COSA SARÀ: L’AVVENTURA DEL MISTERO NELLA CANZONE ITALIANA

Performance e presentazione del libro di Walter Gatti. Partecipa l’Autore.

 

WALTER GATTI:
Buongiorno a tutti, ciao, allora, come sapete c’è stato un po’ di ritardo perché c’era un incontro prima con la CDO, c’era Stefano Giorgi che parlava di opere sociali, insomma in pratica siamo arrivati tutti tardi, abbiamo fatto pochissime prove di suono quindi tutto quello che succede è in diretta e voi lo apprezzerete ugualmente. Allora sono Walter Gatti, grazie che siete qui ancora più numerosi dello spettacolo che abbiamo fatto l’anno scorso, è uno spettacolo che forse, come qualcuno di voi sa, parte, nasce, si sviluppa con questi tre libercoli, che dovete sicuramente andare a comprare, quello rosa e quello azzurro erano già usciti, questo giallo è quello nuovo. Sono libri che sto pubblicando insieme a una serie di amici, che poi dopo vi presenterò, per Itaca Edizioni, dovrebbe esserci da qualche parte, ecco lì c’è già qualcuno che, qualche coraggioso, c’è Carlo Pastori, che ne ha già comprato una copia, da qualche parte potrebbe esserci il nostro editore, Eugenio dal Pane che io non vedo, anche perché è alto uno e sessantacinque, quindi magari c’è ma non lo vedo lo stesso. In ogni caso, lo spettacolo di oggi è una sorta di carrellata a metà strada tra il volume dell’anno scorso e, come dice il titolo di questa nostra performance, Cosa sarà: l’avventura del mistero nella canzone italiana. Ma anche questa carrellata si incrocia con alcune delle pagine del libro nuovo che si intitola Amazing Grace, ed è un libro dedicato al blues, al gospel, alla musica soul e alla musica folk. Però, visto che bisogna cominciare e visto che è una giornata veramente ricca e straricca di ospiti, partiamo da una canzone che sicuramente è una canzone italiana, quindi si interseca bene, si collega bene al nostro titolo, una canzone italiana che secondo me il 90% di voi non ha mai sentito. È una canzone che si collega alla perfezione con il titolo di questo nostro Meeting. È il Meeting del ‘cuore’, è il meeting della luna, come sapete domenica sera c’era Caligola e la luna, domani sera c’è Giancarlo Giannini che legge le poesie di Leopardi partendo dal Canto notturno di un pastore errante, che è una delle poesie più amate del nostro caro don Luigi Giussani. Allora, io adesso vi presento un video di una band italiana semisconosciuta. È un video, una canzone che si intitola Nonostante i lampioni. Canzone particolarissima, a metà tra il jazz e la musica campionata. Lui, si chiama Deian. È un musicista che viene da Moncalieri, quindi è un piemontese. Canzone secondo me meravigliosa, molto ostica, molto aspra in certi momenti, ma che dice una cosa: nonostante i lampioni – è il titolo della canzone – io non riesco a capire come mai la luna sia così bella, nonostante i lampioni. È una canzone di uno che in mezzo a Torino alza lo sguardo, vede i lampioni, vede i grattacieli, i casermoni e dice: eppure la luna è così bella. Il primo video, la prima canzone è quella che, secondo me, ci lancia dentro il titolo del Meeting. Deian, Nonostante i lampioni.

Video

WALTER GATTI:
È questo era Deian, Nonostante i lampioni. Chi l’aveva già sentito? In alto le mani: 35. Ve l’ho proposta perché sicuramente è una canzone particolare. Deian io l’ho incontrato qualche volta, poi l’ho fatto venire a Padova, dove vivo io, a fare uno spettacolo. Personaggio particolarissimo. Questo lo avete visto. Questo è un video di circa un anno fa. Adesso ha una barba da monaco ortodosso, sembra uscito dal seminario di Filaret. Una barba da 45 centimetri, però è un proletario che abita a Torino e dice: “la cosa che mi colpisce di più è la bellezza della luna” – io sono andato a cercarlo subito. A un certo punto gli ho detto: “quest’estate faccio una cosa al Meeting di Rimini”. “Al Meeting?” “Al Meeting di Rimini” “Al Meeting de che?” “Lasciamo perdere, dai, ti inviterò un’altra volta”. Persona simpaticissima, totalmente fuori dal mondo. Però, la luna, la bellezza, Caligola, Leopardi. La luna è anche dei Pink Floyd: chi si ricorda di Dark side of the moon? Possiamo avere milioni di punti di contatto. La bellezza è una cosa che riguarda la musica. Per me bellezza e musica sono una sfida da 35 anni. Ed è stato bello, negli ultimo tempi, fare questi libri e accogliere questa sfida con degli amici. Oggi qui ci sono molti amici. Pian piano ve li presenterò. Il primo però che vi voglio presentare, è il mio giovane amico Stefano Rizza – avanti Stefano – che è quasi bello. Mi risulta che sia ancora scapolo, quindi… Allora, Stefano Rizza ha scritto con me, con me e con alcuni altri, i libri di cui oggi parliamo. Lascio la parola a Stefano perché lui ha scritto alcune narrazioni di canzoni ma soprattutto canta benissimo e suona altrettanto bene. E siccome oggi lui ci interpreta un paio di pezzi epocali della canzone italiana, gli lascio la parola così io mi riposo.

STEFANO RIZZA:
Grazie. Grazie mille. Non sono un narratore, oratore come il buon Walter Gatti, quindi sarò breve. Intanto mi tocca, anche quest’anno, ringraziarlo perché ha proprio ragione: che quello che è successo è una sorpresa per tutti. Per quanto mi riguarda volevo solo approfondire quella che mi sono trovato addosso, una passione per la musica molto forte, proprio nel momento in cui si inizia a lavorare e tutti ti dicono di mettere lo strumento al chiodo, di iniziare a fare il serio. Mi sono ritrovato, invece, a voler approfondire la cosa, a sparare nel web una newsletter da cui è nata una serie di rapporti e di conoscenze veramente incredibili. Una di queste è proprio quello che è successo. Cioè ci siamo sfidati l’un l’altro non tanto, anzi non assolutamente a fare un dizionario, un’enciclopedia delle canzoni, ma ha metter quelle che a noi dicevano qualcosa, senza dircelo quasi, impostando un metodo che è quello che vi proponiamo: l’incontro diretto con la canzone e con l’autore. Mi diceva prima un amico che poi conoscerete, Massimo – che poi conoscerete qui sul palco – che aveva conosciuto una persona con una maglietta di Johnny Cash. Perdonami, ti rubo l’aneddoto seduta stante. E si è accorto che questa persona, contraddicendosi, non conosceva tutto il percorso, interessantissimo, che aveva fatto specie negli ultimi anni di vita, di avvicinamento alla religione cristiana, a Dio, una volta che era rimasto vedovo. E quindi questo è indicativo di come ci sia un certo modo di mitizzare, di assorbire la musica senza in realtà guardare in faccia, in realtà andare oltre e scoprire che il tuo mito è un uomo esattamente come te. E se fa vibrare qualcosa di te, evidentemente avete qualcosa in comune. È questo il punto di partenza che noi abbiamo utilizzato per il libro. Cioè, questa vibrazione, abbiamo cercato di domandarci da dove viene e di fare appunto un percorso che alla fine è po’ una conoscenza di se stessi, del proprio cuore. In questo ci siamo trovati veramente compagni di strada. La prima canzone che vi presento è di un autore che io stimo veramente tanto, specialmente tanto, che in un certo periodo ha regalato e ha riportato forse un po’ a galla un certo filone popolare che si stava un po’ perdendo. Lui è un grande narratore e si chiama Lucio Dalla, non è un mistero, è una grande scoperta. Però anche questa canzone che mi era sempre piaciuta, trovandomi a volerla commentare, a voler raccontare perché è bella, ho proprio notato che si tratta di una grande storia. Oggi si canta tanto di concetti, si fanno tante lezioni con la musica, lezioni di vita. A me piace soprattutto quando qualcuno sa raccontare una storia. Una cosa che tu puoi metterti lì, non sai dove va a finire e ascolti fino alla fine della canzone. E questa è una grande storia. Ve la faccio sentire.

Canzone: La casa in riva al mare

STEFANO RIZZA:
In mancanza di indicazioni vado alla prossima. Vado avanti se siete d’accordo. La prossima canzone l’ha commentata invece… Insomma questa, per concludere, è una grande storia. Ti porta, se si guardano i particolari delle parole, per esempio “ha i capelli bianchi e non lo sa”. Se uno si immedesima capisce che il carcerato non ha neanche uno specchio per guardarsi. Cioè insomma, si può immaginare tutto un mondo dentro questa canzone. Quindi da una parte le sbarre che vorrebbero annullare la tua umanità, rieducando tra virgolette, e dall’altro la scoperta di uno sguardo al di là delle sbarre che negli anni l’ha accompagnato e gli ha invece fatto rinascere il suo desiderio, la sua purezza. E quindi alla fine non la perde, perché alla fine quel “vengo da te Maria” è bellissimo. La prossima canzone è commentata da Riro Maniscalco, che purtroppo non è potuto venire, ed è una canzone famosissima. È difficile a volte commentare una canzone famosissima perché già tutti, magari, si sono fatti la loro idea. Lui dice una cosa molto semplice di questa canzone, che a tutti sarà sembrata immediatamente una cosa anche ‘ring true’, lui mette sempre gli inglesismi, che suona vera immediatamente, al primo ascolto. Infatti sfido chiunque a ricordarsi, la prima volta che l’ha sentita, se non si è entusiasmato. Io ve la faccio sentire. La canzone si chiama La compagnia. È famosa grazie a Lucio Battisti, sicuramente. Io sono andato a sentire, invece, l’interpretazione che ne aveva dato Marisa Sannia, cantante sarda, mancata qualche anno fa, che la fece a San Remo. E l’avevano scritta proprio per lei e aveva usato un ritmo un po’ diverso. Quindi ve la propongo così, così un po’ meno sentita. Però fate attenzione anche alle parole e se volete accompagnarmi dopo, se volete cantare, non trattenetevi.

Canzone

STEFANO RIZZA:
Grazie.

WALTER GATTI:
Stefano Rizza, Stefano Rizza. Allora. Facciamo qualche piccola presentazione, qualche piccolo ringraziamento. I nostri libri li abbiamo scritti, come diceva Stefano, insieme a Riro Maniscalco – che non c’è perché abita a New York e quest’anno non è riuscito a venire, non so perché la crisi, non so perché -, poi con noi ha lavorato un altro grandissimo scrittore di musica che è Paolo Vittes, che io non so se è ancora qui con noi, era qui prima a fare delle interviste, comunque Paolo Vittes in questo momento è uno dei giornalisti de il Sussidiario, che è un quotidiano online che molti di voi conoscono, e ha collaborato anche con noi, almeno per il volume Cosa sarà di Franz Coriasco, che è un altro grande conoscitore della canzone italiana. Ma qui oggi ci sono una serie di altri grandi personaggi che per lo meno per amicizia vorrei salutare. Il primo è Carlo Pastori. Soprattutto ringraziamo i musicisti che sono qua. Un carissimo amico, un uomo che amo in modo viscerale è Marco Poeta, che nessuno di voi forse ricorda, ma le musiche della Straniera (Meeting di due anni fa) sono di Marco Poeta. Probabilmente ci sono una montagna di altre persone che adesso non vedo ecc. ecc. E Walter Muto, non c’è? Ringraziamo Walter Muto, chiedo scusa, che ha scritto con noi, scusate (sono completamente rintronato). Walter Muto che è il doppio di me e che quindi non poteva stare sul palco, è già andato a casa. Entriamo nel vivo del terzo libro. In questo vi chiedo di fare un salto indietro nel tempo. Anni ’50, ’60, ’70. Il Sud-America diventa una fucina di grandi artisti, di grandi canzoni. Una grandissima autrice di quel periodo scrive una canzone meravigliosa che in Italia viene tradotta e resa importante da una band che si muoveva proprio in questa zona. Una band che ha avuto una vita stupenda. Io ricordo dei dischi magnifici. Qui con noi, di questa band, che erano gli Zafra, ci sono Marina Valmaggi, Guja Valmaggi e Angelo Casali, accompagnati da Francesco. Allora per chi non li conosce, gli Zafra hanno avuto un’attività discografica e concertistica immensa e hanno avuto anche un impatto di commozione su di me su gli altri. In questo libro c’è questa canzone che è Grazie alla vita. Marina, due parole su questa canzone, due, proprio due.

MARINA VALMAGGI:
L’ho tradotta in italiano, che dovrebbe essere una cosa quasi vietata per un artista, per un motivo molto semplice: questa canzone aveva una specie di interdetto. Violeta Parra, che aveva scritto Grazie alla vita, poi se l’è tolta dopo un mese e gli stessi Inti-Illimani si rifiutavano di cantarla per questa incoerenza. Invece per noi, se una cosa è vera, percepita anche solo un attimo, vale. Io l’ho tradotta in italiano, così l’abbiamo cantata.

WALTER GATTI:
La canzone è scritta da Violeta Parra per il suo amato che l’aveva lasciata, e in questo tragico dolore lei riesce a dire “grazie alla vita perché in mezzo alla folla io colgo lo sguardo di colui che mi ama”, che è un bel vivere insomma. Un pezzo molto importante degli Zafra: Grazie alla vita di Violeta Parra.

Canzone.

WALTER GATTI:
Grandissimi. Guya Valmaggi, Angelo Casali, Marina Valmaggi e Francesco alla chitarra. Giustamente Marina mi suggeriva il fatto che tutti i dischi degli Zafra sono allo stand qui dietro quindi … io ho una percentuale, quindi comprate comprate comprate! Violeta Parra, America latina, facciamo un salto, veniamo in Italia/Francia. Io sono un lodigiano, vivo a Padova, a Padova anni fa ho incontrato un grande musicista, un grande cantante, ha una voce che adoro e ha un atteggiamento sul palco che mi è sempre piaciuto. Lui è un cantante molto particolare, perché a un certo punto ha preferito non continuare a fare tanti dischi, tanti concerti. Fa pochissime cose, una delle cose più belle, forse la cosa che mi ha intrigato di più, l’ha fatta pochi anni fa, quando lui, venendo da un lungo periodo francese, di amore per i cantautori francesi, ha deciso di incidere in italiano alcune delle canzoni più belle di Serge Gainsbourg, che è uno dei cantautori un po’ maledetti, un po’ sornioni della chanson francese. Leandro Barsotti. Leandro, che ha, tra le altre cose, due grandi pregi: è un giornalista come me e poi è interista. Non so se adesso questo …

LEANDRO BARSOTTI:
Walter, ma tu hai la maglia della SPAL stasera…

WALTER GATTI:
Della SPAL ma anche dell’Atletico Madrid, lo faccio apposta, per scaramanzia! Allora, Leandro ha avuto una carriera inizialmente molto divertente, perché aveva fatto un disco nel quale c’è una canzone che si intitola Vecchio bastardo, che è un rock bello tosto e bello tirato, durante tutta la sua produzione ha toccato ed è andato molto in fondo a un certo tipo di jazz-pop molto accurato, molto colto. La canzone che io gli ho chiesto di presentarci oggi è una canzone da quel disco di cui parlavo prima, di canzoni tradotte da Serge Gainsbourg; la canzone che mi piace di più è Il bigliettaio del metrò, perché è una canzone che racconta il continuare a fare la stessa cosa di questo bigliettaio con un’ironia incredibile e quasi con una visione escatologica, perché alla fine arriva a dire: “voglio che mi mettano in questo buco dove non dovrò più fare buchi”.

LEANDRO BARSOTTI:
Sì, teniamo presente che è anche una canzone del ’58, per cui, insomma, ha qualche anno e forse in quel momento il problema del proletariato urbano, della catena di montaggio era un pochino più forte di oggi, no?

WALTER GATTI:
Però c’è questo divertentissimo impatto nel: chi sono io mentre faccio questa cosa?

LEANDRO BARSOTTI:
Sai Gainsbourg, per chi non lo conoscesse, è stato un artista molto significativo per i francesi, ha proprio iniziato con questa canzone la sua carriera e per almeno 30 anni ha distribuito provocazioni. Questa canzone già di per sé è una piccola provocazione jazz, la sua provocazione più famosa è ovviamente la canzone erotica Je t’aime, moi non plus ma poi fece la marsigliese reggae, per cui tutto il suo percorso è tentare di toccare l’animo dei francesi, la loro società, il costume, scrive molto di costume. Ecco già in questa canzone, del suo primo periodo che è il periodo di cui mi sono occupato, con questo album di rivisitazione, che è il periodo jazz che va dalla fine ’50 a metà ’60 e che è un periodo particolare in cui tra l’altro comincia, tu lo sai meglio di me, comincia il rock&roll, comincia una fase musicale diversa, già con questa canzone lui si tiene stretto al jazz tradizionale, però attraverso il jazz tradizionale affronta delle tematiche estremamente contemporanee. Questa è un po’ la sua provocazione musicale.

WALTER GATTI:
Leandro Barsotti

LEANDRO BARSOTTI:
Ho il testo perché non me la ricordo!

Canzone.

LEANDRO BARSOTTI:
Scusate, non ho la base! Possiamo ricominciare.

WALTER GATTI:
Le basi le basi le basi! L’abbiamo detto che non eravamo riusciti a provare prima, quindi … ci siamo? Dateci un ok! Di nuovo Leandro Barsotti.
Possiamo passare al secondo pezzo? E’ un peccato però! Ci dicono che in fondo sentite me e non lui.

LEANDRO BARSOTTI:
Intrattienili un secondo sulla Francia …

WALTER GATTI:
Intrattengo! Lui prova a fare un’altra cosa. Nel frattempo Leandro, faccio un passo avanti in quella che sarebbe la nostra mitica scaletta e chiederei a Sandro il supporto per passare al video che abbiamo previsto fra qualche tempo. Allora, il video che vediamo adesso è la canzone di un personaggio stranissimo, che è già stato in un piccolo dibattito al Meeting alcuni anni fa. Un personaggio, un musicista, che si chiama Giovanni Lindo Ferretti. Probabilmente qualcuno di voi sa che Giovanni Lindo Ferretti è l’ex cantante di una delle più importanti punk band italiane, che si chiamava CCCP. Il nome era preso a presto da Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. Quando l’URSS termina la propria esistenza storico-terrena e diventa comunità di stati indipendenti, Giovanni Lindo Ferretti cambia il nome alla sua band e la chiama CSI, esattamente allo stesso modo, Consorzio di Suonatori Indipendenti. A un certo punto, mentre tutta questa esperienza stava andando a terminare, Giovanni Lindo Ferretti decide di ritornare nel suo pese sul cucuzzolo dell’Appennino di Reggio Emilia e di ritrovare le sue radici. All’interno delle sue radici di agricoltore, di contadino, di allevatore di cavalli ci sono anche delle fortissime radici religiose che gli sono state comunicate dalla madre, dalla nonna, dai parenti. Lo scorso anno, Giovanni Lindo Ferretti con i suoi ultimi due compagni di avventure musicali – loro avevano una band, ce l’hanno ancora, che si chiama PGR, Per Grazia Ricevuta – hanno inciso un disco che si intitola Ultime notizie di cronaca, all’interno del quale c’è una canzone di fronte a cui uno rimane veramente a bocca aperta. E’ una canzone che al suo interno – adesso la vedrete e la sentirete – ha alcune frasi cantate, quasi urlate da Giovanni Lindo Ferretti, che ci possono far pensare alla grande poesia, ci possono far pensare a Dante, ci possono far pensare a Clemente Rebora, a Eliot, frasi di questo tipo: “È la vita che vive ciò che la precede, la segue e la sopravanza, non una sentenza ma mistero, l’amore, il bello, il vero. Chi sono io se tu ti curi di me?”. Questa canzone si intitola Cronaca divina, è l’ultimo pezzo di questo disco che, ripeto, è un disco molto sperimentale, non è una ballata leggera alla Cocciante. Giovanni Lindo Ferretti canta su basi che sono state costruite da Giorgio Canali e da Gianni Maroccolo, che sono gli altri suoi due compagni di viaggio. Su questa canzone di cui non esiste video, Giovanni non l’ha mai sostanzialmente interpretata dal vivo, perché non esiste un tour che ha seguito questo CD; su questa canzone abbiamo provato a creare un video per farvela seguire meglio. Non è facile, ma è una canzone che credo possa lasciare a bocca aperta chiunque. Giovanni Lindo Ferretti.

Video

WALTER GATTI:
Un ringraziamento speciale a Sandro Corradi che ha seguito il mixer che ha costruito questo video. Leandro? Dov’è finito Leandro Barsotti? Abbiamo trovato un escamotage. Non funziona niente eppure riesce ad andare avanti tutto. Quindi, Leandro Barsotti, Il bigliettaio del metrò.

Canzone

WALTER GATTI:
Grande Leandro! Cioè, è una canzone del bigliettaio che, tra un buco e l’altro, non riesce a trovare il bandolo della matassa. Esattamente come nel 1989 più o meno cantava una delle più grandi cantanti italiane in una canzone di Bruno Lauzi, una canzone che diceva così: “Sai la gente è matta, forse è troppo insoddisfatta, segue il mondo ciecamente e quando la moda cambia, lei pure cambia, continuamente e scioccamente”. Fino ad arrivare ad uno dei ritornelli più belli della nostra canzone: “Tu che sei diverso, almeno tu nell’universo un punto sei che non ruota mai intorno a me, un sole che splende per me soltanto, come un diamante in mezzo al cuore”. Soltanto una matta poteva accettare di cantare questa canzone che ha cantato Mia Martini. La matta è Raffaella Zago. Raffaella che fa la mamma con grande fortuna dei suoi figli che la sentiranno cantare tutto il giorno Mina e Mia Martini … E’ una delle tue canzoni preferite … non lo so, è una delle tue canzoni preferite? Sì? Basta, un applauso, così si scioglie. Almeno tu nell’universo, Bruno Lauzi, Mia Martini, Raffaella …. se va la base!

Canzone

WALTER GATTI:
Grande Raffaella! Non è finita, perché poi la rivedremo alla fine. Io continuo a parlare del fatto che c’è la musica, c’è la bellezza, ci sono gli amici. Ho la sensazione che questi poi, questi angoli siano un po’ quelli attorno a cui sono cresciuto io, imparando, ascoltando, incontrando, commuovendomi di fronte a persone che mi facevano vedere e sentire cose belle. Una di queste persone è Alfredo Minucci, con Maurizio Cercone. Allora, spot pubblicitario, Alfredo Minucci è appena uscito con questo suo nuovo CD, che si intitola Senza tempo e che credo troviate anche nel negozio. Fra l’altro ecco finalmente Eugenio Dal Pane, l’editore dei nostri perniciosi libri. Se ti alzi ti vedono. Siccome io ho i capelli lunghi, lui ha deciso di farseli cadere. Allora: vi ricordo soltanto che Alfredo, venerdì mattina qui, nello stesso luogo, farà una presentazione lunga, vera, autentica del suo CD, completa. Oggi gli ho chiesto di farmi e di farvi un regalo, perché quando quest’inverno ci siamo incontrati e lui mi ha fatto sentire alcune canzoni, ce n’è una che – eravamo nella stanzina di un albergo e lui me l’ha fatta sentire e io ho detto: ’azz, come dicono a Napoli, e che è questa cosa? E’ una canzone semplicissima, che si chiama Marì e che quindi è una preghiera, ma a differenza di tante canzoni preghiere o preghiere canzoni che sono anche un po’ … un po’… Questa sei tu. E allora ti ho chiesto di venire a cantarcela, perché tu parli di te cantando una canzone alla Madonna. O mi sbaglio?

ALFREDO MINUCCI:
No, così. In effetti, io ringrazio Walter per avermi invitato, fate un applauso a lui perché veramente se lo merita. Gli raccontavo di questa canzone che era nata da pochi giorni, non è altro che una voglia di affidarsi a Qualcuno, no, e questo ovviamene non è merito mio ma io ringrazio i miei amici, le persone che vivono con me, nel senso che la mia famiglia, i miei amici mi aiutano a capire delle cose. E questo, grazie ai miei amici, ho capito che era il momento di affidarci a Qualcuno di più grande. E così è nata questa canzone. Una notte io ho sognato solo il titolo della canzone. La canzone non c’era, poi è nata dopo. Però questa voglia di affidarsi a Qualcuno di più grande c’era. Quindi vi faccio ascoltare Marì, con l’accento sulla i.

WALTER GATTI:
Alfredo Minucci con Maurizio Cercone.

Canzone

WALTER GATTI:
Grande! In questo super-disco ci sono 12 canzoni o 11, non mi ricordo.

ALFREDO MINUCCI:
Undici.

WALTER GATTI:
Ero indeciso su che cosa chiedere ad Alfredo come secondo pezzo, ma alla fine gli chiedo di fare…lui voleva farne altri, voleva fare, non so, l’inno del Napoli…qualcosa

ALFREDO MINUCCI:
Sarebbe bello, l’ho scritto, però non me l’hanno approvato ufficialmente.

WALTER GATTI:
Allora io gli ho chiesto di cantare una canzone i cui primi due versi, secondo me, sono spettacolari. La canzone si intitola Se il mondo fosse così, che in napoletano suona?

ALFREDO MINUCCI:
Si o munn’ fusse accussì… certo!

WALTER GATTI:
E il testo, i primi due versi dicono: “Se il mondo fosse così, come gli occhi che vedo io, che mi guardano e mi fanno vedere Dio”, è una canzone sugli amici!

ALFREDO MINUCCI:
Sì, io credo che, non è che voglio fare lo spot adesso, che il disco sia comunque un percorso di amicizia, un percorso di vita quotidiana, no? E allora avverti girando per Napoli, ci siamo stati anche insieme, se ti ricordi, e vedi insomma tutta questa umanità, queste contraddizioni, la voglia che ti viene di dire: “Ma io vorrei che quello che ho incontrato, vorrei che lo potessero incontrare tutti”. E un po’ questa canzone racconta questa voglia di ricevere quella carezza come l’ho ricevuta io, come se la potessero avere tutti, insomma.

WALTER GATTI:
Se il mondo fosse così.

Canzone

WALTER GATTI:
Grande!

ALFREDO MINUCCI:
Grazie.

WALTER GATTI:
Maurizio Cercone, Alfredo Minucci. Allora venerdì mattina alle 11:00…

ALFREDO MINUCCI:
…alle 11 qua, vi faccio ascoltare tutte le canzoni nuove…

WALTER GATTI:
…e anche quelle che devi ancora scrivere, un po’!

ALFREDO MINUCCI:
Mi raccomando, venite non mi fate stare solo “ca mi mett paura da sol” eh! Grazie.

WALTER GATTI:
Grande Alfredo! La musica, la bellezza, quello che ci tocca e quello che rimane toccandoci. Il rock non è in Italia un genere particolarmente, non dico amato, ma che è riuscito ad esprimere quello che ha espresso in America. In America noi abbiamo avuto gente come David Crosby, Neil Young. Abbiamo avuto gente che attraverso il rock ha raccontato la vita e ha raccontato il fatto che la vita va vissuta, è dura, bisogna scandagliarla. In Italia non ci sono tantissimi personaggi, musicisti che affrontano il rock con la stessa dignità. Noi uno qui ce lo abbiamo che è Massimo Privierio.
Massimo Privierio ha una storia lunghissima, sembra giovane ma in realtà ne ha mangiata di paella anche lui ehhh, veneto, trapiantato a Milano, ha avuto un momento di sovra-esposizione, Massimo, possiamo dirlo così? Quando …

MASSIMO PRIVIERIO:
Com’è che la chiami?

WALTER GATTI:
Sovra-esposizione. Quando con un bellissimo disco è riuscito a toccare la cima della classifica. Un disco che era stato prodotto dal chitarrista di Bruce Springsteen, Little Steven, ma di questo ne parliamo subito dopo. Massimo, oltre ad essere una persona stupenda, è una persona con una personalità molto particolare. Ha inciso delle cose e sta portando in giro uno spettacolo che gira attorno ai nostri soldati in Russia e nella ritirata di Russia. Stefano Rizza ha scritto un magnifico commento ad una delle sue canzoni, alla canzone che noi abbiamo in Cosa sarà, nel nostro secondo libro. Adesso chiederei a Stefano di dialogare con Massimo nella presentazione di questa canzone che vi farà venire i brividi e che si intitola La strada del Davai.

STEFANO RIZZA:
Allora, intanto ringrazio Massimo di essere venuto. Mi sento un po’ responsabile della sua venuta al Meeting dato che ho scritto io di questa sua canzone, che ho scoperto in una serata di belle bevute, diciamo, introdotte dall’amico Paolo Vittes, noto alcolizzato, noto giornalista e amico comune e devo dire che quando l’ho incontrato, ho incontrato Massimo. Prima di tutto non sapevo chi fosse, poi il nome mi diceva qualcosa. Non mi ricordavo la faccia! Ha iniziato a parlare…

MASSIMO PRIVIERIO:
Vorrei mettere via la tua esposizione! Cioè, io avrei venduto 300.000 album nella mia vita! Tu non eri uno di quelli! No, perché sembra…

STEFANO RIZZA:
Ma bisogna sempre imparare, sai.

MASSIMO PRIVIERIO:
Lui è una persona straordinaria. Ci siamo trovati che dovevamo fare una cosa che faremo un giorno o l’altro! Perché il discorso riguardava un pochino gli alpini. Gli alpini e la ritirata di Russia in particolare. E questo formidabile ragazzo faceva anche il direttore di un coro di alpini, e lo fa tuttora, ci sei ancora, no?

STEFANO RIZZA:
…lo facevo. Adesso partecipo e…

MASSIMO PRIVIERIO:
…adesso partecipi. E allora avevamo messo insieme questa idea, questo progetto per unire un pochino quello che era un concerto, elettrico, rock che io facevo con questi squarci di memoria, raccontando le storie di cui siamo figli. E quindi alla fine era nata anche una grande emozione e un grande affetto tra di noi. Dopodiché questo spettacolo è stato fatto. E’ diventato uno spettacolo con degli attori, insomma una cosa che è andata parallela rispetto ai miei concerti in un luogo, appunto, intimo: Rolling Stones a Milano.

STEFANO RIZZA:
No, al Rolling Stones abbiamo fatto tantissimo elettrico, tantissimo rock and roll e ci siamo divertiti molto, l’album che è uscito poi qualche mese dopo, ha, come diceva usando il linguaggio dei giornalisti, quelli bravi, ha scalato le classifiche, il problema è, poi citerò le biografie, eccetera, ma il problema è un altro. Io non credo affatto che un certo tipo di successo sia un valore e quindi francamente mi interessa anche poco, ma non è, ti assicuro un discorso di posa, è un discorso che se tu difendi le cose in cui credi, queste cose le porti avanti a prescindere da quanto tu sia al centro dell’attenzione.

MASSIMO PRIVIERIO:
E questo non cambia.

STEFANO RIZZA:
Ed è così che l’ho conosciuto. Dico solo due righe di quello che ho scritto per commentare questo. Io, appunto, amo molto il mondo degli alpini, amo un mondo la canzone rock, finalmente ho trovato qualcuno che è stato capace di usare entrambi i linguaggi. Ogni verso della canzone La strada del Davai, dove Davai era l’urlo che realmente usavano le armate sovietiche per spronare i prigionieri italiani, esausti dalla fame e dal freddo, a proseguire la marcia lungo la steppa gelata. Ogni verso della canzone rivela, come tanti canti di montagna, la straordinaria e semplice umanità degli alpini. Il pensiero rivolto alla mamma che attende alla finestra, il desiderio di un piatto di minestra, la paura della morte e la nostalgia per la propria terra. Un’umanità che resiste eroicamente a guerra, fame e freddo. Ma se Privierio ha dichiarato: “E’ strano parlare così di un corpo militare, ma gli alpini sono stati e, spesso, sono ancora oggi qualcosa di diverso. Spesso sono molto di più. Un coro di alpini è condivisione spirituale, poi è anche altro, è anche un pezzo di storia se vuoi, è anche qualcosa che chiameresti romanticismo popolare”. Ma è la condivisione spirituale la prima cosa. Sai, spesso su un palco cerco proprio questo spirito, questa condivisione. Il mio rock, la mia musica è spesso uno strumento per arrivare proprio a questo.

WALTER GATTI:
Massimo Privierio, La strada del Davai.

MASSIMO PRIVIERIO:
Solo una premessa per farvi capire, perché vi arriverà magari una lingua strana! Gran parte di questa canzone è scritta in veneto, perché molti di quei soldati contadini parlavano questa lingua, cioè la lingua della mia terra di provenienza. Ma vi arriverà lo stesso!

Canzone.

WALTER GATTI:
Massimo Privierio. C’è un disco, c’è un disco molto rock di Massimo che è stato, che è il momento in cui noi ci siamo incontrati, quindi stiamo parlando di sedici anni fa. Un disco all’interno del quale c’era una canzone magnifica, un rock magnifico che s’intitola Nessuna resa mai, che è una delle poche canzoni che interpreta in italiano il tuo senso della musica, che è rock e poesia. L’idea che non ci sia mai d’arrendersi nella ricerca della verità di se stessi, credo sia una delle cose che ti differenzia dalla gran parte dei musicisti del nostro paese.

MASSIMO PRIVIERIO:
Io ti ringrazio, io penso che le cose più belle, ne parlavo prima anche con Paolo Vittes, la cosa più bellae, probabilmente degli ultimi decenni, della musica che chiamiamo popolare, sia stata quando, quello che chiamiamo rock, è riuscito a incrociarsi con la poesia, con il bisogno di poesia. E Nessuna resa mai è una canzone di un album che è uscito vent’anni fa, che andò anche molto bene, ma non è questo che conta come vi dicevo. È diventato un modo con cui la mia gente o la gente che viene ai miei concerti o si saluta, comunica. E quindi è anche un modo per dire che siamo qui. Però parlando di rock e poesia io faccio solo un breve cappello a questa canzone prima di farvela sentire.

WALTER GATTI:
Però Massimo, siccome poi tu entri subito nella canzone, io avevo la domandina di riserva.

MASSIMO PRIVIERIO:
Quindi non mi fai fare Dylan che fa andare Nessuna resa mai?

WALTER GATTI:
Prima fammi fare la domandina poi ti lascio. La domandina è questa: se non mi sbaglio nella tua vita Nessuna resa mai comprende anche una forte componente religiosa.

MASSIMO PRIVIERIO:
È difficile parlare di queste cose, anche perché di solito il rock and roll prevede che si parli, che si parli di bar o che si parli di pose più o meno funzionali al sistema e che si dichiarano anti, che si usino degli slogan adolescenziali, che si dica molto spesso più o meno delle stronzate, ma questo non c’entra nulla col mio modo di fare rock and roll. Io faccio fatica a parlare del mio percorso di cristiano, perché il rock and roll non prevede questa cosa, tanto più in Italia. Ma mi è capitato di parlarne con molti musicisti, soprattutto americani, anche grandi musicisti, che han fatto la storia della musica. E questo bisogno è dentro la loro vita, dentro il loro pass. Per cui semplicemente mi è arrivata una email l’altro giorno di gente, di mia gente, che sapeva che venivo al Meeting, mi ha detto: “ma perché vai al Meeting di Rimini? Hai molto da dividere con la gente del Meeting?” Io ho detto, non scendo nei particolari delle cose o degli schieramenti, io ho risposto semplicemente, ho risposto semplicemente: “il loro bisogno di Cristianesimo è il mio bisogno di Cristianesimo, non c’è altro da aggiungere”. Cosi Dylan parlava di Chimes of Freedom, che erano le campane di libertà che suonavano per la parte debole del mondo e la parte anche per cui noi suoniamo e faceva più o meno così.

Canzone.

WALTER GATTI:
Massimo Privierio. Massimo Privierio

MASSIMO PRIVIERIO:
Grazie Walter, grazie a tutti.

WALTER GATTI:
Tra l’altro è da poco uscito un doppio CD dal vivo, più DVD, che si chiama Rolling Live, credo che ci siano delle copie disponibili, ne è rimasta qualche copia.

MASSIMO PRIVIERIO:
Lo trovate in giro insieme alla biografia. Volevo solo ricordarvi l’appuntamento, noi chiudiamo il viaggio che abbiamo iniziato più o meno un anno fa al Rolling Stones di Milano, ci ha portato in giro per molto tempo, lo chiudiamo il 20 di novembre all’Auditorium di Milano, che è un teatro un teatro molto prestigioso e quindi faremo questo album, questo live, metà acustico, metà elettrico. Vi aspettiamo.

WALTER GATTI:
Quindi ci vediamo il 20 di novembre

MASSIMO PRIVIERIO:
Ciao.

WALTER GATTI:
Grazie Massimo. Allora, siamo arrivati alla fine. Chi non lo sapeva più o meno sa cosa c’è dentro questi tre libri. Chi già lo sapeva adesso scopre che oltre a questi altri colori c’è il colore giallo, che è un libro dedicato al blues, al gospel. Questo ultimo libro di intitola Amazing Grace. Noi abbiamo sempre preso a prestito da titoli di grandi canzoni i titoli dei nostri libri, Amazing Grace è probabilmente il gospel, chiedo scusa, lo spiritual più famoso della storia, e prima che la nostra carissima e fantastica Raffaella, che intanto prego di salire, ce lo interpreti e ce lo regali quasi come una preghiera finale, io vi racconto brevissimamente la storia di questa canzone, perché forse sapete che noi questi libri li abbiamo costruiti con una forte componente di narrazione. Spesso e volentieri le canzoni sono da noi trattate come persone, raccontiamo la storia della canzone, il da dove viene, il chi è che l’ha scritta, il che cosa ha fatto, il perché. Amazing Grace è una canzone che ha una storia particolarissima, voi sapete che il testo dice “grazia meravigliosa, che cos’è questa grazia incredibile che ha salvato un poveraccio come me?”. Questo è l’incipit, l’inizio, la prima delle strofe di questa canzone. Ma perché e chi ha scritto questa canzone? L’autore si chiama John Newton ed era il peggiore dei marinai di una nave negriera inglese nel 1700. Cioè questo qui era un personaggio così violento, così scurrile, così incontrollabile, che più di una volta durante le traversate tra l’Africa e l’America del nord, i suoi capitani hanno dovuto metterlo ai ceppi insieme ai neri, talmente era violento e incontrollabile nei confronti dei suoi stessi compagni di navigazione. Una notte, mentre tornava dagli Stati Uniti verso l’Inghilterra, la nave in cui era imbarcato, vuota perché gli schiavi neri li avevano appena depositati negli Stati Uniti, viene colta da un uragano non lontano dalle coste inglesi. Lui si lascia andare ad un’affermazione: “proviamo a fare questa cosa”, un certo tipo di manovra, io di navi non so niente, “e se non ce la facciamo, se non riusciamo a salvarci che Dio ci salvi Lui”. Stranamente la nave riesce ad arrivare in porto, riesce a superare l’uragano, attracca a questo porto inglese, lui ricorda da lì in poi questa strana frase che lo marchia proprio come un marchio a fuoco. Non cambia tantissimo la vita, la sua vita per qualche anno, perché continua a fare il marinaio su navi negriere, ma a un certo punto, segnata da questa frase che lui stesso ha detto quasi a sua insaputa, segnato da questa cosa, decide che qualcosa deve cambiare, torna in terraferma, reincontra la ragazza di cui era innamorato quando aveva quattordici o quindici anni, si sposa, la ragazza è una ragazza pia e timorata di Dio, lui diventa prete anglicano. Nel giro di alcuni anni gli danno una parrocchia anglicana, lui diventa celebre perché all’interno delle sue celebrazioni legge inni composti da lui, non li canta ma li legge. Uno di questi inni è Amazing Grace, che è un inno lunghissimo, ha 23 strofe. La storia, che fino a qui vi ho raccontatoa, è della seconda metà del Settecento, questa storia, alcuni decenni dopo, risalta fuori come un fiume carsico nel Nord America. Perché il testo di Amazing Grace viene pubblicato all’interno di un libro di inni che si chiama Southern Harmony, cioè le armonie del sud. Voi sapete che soprattutto nel Sud degli Stati Uniti c’era un forte radicamento anglicano, battista però. Che cosa succede? A un certo punto un reverendo che ha a che fare con i neri delle piantagioni, che non sono più schiavi perché c’è stata la guerra di secessione, a un certo punto un reverendo musica, o meglio prende una musica preesistente e gli mette sopra i versi di Amazing Grace. Per cui da fine Ottocento inizi Novecento, una canzone scritta da un negriero, diventa la più grande e cantata canzone di libertà da parte dei neri americani. Un’ultima cosa, Johnny Cash, era stato citato prima da Stefano Rizza, Johnny Cash, grandissimo, il più grande cantante country della storia, arrivò a dire e noi lo riportiamo nel nostro libro: “i tre minuti in cui una persona ascolta Amazing Grace, sono tre minuti in cui l’essere umano è totalmente libero”. Chi era stato qui con noi l’anno scorso forse ricorda che c’eravamo salutati con La strada del grandissimo amico Claudio Chieffo; stasera ci salutiamo sulle note e sull’armonia di una canzone che probabilmente ognuno di noi può portare nel cuore e poi dopo ringrazieremo chi è stato con noi. Amazing Grace.

Canzone.

WALTER GATTI:
Grazie, grazie Massimo Privierio, Raffaella Zago, Alfredo Minucci, Maurizio Cercone, Marina Valmaggi, Angelo Casali, Guja Valmaggi che non vedo più, Francesco, Leandro Barsotti, Stefano Rizza, grazie a tutti e comperate i libri!

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2010

Ora

15:00

Edizione

2010

Luogo

Sala A4
Categoria
Testi & Contesti