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COSA STA CAMBIANDO IN ITALIA?
In diretta su Agi, Askanews, La Stampa
Dialogo con Alfredo Mantovano, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Introduce Emmanuele Forlani, Direttore Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS.
Stiamo attraversando un cambiamento d’epoca, che riguarda tutti gli ambiti della vita pubblica e di quella privata.
Gli anni di pandemia hanno fatto emergere istanze e problematiche spesso “sottotraccia”; la crisi energetica, i cambiamenti climatici, le emergenze migratorie, il repentino sviluppo dell’intelligenza artificiale e le problematiche ad essa connesse, i “nuovi” diritti: sono temi all’ordine del giorno di discussioni di ogni ordine e grado. In questo contesto ci troviamo a circa un anno dall’insediamento di un nuovo Governo e ci avviamo verso un percorso che porterà al rinnovo della rappresentanza politica in Europa. Dove sta andando il nostro Paese? Con quali giudizi, secondo quali criteri di intervento è sviluppata la politica di governo del nostro Paese? Quale il ruolo dei diversi livelli di gestione della “cosa pubblica”, della società civile e dei cosiddetti corpi intermedi? Dialogheremo con l’on. Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, al cui ufficio sono destinati tutti i principali dossier di attività della politica nazionale.
Con il sostegno di Illumia.
COSA STA CAMBIANDO IN ITALIA?
COSA STA CAMBIANDO IN ITALIA?
22 agosto 2023
Ore: 17.00
Sala Conai 2
Partecipa:
Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei Ministri.
Introduce:
Emmanuele Forlani, direttore Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS.
Forlani. Buonasera, benvenuti a tutti, benvenuti a coloro che sono qui in sala a Rimini in fiera, a coloro che ci seguono da remoto in streaming o che ci seguiranno on demand. Prima di salutare il nostro ospite, che ho l’onore e anche un po’ il timore, nel senso di timore reverenziale, di presentare, saluto ovviamente tutti gli amici, siamo al terzo giorno di questa 44esima edizione del Meeting dal titolo “L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”. Saluto anche le tante autorità presenti in sala e diamo inizio a questo nostro incontro, innanzitutto salutando e ringraziando per la presenza un ospite non nuovo del Meeting ma certamente nuovo con questo incarico, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Grazie, grazie per aver accettato l’invito e grazie per essere tornato a trovarci. Oggi ha avuto l’occasione anche di visitare un po’ i padiglioni della fiera, quindi è già entrato e ha visto tante delle cose presenti in fiera. In questo momento di chiacchierata, mi permetto di dire, di dialogo con lui, appunto abbiamo voluto in qualche modo indicare un tema, dando come titolo a questo momento “Che cosa sta cambiando in Italia?”. Non è un titolo generico perché in qualche modo fa riferimento al fatto che veniamo da anni certamente molto complessi, che tutti abbiamo vissuto: i primi anni del Covid, poi abbiamo avuto lo scorso anno una crisi sull’energia particolarmente significativa, certamente viviamo in un momento non semplice anche per le famiglie e siamo, come è stato più volte ribadito, in un momento di cambiamento d’epoca. In questo cambiamento d’epoca c’è stato, proprio pochi giorni dopo il Meeting dell’anno scorso, anche un cambiamento della nostra compagine di governo. Poco più di dieci mesi fa quindi si è insediato il nuovo governo, che inizialmente, così parto subito con le domande, è stato guardato con un po’ di sospetto, soprattutto dai media internazionali, con la preoccupazione che ci fosse qualche soggetto un po’ particolare e temibile e di conseguenza hanno dipinto in qualche modo una preoccupazione significativa rispetto all’andamento e allo sviluppo del nostro Paese. A dire il vero a distanza di dieci mesi sembra che questa immagine, questa reputazione, questo posizionamento dell’Italia a livello internazionale non sia lo stesso di dieci mesi fa. Innanzitutto ti chiedo se effettivamente questo mutamento di considerazione è effettivo e, in caso affermativo, che cosa è accaduto.
Mantovano. Ma intanto grazie per l’invito, ringrazio il direttore del Meeting, Emanuele, ringrazio tutti voi per essere qui e anche io saluto in particolare le autorità presenti, ma poi tutti gli amici, molti dei quali conosco da lunghi anni. Beh, è successo quello che accade quando incontri una persona alla quale qualcuno ha parlato male di te. Succede. Se questa persona, che è un po’ prevenuta però non ha proprio dei pregiudizi insormontabili, ti ascolta, poi coglie che il buon senso e la ragionevolezza prevalgono e allora le storie che hanno raccontato su di te si affievoliscono e diventi un partner sempre più affidabile. Quali sono stati, al di là delle suggestioni personali, che pure nel rapporto tra i capi di Stato e i capi di governo non sono un fattore secondario, ma quali sono stati i fattori che maggiormente hanno contribuito a questo cambio di opinione a livello europeo e internazionale nei confronti del governo Meloni? Provo a enunciare quelli che possono essere i principali. Il primo è che questo governo è percepito come un governo stabile, destinato a durare, tendenzialmente per l’arco della legislatura, il che nelle relazioni internazionali ha un peso, perché una delle cose che è capitata alla presidente Meloni all’inizio dei suoi incontri con leader di altre nazioni è stata cogliere nell’interlocutore l’interrogativo “ ma tra dieci mesi, se la reincontro, sarà sempre la stessa?”. Ovviamente questa prospettiva di rivedersi o meno è decisiva per costruire un percorso comune. Il secondo fattore, che vale soprattutto per l’Europa: noi non abbiamo mai messo in discussione l’europeismo, a differenza di quanto molti critici vaticinavano. Semmai decliniamo l’appartenenza all’Europa in modo non supino né burocratico, siamo nelle istituzioni europee, consapevoli dei limiti e dei condizionamenti che le istituzioni europee determinano sugli ordinamenti dei singoli Stati che appartengono all’Unione, ma consapevoli anche delle opportunità che l’Unione offre, senza complessi di inferiorità, pronti a non demordere rispetto a quelli che consideriamo degli obiettivi. Terzo punto, non abbiamo messo in discussione il quadro di alleanze internazionali che stiamo rispettando, nonostante i sacrifici che tutto questo comporta per l’Italia nel suo insieme. Ogni riferimento alla guerra in Ucraina è assolutamente voluto. L’appoggio all’Ucraina non è un appoggio soltanto in termini di condivisione di un’alleanza militare. È un appoggio che si è concretizzato, non ha avuto una straordinaria eco mediatica ma gli effetti concreti ci sono stati, anche nell’invio di aiuti civili. Terna è stato capofila, insieme con altre importanti realtà italiane, da Enel alla Protezione Civile e a tanti altri, come fornitore di strumentazione importante per garantire l’erogazione di energia elettrica a una parte della popolazione ucraina. In cantiere abbiamo qualcosa che se verrà portato a compimento, e siamo molto impegnati in questa direzione, sarà un ulteriore successo del genio italiano, e cioè grazie alla collaborazione tra la Triennale di Milano, nella persona del suo presidente, l’architetto Boeri, del Maxxi, nella persona del suo presidente Alessandro Giuli, del ministero della Cultura e del ministero degli Esteri puntiamo alla ricostruzione, grazie agli architetti italiani, all’eccellenza dell’architettura italiana, della cattedrale di Odessa. Ci sono già dei contatti in corso con la città di Odessa e tutto questo è segno di ulteriore presenza in quell’area così difficile. Certo, da quell’area sono derivati dei pesanti contraccolpi nella vita interna italiana, come di tutti gli ordinamenti che appoggiano questa coalizione, anzitutto sul piano dell’approvvigionamento energetico, dei prezzi delle materie prime, che peraltro già prima dell’avvio del conflitto erano in sensibile aumento. Questo ci sta facendo cogliere in fattori di crisi degli elementi di opportunità. Questo ci sta facendo aprire ancora di più al sud del Mediterraneo. In questi mesi, anche questo ha contribuito all’incremento della credibilità internazionale dell’Italia, ci ha portato a stringere accordi più stretti quanto all’approvvigionamento energetico con l’Algeria, con la Libia. Il cosiddetto TAP, così osteggiato al momento del suo avvio, oggi, grazie a Saipem, è destinato ad approvvigionare anche nazioni dell’Europa centrale, a cominciare dall’Austria, ma anche la Germania. E da ultimo l’Italia ha avviato una iniziativa quasi da apripista, rispetto ad altre nazioni occidentali ed europee, verso l’Africa, ma su questo magari diremo qualcosa tra qualche secondo. Ecco questi sono alcuni degli elementi secondo cui il racconto per il quale l’Italia sarebbe ai margini dell’Unione Europea, quasi con un piede più fuori che dentro, e sarebbe un paria sul piano internazionale, è un racconto che si è rivelato di scarsa consistenza, come la realtà quotidiana conferma.
Forlani. Grazie e torneremo tra poco sul tema dello scenario internazionale. Però prima vorrei chiederti un’altra cosa tornando all’interno dei nostri confini italiani, perché una parte degli osservatori, tornando all’inizio di questo percorso di cui abbiamo parlato, dubitava che una compagine di governo così nuova, con una rappresentanza apparentemente priva di un’esperienza anche di gestione della cosa pubblica, fosse in grado effettivamente di guidare una nazione e quindi potesse in qualche modo essere anche in grado di affrontare delle sfide così complesse. Prima ancora, o più ancora, di elencare quali sono le azioni che sono state fatte, penso sia interessante capire qual è il metodo, anche di lavoro, che avete voluto improntare.
Mantovano. Tra le mie scarse deleghe c’è quella di segretario del Consiglio dei Ministri e posso attestare che il lavoro finora svolto dal Consiglio dei Ministri è stato un lavoro sempre molto concorde, il che significa un’attività di preparazione intensa che porta a sciogliere i nodi più significativi già prima sul piano tecnico, o sul piano politico, se necessario, con incontri più ristretti prima di arrivare al Consiglio dei Ministri. Infatti non sono mai durati tantissimo, non perché non si discuta. ma perché tante questioni arrivano già preparate in modo che si definisce veramente ciò che è essenziale. Ma c’è un metodo di lavoro che abbiamo avviato, proprio per rispondere alla tua domanda, e che a me che, come si dice a Roma “ ho una certa”, deriva da un’esperienza svolta in una precedente tornata di governo. Mi è capitato di essere a lungo sottosegretario all’Interno e in modo particolare, nell’ultimo periodo in cui ho svolto quest’incarico, ho avuto come ministro Roberto Maroni. Con Maroni, all’inizio di quella legislatura e di quella esperienza di governo, ci trovavamo ad affrontare dei nodi molto complessi della sicurezza nazionale, in modo particolare la presenza forte della camorra del clan dei Casalesi. e lì sperimentammo un metodo che poi, passo l’uovo di Colombo, ma come Cristoforo Colombo attesta finché l’uovo non lo premi, non sta dritto (?) e cioè è consistito nell’individuare di volta in volta con tutti i soggetti interessati in quel momento, i carabinieri, la polizia, la Guardia di Finanza, l’autorità giudiziaria, degli obiettivi come la cattura di latitanti e la prensione dei beni di provenienza illecita e nel tornare sullo stesso luogo dopo 15-20 giorni per verificare se quegli obiettivi erano stati raggiunti, se c’era qualcosa da verificare concretamente. Quindi non l’annuncio e poi chi vuole fa quello che può, ma una sistematicità di azione di governo. A me è rimasta impressa questa azione perché all’epoca condusse praticamente a smantellare il clan dei Casalesi e a catturare i più pericolosi latitanti e ho provato a riprodurre questo stesso metodo adesso nell’esperienza di governo, per esempio a proposito delle opere necessarie per il Giubileo. Il Giubileo inizia domani, il 24 dicembre del 2024 è praticamente domani, soprattutto per quello che va fatto per far sì che la presenza dei pellegrini sia la meno disagiata possibile. Col sindaco di Roma, che come sapete dal precedente governo è stato nominato anche commissario straordinario per il Giubileo, a partire dal mese di dicembre è ormai una consuetudine vedersi ogni 15-20 giorni e individuare le opere che vanno dapprima inserite in programmazione, poi finanziate, poi poste alla fase dell’esecuzione. In questo modo nel giro di qualche mese stanno partendo i cantieri, che purtroppo in questi mesi creeranno qualche disagio alla vita della capitale, più di quelli che ordinariamente già sa, ma che al momento dell’avvio del Giubileo permetteranno una più scorrevole viabilità e comunque una accoglienza più decorosa; stiamo parlando anche di incrementare i Pronto Soccorso, di incrementare tutto un sistema di accoglienza. Lo stesso metodo lo stiamo seguendo per l’organizzazione dell’Olimpiade invernale Milano-Cortina, lo stiamo seguendo per affrontare il tema delle dipendenze, in modo particolare della prevenzione e del contrasto alla droga. Questo perché i problemi sono complessi, richiedono spesso la messa in comune di competenze di diversi soggetti e non si può lasciare la loro definizione alla circolare scritta, invece vedendosi continuativamente, guardandosi e soprattutto facendo emergere le difficoltà, capita anche di risolverle e quindi di fare dei passi in avanti.
Forlani. Grazie, penso che anche su questo metodo, tante volte qui al Meeting e in diverse occasioni si è discusso, appunto sul fatto di poter collaborare assieme e contribuire al bene comune. Penso sarà interessante anche vedere come prosegue questo metodo, ma vorrei tornare un attimo allo scenario internazionale, perché fin dalle prime battute il governo ha messo al centro, o comunque ha deciso di affrontare, la questione Africa. In particolare il 23 luglio scorso a Roma si è svolta una conferenza internazionale per lo sviluppo e le migrazioni. Ha visto la partecipazione dei rappresentanti, fra essi capi di Stato e di governo, delle nazioni dell’area del Sud, del Mediterraneo, del Golfo, del Centro Africa. Per certi aspetti penso sia stato un inedito. E’ l’avvio in qualche modo di quello che avete definito come il piano Mattei. Sarebbe interessante capire effettivamente in che cosa consiste questo piano e come si sviluppa.
ALFREDO MANTOVANO: L’Africa è il nostro presente ed è il nostro futuro, nostro di italiani, nostro di europei. Lo è non soltanto per la questione delle migrazioni, lo è anche per la questione approvvigionamento energetico, lo è anche fra l’altro, non sto a fare l’elenco delle ragioni di questa prossimità non soltanto ideale, lo è anche per la prevenzione del contrasto del terrorismo di matrice jihadista, che è uno di quegli argomenti che ogni tanto torna, diventa trendly e poi scompare all’orizzonte. Ma il terrorismo jihadista esiste. Ci sono intere aree del continente africano che in questo momento sono a esso sottoposte. Una nazione enorme come la Nigeria vede parti consistenti del proprio territorio sotto il dominio di Boko Haram, che significa riduzione in schiavitù delle popolazioni esistenti e in particolare delle giovani donne nei cui confronti il rapimento, lo stupro, ogni tipo di violenza, sono una forma di esercizio della politica jihadista. L’Italia ha tradizione e volontà politica attuale per porsi di fronte all’Africa in modo credibile, perché non viene percepita come una nazione che nei confronti dell’Africa ha un tratto coloniale o post-coloniale. Chiarisco tra un attimo cosa voglio intendere, partendo proprio dalla conferenza del 23 luglio che si svolta alla Farnesina e che ha visto la presenza di rappresentanti, 5 capi di Stato, 8 capi di governo e comunque per chi non aveva né capo di Stato né capo di governo, le rappresentanze più autorevoli in quel momento di tutta l’area sud del Mediterraneo, dalla Turchia, facendo il giro fino ad arrivare al Marocco, più i paesi del Golfo, più alcune nazioni dell’Africa con le quali è possibile in questo momento stabilire un’interlocuzione, in particolare delle nazioni del Centro Africa. A queste si è aggiunta l’Unione Europea rappresentata dalla presidente della Commissione von der Leyen, dal presidente del Consiglio Michel, e tutta una serie di organizzazioni internazionali, dalle Nazioni Unite alle varie banche e realtà finanziarie. Rimanendo fermo sugli Stati rappresentati, sono distinguibili in tre fasce, quelli di provenienza delle migrazioni, quelli di transito delle migrazioni, quelli di destinazione che per la gran parte saranno i donatori del Piano per l’Africa. In che cosa consiste? In due binari che devono correre parallelamente. Il primo, uno sviluppo effettivo e concreto del continente africano. Il secondo, la regolamentazione dei flussi migratori. Quando parlo di tratto non coloniale, neanche post-coloniale, intendo dire che l’atteggiamento dell’Italia che è stato condiviso a questo tavolo, non è stato come ha detto qualche media una passerella, perché le passerelle non si concludono con un documento comune sottoscritto da tutti e in quei tutti ci sono Stati che non si amano molto tra di loro e che pure, dopo un intenso lavoro diplomatico, sono arrivati alle medesime conclusioni. Tratto non coloniale significa che le decisioni per i singoli stati africani non sono assunte a tavolino a Roma o a Bruxelles, ma sono condivise con gli stati medesimi. Quindi non è qualcosa che cala dall’alto, è qualcosa che viene concordato con la Mauritania, con la Guinea, con la Repubblica Centrafricana e con tutti i Paesi con i quali questa interlocuzione è possibile. L’Italia dicevo ha tradizione in tal senso, inutile sottolineare il ruolo che 60 e più anni fa ebbe in questa direzione Enrico Mattei, ma anche volontà politica attuale, e l’attualità chiama in causa la concretezza. La conferma che non è stata una passerella, sta nel fatto che comincia ad essere costituito un fondo comune per lo sviluppo dell’Africa e gli Emirati Arabi Uniti sono stati un po’ da apripista in questa direzione, versando in questo fondo comune i primi 100 milioni di euro. e quando c’è il denaro sul tavolo si entra molto nella concretezza e si esce dalla genericità. Concretezza significa anche fare in modo, ed è un lavoro in corso, che i vari progetti di cooperazione per lo sviluppo dell’Italia siano portati a coerenza, abbiano una sorta di filo unitario rispetto agli obiettivi che ci siamo posti e quindi si evitino interventi a pioggia o frammentati, significa anche più posti di lavoro lì e più posti di lavoro qui per i migranti che intendano venire regolarmente. Anche queste non sono parole. Qualche settimana fa è stato pubblicato e comincerà ad essere operativo tra qualche giorno il decreto “flussi” dell’Italia, che per la prima volta è un decreto triennale e che prevede l’arrivo sul territorio italiano, nell’arco del triennio, di 450.000 stranieri che verranno in modo assolutamente regolare. L’indicazione di una strada regolare può essere l’antidoto, deve essere nella nostra prospettiva, a consegnare se stessi e i propri risparmi ai mercanti di morte. Ma verso l’ingresso regolare c’è anche un’ulteriore misura prevista dal decreto “flussi” e cioè la possibilità di ingresso fuori quota per l’aspirante lavoratore che vive in uno degli stati dell’Africa, e non soltanto dell’Africa, se ha frequentato un corso di formazione organizzato da un’azienda o comunque da un network italiano. Quindi di fronte alle riserve che si sono ascoltate in anni passati: ma io come faccio col decreto “flussi” a far venire a lavorare alle dipendenze della mia azienda chi non conosco? Non so che competenze abbia. La risposta più adeguata è: fai tu la formazione lì o rivolgiti ad una realtà di cui ti fidi e che la svolga ed è il modo migliore per far venire senza il limite di quota colui che hai individuato e che hai formato. E da ultimo, ma non da ultimo, intendiamo coinvolgere a pieno titolo in questo lavoro, ne parlavamo prima privatamente con Emanuele, il terzo settore che già svolge un’opera importantissima che deve essere messa in comune, non per perdere la propria autonomia, la propria specificità, ma semmai per aumentare l’efficienza della propria azione. Descritto così sembra tutto rose e fiori, e invece ci rendiamo conto che camminiamo su un terreno disseminato di mine. Le difficoltà sono enormi, l’Africa in questo momento è il terreno probabilmente più vasto e più tragico di quella che, riecheggiando papa Francesco qualche giorno fa proprio qui al Meeting, il cardinal Zuppi ha riproposto come la terza guerra mondiale a pezzi. La Russia combatte in Africa parte della guerra d’Ucraina, cercando di ledere gli interessi delle nazioni occidentali che sono alleate dell’Ucraina. La combatte direttamente o attraverso il battaglione Wagner. Wagner non è un insieme di contractors, è un network come sapete. Ci sono delle società e normalmente i contractors, questi guerrieri armati sono messi a guardia e tutela delle realtà che svolgono attività estrattiva di petrolio, di materie prime preziose, di oro, di diamanti, e tutto ciò serve a incrementare traffici che non sono traffici propriamente leciti. Quindi, dicevo, le difficoltà sono enormi, tra i fattori di difficoltà anche quelli estranei alla Russia, interni a singole nazioni africane, la guerra civile in corso in Niger prescinde dalla Russia e dalla Wagner. Poi può darsi che ne approfittino in futuro inserendosi in questa faglia che si è aperta. Ci sono crisi iniziate qualche mese fa di cui ci siamo dimenticati. Chi parla più sui media del Sudan? Eppure sono trascorsi appena cinque mesi dallo scoppio della guerra civile. Lì tra i fattori di difficoltà c’è il rigidismo di alcune organizzazioni internazionali, per non fare nomi il Fondo Monetario Internazionale, che ancora lesina l’apertura di credito, pur assicurata a suo tempo alla Tunisia, stiamo parlando di 1 miliardo e 900 milioni di dollari, dicendo che prima la Tunisia deve garantire il rispetto dei diritti. Noi ci stiamo permettendo di osservare che se tu non sei in condizioni di pagare gli stipendi ai pubblici dipendenti, tra i quali ci sono anche i poliziotti, non sei in grado di garantire l’ordine pubblico e abbiamo visto che cosa succede a Sfax, che è la città da cui parte una buona fetta dei barchini, e quindi i diritti li i tuteli di meno. Quindi stiamo premendo molto perché questa impasse si sblocchi, senza trascurare l’estensione della presenza cinese. Perché poi questi Paesi, se non trovano aiuto nelle realtà che si trovano più nella sponda occidentale, a cominciare dal Fondo Monetario Internazionale, l’aiuto lo trovano da qualche altra parte. Ed è un aiuto che certamente non è tra i più raccomandabili quale partnership, rispetto non soltanto all’Occidente ma all’interesse di questi stessi Paesi. Le difficoltà sono tante altre, però fare l’elenco delle difficoltà non significa rinunciare a questo cammino che si è intrapreso. E qui permettetemi in conclusione quella che ritengo non essere una mera digressione: arrendersi alle difficoltà non è nella nostra cultura cristiana e non sto parlando di un atteggiamento personale di fede, sto parlando delle ricadute culturali e civili del cristianesimo. Un Dio che si fa carne significa che la salvezza passa non facendo lo slalom tra le difficoltà, ma prendendosele in carico nella prospettiva del loro superamento. Quando vent’anni fa in Europa qualcuno fece fallire il progetto di costituzione europea pur di non riconoscere a fondamento di quella costituzione le radici cristiane, che venivano evocate con tanta forza dal pontefice dell’epoca San Giovanni Paolo II, quel qualcuno ha negato l’elemento fondante dell’Europa. Perché se l’Europa ha acquisito identità, essendo tutto sommato un’ appendice occidentale del grande continente asiatico, dopo il crollo dell’Impero Romano, è perché in Europa per secoli I campi, ma anche le menti e i cuori sono stati arati all’insegna dell’ «ora et labora». L’Europa vent’anni fa ha rifiutato di riconoscere il suo unico elemento unificante, da Lisbona a Bucarest, mi verrebbe da dire da Lisbona a San Pietroburgo. E se oggi, 80 anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la guerra è tornata in modo così tragico sul territorio europeo è, insieme con tante altre concause, anche per aver rifiutato la forma e la sostanza di quell’elemento unificante. Quell’elemento unificante per noi è la molla che è alla base anche del Piano per l’Africa.
Forlani. grazie. Ti ringrazio anche perché, diciamo, il punto che adesso avevo intenzione di toccare è un punto altrettanto delicato che è quello del contrasto alle mafie. Qui al Meeting, non da poco tempo ma sin dall’inizio, ci si è sempre in qualche modo posti anche i temi più delicati, come il contrasto alle mafie, partendo da esempi, partendo da testimonianze, partendo da figure per certi aspetti straordinarie, ma straordinarie dentro una quotidianità. Lo scorso anno facemmo una mostra sul beato Livatino, quest’anno abbiamo degli incontri sulle figure straordinarie di Don Pino Puglisi, di Aldo Moro. Ecco, diciamo, all’interno del Meeting c’è sempre stata grande attenzione proprio a sottolineare questo ultimo aspetto che tu citavi. C’è un tema che riguarda le istituzioni appunto proprio rispetto al contrasto alle mafie ed è un tema che il presidente Giorgia Meloni tante volte sottolinea. Quali sono le azioni che si stanno facendo e soprattutto qual è l’efficacia di queste azioni alla luce, penso, anche della posizione culturale che hai detto poco fa?
Mantovano. Ci sono dei temi che in alcuni momenti della nostra storia di italiani hanno avuto un peso anche mediatico nella percezione diffusa. Il contrasto alle mafie e anche al terrorismo jihadista sono tra questi temi, poi misteriosamente scompaiono. Come si diceva prima, non sono più trendly. Però non scompaiono nel lavoro delle forze di polizia, dell’autorità giudiziaria e del governo e del Parlamento. Quindi, anche se non sono nella moda mediatica, sono nella concretezza quotidiana. Il contrasto alle mafie prosegue con il perseguimento degli obiettivi storici, la cattura dei latitanti. Qualche mese fa, e bisogna renderne onore a coloro che l’hanno resa possibile, c’è stata la cattura dell’ultimo importante latitante rimasto in circolazione, Matteo Messina Denaro. Con che spirito affrontiamo questa voce dell’azione di governo? Intanto con la consapevolezza che non siamo all’anno zero. Noi dovremmo essere orgogliosi, come italiani, del fatto che il lavoro svolto negli ultimi trent’anni, prendiamo come punto di riferimento le stragi del 1992, è un lavoro che non ha eguali al mondo sul piano dell’adeguatezza normativa, sul piano dell’efficacia dell’azione, sul piano dei risultati raggiunti. Oggi Cosa Nostra siciliana non è quella di trent’anni fa. Esiste, è pericolosa, va contrastata, ma ha una potenza certamente meno devastante. Un discorso analogo si può fare per la camorra; è vero si uccidono in tanti ma non sempre, diciamo, l’omicidio, che è una cosa gravissima ci mancherebbe altro, è espressione di potenza nel linguaggio mafioso o para-mafioso. Spesso la potenza reale si manifesta quando la calma in superficie è completa. Perché? Perché c’è un dominio che rende non necessario l’intervento così traumatico come l’omicidio. La realtà criminale certamente più preoccupante resta la ‘ndrangheta e su questa vanno ancora conseguiti dei risultati che invece sono stati raggiunti sugli altri due fronti. Poi ci sono delle enclave territoriali sulle quali stiamo provando a concentrare l’attenzione perché sembrano dei territori abbandonati di cui nessuno si interessa, non si interessano i media, neanche quelli locali. e che invece mostrano delle efferatezze criminali difficilmente raggiungibili. Penso, da pugliese, anche a tutto ciò che interessa la provincia di Foggia e alle diverse realtà criminali di tipo mafioso individuabili in un territorio così esteso quale è quello della provincia di Foggia. Però torno al punto che ritengo importante. In questi trent’anni sono stati fatti tanti passi in avanti. Tu prima parlavi di Rosario Livatino. Se confrontiamo gli strumenti che Livatino ha avuto a disposizione da pubblico ministero prima e da giudice poi, con quelli che oggi ha un pubblico ministero che fa parte di una direzione distrettuale antimafia, che ha un giudice che corrisponde alle sue richieste e che valuta le sue indagini, il quadro è incomparabile. All’epoca di Livatino, ma non stiamo parlando di due secoli fa, stiamo parlando di poco più di trent’anni fa, non c’era una legislazione sui collaboratori di giustizia, quindi non era possibile attingere notizie dall’interno di quelle realtà criminali, la possibilità di colpire i beni dei mafiosi era molto più limitata coi sequestri e con le confische. Non esistevano le direzioni distrettuali e la Direzione Nazionale Antimafia, quindi il contrasto era parcellizzato tra le 150 procure e tribunali italiani. E non esisteva il doppio binario e quindi la restrizione dei benefici per chi commette crimini di mafia, da cui consegue anche un più elevato livello di sicurezza sociale. Credo che oggi la frontiera sia nel non disprezzare i risultati raggiunti, ma nel fare ulteriori passi avanti colpendo in modo ancora più incisivo i patrimoni illecitamente percepiti. Il 29 settembre Palermo ospiterà una importante conferenza internazionale con i rappresentanti di circa 150 nazioni, quindi quasi tutto il mondo, in occasione del ventesimo anniversario dell’entrata in vigore dell’applicazione della convenzione contro il crimine transnazionale che fu sottoscritta proprio a Palermo e che l’Italia riprenda ad essere il centro di attenzione nel contrasto alle mafie, non è qualcosa di marginale. Proviamo a seguire tutto con attenzione; credo che non costituisca un caso che il primo provvedimento adottato dal governo in carica sia stato un decreto legge che ha evitato gli effetti che erano stati annunciati di una imminente, all’epoca, decisione che la Corte Costituzionale avrebbe preso in tema di 41 bis. E l’ultimo in ordine di tempo è quello che ha preceduto l’ultimo Consiglio dei Ministri, a ferragosto, che ha provato a rimediare ad una interpretazione che si stava facendo strada a livello giurisprudenziale e che restringeva la possibilità di utilizzare alcuni strumenti di indagine per reati di criminalità organizzata. Quindi il lavoro prosegue sulla scia di ciò che è stato fatto in modo così importante trent’anni fa, ma mai dormendo sugli allori, perché nel contrasto alle mafie è come nuotare contro corrente. se cessi un momento vieni trascinato dalla corrente. Quindi è un duro lavoro di cui va reso merito alle forze di polizia e alle autorità giudiziarie, rispetto al quale il governo non può che corrispondere con l’adeguatezza normativa e anche con l’azione di governo.
Forlani. Come già hai potuto spiegare i temi dei quali si occupa il tuo ufficio sono tanti, non sono pochi e certamente riguardano tutti i dossier che arrivano alla presidenza del Consiglio. C’è poi un elenco abbastanza ampio di deleghe che competono al sottosegretario della presidenza del Consiglio. Tra queste ce ne sono alcune delle quali si parla meno, ma sicuramente sono oggetto del tuo lavoro. Mi riferisco in particolare all’intelligence e alla cyber sicurezza, che è un tema estremamente attuale e non approfondito a sufficienza. Unisco questa domanda, rimanendo all’interno del comparto delle tue deleghe, anche ad altri due aspetti altrettanto delicati. Il primo è quello della tossicodipendenza. Dando un’occhiata alla relazione al Parlamento che il Dipartimento antidroga ha trasmesso poche settimane fa, ci sono dati estremamente allarmanti. Per il 2022 vi è ancora una volta un aumento della percentuale dei giovani che dai 15 ai 19 anni consuma droghe, almeno una sostanza nell’ultimo anno, e che passa in un anno dal 18,7% al 27,9%. Questo incremento si ritrova di fatto anche nella fascia di popolazione giovanile, che dichiara di avere consumato sostanze illecite negli ultimi trenta giorni con un uso più frequente, che passa dal 10,9 a 18,3. Peraltro c’è anche un risvolto economico all’interno di tutta questa dinamica, perché appunto la stima parla di oltre 15 miliardi di euro spesi per questi illeciti. Quindi ho citato tre aspetti almeno che fanno parte delle delicatissime deleghe che sono del tuo ufficio. Ti chiederei anche, alla luce di quello che raccontavi prima, cosa significa e cosa c’è in cantiere come metodo di lavoro e come approccio.
Mantovano. Partiamo dalle cose facili, servizi d’intelligence e cyber security. Servizi: l’ultima legge che ha disciplinato il settore risale al 2007. In 16 anni è cambiato il mondo, più volte, e due elementi certamente di grossa novità sono l’incremento di attività dettato dalla realtà dell’intelligence finanziaria e la cyber. Sono due aspetti peraltro strettamente correlati, pensiamo all’enorme dilatazione dei servizi di credito a pagamento, alle valute virtuali, alle consulenze attraverso software, il che ha portato, oltre a incrementare l’azione dell’intelligence finanziaria, due anni fa, da parte del governo Draghi, all’istituzione di Acn, che è l’Agenzia Nazionale per la Cyber security. Io vado molto per cenni, per stare nei tempi. Tutto può essere migliorato. Questo tipo di attività ha contemporaneamente un fronte difensivo, di cui è espressione per esempio l’esercizio della Golden Power, se ne è parlato molto ultimamente anche a proposito degli assetti di alcune importanti aziende italiane, penso per tutte alla Pirelli, e uno offensivo che è quello che utilizza i vari strumenti dell’intelligence. Però vi è un’esigenza che viene fuori dal comparto. ed è quella di essere più efficiente, di evitare sovrapposizioni, di rendere il comparto più funzionale rispetto alle esigenze della sicurezza nazionale, che sono esigenze sempre più sofisticate, sempre più varie, che esigono professionalità mirate. Se io parlassi di unificazione dei servizi, il riflesso condizionato, soprattutto da parte di alcuni media, sarebbe “Ecco è arrivato il governo di destra, il governo di destra è tendenzialmente autoritario, e quindi la prima cosa che fa è tutto il potere nei servizi”. Ora, questa mi pare una descrizione leggermente caricaturale. Questo perché, io lo ricordo, per averlo anche sperimentato di persona quando ero al ministero dell’Interno, prima della riforma del 2007, lì veramente c’era una ripartizione netta, nel senso che il servizio interno, che all’epoca si chiamava Sisde, dipendeva dal Viminale, e il servizio esterno, che all’epoca si chiamava Sismi, dipendeva dal ministero della Difesa. Alla presidenza del Consiglio c’era una piccola realtà, che si chiamava Cesis, che cercava di capire l’uno cosa facesse dell’altro senza straordinario successo. La vera novità della riforma del 2007 è stata l’unificazione della guida politica, perché oggi sia il servizio interno che il servizio esterno dipendono entrambi dalla presidenza del Consiglio. Allora il problema non è unificazione sì o unificazione no, perché la delega è unificata. E la esercita chi vi sta parlando in questo momento, non è parcellizzata, poi è chiaro che viene fatta d’intesa con tanti altri soggetti. Il problema è come far sì che l’attività dei servizi eviti di fare riferimento a criteri interno-esterno che forse potevano valere all’epoca del Regno di Sardegna, oggi sono un tantino superati. Un’attività di hackeraggio che viene iniziata a San Pietroburgo, cito per la seconda volta questa splendida città, e che ottiene il risultato di bloccare la Asl di Rimini e di fermare le Tac, le sale operatorie e così via, viene concretamente realizzata all’estero e ha risultati dannosi all’interno. Quale agenzia se ne occupa? Allora forse è il caso di trovare un criterio che renda tutto più ragionevole, senza rischi autoritari o peggio totalitari, il miglior antidoto al potere dei servizi di informazione e sicurezza è un controllo penetrante da parte del Parlamento. Questo controllo c’è già, può essere reso ancora più incisivo, ma è nell’interlocuzione protetta e riservata tra Parlamento e governo, la strada per far sì che non ci sia nessuna deriva, neanche lontanamente antidemocratica. E questa è la parte facile. La parte delle dipendenze: anche qui si è fatto un discorso di metodo, nel senso che io ho trovato un mondo pieno di tanta generosità, di tanta dedizione ma molto frammentato. E allora con il dipartimento Antidroga della presidenza del Consiglio abbiamo provato a mettere insieme le comunità, i SerD (verificato su google), i servizi sanitari, le regioni, con un lavoro comune che anche in questo caso ha delle scadenze periodiche. Abbiamo incontrato singolarmente tutti i ministri che hanno voce in capitolo in materia di dipendenze, sottoponendo loro dei problemi e chiedendo delle soluzioni. Si sono aperti dei tavoli tecnici. Puntiamo per esempio a ripristinare il fondo nazionale Antidroga che qualche anno fa da precedenti governi era stato eliminato e accorpato ad un fondo un po’ più generale. Puntiamo ad affermare e stiamo lavorando in questo senso col ministro della Salute, perché anche chi versa in una dipendenza abbia diritto di scelta, come chiunque ha una patologia in Italia, e non sia costretto nei confini della propria regione. Ma, se posso anche qui permettermi quella che non considero una digressione, la sfida vera è la sfida educativa. Quei dati che sono dati terribili su cui non riflettiamo abbastanza, cioè che in un anno la metà degli adolescenti faccia almeno una volta uso di sostanze stupefacenti è qualcosa che non dovrebbe farci dormire la notte. Allora, di fronte a questo, Il salto di qualità è la sfida educativa, che significa seria prevenzione, significa moltiplicazione di messaggi. Avrete visto già uno spot con Roberto Mancini, che è stato molto generoso nel prestarsi a questo, ma ovviamente è solo l’inizio, puntiamo a una presenza più capillare e diffusa nelle scuole, anche grazie alle testimonianze che possono venire dall’interno delle comunità; però non possiamo attestarci sulla riduzione del danno, perché riduzione del danno significa accettazione della sconfitta. Che cosa vuol dire sfida educativa? Faccio un esempio concreto, guardate, la gran parte della mia vita al netto degli incarichi di governo, io l’ho trascorsa facendo il giudice penale, quindi vado per fatti concreti. Tutti noi conosciamo la vicenda tragica di Pamela Mastropietro, nonostante siano trascorsi più di cinque anni dalla sua morte. È una ragazza romana di 18 anni. Il 30 gennaio 2018 viene uccisa a Macerata dopo aver patito una prolungata violenza sessuale da parte di un cittadino nigeriano che poi la riduce a pezzi. Mi permetto di parlarne avendo incontrato più di una volta la madre anche di recente. Ora, in questa vicenda veramente sconvolgente, c’è un passaggio che a me colpisce ancora più di qualsiasi altro, più del trattamento disumano che le è stato riservato dal suo assassino. Pamela era ospite di una comunità che conosco, che ho visitato nuovamente di recente e che apprezzo. Da questa comunità lei si allontana senza essere vista, poco prima di essere uccisa, e sulla strada viene raccolta da un passante nella sua automobile. Lei non ha un centesimo, ha bisogno di denaro per comprare la droga, e lui, italiano, adulto, con un lavoro, trovando per via questa diciottenne che potrebbe essere sua figlia, la tratta come una merce. Le passa 50 euro, quelle che probabilmente dovevano servire per comprare l’ultima dose, e lui compra un rapporto sessuale con lei. Io non so se sarebbe andata a finire allo stesso modo se quell’uomo, cogliendo l’evidenza, avesse accompagnato nuovamente Pamela in comunità, o se avesse avuto verso di lei un briciolo di pietà. Ripeto, una persona di quelle che si dicono per bene, non uno spacciatore, avrebbe potuto recitare una parte diversa, avrebbe potuto usare in modo differente la propria libertà. Anche sulla droga il nostro approccio non vuole essere né ideologico né divisivo. Quello che ci interessa realmente non sono i milligrammi in più o in meno nella tabella che accompagna la legge sulla droga. La linea di confine è su qualcosa di più importante e sul significato da conferire a termini come libertà e responsabilità. Prevenzione, educazione e vicinanza: sono questi i binari sui quali vogliamo muoverci e ci stiamo già muovendo in questa direzione.
Forlani. ti ringrazio perché poter affrontare in maniera così trasparente, così profonda, anche temi così delicati penso aiuti ad entrare ancora di più nel merito e a giudicare tanti aspetti come libertà, responsabilità, educazione, cioè temi dei quali in questi giorni non stiamo appena parlando, ma dei quali in qualche modo stiamo facendo esperienza diretta. Il tempo purtroppo, a dispetto del titolo del Meeting, non è inesauribile, quindi ti faccio un’ultima domanda. Domanda facile, nel senso che alla luce anche di quanto ci hai documentato, ci hai raccontato e ci hai testimoniato, quali sono quindi oggi le sfide più impegnative e più qualificanti, più appassionanti e magari più difficili che sono all’orizzonte?
Mantovano. Allora, io non voglio rubare il mestiere alla ministra Roccella che parlerà tra poco, immagino, del tema su cui sto per dare un cenno soltanto per stare nei tempi. Però mi pongo nella scia di ciò che ieri ha detto proprio al Meeting il ministro Giorgetti. Ma ne parlo perché è una sfida che riguarda non soltanto il ministero di Eugenia, non soltanto la ricerca delle risorse finanziarie, ma riguarda l’intero governo, lo chiama in causa nella sua interezza. La sfida più importante è quella della natalità, è più importante dell’approvvigionamento energetico, è più importante delle riforme istituzionali, è più importante della regolamentazione delle migrazioni. Perché un corpo sociale che rinuncia a mettere al mondo bambini è un corpo sociale che mostra di non avere speranza nel futuro. Ed è una sfida da affrontare in modo serio, individuando un percorso per tappe che metta insieme da un lato energie culturali pre-politiche e politiche e dall’altro metta da parte slogan facili. Perché, guardate, se l’inverno demografico è l’esito di oltre 50 anni di politica contro la famiglia, non possiamo immaginare in nove mesi di ribaltare totalmente il quadro. In genere, in nove mesi se va bene si fa qualche altra cosa, ma non questo. Ci sono stati segnali concreti nella legge di bilancio, sicuramente ne parlerà Eugenia, ci sono dei segnali concreti nella delega fiscale, se ne è parlato al webinar che il viceministro Maurizio Leo ha avuto con l’organizzazione del network sui tetti (?), ma anche qui, un po’ come per il discorso della droga e come per gli altri, non immaginiamo che tutto si risolva con incentivi. Il nostro vuole essere un approccio sussidiario, non siamo il governo della Repubblica Popolare Cinese che decide, un giorno un figlio solo per coppia e tutti gli altri fuori, e il giorno dopo, cioè 10 anni dopo rettifica. Per noi la sussidiarietà è un valore che va declinato, non a caso molti nella maggioranza che sostengono questo governo appartengono all’intergruppo sulla sussidiarietà che fa riferimento a questo ambiente. E quindi approccio sussidiario significa non sostituzione dello Stato alla famiglia, ma porre la famiglia nelle condizioni di svolgere i propri compiti al meglio. L’inverno demografico, nella consapevolezza del governo, è l’elemento di maggiore crisi dell’Italia di oggi. Ho usato la parola crisi, dando al termine il significato che adesso le conferisce papa Francesco, il quale, come sapete, distingue crisi da conflitto. Conflitto è un termine negativo. Crisi è qualcosa che può avere sviluppi positivi se diventa occasione per recuperare slancio. È stato così per l’Italia nell’immediato dopoguerra quando alla crescita economica, alla ricostruzione di una nazione demolita, devastata, ha corrisposto la crescita demografica. Il boom demografico è nella fase conclusiva della progressiva crescita economica nel 1964. Io trovo molto utile leggere ogni anno il rapporto del Censis perché riesce, certe volte in una sola parola, a dare il senso di ciò che prevale nel corpo sociale italiano. E l’ultimo rapporto del Censis utilizza, per qualificare lo stato in cui si trova il corpo sociale italiano, la categoria della malinconia. E uno dice “ma la malinconia è un dato molto soggettivo, quasi romantico, poetico, che c’entra, che declinazione sociale può avere?” E invece, ancora una volta ha ragione, perché la malinconia è quella sorta di ripiegamento su se stesso, che porta a non guardare al futuro, che porta ad una sorta di carpe diem nel senso peggiore del termine e quindi al rifiuto di avere figli. Allora, facendo queste considerazioni, io non ho nessuna aspirazione al rilancio dello stato etico, ci mancherebbe altro. Ma ho l’aspirazione a che il governo del quale mi onoro di far parte incoraggi per quanto è di propria competenza, e non è tantissimo, una nuova ripresa che riscopra la bellezza di mettere al mondo dei figli, che riscopra come fatto non scandaloso rivendicare il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre, che rivendichi come non scandaloso considerare la maternità come qualcosa che non si mette né in vendita né in affitto, che rivendichi il fatto che il figlio non è una autovettura, che ti scegli sul catalogo individuando il colore, non dei sedili ma degli occhi, e quanto deve essere prevedibilmente alto e così via. Noi siamo consapevoli che si potrà parlare di ripresa vera quando il trend discendente, la curva demografica, riprenderà a salire, quando riprenderanno ad essere messi al mondo bambini, quando ogni mamma incinta verrà considerata una benemerita della società. Lì è il vero inizio di una società vitale e forte. Lì sarà il non rassegnarsi. Utilizzo un’espressione di un pontefice grande, purtroppo dimenticato, Pio XII, che diceva che non bisogna rassegnarsi alla definitività della storia. La storia non ha mai nulla di definitivo, ed è l’ultima cosa che mi permetto di dire ringraziandovi per l’attenzione e per l’ospitalità. C’è in questo 2023 un centenario che mi auguro non passi inosservato. Non so se ne parlerete qui al Meeting. Ed è il centenario della redazione, da parte di Thomas Stearns Eliot, di quello splendido poema che è “La terra desolata”. Nella terra desolata, Eliot tra l’altro scrive: «… se seghi il ramo, non sperare di godere ancora dei suoi frutti…». La terra è desolata, non dà frutti, è arida, tanti bambini in meno, tanti anziani in più, sono il segnale più concreto di una aridità che è oggettiva nel nostro tessuto sociale. E tutto ciò accade proprio perché si è segato il ramo, sono state estirpate le radici. Per noi queste radici non sono una rivendicazione confessionale, sono un dato storico e laico che io ritrovo nel lavoro che da decenni fa il Meeting, nella vitalità del Meeting e che sono parte di noi stessi. Grazie.
Forlani. Grazie Alfredo. Io penso che gli applausi che sentiamo documentino il fatto che il dialogo con te è stato un dialogo nel quale non appena abbiamo conosciuto qualcosa di più di cosa fa il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ma penso che abbiamo incontrato Alfredo Mantovano. Molti dei temi e anche con il taglio, diciamo, con la provocazione che hai voluto dare, saranno oggetto dei dialoghi, degli approfondimenti di questi giorni e magari ci ripromettiamo di farti avere anche quello che viene fuori. Chiudo ovviamente ringraziando tutti coloro che ci hanno seguito qui in presenza e da casa. Grazie ancora, buona continuazione a tutti.