere il meraviglioso libro di cui parlava Galilei è quanto di più esemplare ci sia nel mondo dell’immanente, che permette di distinguere questa forma di materia vivente chiamata uomo da tutte le altre forme di materia vivente. Qui vorrei, prima di cominciare con la descrizione della fisica galileiana da Galilei ai nostri tempi, dirvi un’ultima cosa che fa parte della mistificazione culturale del nostro tempo; spesso si dice: “Una nuova scoperta rivoluziona tutto”; si usa quindi questo concetto di rivoluzione. La scienza non ha mai rivoluzionato nulla, ha costruito, non ha mai distrutto nulla, ha aperto nuovi orizzonti, non ha mai prodotto nè morti nè feriti. Scienza vuol dire costruire, amare la natura. dell’avventura. Vediamo come incomincia questa grande avventura intellettuale con Galileo Galilei. Molti lettori ogni tanto mi scrivono e ragazzi che io ho incontrato mi hanno chiesto come si fa a rispondere a coloro i quali dicono che non è vero che la scienza sia nata con Galileo Glilei, che era nata prima. E’ molto semplice, a coloro che pretendono dire queste cose bisogna fare una domanda: “Mi dica qual è una sola legge fondamentale della natura che sia stata scoperta prima di Galilei”. Nessuna! Questa è la risposta da dare a coloro che pretendono che la scienza sia nata prima di Galilei. Anche questo fa parte di una mistificazione cuiturale; ci sono quelle grandi, le grandi mistificazioni culturali, poi ci sono i corollari di queste mistificazioni, che tendono tutte a uno scopo. Perchè un giorno verrà fuori questa verità, in quanto Galilei è ancora poco noto, basta aprire un’enciclopedia: tre pagine su Newton e mezza su Galilei. Eppure quello che Galilei ha fatto, è di gran lunga superiore a quello che ha fatto Newton; e quando si parla di Galilei lo si conosce per le cose meno importanti, per esempio la scoperta delle cosiddette montagne della luna, delle macchie solari, dei quattro satelliti di Giove; ma queste sono cose banali. Le grandi scoperte di Galilei stanno nell’avere, per esempio, legato una pietra e uno spago e nell’avere fatto il pendolo, nell’avere preso un pezzo di legno e nell’avere studiato come cadono le pietre lungo quell’asse di legno; nell’avere fatto cadere due sfere, una di legno e una di piombo e nell’avere stabilito che cadono allo stesso modo. Noi qui vi faremo vedere l’esempio attraverso un tubo in cui viene fatto il vuoto (non è certamente un caso che il vuoto sia stato fatto per la prima volta da Torricelli, allievo di Galilei). Galilei non era andato sulla luna, a quei tempi non si poteva andare sulla luna; il primo atto di giustizia scientifica fatto verso Galilei è stato quello di quell’astronauta che sulla luna fece cadere un martello e una piuma, l’astronauta disse – come forse molti di voi ricorderanno – “Galileo was right”: “Aveva ragione Galilei”, il quale avendo fatto cadere. dalla torre di Pisa (si dice, non è certo che l’abbia fatto proprio dalla torre di Pisa, ma è irrilevante da dove l’abbia fatto) due pezzi – uno di legno ed uno di piombo – stabilì che cadevano esattamente allo stesso modo. Questo esperimento di Galilei è stato dimenticato per trecentovent’anni circa e ripreso da Einstein, come vedremo quando farò la cronaca di questi ultimi trecento anni. Questi tre esperimenti comunque sono la nascita della scienza; la scienza nasce così: legando a una pietra uno spago, facendo il pendolo; studiando come cadono le pietre su un pezzo di legno e facendo cadere due oggetti di natura diversa (come un pezzo di legno e un pezzo di piombo); una sfera di legno identica a un’altra sfera di piombo, pesa dieci volte meno circa perchè il peso specifico del piombo è quasi dieci volte maggiore di quello del legno, perciò se questa pesa un chilo, questa altra pesa dieci chili, ma cadono esattamente allo stesso modo. Questi sono tre esperimenti fondamentali di Galilei e adesso vi invito a riflettere. Ho parlato di pezzi di legno, di spaghi e di pietre; era mai mancato all’uomo il legno, lo spago e la pietra? Su questo pianeta si sono succedute diverse civiltà e non mi si venga a dire che a queste civiltà era mancato il legno, la pietra e lo spago, era mancata una cosa: la fede che in quelle cose ci fosse la mano di Dio ed è questo che spinse Galilei a studiare le pietre. Egli diceva: “Studiando le pietre scoprirò le leggi del mondo”. Quello allora era più un atto di fede che di ragione; chi avrebbe mai detto che in un pezzettino di pietra, in un granellino di polvere, ci fossero scritte le leggi del mondo? Un granellino di polvere è fatto con miliardi e miliardi di protoni, neutroni ed elettroni. Noi oggi sappiamo che in ciascuna di queste particelle, basta saperle interrogare, ci sono scritte tutte le leggi della natura. Questo Galilei non lo sapeva, la scienza è nata così, come atto di fede verso oggetti che fino ad allora erano considerati dalla cultura dominante volgari. E adesso passiamo a descrivere che cosa ci dice la scienza galileiana come libro della natura. La scienza galileiana è nata per capire i fenomeni banali che avvengono sotto i nostri occhi: come cadono le pietre, come oscillano i pendoli, come scorre l’acqua nei tubi. Adesso siamo arrivati a protoni, neutroni ed elettroni, ma io non ve li posso far vedere, siamo arrivati a scavare nel cuore dei protoni, dei neutroni, degli elettroni, di tutte le particelle del mondo subnucleare, ma queste cose non ve le posso mostrare: chi non ci credesse, può andare nei laboratori specializzati e ripetere gli esperimenti. Ma qual è la grande scoperta che si lega a questi fatti assolutamente verificabili? E’ che la natura rimane sempre un libro scritto in modo perfetto, non una virgola è fuori posto. Qual è il significato di questa grande conquista della scienza galileiana? L’aver dimostrato che la cosiddetta ideologia scientifica di fatto è la negazione della scienza. Perché? Cosa pretendeva questa ideologia scientifica? Che il processo della scienza avrebbe portato il trascendente sotto il controllo dell’immanente, quindi ad un certo punto avremmo toccato dappertutto che non c’è Dio; la dimostrazione scientifica della non esistenza di Dio: questa è la pretesa dell’ideologia scientifica. Che cosa ha fatto invece la scienza, come vedremo fra un attimo? La scienza ha aperto all’uomo nuovi orizzonti, nell’immanente! Non ha mai toccato una sola virgola del trascendente, come diceva Galilei. Galilei diceva “La scienza è lo studio della logica della natura”, è la dimostrazione che la natura è un libro scritto non da un pazzo né a caso, punto e basta. La scienza studia solo l’immanente, non invaderà mai i limiti del trascendente; invece è avvenuto esattamente questo. Che cos’è un’ideologia? Un’ideologia è una costruzione a parole, di cose pensate dalla mente umana. Io penso una cosa, un altro ne pensa un’altra, ed ecco per quale motivo io posso fabbricare un’ideologia e un altro un’altra che è completamente opposta alla mia, perchè nessuno dei due deve fare i conti con la natura, con la rigorosissima logica della natura, non deve confrontarsi con i fatti. Ecco perché possono esistere ideologie di segno opposto, ma di scienza ce n’è solo una, non ce ne possono essere due. Scienza vuoi dire logica della natura, la scienza deve fare i conti con la natura. Io posso fare una teoria di come dovrebbe avvenire un certo fenomeno; un altro mio collega ne fa un’altra, però, alla fine, non ho ragione io perchè l’ho detto io; ho ragione io, perchè così è scritto nel libro della natura. E chi me lo dice questo? – l’esperimento. Si fa un esperimento e si stabilisce chi ha ragione; è così che procede la scienza. La grande conquista della scienza è esattamente il contrario di quello che dicono gli esponenti della cultura dominante del nostro tempo. La scienza è la riprova più lampante che il libro della natura non è un libro scritto a caso da un pazzo. Questo è il contributo della scienza alla quitura dell’uomo veramente moderno. Sarebbe impossibile per me tracciarvi tutte le tappe che hanno portato l’uomo a vedere la natura così come è oggi, quindi io vi farò la sintesi di questo libro e, per farvi la sintesi, vi propongo di mettervi nei panni di colui che il mondo ha dovuto farlo. Allora come è nato il mondo?, Non è nato dal Big Bang, un’altra favola del nostro tempo. Il Big Bang, questa grande esplosione, viene dopo, ma prima bisogna fare lo spazio e il tempo e proviamo quindi a vedere come questo libro della natura è scritto. Possiamo spiegare quello che è avvenuto con un esempio: è come se io avessi un libro e incominciassi a leggerlo non dall’inizio, ma dalla pagina duecentosettantacinque e poi mi accorgo che dovrei andare un po’ indietro e poi un po’ più in avanti, eccetera; alla fine si incomincia ad avere una idea precisa di quello che c’è scritto. Io vi evito quindi i salti delle pagine avanti e indietro, e incominciamo a fare questo esercizio. Supponiamo di volere fare il mondo e proviamo due dimensioni; due dimensioni vuole dire come questo foglio di carta: saremmo tutti così, cioè piatti, ma ancora peggio, perchè questa terza dimensione che è lo spessore dei foglio in uno spazio a due dimensioni sarebbe zero; quindi noi saremmo tutti piattissimi, e questo non va; ci vorrebbe quindi la terza dimensione e, quindi, per incominciare a fare il mondo, ci vogliono tre dimensioni di spazio. Se ci fermassimo però a tre dimensioni di spazio noi saremmo come delle figure geometriche, immobili, ci vuoi e il tempo, quindi tre dimensioni di spazio e una di tempo. A questo punto si pone il problema di cosa dare da mangiare a questi nostri amici e fratelli. Quando ci sarà l’interruzione voi andrete a mangiare dei panini, ma se questi panini fossero da mezzo grammo l’uno voi direste: “Ma che fanno gli, organizzatori di Rimini, non ci danno da mangiare!”. Ma in un mondo con tre dimensioni di spazio e una di tempo, noi non potremmo mangiare panini, ci vuole anche la massa. Quindi noi chiederemmo a colui che vuole fabbricare il mondo: “Per piacere dacci anche la massa, altrimenti non funziona”. Allora: tre dimensioni di spazio, una di tempo e la massa. A questo punto, ci accorgeremmo di essere come delle statue, perchè ci vuole energia per muoversi, e quindi ci vogliono tre dimensioni di spazio, una di tempo, massa ed energia. Allora le cose incominciano ad andare in modo tale che possiamo mangiare, possiamo anche muoverci, abbiamo la struttura spaziale che noi possiamo verificare istante per istante, non siamo costretti a stare in un piatto e tutto sembra abbastanza normale, fino a quando però uno di noi non scopre che massa ed energia sono la stessa cosa. Vi prego di seguirmi con attenzione in questo discorso, perché per arrivare a questo ci sono voluti quattrocento anni circa, quindi non è una cosa immediata. Vorrei approfittare per dirvi con questo che la scienza non è difficile come dicono gli esponenti della cultura dominante, la scienza è facile, i concetti fondamentali della scienza sono concetti facili. Lo vi porterò alcuni esempi, però devono essere raccontati in modo da non perdere la strada. Quando Galilei scoprì le montagne della luna non disse: “Ho scoperto le irregolarità superficiali del pianeta”; ha detto: “Ho scoperto le montagne della luna”, perché voleva farsi capire. E c’è un motivo per cui si dice che la scienza è difficile, che chi la racconta facilmente è un volgare, non dovrebbe far questo, dovrebbe starsene isolato, il motivo è semplice: se nessuno sa che cos’è la scienza, è facile gabellarla come nemica della fede, è facile gabellarla come se scienza e tecnica fossero la stessa cosa, ed è anche facile gabellarla come il grande sostegno dell’ideologia scientifica, perchè voi non sapete che cos’è la scienza, quindi potrebbe essere tutto; se invece tutti sanno che cos’è la scienza, allora è difficile prendere in giro l’umanità. Perchè la scienza è la lettura del libro della natura, punto e basta, e tutti devono sapere leggere questo libro. Torniamo quindi al discorso tra massa ed energia. Nessuno di voi penserebbe di lasciare in eredità al proprio figlio un lingotto di fumo, un lingotto d’oro sì, però. Nessuno penserebbe di costruire un palazzo con le nuvole, col cemento armato sì. Ecco, l’uomo dopo secoli e secoli di meditazione era arrivato a formulare due concetti importantissimi: quello di massa e quello di energia. Questa bottiglia contiene circa un litro di acqua, che vuole dire un chilo d’acqua circa, perchè la densità dell’acqua è circa uno. Io posso avere un chilo di spaghetti, un chilo di garofani, un chilo di patate, un chilo di margherite, e così via. Le margherite, le patate, i garofani, l’acqua, sono cose diverse, ma hanno in comune la massa; l’avere quindi identificato questa cosa comune a tante forme diverse che si manifestano ai nostri occhi è una grande conquista. E in verità un chilo d’acqua, un chilo di farina, un chilo di pane, un chilo di margherite, oppongono la stessa resistenza al moto (la definizione di massa è “quanto devo spingere per muoverla”), la stessa inerzia. Quindi il concetto di massa è una grande conquista nella unificazione, nell’estrarre da tante cose diverse una cosa comune, è questo il valore del concetto di massa. Io adesso posso andare in bicicletta, in automobile, posso correre ed ho una certa energia; a parità di condizioni, pur essendo io in bicicletta, oppure andando in macchina o in tanti altri modi, o un cane che corre, o un cavallo che galoppa, tutte queste cose possono avere la stessa energia, energie equivalenti. Nasce così un altro fattore di unità fra tutte le forme diverse che si muovono, che è l’energia. L’avere identificato il concetto di energia e quello di massa, queste due quantità, rappresenta un enorme progresso nella descrizione della natura, quindi nel cercare di leggere il famoso libro. Per arrivare a questa sintesi che permette all’uomo di capire che un litro d’acqua, un chilo di garofani, un chilo di farina, hanno in comune la massa, il chilogrammo massa, ci sono voluti diversi secoli; e così per l’energia. Si arriva al 1905 quando Albert Einstein dice: “L’energia e la massa sono la stessa cosa”. Adesso attenzione: “Se io mi muovo ho energia, se mi fermo non ce l’ho più”; quindi l’energia è una cosa evanescente, nel senso che c’è o non c’è, io la posso dare ad altri; se mi fermo la dò al suolo. Un lingotto d’oro la massa ce l’ha sempre lì, così la colonna, il cemento armato. Quindi l’uomo ha associato alla massa qualcosa di stabile e all’energia qualcosa di evanescente, di instabile, qualcosa che c’è e che non c’è. E allora come la mettiamo? Se la massa e l’energia sono la stessa cosa, la famosa equazione di Einstein significa questo: E = mc2 (c2 è una costante che si può anche ignorare), vuole dire energia uguale a massa se è vero che la massa e l’energia sono la stessa cosa. Allora come fa questa bottiglia d’acqua a non trasformarsi in energia (salteremmo tutti per aria)? La massa deve quindi avere proprietà evanescenti, come ce le ha l’energia. Immaginiamo di avere diecimila tonnellate di petrolio e di bruciare diecimila tonnellate di Petrolio. Domanda: “Quanta energia posso produrre? Qual è l’energia corrispondente a diecimila tonnellate di petrolio?” – Io quando ero ragazzo avevo un amico, era un fornaio che era mezzo filosofo, gli piaceva riflettere sulle cose. Io non capivo che cos’è che fa cuocere il pane; andavo a trovarlo, lui metteva la legna nel forno, accendeva il fuoco, poi chiudeva tutto e veniva il pane cotto; e un giorno gli chiesi: “Che cos’è che cuoce il pane?” – Rispose: “Tu vedi che io metto nel forno della legna, chili e chili di legna, accendo il fuoco, quindi produco energia (lui la chiamava fuoco, ma è la stessa cosa) poi rimane la cenere, non c’è più nulla; quindi questa energia che c’è nel legno mi fa cuocere il pane. Io metto cento chili di legna che cuociono venti chili di pane”. Risposta molto soddisfacente, risposta che tutti prima di Einstein – accettavano. Einstein che dice? – “Attenzione. Facciamo questo esperimento solo mentalmente possibile. Pesiamo la legna prima, poi accendiamo il fuoco e dopo pesiamo tutto. il fumo e la cenere, tutto quello che rimane, quindi un esperimento complesso, e vecliamo nual e la massa che e rimasta: si scopre che la massa e, entro la precisione di qualunque bilancia, la stessa”. E allora uno dice: “Cosa è successo?” – Se si bruciassero diecimila tonnellate di petrolio, e si potesse fare l’esperimento, si troverebbe che mancherebbero all’appello solamente tre grammi di petrolio. Ecco perchè molti erano perplessi quando Einstein formulò la sua equazione, perchè non si poteva verificare, non c’era la bilancia sensibile per potere porre sotto verifica sperimentale quel tipo di discorso. Nel 1942, però, Enrico Fermi, Wheeler, Telier e collaboratori, riuscirono ad accendere a Chicago il primo fuoco nucleare. Nel fuoco nucleare il discorso cambia, se noi bruciamo un chilo, appena un chilo di uranio, un grammo sparisce, un grammo su un chilo vuoi dire uno su mille e uno su mille è facile farlo. Se poi mettessimo insieme un grammo e mezzo di materia e un grammo e mezzo di antimateria, produrremmo la stessa quantità di energia che viene prodotta bruciando diecimila tonnellate di petrolio. Oggi noi sappiamo che l’equazione di Einstein è pane quotidiano in tutti i laboratori di fisica moderna. La trasformazione di massa in energia e di energia in massa è pane quotidiano. Quei mondi in cui un lingotto d’oro si trasforma in energia o l’energia in lingotto d’oro, i fisici non li sanno fabbricare, ma sanno lavorare con forme dì materia molto pìù sofisticata, che ha però le stesse caratteristiche della materia di cui siamo fatti e questi mondi esistono. Che cosa probisce alla bottiglia d’acqua di obbedire alla equazione di Einstein? Perchè a questo punto io sono in contraddizione con me stesso: se è vero che la massa si trasforma in energia, perchè questa bottiglia d’acqua non si trasforma in energia? Uno studente una volta mi ha detto di aver chiesto questo ad un professore di quelli che pretendono essere la scienza ideologia scientifica, e che gli rispose: “Questa è una domanda stupida”, e finì così il discorso. E invece quella era una delle domande più intelligenti che si possano porre. Tutti coloro che dicono di aver studiato l’equazione di Einstein dovrebbero porsi questo quesito: “Come mai la massa di cui noi siamo fatti, non si trasforma in energia, se è vera l’equazione di Einstein?” – La risposta è nelle cariche. In questa bottiglia d’acqua c’è sì un chilo di massa, però questa massa è bloccata da miliardi e miliardi di cariche elettriche nucleari. Quando noi mangiamo un panino o un piatto di spaghetti, non mangiamo cento grammi di massa, mangiamo un enorme numero di cariche elettriche e nucleari. Il concetto di carica manca, non è presente nel bagaglio culturale dell’uomo dei nostri tempi; lui sa che la terra non è piatta, sa che è rotonda ma non sa che quando mangia non mangia una massa, mangia cariche elettriche e nucleari, perchè se mangiasse massa non potrebbe esistere. Per esistere noi abbiamo bisogno di cariche elettriche e nucleari. Sono queste cariche elettriche che bloccano l’equazione di Einstein, che proibiscono all’equazione di Einstein di funzionare. Infatti quando noi produciamo nei nostri laboratori condizioni in cui non ci sono cariche in gioco, allora l’energia e la massa si trasformano continuamente. Il motivo per cui Einstein non poteva dormire e cercava la teoria unificante di tutte le forze, era questo: lui voleva ricondurre il concetto di carica alle quantità spazio-temporali e non c’è riuscito. Alle tre dimensioni spaziali abbiamo detto che c’è bisogno di aggiungere il tempo, la massa e l’energia, adesso abbiamo bisogno delle cariche; quindi colui che ha fatto il mondo non poteva fermarsi alla massa e all’energia ma doveva continuare ad aggiungere altre cose, cioè le cariche elettriche e nucleari. Noi oggi sappiamo che le cariche elettriche e nucleari non esauriscono tutte le cariche della natura, ce ne sono tante altre, e nasce quindi il quesito: “Qual è l’origine delle cariche? Qual è il significato di carica?”. Nella lettura del libro è come se noi avessimo sfogliato tante pagine e poi ci fossimo accorti che della natura ne vogliamo sapere di più. Ecco per quale motivo Einstein ha dedicato gli ultimi trentacinque anni della sua attività di scienziato a capire queste cose, e purtroppo non ci riuscì. Ma la grande incompiuta di Einstein sta nel fatto che, ai suoi tempi, si sapevano molto meno cose di oggi, non si conoscevano ad esempio tutte le cariche che oggisiconoscono. Comunque io vorrei dirvi a questo punto cosa affliggeva Albert Einstein. Egli era riuscito a dire che l’energia e la massa sono la stessa cosa; quindi nel costruire il mondo chi lo ha fatto non ha avuto bisogno di dire: “Faccio due cose, ne faccio una sola, perchè essendo energia e massa la stessa cosa, basta una delle due”. E noi potremmo chiamare l’energia massa e la massa energia ed è la stessa cosa, dovremmo deciderci a usare un solo termine, non si fa perché nel nostro mondo detto non relativistico, cioè di bassissima velocità, la distinzione è netta in quanto giuocano un grande ruolo le cariche che bloccano la massa e non le permettono di trasformarsi in energia. Comunque in questa grande costruzione del mondo, sono necessarie tre dimensioni spaziali, una temporale, massa ed enegia sono la stessa cosa, e il tempo, scopre Einstein non è che la quarta dimensione dello spazio, non è quindi questa cosa che sta lì. Torneremo fra un attimo al concetto di tempo, per adesso vorrei dirvi che cosa affliggeva Einstein. Lui voleva descrivere il mondo ed era arrivato a concludere che massa ed energia sono la stessa cosa, e vi ripeto che Einstein come noi, si chiedeva: “Allora io come faccio ad esistere? – So che ci devono essere delle cariche che evitano alla mia equazione di funzionare, altrimenti non potremmo essere qui. E allora queste cariche le voglio incorporare nelle proprietà spazio-temporali dell’universo”. Non solo questo, ma c’è un altro dettaglio: se noi rompessimo questo portacenere in pezzi sempre più piccoli, troveremmo a un certo punto che cosa? prima polvere dei portacenere (un granellino di polvere dei portacenere ha un miliardo di molecole), poi troveremmo la molecola – la molecola è fatta di atomi – poi spezzeremmo gli atomi e troveremmo protoni, neutroni ed elettroni. Quindi tutti noi siamo fatti, dal punto di vista materiale, di tre palline: protoni, neutroni ed elettroni. Però, attenzione! queste non sono palline; quando voi riflettere su come siamo fatti, noi non siamo fatti come palline, i costituenti ultimi della materia, così come si sapeva fino al 1947 e cioè protoni, neutroni ed elettroni, non vanno immaginati come palline ma come trottoline. Lì stava il secondo cruccio di Einstein; la curvatura dello spazio-tempo produce la massa, ma questa massa non ha caratteristiche di trottola ma caratteristiche di pallina e lui voleva che le caratteristiche di trottola derivassero dalla descrizione del mondo, così come desiderato. Se io ho un foglio di carta e lo piego, rimane sempre carta, non posso dire che ho un gelato. Einstein non solo era riuscito a dire che la quarta dimensione dello spazio è il tempo, che vuoi dire che il tempo non è qualcosa di indipendente dallo spazio, ma intrinsecamente ad esso correlato, ma aveva concluso che l’energia-massa, questa cosa di cui parlavamo prima, non è una cosa da mettere da parte, da creare apposta ma fa parte della struttura stessa dello spazio e del tempo. In modo matematico si dice curvatura dello spazio-tempo, in modo meno matematico si può dire concentrato dello spazio-tempo. Quindi per fare il mondo così com’è basta fare tre dimensioni di spazio, una di tempo, che ha caratteristiche analoghe a quelle di prima e poi lavorare con concentrato di spazio-tempo; facendo il concentrato di spazio-tempo noi abbiamo energia-massa, quindi non abbiamo bisogno di aggiungere questa cosa. Cosa ci manca? – le cariche e il concetto trottolina, ecco perchè Einstein vdeva arrivare alla grande unificazione che gli avrebbe dato tutto appena partendo da; quattro dimensioni spazio-temporali. E adesso viene il bello. Al fatto che il tempo è la quarta dimensione dello spazio, Einstein ci è arrivato estendendo la relatività di Galilei ai fenomeni elettromagnetici, quindi è presente Galilei in questa grande sintesi, in questa grande scoperta einsteiniana. Al fatto che la massa-energia sia concentrato di spazio-tempo Einstein ci è arrivato grazie al famoso esperimento di Galilei, che oggi faremo, in base al quale una piuma ed un martello cadono esattamente allo stesso modo se posti nel vuoto. E adesso vi dò un esempio delle due cose, come mai ci arrivò, e come mai viene da Galilei sia l’una sia l’altra cosa. Il padre della relatività non è Einstein, pur se tanti dicono e ripetono questa cosa da diversi decenni: il primo uomo sulla terra che ha formulato il principio di relatività del moto è Galileo Galilei. L’esempio del treno che si muove e dell’albero che sta fermo che voi avrete letto chissà in quanti posti – che viene portato come esempio di relatività del moto è un esempio galileiano, non fatto col treno – perchè ai tempi di Galilei non c’erano i treni – ma fatto con la nave. Io vorrei dirvi due parole sul principio di relatività galileiana. Che dice questo principio? Se nessuno di noi sapesse dove siamo, potremmo chiederci: “Siamo a Rimini nel Salone della Fiera o siamo a bordo di un transatlantico che si muove calmissimo da New York verso Londra?” – Al mare è calmissimo. – Diceva Galilei – Io posso versare dell’acqua e l’acqua finisce nel bicchiere, così come se io fossi fermo a Pisa”. Una mosca vola nel salone di una nave esattamente come vola quando è nel mio studio; io posso giocare a biliardo e le palline si muovono esattamente allo stesso modo, se la nave si muove con la velocità costante, quindi con mare calmo senza sussulti”. Diceva Galilei: “Non è possibile attraverso lo studio di moto della mosca o di come cade l’acqua nel bicchiere o delle palline del biliardo, stabilire se siamo fermi qui a Rimini o in volo su un super-jet attraverso gli spazi intergalattici dove non ci sono turbolenze, non ci sono nuvole, non ci sono venti; noi non potremmo dire dove siamo. E’ chiaro che, se fossimo su questa nave, dovremmo preoccuparci di avere i turboreattori sotto, per simulare la forza di gravità, altrimenti cammineremmo tutti liberamente. Perchè è fondamentale questo discorso? Perchè prima di Galilei si pensava che per muoversi ci fosse bisogno di una forza. Se io muovo questa bottiglia, la debbo spingere; se non la spingo più, si ferma. Quindi, se io vedo una cosa che si muove, non ho bisogno di farmi alcuna domanda, dicevano i pre-galileiani, so che c’è una forza che spinge. Adesso, se io fossi un venditore di frutta e dovessi pesare un chilo d’uva con un bambino che dà calcetti sulla bilancia, io non potrei pesare: una volta mi verrebbe un chilo e duecento grammi, un’altra volta ottocento grammi; però, presa l’uva per bene su una bilancia ferma, troverei che non è un chilo e duecento (ne mancano duecento); oppure ce ne sono duecento grammi in più. La spiegazione è che quando faccio la pesata, c’è un bambino che dà calcetti a caso sui piattelli della bilancia. Se, quando si muove qualcosa, c’è una forza, vuol dire che non possiamo fare

esperimenti fondamentali, non possiamo fare nulla, Qualunque cosa noi troviamo è sbagliata, perché – una volta noi diciamo che è ottocento grammi, una volta è un chilo e due – in verità un grappoletto da cento grammi può sembrare un chilo e mezzo. Se è vero che quando qualcosa si muove c’è una forza che la spinge, noi dobbiamo essere sicuri – prima di cominciare un esperimento – di stare fermi. Ecco perchè l’uomo voleva stare al centro del mondo, fermo. Non erano considerazioni a caso, c’era qualcosa di profondo, il motivo per cui si cercava il centro del mondo era questo. Galilei scoprì che non è vero, uno si può muovere come vuole, basta che il moto sia costante, con velocità costante e non succede nulla. Infatti, come vedremo dopo, il piano inclinato mostra esattamente questo. Studiando come si muovono le pietre, si arriva a una grande conclusione: che la bottiglia si ferma perchè c’è attrito col tavolo. Adesso immaginate che invece di questa bottiglia, ci sia una grande sfera di cristallo, su un tavolo di cristallo. Se io dò una spinta a questa sfera di cristallo, quella cammina, va a finire a Roma, fa il giro del mondo volendo, non si ferma più se non c’è attrito. Ci sono voluti duemila anni per capire questo, duemila, per capire l’attrito. E quando voi la mattina mettete l’olio nel motore, obbedite alla prima legge di Galilei, alla prima legge del moto, perchè se fosse vero che per muoversi ci vuole una forza, sarebbe inutile mettere l’olio nel motore. A che serve l’olio?, a diminuire l’attrito; ma che cos’è l’attrito? – una forza negativa. Se io invece dico che c’è bisogno di una forza per camminare – quindi ignoro l’attrito – se la legge della natura fosse quella che si pensava prima, quindi la forza proporzionale alla velocità, non alla accelerazione, noi non dovremmo preoccuparci di mettere l’olio nel motore. Che cosa ci dice Galilei con la sua prima legge? – “Se tu elimini gli attriti cammini gratis” E noi lo sappiamo benissimo, andando sull’autostrada a cento all’ora, voi – se togliete il motore, non vi fermate – si cammina per inerzia. Fino a quando si cammina? – fino a quando gli attriti vi fermano. La scoperta dell’attrito, ripeto, ha richiesto duemila anni, non cinque minuti, e fa parte integrante, è il primo passo verso la relatività del moto. L’avere capito che star fermi o muoversi con moto costante è esattamente equivalente ha portato Galilei a formulare il principio di relatività: tutti i moti sono relativi, non c’è possibilità di distinguere un moto dall’altro. E qui vorrei portarvi un esempio che mi è stato suggerito da un lettore, il quale mi ha scritto: “Se io vado in automobile a cento chilometri all’ora, quindi misuro cento all’ora, poi vado ad ottanta all’ora a velocità costante e – dice – io posso misurare la velocità, quindi faccio una misura di velocità costante, non è vero che tutte le velocità sono equivalenti. Che significa io faccio una misura?” – Giusto, ma il principio di relatività non dice che non si può misurare una velocità rispetto al suolo, dice che – se io vado a una velocità di cento chilometri all’ora e verso dell’acqua in un bicchiere, e l’automobile è ben chiusa, o guardo come vola una mosca o studio il moto di un pendolo – questi moti sono esattamente identici a quelli che posso fare andando su una macchina a ottanta chilometri all’ora, o quaranta all’ora, camminando su una autostrada perfetta; questo dice il principio di relatività. Però nel 1800 nasce l’illusione della fisica assoluta, viene scoperto che la velocità della luce è costante. Se vado in un treno e tiro un oggetto fuori dal treno e il treno viaggia a cento chilometri all’ora, questo oggetto viaggia a cento chilometri all’ora, più la velocitàia che io gli ho dato. E’ questo il motivo per cui è proibito buttare bottigliette dai finestrini, non perchè una bottiglietta ammazzerebbe qualcuno, tutt’al più farei una ferita con un piccolo corpo contundente – ma a cento chilo metri all’ora è un’altra cosa. La velocità di una bottiglia lanciata fuori dal treno è uguale alla somma della velocità del treno, più quella che io dò alla bottiglia. Se io lancio la bottiglia in opposizione al moto del treno la velocità risultante è la differenza delle due. Se, invece di tirare una bottiglia, tiro un raggio di luce e il treno viaggia a cento chilometri all’ora, la velocità della luce è la stessa, comunque io la tiri, non si addiziona a quella del treno. E questa è la crisi dell’800; la velocità della luce è sempre la stessa. Tutti pensarono che il principio di relatività galileiano doveva essere abbandonato per i fenomeni elettromagnetici – perchè la luce è un fenomeno elettromagnetico, non è moto di palline, né di pendoli, né di pietre – e durante il periodo galileiano non si conosceva l’elettromagnetismo. Molti personaggi non di scienza, ma che di scienza sentivano parlare, quindi coloro che la ripetono per sentito dire, formularono teorie incredibili, “l’assolutismo scientifico” e tante altre stupidaggini mai dette da scienziati. Sembrava nascere questa fisica dell’assoluto, perché la velocità della luce era una quantità assoluta, non cambiava mai; quindi la relatività galileiana venne abbandonata nello studio dei fenomeni elettromagnetici Einstein fu l’unico galileiano del suo tempo, l’unico fisico che disse: “No, ha ragione Galilei, adesso ci provo io a portare nell’elettromagnetismo il principio di relatività”. E nacque così la relatività einsteiniana, che non è la scoperta della relatività, è l’estensione della relatività galileiana ai fenomeni elettromagnetici: una cosa è però scoprire, un’altra cosa è estendere.

Il padre della relatività è Galileo Galilei; Einstein ha esteso la relatività galileiana ai fenomeni elettromagnetici, facendo questa estensione è arrivato alla scoperta che il tempo è la quarta dimensione dello spazio. Questa grande conquista della scienza di oggi, ha radici galileiane, nasce dalla relatività galileiana. Qual è la differenza fra relatività di Galilei e relatività di Einstein? Come si può tradurre in termini semplici? Che significa elettromagnetismo? Il sapore di un gelato è elettromagnetismo; così il profumo di una rosa: quindi assaggiare un gelato vuol dire fare un esperimento molto grossolano di elettromagnetismo. Che dice Galilei quando parla di relatività del moto? Che se io studio il moto delle palline su una nave che va a velocità costante, quindi su un mare piatto, io non posso trovare nessuna differenza nello studio di questo moto qualunque sia la sua velocità: cento, duecento, dieci chilometri all’ora, quello che vi pare. Questo è il principio di relatività galileiana: i corpi materiali sì muovono esattamente come se la nave fosse ferma – il volo di una mosca è il moto di un corpo materiale – questo dice Galilei. Cosa aggiunge Einstein? – il sapore dei ragù è lo stesso, il sapore di un gelato (che io stia qui a Rimini o in un jet) non cambia; questo è il significato della relatività einsteiniana. Quindi quando siete in moto e vedete volare una mosca, ricordatevi di Galilei; e se assaggiate un gelato pensate a Einstein. Ma la scoperta einsteiniana parte dal padre della scienza moderna: Galileo Galilei. E adesso pensiamo al concentrato di spazio-tempo. L’esperimento di Galilei, che oggi faremo, nel quale si dimostra che una piuma e un martello cadono esattamente allo stesso modo, aveva un grande significato concettuale; però era stato dimenticato per diversi secoli. Fu Einstein a riprenderlo, e ragionò suppergiù così: “Se io metto del limone nel caffelatte, sapore cambia; se metto concentrato di caffelatte il sapore non cambia”. Adesso sono qui a. Rimini e stasera andrò a Bologna; partirò da qui alle sette e arriverò a Bologna alle otto. Rimini-Bologna vuol dire distanza; sette-otto, vuol dire tempo. Quindi, perchè io vada da qui a Bologna ho bisogno di sapere, di dirvi qualcosa sulla distanza; quindi concetto di spazio e di tempo. Ma non ho bisogno di dirvi se ho i capelli bianchi, se peso settanta chili, quando sono nato: di tutto questo non c’è bisogno; basta che io vi specifichi le quantità spaziali e temporali. Quindi muoversi vuoi dire fare qualche cosa nello spazio e nel tempo. Quando voi vi muovete, non fate altro che fare qualche cosa nello spazio e nel tempo, non avete bisogno di dire che film avete visto ieri sera, nè che la pastasciutta era buona. Se io faccio cadere una palla di legno e una di piombo, quella mi pesa un chilo – questa dieci chili, e trovo che le traiettorie sono le stesse (traiettoria vuoi dire spazio-tempo, come si muove un oggetto); queste due palle si muovono allo stesso modo (questo lo aveva di mostrato Galilei – ve lo faremo vedere oggi e lo hanno visto gli astronauti sulla luna). Allora diceva Einstein che, se una palla di legno e una di piombo cadono esattamente allo stesso modo – quindi hanno le stesse traiettorie nel campo gravitazionale della terra (cadono perchè sono attratte dalla terra) – allora vuol dire che la massa non disturba lo spazio-tempo; quindi è come il concentrato di caffelatte che non cambia il sapore del caffelatte. Se la massa fosse qualcosa di estraneo allo spazio-tempo, io dovrei vedere qualche variazione cambiando massa di un fattore dieci. Quindi se l’evolversi nello spazio tempo di due cose drasticamente diverse, una da un chilo e una da dieci, è identico, vuoi dire che la massa deve essere instrinsecamente legata allo spazio e al tempo. E che cosa c’è di più intrinseco dei concentrato? Nasce così in Einstein l’idea del concentrato di spazio-tempo, la massa altro non è se non il concentrato di spazio-tempo. O, se lo vogliamo dire in termini matematici, curvatura dello spazio-tempo. Questa è una delle più grosse conquiste della fisica moderna e ha le sue radici in Galileo Galilei, colui che ha fatto l’esperimento per partire su questa grande strada. Adesso, visto che ho già parlato un’ora e un quarto, chiudo con un ricordo di Einstein, che mi richiama il fatto anzidetto e, cioè, quello di quel ragazzo che aveva chiesto al professore che non distingueva tra ideologia scientifica e scienza. Sapete che Einstein passava per uno studente molto distratto, un pessimo studente; non era vero: era uno studente che meditava. Meditando su cose serie si distraeva, ma si distraeva non pensando a cose sciocche bensì pensando a quelle cose che gli stavano a cuore. Un giorno il professore lo sorprende – mentre spiegava – con gli occhi che guardavano verso il cielo, lo riprende e gli chiede cosa stesse spiegando. Einstein confessa di essere veramente distratto. Dopo aver gli fatto una predica, il professore gli chiede a cosa stesse pensando e Einstein gli risponde: “Mi scusi, ma stavo pensando a come mi apparirebbe il mondo se, invece di andare a cavallo di una bicicletta, potessi andare a cavallo di un raggio di luce”. – Inutile dirvi che cosa gli disse il professore: “Stai zitto, cretino!”. – A quella domanda nessun uomo sul pianeta Terra sapeva rispondere; il professore avrebbe dovuto dire: “Questa sì che è una meditazione intelligente, perché nemmeno io saprei rispondere!”. Ed Einstein continuò. Quando ora a Berna, l’unico posto che aveva trovato era quello di Impiegato nell’Ufficio brevetti di Berna; andava all’ufficio brevetti col tramvai; sulla strada c’era la grande torre dell’orologio di Berna; (queste cose le ha raccontate ad un suo amico, al quale disse nel 1916: “Finalmente ho capito l’esperimento di Galileo!” – si riferiva all’esperimento di cui vi ho parlato prima). Allo stesso modo raccontò: “Sai, io andavo all’ufficio brevetti e guardavo alla torre dell’orologio che segnava le otto meno qualche minuto; poi quando andavo a casa, erano le sei e mi chiedevo per quale motivo l’uomo pensava che dovesse esistere il tempo assoluto”. E’ così che lui ha smantellato il concetto di tempo assoluto e ha portato il tempo a quarta dimensione dello spazio. Lo questo ve lo vorrei dire, perchè è molto semplice. Immaginiamo di avere qui un grande orologio che indichi le undici e mezzo: cosa vuoi dire che sono le undici e mezzo? Noi guardiamo l’orologio, la luce arriva sulle lancettei e finisce sui nostri occhi, e noi diciamo che sono le 11,30. Adesso immaginiamo che, nell’istante in cui arriva questo raggio di luce che indica ai nostri occhi le 11,30, noi partiamo con la velocità della luce seguendo quel raggio di luce; quando sono le undici e trentacinque minuti, la luce incide sulla lancetta del trentacinquesimo minuto e parte verso i nostri occhi; ma noi siamo partiti cinque minuti prima e quella luce non ci raggiungera mai più. Ecco per quale motivo il tempo si ferma per coloro che viaggiano alla velocità della luce. Questo non è difficile, penso. In questo modo crolla il concetto di tempo assoluto, perché? Noi adesso siamo qui che stiamo discutendo: ciascuno di noi ha affetti, parenti, amici – a New York per esempio – e diciamo: “Adesso alle undici e mezzo, cosa farà il mio amico a New York? Sono sei ore prima di noi,quindi a New York sono le cinque dei mattino e lui sta dormendo; forse prende una tazza di caffè”. E noi siamo convinti di stare nel vero, cioè che il nostro amico effettivamente stia bevendo un cappuccino; questo amico potrebbe anche essere a Pechino, sulla luna, oppure magari in un’altra stella lontana da noi; perchè non in una galassia? Arriva Einstein e dice: “Aspetta, distinguiamo fra fantasia e realtà”. Cosa significa simultaneità degli eventi? Che noi siamo qui, siamo talmente vicini e possiamo comunicare con tanta facilità che non ci accorgiamo di avere bisogno di un oggetto che ci leghi. Se io telefono a New York e dico: “Pronto” e il mio amico risponde “Pronto” – non mi accorgo nemmeno che ci vuole una frazione di secondo, perchè il segnale mio arrivi a New York e torni da me; è istantaneo quasi. Nasce così questo senso di orologio cosmico con cui, nello stesso istante in cui io faccio una cosa, io posso sapere cosa fa un mio amico. Supponiamo adesso che questo mio amico fosse su Andromeda Nebula, che dista da noi credo due milioni di anni luce. Allora dico: “Pronto”, con la radio; questo mio messaggio impiega due milioni di anni per arrivare su Andromeda Nebula, poi il mio amico risponde: “Pronto, sto prendendo un caffè”. Due milioni di anni per tornare indietro e sono passati quattro milioni di anni; ma noi viviamo circa cento anni, non quattro milioni di anni. Crolla quindi la misurabilità della simultaneità degli eventi. Dobbiamo mettere ordine nella nostra matematica per introdurre nella descrizione del mondo il fatto che noi non comunichiamo con velocità infinita, ma con velocità finita. Un miliardo di chilometri all’ora è la velocità del la luce, ma non è infinita. Dobbiamo quindi fare i conti con questa velocità finita. Facendo i conti con questa velocità finita, si scopre che il tempo è altrettanto modesto quanto lo spazio, non esiste il tempo assoluto. Di che cosa ci sarebbe bisogno, perchè esistesse il tempo assoluto? Di una velocità infinita. Se esistesse una velocità infinita, io potrei parlare col mio amico e dire: “Pronto”, lui riceverebbe subito il segnale, risponderebbe: “Pronto”, e sarebbe subito stabilita la misurabilità della simultaneità degli eventi; io parlo e lui beve il caffè, eventi simultanei. Così non è, e nasce quindi questa grande scoperta einsteiniana che ha radici in Galileo Galilei: così come il concentrato di spazio-tempo ha radici in Galileo Galilei. Siccome ho già parlato un’ora e quaranta e siamo arrivati alle frontiere delle nostre conoscenze, io mi fermo qui e se ci sono domande su cose più avanzate, sarò molto lieto di rispondervi. Grazie.

G. Tartara:

Ringraziamo il Prof. Zichichi per il suo intervento: ci ha disegnato una immagine affascinante del lavoro scientifico; esiste un ordine della natura che l’uomo investiga scoprendone via via sempre più l’armonia e la semplicità. E non c’è motivo di disarmonia. Il prof. Zichichi ha parlato della civiltà dell’amore: ricordo che anche ieri si è parlato di non antagonismo, del mondo dell’amore, della carità e del mondo della conoscenza. Quindi, riprendendo il discorso con cui avevamo iniziato del disincantamento, dell’indifferenza che c’è a volte nei riguardi della scienza, notiamo che dagli interventi fatti risulta che alla scienza si può, anzi si deve guardare con speranza, semplicemente perché è una ricerca di verità, sia pure parziale, nel senso in cui è verità la conoscenza oggettiva e scientifica come è stato esposto negli interventi finora effettuati. Conoscenza che non può essere strumentalizzata, che deve essere condotta in piena libertà. Il problema, se c’è, può nascere – ha ricordato anche il prof. Zichichi – poichè la scienza è connessa attraverso più passi con la tecnica, con la trasformazione del mondo, delle condizioni di vita. E a questo punto non possiamo non dire che è soprattutto l’uomo che vale per se stesso e, quindi, possiamo e dobbiamo parlare di una finalizzazione. Finalizzazione, però, che non vuoi dire una strumentalizzazione, – come ricordava il prof. Zichichi – vuol dire semplicemente dare un senso; dare un senso è diverso sia dalla strumentalizzazione, sia dallo sviluppo tecnico effettuato semplicemente attraverso la sua logica interna, come fine a se stesso. A questo punto passerei subito la parola per un intervento al prof. Carlo Borghi, che ha insegnato all’Università Statale di Milano e poi per lungo tempo è stato professore all’Università di Recife, in Brasile, dove ha fondato l’istituto di Fisica Nucleare per l’applicazione ai problemi della popolazione. Il prof. Borghi parlerà della funzione delle scienze nel sogno europeo. Dopo, apriremo un dibattito dove si potrà intervenire non solo da parte dei relatori ma anche da parte degli uditori e si potrà procedere anche agli esperimenti. Chiederei al prof. Borghi la cortesia, visto che il tempo è relativo e corre con estrema velocità, di contenere l’intervento il più possibile.

C. Borghi:

l. L’Europa è nata dopo le più o meno violente giustapposizioni e le fusioni, parzialmente e diversamente riuscite, tra le antiche popolazioni – specialmente quelle appartenenti alla parte occidentale dell’antico Impero dì Roma – e le successive ondate migratorie durate parecchi secoli. Nel secolo IX, su questo agglomerato di popoli in rimescolamento e oltretutto soggetti in parte anche alla pressione dell’Islam dal Sud, col rimpianto o ricordo o forse nostalgico desiderio dell’antica unità romana, il genio barbarico di quello che sarà chiamato Carlo Magno, re dei Franchi (che non erano i Francesi), piombò con la sua potenza militare e il suo genio organizzativo, ma anche con i suoi progetti dinastici e le sue motivazioni formalmente religiose, cristiane, anzi cattoliche, sotto l’ispirazione del monaco inglese Alcuino. Carlo Magno intendeva restaurare l’impero Romano-germanico, ossia l’unione dei popoli europei dell’Occidente, ma un impero romano-germanico anche per la sua struttura feudale e i suoi vincoli dinastici, la cui capitale era Aquisgrana – cioè Aachen – e a tale scopo passò la vita domando popoli “ribelli” e anche scontrandosi con le truppe dell’Islam sui Pirenei; emise comunque un’opportuna legislazione unitaria, utilizzando anche in modo discutibile l’evangelizzazione a scopi politici. Il successo di queste operazioni fu enorme, anche se Carlo stesso distrusse la sua opera dividendo il Regno dei Franchi tra i suoi figli ed eredi, che subito pensarono a farsi la guerra. Ma il seme rimase, il seme europeo ed il suo ricordo quasi mistico, che si riscontra ancor oggi per esempio nel culto al “beato Carlo Magno, nella Cattedrale di Aachen. 2. Va però notato che l’idea carolingia dell’Europa , allora chiamata Regno dei Franchi, fin dall’inizio è stata condizionata da un duplice equivoco. Il primo equivoco consistette nell’evangelizzazione forzata usata da Carlo estensivamente per la formazione dei Regno dei Franchi, come si può constatare nel lungo e sanguinoso conflitto coi Sassoni, sottoposti ad una pressione milìtare e anche ideologica, di cui sussistono ancora tracce evidenti nella legislazione ecclesiastica. Come altro esempio, allo stesso modo con cui molti secoli dopo Francisco Pizarro e i suoi conquistadores decapitarono la civiltà degli Incas, così, alla fine del secolo VIII, fu decapitato da Carlo Magno – su commissione di un Papa – il Regno Longobardo d’Italia, che già esisteva da 250 anni, interrompendo in tal modo. In Italia lo sviluppo della fusione fra Goti e Latini, come era avvenuto e stava avvenendo in tanti altri Paesi d’Occidente, dando con ciò il via in Italia ad un millennio di guerre civili, tra Guelfi e Ghibellini, tra Papa e Impero, tra città e città italiane, e ritardando di mille anni l’Unità d’Italia, o peggio, la formazione stessa di una nazione italiana. 3. Il secondo equivoco è quello per cui, dal secolo IX, per tutto il Medio Evo e anche oltre, l’idea tipicamente cristiana dei Regno di Dio è diventata l’utopia di un Regno terrestre teoricamente universale e di fatto europeo, fondato su interpretazioni spurie di antichi documenti (e anche su documenti falsi come le famose donazioni di Costantino). A questa utopia, troppo spesso brutalmente politica, la Sede di Pietro dedicò tanti sforzi di ogni genere, con effimeri successi e cocenti sconfitte, deviando per essa intere vite generose e in buona fede. Per prendere coscienza dei danni prodotti da questo equivoco, si pensi che se tutte quelle risorse, quegli sforzi e quegli eroismi fossero stati rivolti all’evangelizzazione dei mondo, ora non avremmo solo una teologia esclusivamente europea, ma ne avremmo altre nell’orma del messaggio cristiano, africane o arabe o asiatiche o indiane o cinesi o giapponesi, e via dicendo. 4. Nonostante questi equivoci e le loro gravi conseguenze sul piano storico e su quello etico e politico, con l’epoca Carolingia è incominciata la gestazione dell’Europa, almeno nella coscienza dei popoli di questa parte del mondo, i quali da allora percepiscono più o meno oscuramente di appartenere ad un insieme connesso, nonostante le barriere geografiche, linguistiche e dialettali, politiche, religiose e culturali, e forse anche razziali per le incomprensioni psicologiche che generano. Ancor oggi, ad un emigrante da questi paesi che vive all’estero, non come turista ma per lavoro, avviene di dire “io sono europeo”, anche se essere europeo non indica ancora una patria.Fino dall’epoca Carolingia si è formata, per esempio, l’Europa delle Università. Parigi, Pavia, Colonia, Bologna, Oxford, Heidelberg, Padova e poi Coimbra, e via dicendo, da allora hanno prodotto cultura con l’insegnamento e la libera ricerca sostenuta dai saggì, che l’Europa immette sulle strade dei sapere e hanno trasmesso questa cultura ai fiori dell’Europa che sono le successive generazioni di studenti. Essi hanno loro insegnato a pensare, a discutere, a sottoporre ad analisi critiche, a rappresentare artisticamente i frutti dello spirito, a dare corpo coerente al diritto, come mezzo per il governo dei popoli, hanno analizzato, insegnato, confrontato le loro ricerche sulla natura delle cose, fondando le scienze, hanno cercato i mezzi per capire ed aiutare quel prodigioso mistero che è la vita e la salute. L’unità del linguaggio scientifico in tutti i suoi rami, unità favorita fino a non molto tempo fa dall’unità linguistica operata dal latino, la mobilità dei docenti e degli studenti, l’unità degli interessi scientifici e culturali e dei problemi sull’onda dell’attenzione generale, l’unità sostanziale dei metodi di ricerca, unità che per molti secoli ebbe il sigillo cristiano in un’Europa che, bene o male, era pure cristiana, hanno fatto e fanno di queste Università e di tutte quelle altre che via via si sono create, un’unità originale e originalmente attiva, così che gli studiosi e gli studenti che a quelle Università si recano o che da esse escono anche per essere i consiglieri del Potere o i suoi esecutori, sono studiosi europei, che sono a casa loro in ogni paese d’Europa. Pietro Lombardo, Alberto di Bolistadt, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Occam, Galileo, Cartesio, gli anatomisti e i medici, i giuristi come Irnerio, i filosofi come Bacone di Verulamio, Spinoza, Locke, Hume, Hobbes, Kant, Vico, Hegel, gli Enciclopedisti e i filosofi moderni, e poi i matematici da Fibonacci a Tartaglia e Laplace e Cauchy, von Neumann, Levi Civita e Godel, e poi i qrandi chimici da Lavoisier a Clausius e Mendeleieff e i fisici da Newton, Volta, Faraday. Maxwell, Planck, Einstein, Bohr, Shrodinger, Heisenberg, Fermi e Dirac, e così via, e i biologi e i genetisti, da Darwin a Mendel fino ai biochimici e biofisici, non sono stati solo un fenomeno culturale, ma nell’insieme e ormai da lungo tempo hanno creato la cultura europea, il modo di pensare europeo in quanto diverso per esempio dalle culture e dai modi di pensare orientali; hanno forgiato il modo europeo di esistere e di affrontare la realtà dell’esistere, magari il modo europeo di dominare e signoreggiare il mondo del pensiero e delle cose, magari invocando l’ipocrita “fardello dell’uomo bianco” di cui parlava Kipling, per mettere all’opera il suo efficientismo coloniale o imperialista. L’Europa delle Università è stata, ed è ancora, in qualche misura, la matrice dell’Europa, nel bene e nel male, la matrice in cui sono stati allevati i suoi quadri e formulati i suoi ideali. Per questo, l’Europa è stata storicamente ed è ancora soprattutto un fatto culturale, con taluni tentativi di trasformarlo in un fatto politico, un fatto culturale custodito e tramandato da una classe élitaria. 5. Il fatto che, ogni tanto, a periodi lunghi, qualcuno si senta investito della missione di mettere insieme l’Europa come struttura politica retta da un apparato politico-militare e diplomatico, significa che questo ideale esiste come possibilità e quasi come tendenza naturale presso i popoli europei, ed è probabile che questo ideale sia coltivato più o meno coscientemente da quella stessa classe di intellettuali, filosofi, giuristi, scienziati e tecnici che sono educati dall’Europa delle Università, e che riescono a dare una utilizzazione a quelle cariche di aggressività che si raccolgono negli eserciti delle Nazioni, nei foro armamenti e nei loro generali. In tal modo, dopo le gesta di Carlo Magno, vi sono stati i lunghi tentativi per costruire o ricostruire il nuovo Impero Romano Germanico, dagli Ottoni a Federico Hohenstaufen, il Barbarossa, alle lotte per la supremazia fra Impero, Francia e Spagna, e fra Impero e la Chiesa, fino a Carlo Quinto, un re dimensionalmente europeo, e poi fino a Napoleone il più coscientemente europeo, per non parlare dei genio paranoico di Hitier, che – ahimè – pensò pure all’Europa. Ognuno di questi potenziali costruttori dell’Europa ebbe, o trovò, i propri “teorici” e “collaboratori “, che cercarono di dare dignità intellettuale alle loro ambizioni e all’orrenda realtà delle loro guerre. 6. Questi teorici, purtroppo, non fecero altro se non fissare il progressivo frazionamento dell’Europa in domini, sia culturali come territoriali o addirittura razziali, fra loro sempre meno compatibili e comprensibili. L’Europa delle Università, cioè delle dominanti minoranze intellettuali, così come ha creato e coltivato l’Europa come fatto culturale, a cominciare dall’Europa Carofingia e Cristiana, così ha anche dato l’avvio alla frantumazione dell’Europa in regni o repubbliche che tendono a formare e a giustificare un’Europa delle suprernazie nazionali e con essa la rete delle reciproche ostilità codificate nelle furibonde gelosie nazionalistìche. Chi ha coltivato l’idea europea, è anche chi la vuole distruggere. La stessa concezione dello Stato, che all’origine carolingia e cristiana era sufficientemente uniforme tra i Paesi occidentali, è andata differenziandosi in modo grave ad opera delle minoranze intellettuali dell’Europa delle Università, e non solo per i differenti regimi in valsi via via, di re più o meno assoluti, di Comuni e Signorie, di gradi diversi di feudalità, e così via. Per esempio, per Hobbes, lo Stato è l’unico mezzo per mettere le briglia alla naturale aggressività dell’uomo, badando a non tirare troppo la briglia. Tale è la base dei regimi più o meno liberali dei paesi inglesi. Per l’illuminismo, lo Stato è il risultato dei Contratto sociale con cui si cerca di ovviare le degenerazioni prodotte dalla società. Per il socialismo alla Proudhon, lo Stato e il modo per far tornare l’originaria uguaglianza dell’umanita. Da ciò originano i due poli dei regimi repubblicani dei Paesi Francesi. Per Hegel lo Stato è la metafisica razionalità, senza la quale non esiste civile convivenza, è l’ingresso di Dio nel mondo. Questo, dopo Hegel e Fichte, giace nel subconscio delle genti germaniche e della germanica disciplina. Per Machiavelli, invece, lo Stato è il Potere, con tutti i sottintesi di corruzione, d’inettitudine e di sopraffazioni che gli si possono affibbiare. Così si è fissato nella coscienza di molte popolazioni latine – e questa è l’origine della latina diffidenza, o peggio, verso qualunque forma di Stato, e della sistematica, anarchica e pessimistica indisciplina di quelle popolazioni. Tanto più se, come qualche volta accade, una forma endemicamente interminabile di lotta fra Guelfi e Ghibellini ha fissato l’immagine, vera o falsa, dello Stato come usurpatore (usurpatore rispetto a non si sa bene che cosa) si è addirittura diffusa nell’anima popolare l’idea balorda che lo stato sia sempre e per definizione un ladro. A tali fenomeni storici che, in Europa, hanno provocato lo scollamento degli Stati dalla realtà popolare, vanno infine aggiunte in molti Paesi europei penose fratture impiantate e fossilizzate su relitti storici di antiche guerre di religione, combattute per motivi che la gente non capisce nemmeno più, ma dalle quali sono derivate antipatie, preconcetti e pregiudizi che, a volte, si è tentatí di definire senza rimedio. 7. Tuttavia, se è vero che l’Europa o l’Europeismo è nato come un fatto culturale parallelo ai fatti politici e militari che tendevano alla formazione di fatto di una Europa unita, ma ha trovato negli stessi ambienti intellettuali, cioè nella Europa delle Università, i fermenti ideali e concettuali capaci di disgregare ogni possibile stato di unione dell’Europa stessa, va però rilevato come – nonostante ciò – quella stessa Europa delle Università sta costruendo, e da parecchio tempo, la struttura esecutiva, tecnologica, che presume un’Europa unita non solo culturalmente ma anche economicamente e in qualche altro modo. E’ vero, come osservava Chateaubriand, che le cose avvengono a causa delle idee, e che di queste idee le cose sono solo il rivestimento. Ciò si può vedere anche in questo fatto, che l’unità tecnologica in divenire dell’Europa suppone un’accettazione profonda dell’ovvia necessità che l’Europa esista. Dal principio dei secolo XIX, e poi con un crescendo esponenziale fino ai nostri tempi, si è sviluppata l’epoca delle tecnologie, iniziata in Europa e poi estesasi anche altrove, come in America del Nord e in Giappone. In quest’epoca appare evidente che l’Europa delle Università (compresi i Politecnici) ha preparato e sta preparando e mettendo a punto i presupposti per un qualche tipo di unità dell’Europa, sviluppando l’insieme di alcune tecnologie adatte a tale scopo, tecnologie. dtie, qui possiamo soltanto elencare. I trasporti sono improvvisamente balzati dall’era del cavallo e della nave a vela all’epoca del motore a scoppio e di quello elettrico, dell’aereo ad elica o a reazione, alla epoca dei razzi e, ora, dello Shuttle. Si è passati dall’era di una certa fissità delle popolazioni su un certo territorio, all’epoca dell’estrema mobilità che ha dato caratteristiche nuove all’habitat umano e, come si suol dire, ha reso piccolo il mondo in cui si vive, tanto nel senso geografico quanto in ben altri sensi. Tra l’altro, ha reso accessibile senza avventurosi viaggi ogni angolo d’Europa, e del mondo. Lo sviluppo delle cornunicazioni, accanto a quello dei trasporti, contribuisce all’eliminazione delle distanze, che è anche eliminazione o attenuazione delle diversità. Dai lenti servizi postali a cavallo o sulle diligenze, la tecnologia ci ha fatto arrivare al telegrafo, al telefono e poi alla radio, ai cavi sottomarini e alle comunicazioni transcontinentali, alla televisione e alle trasmissioni via satellite, alle telescriventi, alle telefotografie. Dai giornali composti a mano, siamo passati alle linotypes e poi alla fotocomposizione e a tutti gli espedienti di cui si servono i mass-media. Ciò che accade qui è sempre più rapidamente nato e visto in ogni posto del mondo, per una rete sempre più vasta e più fitta di comunicazioni che divengono sempre più istantanee. E questo è vero anche per l’Europa, dove gran parte di questi “míiracoli” della tecnica sono nati. Le reti di trasporti di ogni genere e l’insieme dei mezzi di trasporto e di comunicazione che coprono tutta l’Europa e anche parte del resto del mondo, vi ha creato e mantenuto un vivace interscambio sia commerciale come fiumi di persone coinvolte nel mondo dei lavoro, della produzione e dei commercio, a tutti i livelli. Da una trentina d’anni, si è formata prima la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, e poi il Mercato Comune Europeo, che in parte rappresentano l’affiorare e il realizzarsi anche se solo parziale, de antico sogno europeo. Tutto l’immenso lavoro che ha steso una rete tecnologicamente sufficiente per l’unità dell’Europa, e anche le parziali realizzazioni di tale unità, come si è detto, è stato rafforzato da molte e comuni iniziative volte a rendere accessibili le varie fonti d’energia e le conoscenze dei modi più validi per utilizzarle e trasformarle, in vista di un crescente benessere comune. L’elaborazione di concetti scientifici e delle tecnologie connesse, è stato il risultato comune dell’Europa delle Università, che ora è una parte della più vasta comunità scientifica internazionale. Nella nostra epoca, l’esistenza di questa comunità, collegata direttamente all’evolversi storico di quello che abbiamo chiamato Europa delle Università, è diventato un fatto evidente, clamoroso ed efficiente, e il risultato dei suo lavoro, neila scienza, nell’industria, nell’agricoltura e in tutte le tecnologie, è l’inevitabilità di una tendenza dell’Europa verso l’unità. Sull’approfondimento ulteriore di questa unità dell’Europa nella quale già tanti germi d’unità esistono già da ora, operano come stimolanti altre realtà, sulle quali ci soffermiamo brevemente. Tali realtà sono, per esempio, la televisione e il turismo di massa. La televisione porta in ogni casa ciò che accade al di là di ogni confine sia geografico che culturale. La televisione toglie, giorno per giorno, quel vecchio significato maligno e conturbante che aveva la parola “straniero”, o “stranger”, come dicono gli americani; toglie “stranezza” a tutto ciò che è “forestiero”. Il turismo di massa spiana, a ritmo più o meno lento, quelle tremende barriere di costumi e di lingua che fanno fra loro “stranieri, interi popoli, come se “stranieri”, significasse non solo “diversi”, ma anche “ostili”. Invece il turismo, obbligando la gente a tentare di esprimersi con persone che usano una altra lingua o quasi un’altra logica, che hanno altri costumi, altri sottintesi e altre tradizioni obbligando la gente a tentare di capire e di farsi capire, tende a far comprendere alla stessa gente come ciò che la divide dagli “altri” è almeno altrettanto importante di ciò che la unisce. Per quanto riguarda l’Europa, queste realtà sono quindi tra le cause che ne ravvivano la necessità e l’idea e ne forzano la realizzazione, nonostante le ottuse resistenze dei nazionalismi. 8. Abbiamo voluto rievocare tutti questi fatti perchè, nonostante tutto ciò che di già operante l’Europa delle Università ha approntato per l’auspicata unità di questo Continente, attualmente l’Europa è soggetta alla minaccia incombente di alcuni gravi pericoli. In modo generico, questi gravi pericoli si possono riassumere con la constatazione che – allo stato attuale delle cose – l’Europa è soggetta ad almeno due tentativi di colonizzazione, tentativi abili, subdoli e violenti, che in parte sono persino già ben riusciti. Per la verità, i pericoli di colonizzazione di cui vogliamo parlare hanno origine, a loro volta, da movimenti di pensiero, e da avvenimenti storici dei quali la stessa Europa ha un parte notevole di responsabilità. In particolare quei movimenti di pensiero sono prodotti velenosi dell’Europa delle Università, specialmente tedesche, francesi ed inglesi. Sono quei movimenti che, nati in Europa nel secolo XIX, e da essa coltivati ed esportati, hanno dato origine all’imperialismo, nominalmente marxista ma in realtà pansiavista, che fa capo alla Unione Sovietica, e all’imperialismo del consumismo, positivista ma non meno materialista del marxismo, tecnicamente assai evoluto ma culturalmente rozzo e carnevalesco, che fa capo ad una supernazionalità come le Compagnie Multinazionali di cui anche l’America e il Giappone sono vittima come l’Europa stessa. Non vogliamo, in questa sede, descrivere e analizzare nei dettagli questi,due imperialismi che cercano attualmente di trasformare l’Europa, madre delle civiltà umane, in una provincia di culture aliene e degenerative che deve essere strappata dalle sue radici. Le “culture degenerative” corrispondenti a quei due minacciosi imperialismi (anche se sono minacciosi in maniere differenti) sono – da una parte – una specie di cultura tecnologico-commerciale, senz’anima, e dall’altra parte una cultura fanatica, ideologico-burocratica, con una antianima. A tanto, infatti, portano i postulati fondamentali e la linea pragmatica di queste “culture degenerative”. La prima, la “cultura degenerativa” del consumismo, è basata sul postulato secondo cui l’unico criterio per giudicare un uomo o una donna, consiste nella misura di quanto e di come quell’uomo o quella donna può produrre o consumare in fatto di beni cui si attribuisce un valore economico. Tutto il resto non esiste, o non è degno di attenzione, è da buttare via. Tutto ciò che vale la pena di fare o di avere o di trattare, deve essere “positivo”, ossia praticamente ed economicamente utilizzabile. Se la poesia, la musica, la bellezza, la giustizia, la rettitudine, la verità, l’amore non zoologico, il sapere, il capire, la ricerca appassionata della struttura e dei divenire delle cose, setutte queste cose non sono “positive”, esse sono miti, leggende, arretratezza, fantasie indegne di una civiltà moderna e positiva. Se definiamo come anima di una cultura, l’insieme dei motivi ideali, logici e artistici che determinano l’indirizzo generale delle scelte umane, di singoli individui o delle collettività, appare chiaro che questa “cultura degenerativa” è senz’anima, cioè senza ideali umani, né singoli né collettivi. A sua volta, l’altra “cultura degenerativa” che ora – storicamente – si oppone fieramente alla prima ma che potrebbe benissimo andar d’accordo con essa, è basata sul postulato per cui le uniche cause che determinano la storia sono cause economiche. Tutte le altre apparenti cause sono cause materiali camuffate, simbolizzate, sublimate, ma sono solo e sempre cause materiali ossia economiche. In modo arbitrario, per motivi di evoluzione di certe scuole tilosotiche tedesche, a questo primo postuiato se ne aggiunge, di tatto, un secondo, con pretese metafisiche e che si pretende anche “scientifico”, secondo cui tutto cio che esiste nell’uomo e nella natura è sempre e solo materia. Non c’è una cosa chiamata spirito, non c’è anima che faccia di un individuo umano una persona umana con una libertà autonoma. Ogni individuo è solo una rotella dello Stato, senza autonomia e senza libertà. Invece dell’anima che fa di lui una persona con la sua libertà, quell’individuo deve avere una anti-anima che tende a sopprimere in lui ogni libertà morale o critica ed ogni autonomia, una anti-anima che se incontra della contestazione fa considerare l’individuo, che pretende di essere persona, come un pazzo per il quale sono pronti opportuni manicomi con opportune cure. (Il prof. Zichichi, reduce dal Seminario di Erice, potrebbe dirci cose paurosamente interessanti sul pericolo mortale che da queste parti incombe sull’Europa e sul mondo). 9. Di fronte ai due gravi ed equivalenti pericoli di colonializzazione che incombono sull’Europa attuale, occorre che – da un lato – l’Europa delle Università prenda coscienza della realtà e dell’incombenza di quei pericoli, e della necessità di liberarsene con i mezzi che a quell’Europa delle Università sono congeniali, cioè con la conoscenza e la scienza in tutti i suoi rami. Queste sono la filosofia, il diritto, la storia, le scienze umane in generale, assieme alla fisica, l’astronomia, la matematica, la chimica, la geologia, la biologia dei passato e dei futuro, e anche con le tecnologie che da quelle scienze sono derivate. Ma l’Europa delle Università deve riprendere tutte quelle scienze, che a una a una essa ha già tanto sviluppato, deve riprenderle ma senza dogmi, accettando solamente la realtà -qualunque essa sia – rifiutando il mondo precondizionato da ogni ideologia che tende a diventare un fanatismo. Occorre ridare un senso umano e un contenuto umano all’anima dell’uomo, cioè a quella che è la causa della sua libertà, causa che non è riducibile soltanto a fisica, chimica o biologia. Infatti ciò che è fisico, chimico o biologico, è sottoposto a una fanatica razionalità, mentre l’esperienza della libertà ci mostra qualcosa che è svincolato da ogni razionalità. Per non avere anima o per avere una anti-anima, l’uomo deve subire una profonda e tremenda violenza, che è l’aspetto drammatico di quella colonizzazione che tenta di sottomettere l’Europa. Di una tale rivoluzione umanistica l’Europa ha necessità, per poter essere ancora la madre delle culture umane, secondo il genio della sua storia, ma senza più i difetti, le colpe, le lacune e gli errori che hanno deteriorato la sua missione civilizzatrice. Occorre che l’Europa delle Universìtà riscopra e ridia consistenza all’idea culturale e strutturale europea, quale fu pensata e fu iniziato a realizzarsi da uomini come Adenauer, Schuman e De Gasperi. Quella fu la realizzazione politica, purtroppo parziale, di un’idea europea che aveva una unità non razziale, non nazionalistica o sciovinistica, non militaristica o soltanto commerciale, ma tipicamente cristiana. Infatti, il seme dell’Europa, dai Carolingi in poi, fu l’idea cristiana di una società al di sopra dei limiti di tribù e di lingue, di nazioni e di razze, quale quella implicita nel messaggio cristiano ai figli di uno stesso Padre, con una legge morale cristiana uguale per i ricchi e per i poveri, alla quale devono essere compatibili tutte le leggi e tutti i codici, e con una motivazione cristiana per il loro operare, perchè tutti gli uomini con pace e con giustizia tendano allo stesso Regno annunciato dal Cristo. L’esperienza ormai milienaria dovrebbe dimostrare ai popoli sia dell’Europa sia del mondo intero, ma soprattutto all’Europa delle Università, officina d’idee, che la semplice potenza e anche lo stesso Cristianesimo inteso solo come militare od economica fonte di potere, né solo non servono a dare pace e giustizia ai popoli di tutto il mondo. Né solo le Nazioni, la Chiesa cristiana possono dare all’Europa pace e giustizia. Ma assieme, le Nazioni e la Chiesa cristiana che le ispira e dà loro una legge morale, possono far sì che la nazione cristiana Europea sia uno strumento vivo e duraturo di pace e di giustizia per popoli che possono sperare. Questa è la rivoluzione di cui l’Europa ha bisogno. 10. Un’ultima osservazione va fatta per l’Italia. Dopo il lungo periodo di esaltazione nazionalistica e dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, molti italiani hanno subito un vasto e prolungato processo autolesionistico, anzi autodistruttivo, connesso con un processo di rifiuto nei confronti di quella che non si osava più nemmeno chiamare patria italiana. In conseguenza di ciò, molti – sia delle classi lavoratrici come degli intellettuali – hanno tentato di scegliere un’altra patria. Così larghi strati di popolazione hanno scelto la patria sovietica, con la sua bandiera, la sua mitologia, e le sue utopie, mentre altri strati hanno scelto una ipotetica patria europea per scaricare su queste utopiche patrie le funzioni di quella reale rinnegata. Appare ovvio che questo tentativo d’immettersi nel sogno europeo è parassitario, ed è analogo a quello di immettersi nell’utopia dell’internazionalismo socialista. E’ soltanto una mascheratura di una specie di suicidio nazionale, non so se suggerito da sconforto o da pigrizia, una specie di raptus di autodistruzione autopunitiva, dei quale vediamo episodi senza fine. Come in ogni suicidio, quei tentativi suggeriti da disperazione o da viltà, non sono tra quelle componenti dell’anima di un popolo che debbano essere favoriti. Al contrario, per esempio, quella frazione dell’Europa delle Università che vive e opera in Italia, coffiprese quelle di ispirazione cristiana, deve rendersi conto di questa disperazione e di questa viltà e le deve combattere, educando nuovi italiani per superare questa grave malattia nazionale autodistruttiva, usando tutte le riserve d’intelligenza, di coraggio e di serietà di cui la nazione, lungo la sua storia tormentata, ha dato innumerevoli prove.

 

Data

24 Agosto 1981

Ora

09:00

Edizione

1981
Categoria
Incontri