COSA RIDESTA L’UMANO. TESTIMONIANZA

La testimonianza di Tianyue Wu

Le testimonianze

Partecipa Tianyue Wu, Professore del Dipartimento di Filosofia presso l’Institute of Foreign Philosophy della Peking University, Cina. Introduce Tobias Hoffmann, Docente di Filosofia Medievale alla Catholic University of America, Washington.

 

COSA RIDESTA L’UMANO. TESTIMONIANZA
Ore: 11.15 Salone D5
Partecipa Tianyue Wu, Professore del Dipartimento di Filosofia presso l’Institute of Foreign Philosophy della Peking University, Cina. Introduce Tobias Hoffmann, Docente di Filosofia Medievale alla Catholic University of America, Washington.

TOBIAS HOFFMANN:
Benvenuti a questo primo incontro della serie “Cosa ridesta l’umano”, un ciclo di quattro testimonianze. Oggi abbiamo la fortuna di avere con noi il Professore Tianyue Wu, che insegna Filosofia antica e medievale alla Peking University. E’ venuto con sua moglie: mi hanno detto ieri che in questi giorni celebrano l’anniversario dei dieci anni di matrimonio. Mi chiamo Tobias Hoffmann e sono Professore Associato di Filosofia medievale a Washington. Due anni fa ho ricevuto l’invito ad un convegno sulla libertà e la responsabilità della filosofia medievale alla Peking University: come potete immaginare, sono stato un po’ sorpreso che in Cina qualcuno si interessi alla filosofia medievale, cioè la nostra, quella latina di sant’Agostino, san Tommaso, ecc. Il convegno ebbe luogo l’anno scorso, l’organizzatore era Tianyue. Sono rimasto molto colpito, non solo dalla qualità della sua relazione ma anche dalla sua apertura di mente, specialmente dal fatto che mi diceva liberamente che era cattolico. Per dirla in breve, si vedeva subito che Tianyue è una persona eccezionale. Quindi, mi è venuto il desiderio di farlo invitare al Meeting di Rimini proprio per quello che è il Meeting, una occasione formidabile di incontro tra persone che condividono una aspirazione all’ideale.
Prima di dare la parola a Tianyue, vorrei dire che per me la cosa più sorprendente è trovare in Cina un interesse all’origine della nostra cultura occidentale che noi stessi abbiamo perso. Lo studio del greco antico e del latino è in aumento. Non solo c’è interesse alle radici antiche ma ci sono anche tante persone non credenti che si interessano alla storia medievale o al cristianesimo. Alcuni vedono nel cristianesimo una risorsa per corroborare la cultura cinese, si parla addirittura di una teologia della modernizzazione, cioè di un approccio secolare, anche ateo, al cristianesimo. Altri hanno un autentico interesse per il cristianesimo in quanto tale, così che nascono centri di studi cristiani anche nelle università di Stato. Ad esempio, nella Wuhan University, una delle più importanti università della Cina, c’è addirittura un centro studi del pensiero filosofico e teologico di Tommaso d’Aquino. A proposito dell’interesse al cristianesimo, vorrei raccontare un dialogo che ho avuto con un dottorando. Mi ha detto che studiava il latino e la storia medievale perché voleva capire meglio l’origine dell’Occidente, anche per capire perché, ad un certo punto, la cultura occidentale abbia superato la cultura cinese. Al proposito, mi ha chiesto se valeva la pena studiare anche la storia della Chiesa, cioè, se per capire la cultura occidentale bisognava studiare anche la storia della Chiesa. Mi ha detto che lui non era cristiano. Io sono rimasto molto sorpreso: chi in Occidente si farebbe questa domanda? Mi ha colpito perché un intellettuale occidentale direbbe che per capire l’Occidente bisogna studiare Francis Bacon, Cartesio, Isaac Newton, ecc. In altre parole, un occidentale avrebbe detto che l’Occidente nasce o rinasce con l’illuminismo. Ma, come dice il filosofo francese Remi Brague, che è anche un amico del Meeting, per capire l’Europa bisogna uscire dall’Europa, così da ottenere la prospettiva giusta. Quel dottorando cinese ha capito meglio di noi che cosa costituisce la nostra cultura. Così anche oggi, incontrando Tianyue Wu, abbiamo l’occasione di conoscere una persona di un Paese lontano e a molti di noi sconosciuto che però sentiamo vicina a noi. Tianyue Wu ci parlerà del suo cammino di fede, inserendolo nel contesto della storia e della cultura cinese, e ci parlerà anche del suo lavoro di professore di filosofia.

TIANYUE WU:
Mi scuso perché non parlo italiano ma prima di tutto desidero ringraziare Tobias per le sue gentili parole. Poi vorrei esprimere la mia estrema gratitudine agli organizzatori che mi hanno invitato a presentare la relazione a questo Meeting. E’ molto interessante e piacevole condividere con voi la mia esperienza di fede. Sono nato in una piccola città e sono cresciuto in una famiglia cattolica. In famiglia ho ricevuto una buona educazione e ho potuto frequentare una delle migliori università del mio Paese. Dopo essermi specializzato con una tesi su sant’Agostino in una università cattolica all’estero, adesso sono docente di greco antico e filosofia medievale all’università in cui mi sono laureato. Non c’è nulla di speciale in tutto questo, a parte un’unica eccezione: perché stiamo parlando di un Paese lontano che si chiama Cina. Il made in China già è diffuso ovunque, però l’associazione tra cattolicesimo e Cina è ancora qualcosa di misterioso per tante persone, cinesi e non, anche se ci sono almeno sei milioni di cattolici che oggi abitano nel nostro paese. Debbo dirvi che la cifra esatta è ancora un mito. Vi racconterò la storia dell’essere cattolico in Cina e cercherò di gettare un po’ di luce su questa combinazione, molto misteriosa, tra cattolicesimo e Cina.
La mia presentazione si articola in due parti. Innanzitutto, mi soffermerò un attimo a parlare delle condizioni della fede religiosa in Cina e vi farò vedere quali sono le vere e proprie sfide, ma anche le opportunità, dell’essere cattolici in Cina. Poi farò ritorno a me stesso, alla risposta personale che do allo stato di emergenza – per citare il tema del nostro Meeting – nell’ambito di una cultura estremamente diversa da questa. Cosa significa essere cattolico in Cina? Secondo me, significa prevalentemente condurre una vita religiosa in quella che è una società secolare. Noi viviamo in un’era secolare. Questo non significa che la fede religiosa non abbia un posto all’interno delle nostre società quanto piuttosto che le credenze religiose non vengono più prese senza remore, come qualcosa di indiscutibile, come una verità assoluta. In altre parole, le religioni possono ancora svolgere un ruolo significativo e insostituibile nella nostra società ma le condizioni della fede religiosa sono cambiate radicalmente. In un’era secolare, quello che abbiamo è soltanto la vita qui sulla terra, nulla di più. Tutto il credere religioso nel trascendente dovrebbe essere inteso o anche giustificato in termini di valori immanenti, di questo mondo. Vi faccio un esempio: le Chiese possono esistere, semplicemente perché sono strumentali a mantenere la stabilità sociale, dato che alcune persone non hanno ancora adottato una visione del mondo interamente secolarizzata.
Ecco, tenendo a mente questo fenomeno globale della secolarizzazione, farò ora riferimento a tre elementi fondamentali all’interno della Cina moderna: la nostra lunga tradizione di secolarismo, l’ideologia atea e l’economia orientata al mercato. Questo vi dimostrerà come la secolarizzazione è diventata una sfida molto importante per il cattolicesimo nella Cina contemporanea. Questo processo è avvenuto in maniera molto diversa rispetto a quanto è accaduto nelle società occidentali. Il processo stesso di secolarizzazione è cominciato abbastanza presto in Cina, nel senso che le credenze religiose, il credere in un Dio trascendente, aveva esercitato poca influenza sulla vita sociale e morale della Cina antica. Abbiamo alcune testimonianze, seppure esigue e ambigue, della presenza di religioni primitive nella antica società cinese. Soprattutto quando si parlava del culto in un dio superiore, o del cielo. Una pratica religiosa si può fare risalire al secondo millennio a.C., o anche a prima. Eppure, è stato nel VI secolo avanti Cristo, durante l’era cosiddetta assiale, che in Cina il confucianesimo e il taoismo sono emersi e hanno forgiato la cultura e le prospettive del popolo cinese.
Al tempo, dobbiamo dire che la Cina era divisa in oltre cento Stati feudali, continuamente in lotta tra loro. In questo periodo, quello che preoccupava le menti più elevate era principalmente come ricostituire un ordine morale e politico. Si sa che Confucio era solito esortare i suoi seguaci a rispettare le entità spirituali sovrannaturali, ma li esortava anche a tenersi distanti da loro, perché riteneva che i doveri di una persona virtuosa non avessero nulla a che fare con un Dio o con più dei. Lao Tzu, il grande maestro del Tao, della via corretta, insisteva pure lui sul fatto che la missione del saggio fosse quella di seguire la legge intrinseca nella natura, svolgendo le proprie attività politiche. L’idea di un essere trascendente che serve da fondamento dei valori umani, era completamente estranea sia a Confucio che ai suoi contemporanei. Nel II secolo avanti Cristo, il confucianesimo divenne l’idea predominante della società imperiale. Il confucianesimo dà un’importanza estremamente forte al condurre una vita incentrata sul Liji, ovvero il rituale. Come accade con la maggior parte dei concetti cinesi, è abbastanza difficile trovare una traduzione appropriata al concetto di Liji, o darne almeno una definizione precisa. Nella tradizione confuciana, Liji non è soltanto qualche cosa che ha a che vedere con i riti o con le cerimonie di culto, soprattutto con il culto degli antenati, ma ha a che fare anche con i modi rispettosi, con le abitudini sociali o le leggi. Quindi, è abbastanza vicino all’antico concetto greco del nomos. Un elemento centrale del Liji sono i rapporti impari tra i soggetti e il sovrano, che sono concepiti sul modello dei rapporti familiari tra padre e figlio o marito e moglie. Questi rapporti familiari costituiscono il principio morale rituale su cui si base l’ordine politico. Si riteneva che soltanto una serie fissa di codici comportamentali, come per esempio la fedeltà o la pietà filiale, potessero dare alla società una certa armonia.
Ora, non è difficile vedere perché il confucianesimo abbia acquisito una enorme popolarità tra gli imperatori cinesi, perché sottolineava appunto degli aspetti terreni e la stabilità sociale. Questa enfasi di stampo piuttosto conservatore è stata ulteriormente istituzionalizzata dalle ultime dinastie e i suoi valori di base e la loro espressione fisica, per esempio le celebrazioni di culto degli antenati, sono rimaste indiscusse per circa duemila anni.
Quando due grandi gesuiti italiani, Matteo Ricci di Macerata e Michele Ruggeri di Bari, sono giunti in Cina nel XVI secolo, immediatamente si sono resi conto che la dottrina morale si concentrava su questa vita, sulla terra, e che questo mondo terreno aveva la massima importanza per i cinesi. Essi si sforzarono di adottare la lingua cinese, anche la cultura cinese, nel predicare il cristianesimo. Purtroppo i loro sforzi furono alterati e mandati in fumo alla fine del XVII secolo, durante la controversia sui riti cinesi. I gesuiti ritenevano che la partecipazione alle cerimonie confuciane tradizionali fosse compatibile con la fede cristiana, vedendo queste cerimonie come una dimostrazione ritualizzata di rispetto nei confronti degli antenati. Altri non erano d’accordo e riuscirono a convincere il Papa, che quindi proibì ai cristiani di presenziare alle cerimonie confuciane tradizionali, per esempio i riti stagionali durante i quali si onorava Confucio oppure altre cerimonie di culto degli antenati. Alla fine, il Papa Pio XII ha abrogato questa decisione nel XX secolo. Però, in cambio della proibizione instaurata dal Papa nel XVII secolo, gli imperatori cinesi vietarono qualsiasi missione cristiana in Cina fino al 1840. A metà del XIX secolo, anche le credenze confuciane arrivarono ad un periodo di profonda crisi. Fu quando la Cina venne obbligata dalle Guerre dell’Oppio a proteggere il cristianesimo e si aprì agli scambi con l’estero.
Che si volesse o no, predicare il cristianesimo divenne qualcosa di integrato alla colonizzazione europea della Cina. Nel contempo, sempre per via della Guerra dell’Oppio, i seguaci di Confucio si trovarono davanti al fallimento del confucianesimo, nel senso che non riusciva più a conservare la prosperità secolare. Il fallimento del confucianesimo portò a termine il governo imperiale cinese. All’inizio del XX secolo, nel 1919, i nazionalisti cinesi, delusi dalla cultura tradizionale, lanciarono un movimento di nuova cultura. Cominciarono quindi a criticare amaramente il modo di vivere confuciano e i valori tradizionali del confucianesimo. Il loro tentativo era sostituirli con concetti occidentali di democrazia e scienza. Tuttavia questo non significò che il cristianesimo sarebbe stato accettato come parte essenziale della cultura occidentale. Anzi, ciò che seguì fu un movimento anticristiano sviluppatosi negli anni ’20, un movimento che respingeva il cristianesimo, etichettandolo come superstizione obsoleta. In altre parole, è successo che la maggior parte degli intellettuali cinesi, dopo essere usciti da una società tradizionale altamente secolarizzata, hanno abbracciato gli obiettivi e i valori della secolarizzazione di stampo occidentale. Il movimento anticristiano giunse ad una fine molto repentina nel 1929, con il battesimo di Chiang Kai-Shek, il Presidente del Governo nazionale della Cina. Tuttavia, l’attitudine del periodo precedente, non particolarmente benevolo nei confronti di Confucio e Cristo, era stato ereditato dal governo comunista che poi arrivò al potere nel ’49.
Il nuovo governo, infatti, assunse l’ateismo come parte essenziale della sua ideologia: fu il secondo elemento della secolarizzazione cinese. Il nuovo governo considerava tutte le religioni come l’oppio dei popoli. I primi trent’anni della Repubblica Popolare cinese coincisero con tempi molto difficili per il cristianesimo nella Cina continentale, soprattutto nel periodo che va dal 1966 al 1976, i dieci anni della Rivoluzione Culturale. In quel periodo, i missionari esteri vennero espulsi dal Paese, le chiese vennero chiuse e i preti furono obbligati ad assumere ruoli secolari. Va detto che, durante la Rivoluzione Culturale, tutte le religioni furono oggetto dello stesso destino. Però la situazione fu ancora più seria nel caso del cristianesimo, proprio perché da tanto tempo era ritenuta una religione straniera. Fortunatamente, nel 1978 il governo decise di lanciare una politica di riforme economiche e di modernizzazione, nota appunto come una politica di apertura e riforma. Questa nuova politica prevedeva anche la tolleranza religiosa: in conseguenza di ciò, le chiese furono riaperte nel 1979, l’anno in cui sono nato io. Da allora, il cristianesimo è cresciuto rapidamente, al passo con il rapido sviluppo economico degli ultimi 30 anni. Secondo recenti stime del governo, il totale dei cristiani in Cina, comprendendo sia le chiese ufficialmente registrate che quelle che non lo sono, è di circa 30 milioni, di cui 6 milioni sono cattolici. Nel corso degli ultimi 30 anni, questa politica di riforma e apertura ha portato ad una rapida crescita economica che ha sempre di più influenzato la vita spirituale dei cinesi.
Questo è un grande periodo di transizione. I vecchi sistemi valoriali sono stati danneggiati mentre i nuovi ancora non si sono affermati, quanto meno sono limitati in quello che possono fare. Adesso, tanti cinesi stanno perdendo la fede nelle norme secolari e stanno adottando un atteggiamento ancora più utilitaristico e cinico nei confronti della vita, in una società che sta veramente cambiando a ritmi rapidi. Il loro motto è diventato il “Carpe diem”. L’incongruenza tra la crescita dell’economia e il declino della vita spirituale ha portato ad una “Emergenza uomo” anche in Cina. Molte persone non riescono a trovare il modo di riguadagnarsi una dignità umana in un mondo così secolarizzato. Le sfide di un cristiano nella Cina contemporanea sono così molto evidenti. Si deve affrontare una lunga tradizione di secolarizzazione, si deve far fronte all’ideologia atea e anche a questa crescita economica, che va avanti in modo assolutamente cieco. Il fedele cinese deve in primo luogo farsi un’opinione critica del proprio passato culturale, eliminare quegli elementi incompatibili con il credere cristiano. Questo significa che il credente deve anche affrontare il pericolo di essere tagliato fuori, in una società totalmente secolarizzata. Inoltre, deve essere in grado di dimostrare la superiorità della vita cristiana mediante i propri pensieri, le proprie parole e i propri atti. Eppure, non si riesce a vivere in una situazione di vuoto, perché siamo tutti nati per essere animali sociali. Un credente cristiano non può e non deve staccarsi completamente dalla società secolarizzata, altrimenti la sua testimonianza rimarrà completamente invisibile e avrà poco effetto su coloro che non hanno ancora nessun interesse alle realtà trascendenti. In altre parole, il credente cristiano deve aprirsi al mondo secolare senza però diventarne preda. E’ un elemento particolarmente importante per i credenti cattolici cinesi che spesso adottano un atteggiamento piuttosto conservatore rispetto al mondo esterno e fanno pochi sforzi per difendersi attivamente di fronte alle sfide poste dalle loro circostanze culturali. Il loro silenzio e il loro ritirarsi dal mondo rende invisibile la chiesa a chi sta fuori.
Considerate tutte le sfide dei cristiani cinesi, dobbiamo dire che però le condizioni di difficoltà sono, al tempo stesso, una grande opportunità. Il fatto che effettivamente non ci sia un’etica predominante in Cina rende l’etica cristiana più attraente. Ancora più importante, è il fatto che l’eredità cinese e l’atteggiamento scettico della società obbligano i cattolici a riflettere in maniera più profonda sulle loro credenze e sulle loro tradizioni, a sviluppare un forte senso di coscienza di sé.
Senza dubbio, queste sfide e queste opportunità hanno forgiato la crescita della fede della mia vita: per il tempo che mi rimane, vorrei parlare di questo. Sono nato ad Anshun, una piccola città di Guizhou, una provincia della parte sud occidentale della Cina. Nel 1644, a seguito della morte dell’ultimo imperatore della dinastia Ming di Pechino, alcuni membri della famiglia reale costituirono delle piccole dinastie nella province meridionali della Cina. Uno di loro, l’imperatore Yongli, si rifugiò successivamente a Guizhou. La corte di Yongli era molto legata alla chiesa cattolica: sia la madre che la moglie di Yongli erano state battezzate. Si narra che ci fossero quaranta ministri cattolici e segreterie cattoliche alla corte del re, una circostanza che ha prodotto la prima missione cattolica nella provincia di Guizhou. Ebbe una vita breve come quella della dinastia Yongli, che durò molto poco. L’evangelizzazione di Guizhou fu poi portata avanti dai missionari stranieri di Parigi, a metà del XIX secolo. Il mio bisnonno appartenne quindi alla prima generazione di cattolici a Guizhou, studiò presso un liceo gestito da missionari cattolici e considerò anche l’opportunità di diventare sacerdote. Sfortunatamente, o forse fortunatamente, un forte mal di testa lo obbligò a tornare a casa e successivamente intraprese la carriera medica. La fede cattolica rimase però parte integrante della tradizione familiare. Da bambino, io ero un po’ scettico su questo credo. All’epoca, mio nonno si ammalò gravemente e i miei genitori dovettero lavorare molto per tutta la famiglia: la mia educazione religiosa fu affidata interamente a mia nonna, una donna casalinga di altri tempi, molto gentile e pia, che ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia. Purtroppo non sapeva leggere e, ancora peggio, le preghiere che mi insegnava erano scritte in uno stile che combinava un linguaggio colloquiale ad uno letterario. A seguito della separazione dalla Chiesa cattolica romana, la Chiesa cinese celebrava la messa in latino, almeno fino al 1990: messa e preghiere erano un tormento più che un aiuto per un bambino che aveva incominciato ad avere qualche curiosità rispetto alla fede. Inoltre, le poche frasi isolate che avevo appreso da mio nonno e dal sacerdote erano in netto conflitto con quello che mi veniva insegnato a scuola. In Cina siamo tutti cresciuti con il canto dell’Internazionale: “Il n’est pas de sauveurs suprêmes, ni Dieu, ni César, ni tribun” (“Non ci son supremi salvatori,
Né Dio, né Cesare, né tribuno”, nella versione italiana, NdR). Nei libri di scuola ci insegnavano che tutte le religioni non sono altro che credenze superstiziose che appartengono ad un passato morto e sepolto: di conseguenza, la fede religiosa veniva di solito considerata come una bugia o una mostruosità. Ricordo ancora perfettamente le reazioni dei miei compagni di classe quando io andava in classe con una croce!
Il vento va dove vuole, lo puoi sentire o non lo puoi sentire ma non puoi capire da dove venga e dove vada: io sentivo la parola di Dio ma non ne comprendevo il messaggio. Le circostanze di laicità mi hanno in qualche modo obbligato a comprendere le ragioni della mia fede. Non volevo seguire la fede solo perché era stata la tradizione della mia famiglia. Un giorno chiesi ai miei genitori di farmi veder dove era Dio. Loro, sbagliando, mi portarono dal Padre Zong. Il suo nome cristiano era Jacob, era un sacerdote della nostra città, un compagno di classe di mio nonno alla scuola missionaria. Non disse granché ma mi mostrò delle brochure che parlavano di fede e di scienza, con citazioni famose come quella di Albert Einstein, “la scienza senza religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca”. I cinesi consideravano con il massimo rispetto gli scienziati e le loro parole, credendo fermamente nella loro capacità di migliorare la nostra vita in questo mondo. Però, all’epoca in cui lessi questi libri, non rimasi completamente persuaso delle citazioni perché non contenevano spiegazioni ulteriori: comunque accesero la mia curiosità rispetto ad un approccio scientifico al mondo, a come potesse essere compatibile con un credo sincero in un essere trascendente.
Il momento cruciale per la fede arrivò completamente inatteso. Mio nonno morì quando avevo 14 anni: allora, la pietà filiale svolgeva un ruolo fondamentale nell’etica tradizionale cinese. La nostra famiglia, per quanto cattolica, non faceva eccezione a questa regola: per la prima volta sentii cosa significava allontanarsi da una persona estremamente vicina. Rimasi assente da scuola e passai tre giorni e tre notti in chiesa, vicino al corpo di mio nonno. Padre Zong aveva adottato una ventina di bambini di età diverse, alcuni dei quali sarebbero poi diventati seminaristi: li sentii pregare, li sentii cantare, dalla mattina alla sera. E a un certo punto le frasi oscure delle preghiere mi divennero comprensibili: “De profundis clamavi ad te, Domine”, “Requiem aeternam dona eis Domine, et lux perpetua luceat eis”. Mi commosse moltissimo la forza di queste preghiere che risuonavano nel piccolo edificio di pietra. La tranquillità con cui vissi quei giorni mi aiutò a trasformare quella che era un tradizione familiare in una fede personale e mia. La fede divenne parte del mio cuore perché cominciai a credere: solo questa tranquillità profonda può rivelare il significato misterioso della morte e della vita, che mi era allora vicinissimo ma che era rimasto nascosto fino a quel momento. Da allora non ho più avuto paura, non ho più avuto dubbi, perché il Signore era con me e mi dava forza.
“Fides quaerens intellectum”: ho cominciato a leggere la Bibbia e opere teologiche come Le confessioni di sant’Agostino” e Pilgrim’s Progress di John Bunyan. Incominciai a leggere tutto quello che trovavo nelle piccola città in cui abitavo. Per un certo periodo esitai fra l’opzione scientifica e quella filosofica: la scienza, e in particolare la medicina, mi sembravano essere più promettenti. In questo ero fortemente sostenuto anche dai miei genitori: lo studio della medicina, sia quella occidentale che quella tradizionale, fa parte della mia tradizione familiare. Il mio trisnonno, mio nonno, mio zio e mio padre erano tutti medici e ritenevano che l’essere medici costituisse il modo migliore per aiutare quelli che avevano bisogno e anche per glorificare il Signore. Nonostante ciò, scelsi la carriera filosofica, con una idea ambigua, che curare l’anima attraverso la filosofia fosse altrettanto importante che curare il corpo attraverso la medicina. A quell’epoca ero molto attratto dal pensiero che solo la filosofia, intesa come amore della saggezza e del sapere supremo, potesse salvare la Cina dalla degenerazione morale. Alla base di questo credo stava una curiosità circa la verità come ci viene rivelata dalla Bibbia.
A prescindere da quanto ingenue fossero queste idee da studente, sono molto felice che questa fede mi abbia poi portato a studiare la filosofia. In Cina, tutti i liceali devono superare un esame di ammissione per poter essere accettati in università. L’università di Pechino è la più antica e viene considerata la migliore università in Cina, secondo vari criteri di classificazione. Solo i migliori possono essere ammessi. Io ho avuto la fortuna di essere classificato primo all’interno della mia provincia, e sono stato quindi ammesso senza alcun problema nel dipartimento di filosofia. Diversamente da quanto accade nelle università occidentali, noi dobbiamo decidere la materia che vogliamo studiare prima di essere ammessi all’università: ho trovato solo due dei miei compagni di scuola che avevano scelto filosofia quale materia di elezione, altri optarono per la filosofia perché non erano stati ammessi alle altre facoltà. Gran parte degli studenti seguono le lezioni di legge o di economia perché sembrano una garanzia di successo nel mondo laico. All’epoca, erano pochi gli studenti di filosofia veramente interessati alla materia. Grazie al mio credo, in base al quale Dio costituisce la via giusta e la verità nella vita, non ho mai messo in dubbio il significato dell’amore alla verità come via verso una vita che abbia senso. Quando i miei ex-compagni di classe studiavano economia e cercavano un lavoretto, io mi concedevo il vizio di studiare Heidegger, Max Scheler, Kierkegaard, Karl Barth e Agostino. Come potete notare seguendo questa breve lista, all’epoca ero più interessato alla filosofia pratica che teoretica, cioè mi preoccupavo più dei problemi esistenziali e relazionali che della riflessione razionale sulla realtà. Era cosa abbastanza diffusa fra gli studenti di filosofia in Cina, più interessati a trovare indicazioni per la loro vita quotidiana che di imparare ad allenare le loro menti razionali seguendo il pensiero filosofico.
Questo accade perché la Cina non vanta una sua propria tradizione filosofica, almeno non nel senso occidentale del termine. C’è senz’altro in Cina una lunga tradizione di riflessione su questioni e temi filosofici: per esempio, si specula sulla natura, sul valore, sulla bontà, sulla giustizia, un pensiero che risale al periodo di Laotzè, di Confucio. La preoccupazione massima, comunque, è il pensiero politico ed etico: quello che manca in Cina è l’amore puro per la verità in se stessa. In Cina si studia la natura o il Dao, la via giusta, semplicemente perché queste idee possono tornare utili per gli insegnamenti morali. Le preoccupazioni utilitaristiche hanno fatto sì che gli antichi pensatori cinesi non si occupassero di questioni fondamentali con un approccio teorico. L’assenza di un essere trascendente nella vita spirituale cinese ha comportato una certa povertà filosofica. Fu così che lasciai Pechino per andare all’università cattolica di Lovanio, in Belgio, seguendo i miei interessi alla dimensione più pratica della filosofia e scelsi il concetto di volontà in Agostino quale argomento della mia tesi dottorale. A Lovanio seguii un corso più rigoroso e cominciai ad apprezzare le argomentazioni razionali di pensatori come san Tommaso. Leggendo attentamente le discussioni di Agostino sulla libertà umana e il suo fondamento psicologico, mi resi conto che la forza del suo pensiero non stava solo nella sua forza emotiva e nella eccellenza retorica delle sue argomentazioni, quanto piuttosto nelle argomentazioni. Mi resi anche conto che le intuizioni filosofiche di Agostino sulla vita umana, presenti nelle ultime disquisizioni teologiche, erano state ingiustamente ignorate. Anche i filosofi occidentali avevano dedicato scarsa attenzione alle dispute con i pelagiani e questo, in qualche modo, mi portò a preferire la filosofia rispetto alla teologia. Come credente, non credo ci sia una differenza essenziale, tra queste due discipline, per quanto riguarda la verità, anche se alcune delle verità rivelate non sono accessibili alla nostra ragione naturale. Inoltre, è più facile persuadere i non credenti ad accettare il cristianesimo attraverso argomentazioni filosofiche di quanto non sia possibile farlo con la dottrina teologica. La filosofia fa vedere qual è la forza della razionalità umana, illustrandone al contempo anche i limiti: questo è particolarmente significativo per coloro che vivono in un’epoca laica e che considerano tutte le cose in termini esclusivamente terreni.
Il pensiero razionale ci dimostrerà la superiorità della fede sincera e cattolica, con un effetto importante sui non credenti. Certo, la filosofia di per sé non può convertire i non credenti, ma sono fermamente convinto che sia una via che può portare alla fede.
Nel 2007 ritornai alla università di Pechino, la mia alma mater, in qualità di Docente di Filosofia medievale e antica: da allora, mi sono concentrato su Aristotele e san Tommaso, piuttosto che su Agostino e Platone, anche se in realtà gli ultimi sono più conosciuti in Cina per la loro forza emotiva, la loro espressività. Penso che, grazie ad un lavoro paziente sulla base della tradizione aristotelica e tomistica, gli studenti cinesi possano imparare l’argomentazione razionale, cosa che non potrebbero trovare nel pensiero cinese antico. Decisi quindi di dare testimonianza della mia fede in modo indiretto perché, come ci hanno mostrato Matteo Ricci e Michele Ruggeri, dobbiamo essere pazienti nel proporre il cristianesimo a persone con una tradizione forte ed antica.
Oggi molti protestanti cristiani adottano una metodologia diretta nella evangelizzazione: si rivolgono alle persone per strada o in università, cercando di convincerle ad andare nelle loro chiese. Si tratta di un approccio che a volte può aver successo ma non sempre, soprattutto quando si tratta di persone che hanno una grande consapevolezza di sé. Il mese scorso, uno dei miei studenti è andato alla Yale University e lì ha incontrato dei cristiani: si tratta di una persona estremamente intelligente, molto interessata alla cultura occidentale e alle sue basi cristiane. Ha visitato alcune chiese con amici cristiani americani che poi, in sua presenza, hanno cominciato a pregare e a parlare della loro esperienza personale dei miracoli. Questo l’ha fatto sentire a disagio, l’ha reso timoroso: mi scrisse di suggerirgli come poteva allontanarsi da loro senza offenderli. Gli risposi semplicemente che queste persone in realtà non volevano fargli alcun male, erano solo un po’ troppo entusiaste. Gli dissi che non doveva temere nulla: se Dio non esiste, non farà male a nessuno; se esiste, sarà benevolente, così come lo troviamo nella Bibbia.
Come ho detto prima, la Cina vanta una lunga storia di secolarismo e adesso si sta avvicinando ad un’epoca che è secolare e laica per tutti. È difficile per le persone capire che cosa insegnano i cristiani circa questo essere trascendente, cosa possa significare l’esperienza religiosa. Bisogna avere pazienza e farli avvicinare a questa idea della vita. Le prime mosse sono le più difficili. All’inizio della mia carriera, erano pochi gli studenti che frequentavano le mie lezioni sulla filosofia medievale, soprattutto quelle dedicate a san Tommaso. Di contro, i corsi incentrati sulla filosofia greca antica, soprattutto su Platone, avevano molti più seguaci. A dire la verità, all’epoca mi sentii un po’ scoraggiato: pensavo di concentrarmi sulla filosofia antica per attrarre più studenti. Evidentemente, senza studenti non avrei potuto arrivare a nulla. E poi, anche il mondo accademico non è una torre d’avorio, è un posto dove bisogna darsi da fare per andare avanti. Per un po’ sono stato attratto da questa Vanity Fair, soprattutto dalla fama di cui potevo godere di fronte agli studenti. È difficile non sentirsi in qualche modo emozionato quando si tiene una lezione di fronte a centinaia di ragazzi. Esitai e pregai molto, e a questo punto mi corre l’obbligo di fare riferimento anche a mia moglie, che scelse di dedicarsi alla storia della chiesa medievale quale argomento della sua tesi dottorale, un argomento che godeva di ancor meno successo. Capii che non potevo lasciarmi passare questo calice davanti. Se dovevo in qualche modo cessare i miei sforzi tesi alla diffusione della filosofia medievale, i miei studenti avrebbero perso l’opportunità di vedere come ragione e fede potessero mescolarsi come latte ed acqua, in un periodo che viene ingiustamente trascurato. Ho organizzato insieme a mia moglie un gruppo di lettura sulla Summa theologica di san Tommaso, abbiamo fatto un po’ pubblicità e abbiamo messo assieme un gruppo di dodici studenti che si dovevano incontrare ogni due settimane per leggere con attenzione questa analisi sottile che troviamo, nelle sue narrazioni, sulla natura umana. Nel frattempo, i miei corsi medievali cominciarono ad attrarre tanti studenti. In realtà, erano più attratti dalla lettura dei classici. Abbiamo detto che la Cina non vanta una lunga tradizione in termini di filosofia, viceversa vanta una tradizione forte nell’uso dei classici. Da molto tempo i cinesi hanno cominciato a dimostrare grande attenzione e rispetto per i classici. Questo amore per i classici risulta evidente anche nella ricerca che si fa sulla filosofia occidentale in Cina. Il dipartimento di filosofia dovrebbe svolgere un ruolo importante anche in collaborazione col dipartimento di storia e filosofia.
Grazie a questo approccio storico alla filosofia, Agostino, Anselmo, Tommaso, Duns Scoto sono stati trattati come parte essenziale della filosofia e non come parte della teologia. Alcuni studiosi cinesi, inoltre, si sono resi conto che non aveva senso separare la democrazia occidentale e la scienza dalla sua religione. E hanno quindi esortato i giovani a leggere di più sulla tradizione occidentale e sulla religione. Ritenevano che senza capire bene che cosa significa il cristianesimo, sarebbe stato troppo difficile cercare di capire bene il contesto globale. Le preoccupazioni più forti sono sempre di carattere secolare però la promozione entusiasta dei classici della cristianità porta di per sé alla verità. Gli studenti che facevano parte del nostro gruppo di lettura vennero da noi per studiare i classici, non il cristianesimo, ma gradualmente si resero conto di quale fosse il valore di seguire gli studi filosofici con un approccio razionale. Questo mi ha poi portato a presentare più testi filosofici in modo da dare loro basi più solide. Come nelle discussioni di san Tommaso sull’identità dell’anima umana, su questa terra e dopo, tolsi gli elementi teologici dai testi stabilendo delle relazioni con quelle che sono le riflessioni quotidiane sulla nostra identità personale. Questa distinzione tra teologia e filosofia ha in realtà sollecitato ulteriormente i loro interessi proprio riguardo al pensiero teologico che sta alla base dei testi filosofici. Rimasero sorpresi dallo scoprire che oggi possiamo ancora apprendere dai testi teologici del medioevo, degli “anni bui”. E manifestarono l’interesse a conoscere di più e meglio le basi teologiche di quegli anni, per capire su quali fondamenta si basassero le argomentazioni che portavano avanti. Adesso non sono più così ingenuo così com’ero al liceo, ma nelle conversazioni con i miei studenti mi resi conto che era stato piantato un seme, nel loro cuore, che li avrebbe aiutati a cogliere le sfide e le opportunità di questo periodo laico e secolare.
Prima di concludere questa presentazione, vorrei fare riferimento al fatto che non penso che un approccio teorico costituisca l’unica via verso la verità e la vita, cosa che viceversa credevo quando frequentavo il liceo. Ho sottolineato molto questo approccio perché secondo me ci porta ad affrontare la caratteristica di questa epoca fortemente laicista. Quando ho abbracciato il credo cattolico, mentre si svolgeva il funerale per mio nonno, pensavo che avrebbe cambiato completamente la mia vita e non solo la mia concezione del mondo. Mio nonno lasciò un quadernino rosso che raccoglie la storia della sua vita di medico. Nella copertina, ho trovato delle parole: “Prega con il pensiero, la parola e le azioni”. Le tengo sempre vicino al mio cuore. Spero di lasciare un segno su coloro che mi circondano, con le mie azioni come con le parole. L’anno scorso sono diventato tutor degli studenti che devono conseguire il diploma di laurea. Dovevo occuparmi di 56 matricole ammesse al dipartimento di filosofia nel 2012. Ho avuto così l’opportunità di vivere con questi ragazzi che avevano appena lasciato la casa dei genitori per intraprendere una carriera universitaria. Erano emozionati, e anche un po’ confusi da questo nuovo stile di vita. Il campus all’interno del quale viviamo appartiene dal ’49 all’università di Yanching. E’ l’università dove la chiesa ha riscosso il maggior successo. Il suo motto era “la libertà attraverso la verità per il servizio”. Nella mia strada attraverso la verità, cerco sempre di essere paziente, per rendere un servizio ai miei studenti. Dedico molto tempo ad ascoltare le loro storie, condividendo gioie e dolori. Mi capita di accompagnarli di notte all’ospedale o di camminare con loro in montagna durante il fine settimana. Sono ragazzi molto diversi dai miei compagni di 15 anni fa. Grazie al progresso economico, alcuni di loro provengono da famiglie di classi medie, con solide basi: si preoccupano meno dei pensieri secolari, come per esempio quanto costi crearsi una carriera. Alcuni di loro, anche se non molti, manifestano un certo interesse e anche una certa competenza ad un approccio teorico. Uno di loro ha seguito anche il mio gruppo di lettura sulla Summa di san Tommaso. Non nascondo a nessuno il mio credo ma non voglio neanche obbligarli a seguirmi in questo. Spero che sentano il bisogno di seguire le Scritture, in conseguenza del loro pensiero filosofico.
Ritengo che ciascuno di noi debba trovare la propria strada verso la salvezza. Voglio che i miei studenti possano sentire di potersi fidare di me, nel loro percorso. Senza che lo sapessi, hanno realizzato un video per me molto commovente e mi hanno aiutato anche a conseguire il titolo di “Best Councelor”. Penso che Dio abbia una sua strada per arrivare alla salvezza dei miei studenti come anche di tutti i miei compatrioti. Posso solo essere paziente e fare del mio meglio. Stiamo attraversando un periodo difficile ma anche ricco di emozioni. Questa epoca laica offre grandi opportunità come anche grandi sfide. Dobbiamo avere pazienza con la nostra fede, con la speranza e l’amore.

TOBIAS HOFFMANN:
Ringraziamo molto il nostro amico Tianyue. Per concludere, voglio solo mettere in rilievo alcune perle di quello che ha detto Tianyue Wu, proprio per non perderle. Innanzitutto, partendo dalla presa di conoscenza che viviamo in una società secolare, mi sembra che possiamo imparare da lui come muoverci. Lui non vive l’appartenenza a una società secolarizzata come un ostacolo ma come un invito a rispondere. Vive nel suo lavoro o nella sua società, nelle persone che incontra, un bisogno di comunicare il senso della vita e della morte, come dice. Questo senso è dato dalla fede: lui usa un metodo indiretto, partendo dal lavoro piuttosto che facendo del proselitismo. Questo mi colpisce particolarmente, perché sono un collega, insegno anch’io filosofia medievale: comunicare la fede partendo dalla filosofia vuole dire partire dalla ragione. Infatti, come diceva don Giussani, “la Fede nasce come il fiore che sboccia all’apice della ragione”. Credo che tutti voi abbiate fatto la stessa esperienza che ho fatto io quando ho incontrato Tianyue-Wu, una persona prima sconosciuta, di un Paese lontano, che ora sentiamo vicina. Per questo lo ringraziamo molto.
Trascrizione non rivista dai relatori

Data

19 Agosto 2013

Ora

11:15

Edizione

2013
Categoria
Incontri