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COSA RIDESTA L’UMANO. TESTIMONIANZA
Partecipa Claire Ly, Giornalista e Scrittrice, Docente presso l’Istituto di Scienze e Teologia delle Religioni (ISTR) di Marsiglia. Introduce Davide Perillo, Direttore di Tracce.
COSA RIDESTA L’UMANO. TESTIMONIANZA
Ore: 15.00 Salone D5
Partecipa Claire Ly, Giornalista e Scrittrice, Docente presso l’Istituto di Scienze e Teologia delle Religioni (ISTR) di Marsiglia. Introduce Davide Perillo, Direttore di Tracce.
DAVIDE PERILLO:
Buon pomeriggio, benvenuti a tutti. Non sono le nostre idee a ridestare l’umano, non sono i pensieri, non sono neanche i nostri sforzi ma è qualcosa che succede. Per capire che cosa ridesta l’umano, bisogna andare a vedere dove succede. Questo è il motivo di queste testimonianze, incontri con storie e con persone, come la professoressa Claire Ly, che abbiamo qui con noi oggi e che vi invito a salutare e accogliere di nuovo con un applauso. Claire Ly insegna buddismo all’Istituto di Teologia e Scienze della Religione (ISTR) di Marsiglia, è cambogiana, è nata buddista è stata docente di filosofia nel suo Paese e ha vissuto una vita tutto sommato normale fino a quando in Cambogia è accaduto quello che tutti sappiamo, la tragedia, il dramma dei Khmer Rossi, il regime di Pol Pot e le deportazioni, i massacri. Numeri, fatti e cifre che sono veramente la testimonianza di un inferno, la follia ideologica; numeri e fatti che vedremo scorrere sugli schermi e raccontati da lei; numeri, fatti e avvenimenti in cui bisogna immedesimarsi per capire che cosa ha vissuto la nostra amica Claire. Lei è stata deportata dal regime, ha visto uccidere i suoi famigliari, è stata quattro anni nei campi di prigionia di Pol Pot, quelli che chiamavano killing fields, dove sono morte centinaia di migliaia di persone e dove soprattutto tutto era programmato perché l’uomo venisse annientato, perché l’umanità venisse estirpata. Ecco, in questo inferno a Claire Ly è accaduto qualcosa e da questo fatto che è accaduto è nato qualcosa: è quello che le chiediamo di raccontarci oggi. Prego
CLAIRE LY:
Buon giorno, innanzi tutto vorrei partire dalla saggezza del Buddha per arrivare alla follia d’amore di Gesù. Desidero dirvi buongiorno secondo il modo khmer: nella maggior parte dei paesi asiatici, quando le persone si incontrano, congiungono le mani che rappresentano simbolicamente un fiore. Quando vi si dice buongiorno con le due mani congiunte, è come se vi venisse offerto un fiore, non un tipo qualsiasi di fiore, un fiore di loto, il fiore sacro del buddismo. Perché il mio Paese di origine è buddista per il 95% della popolazione. Dalla saggezza del Buddha alla follia di amore di Gesù. Ero buddista, ho ricevuto il sacramento del battesimo nella Chiesa cattolica di Francia, quando avevo 36 anni. Il mio cammino di conversione passa attraverso la tragedia dei khmer rossi che ha colpito il mio Paese di origine nel periodo 1975-1979. Cari amici, vi invito a percorrere un cammino spirituale insieme a me, oggi pomeriggio, un itinerario che mi porterà alla follia di amore di Gesù. Quando si parla di cammino o di itinerario, ci sono delle tappe: io ne condividerò insieme a voi tre, sono incontri personali che ci schiudono altri cammini, altre porte. Il primo incontro è quello che io chiamo l’incontro con il Dio degli occidentali, il secondo è quello con il Vangelo di Gesù Cristo e il terzo incontro sarà l’incontro eucaristico, che poi mi porterà sul cammino del battesimo. Andiamo al primo incontro che è l’incontro con il Dio degli occidentali: è avvenuto in Cambogia. Nella cartina, disegnata nel 2004 dalle Nazioni Unite, ho chiamato questo luogo “una terra ferita”. La cartina servirà poi al Tribunale Penale Internazionale (TPI), che attualmente tiene le proprie riunioni in Cambogia, per giudicare i responsabili khmer rossi del periodo che ho citato. Vedete i numerosi punti segnalati, rappresentano 189 carceri, 380 fosse ossario e 19.403 fosse comuni. Qui le Nazioni Unite hanno fatto una distinzione fra le 380 fosse ossario e le 19.403 fosse comuni: le fosse ossario sono i luoghi in cui i khmer rossi portano le persone e le uccidono in gruppo. Le fosse comuni sono per le persone decedute per altre cause e in altri luoghi, per malattia o mancanza di cibo, o uccise singolarmente: mancava il tempo per seppellirle e quindi le mettevano tutte in una stessa fossa. Mio marito, mio padre e i miei fratelli sono stati uccisi qui, dove vedete la freccetta rossa, con altre 300 persone della mia città natale. Per ripercorrere la storia di quello che è successo, possiamo dire che il costo di Pol Pot, capo dei khmer rossi, è stato di 2 milioni di morti su una popolazione di 7.9 milioni: un quarto della popolazione è stato eliminato, 2 milioni su 7,9. Ho avuto l’occasione di ritornare in Cambogia per parlare di questa tragedia ai giovani di oggi. La domanda è sempre: “Come è stato possibile tutto questo?”. Ma oggi vi parlerò dell’incontro con il Dio degli occidentali nel mio paese natale. Il 17 aprile 1975 è la data della fine della guerra del Vietnam, il giorno in cui gli Stati Uniti d’America hanno deciso di lasciare i tre Paesi del sud est asiatico: Vietnam, la Cambogia e il Laos. Questi tre Paesi finiranno poi nel quadro dell’autorità comunista. I comunisti khmer volevano creare una nuova società, una società puramente khmer, una società autarchica, senza influenze estere. Per costruire questa nuova società, hanno iniziato col sopprimere sistematicamente qualsiasi persona che avesse avuto in passato delle responsabilità o dei rapporti col precedente governo. Mio padre, un’industriale del settore del legno con un’attività forestale, primo esportatore di legno verso la Francia, è stato visto e considerato come un capitalista ed è stato fucilato. Mio marito era direttore di un istituto bancario, anche lui imperialista e quindi fucilato, mio fratello maggiore era deputato, politicamente dall’altra parte, ed è stato fucilato. Il mio fratello minore era commerciante ma sposato con una francese: avere una donna occidentale significava essere imperialisti e quindi sono stati fucilati. Così, nel giro di poche ore, l’intera popolazione è stata trasformata in un gruppo di lavoro non retribuito o in lavoratori agricoli. Io ero professoressa di filosofia, direttrice tecnica dell’Istituto di testi scolastici in Cambogia: il Paese è stato sotto il protettorato francese per un secolo. Sono stata vista come un’impura, una intellettuale da purificare, e sono stata mandata nei campi così detti di purificazione, non dei lavori forzati: avevo un figlioletto di tre anni e ne portavo un altro in grembo, ero in attesa già da due mesi. La Cambogia, il mio Paese natale, diventa così la terra di prova di una ideologia mortifera: la vita nei campi di rieducazione era molto difficile. Mi sono trovata davanti alla violenza assoluta, la violenza che viene istituita come Regime di Stato, mi sono trovata davanti al male. Ognuno di noi, quando è di fronte al male – sia italiano che francese che cambogiano – ha una sola domanda: perché tocca a me?, che cosa ho fatto? Nella tradizione buddista, si cerca di rispondere a questo quesito esistenziale dell’essere umano attraverso quella che i buddisti chiamano la legge del Karma. La legge del Karma è la legge della compensazione. Il buddista pensa che un’azione cattiva porterà risultati cattivi, negativi, che una buona azione porti ad un buon risultato. Questo significa che ognuno di noi è responsabile di tutto quello che ci succede. Se siamo oggi nella felicità, significa che stiamo raccogliendo gli effetti, i frutti positivi delle nostre buone azioni; se siamo nella sfortuna e nella disgrazia, significa che stiamo raccogliendo gli effetti negativi delle nostre cattive azioni. Da notare che in questa legge del Karma c’è una grande responsabilità dell’essere umano. 1975: nel male assoluto dell’epoca, sono stata di fronte alla mia debolezza di donna, semplicemente, e non potevo dire che gli esseri amati, mio marito, mio padre, i miei fratelli, che erano stati fucilati, avevano avuto quello che meritavano, secondo la legge del karma. Era al di sopra della mia forza di buddista. La buddista che ero, quindi, rifiuta la legge del karma e dice: no, non sono responsabile di tutte le cose che succedono. Quando si rigetta la legge del karma, la nostra sofferenza perde di significato, la buddista che ero cade nei tre sentimenti negativi descritti dalla tradizione: la collera, l’odio, la rivolta-ribellione. I buddisti chiamano questi sentimenti i veleni della vita. Come fare per uscire da questi cattivi sentimenti? La buddista che ero costruisce, secondo gli insegnamenti del Buddha, quello che si definisce un oggetto mentale. Nella tradizione del buddismo, quando si è deboli, si è incapaci di serenità davanti al male, bisogna costruire un oggetto mentale e gettargli addosso tutto quello che c’è di male in noi. Questo oggetto mentale non esiste, siamo noi che lo costruiamo, è quello che la psicologia moderna chiama capro espiatorio. Quando siete in collera, date un calcio alla porta: la porta non c’entra nulla, ma questo vi dà sollievo. Ecco, quindi, cosa fa la buddista che ero, crea questo oggetto mentale, questo capro espiatorio: io ho avuto l’idea geniale di attribuirgli un nome, l’ho chiamato il Dio degli occidentali. Perché il Dio degli occidentali? Perché nel 1975, anche a causa dell’ideologia comunista, pensavo che l’Occidente fosse colpevole, che tutte le guerre che affliggevano i Paesi poveri avessero dietro i Paesi ricchi. Professoressa di filosofia, io sapevo bene che il comunismo viene dal marxismo e che il marxismo non è nato in Asia ma nella cultura giudaico-cristiana: il Dio degli occidentali, quindi, era un colpevole perfetto, il responsabile delle mie sofferenze, che ho passato il mio tempo ad insultare per 24 ore al giorno, per due anni, dal 1975 al 1977. Nonostante le privazioni di ogni tipo e di ogni genere, nonostante un parto senza medico e senza ginecologa – ma il parto funziona in via naturale, se tutto va bene non c’è bisogno di nessuno e io non ho avuto nessun problema -, nonostante tutte queste privazioni, non mi sono mai ammalata e ho lavorato bene per i comunisti fino al 1977. I comunisti mi avevano nominato a forza prima della rivoluzione: uno status per cui si deve essere pronti a partire per ogni dove in qualsiasi momento. Ed è interessante, questa condizione della Rivoluzione, comporta avere razioni vere invece di un po’ di riso e mi ha consentito di far sopravvivere i miei figli. Un giorno del 1977, mi sentivo molto orgogliosa di essere riuscita a sopravvivere nelle risaie che vedete nell’immagine. Ho parlato al Dio degli occidentali e, per la prima volta, non l’ho insultato: “Sei lassù” gli ho detto, “vedrai pure che sono una donna forte, dovresti applaudirmi”. Ma non ci sono stati applausi, solo il silenzio. Il silenzio in questa risaia è strano: non ho sentito solo un’assenza di rumore ma un’assenza abitata, come se ci fosse qualcuno. La buddista direbbe: “E’ un’illusione”. Non avevo dormito a sufficienza, non avevo mangiato a sufficienza e quindi stavo fantasticando: ma non di meno, dopo questa esperienza, dopo questo silenzio, qualcosa in me sarebbe cambiato. Il mio inferno non è certo diventato un paradiso ma la mia vita sarebbe riiniziata in un altro modo, avrei preso consapevolezza che non ero io sola a subire questo inferno. Per due anni, dal 1975 al ’77, avevo pensato che solo la mia famiglia era stata uccisa, che solo io subivo questa violenza. Cari amici, quando si soffre si è chiusi in se stessi, non si vede la sofferenza degli altri, ma l’esperienza di quel pomeriggio, di quel silenzio, mi avrebbe reso capace di capire la sofferenza degli altri, di comprendere che non solo i miei cari erano stati fucilati ma che c’erano stati 2 milioni di morti nel mio Paese natale. E allora, i legami si ricreano, nella miseria e nella sofferenza, in questo incontro con il Dio degli occidentali. Potrei dire che, nel male, Dio si è fatto presenza. Ma è una presenza nel silenzio, un silenzio di tenerezza, un silenzio paragonabile al silenzio di una madre che veglia sul figlioletto infermo. La buddista non è diventata subito cristiana, bisogna aspettare il secondo incontro, quello con il Vangelo di Gesù Cristo. Questo incontro avviene in Francia, dove sono arrivata nel 1980 come rifugiata politica. Una rifugiata politica non ha lo stesso status delle altre persone, è sempre oggetto della carità altrui: mi vedevo come un essere inferiore rispetto agli altri e vivevo un complesso di inferiorità. Questo complesso di inferiorità faceva sì che io avessi paura di molte cose: avevo paura dei francesi perché avevo smarrito la fiducia in me stessa. Sono stata accolta nel sud della Francia da un comitato di protestanti e cattolici, e mi sono presentata al curato e al pastore come una buddista. Loro hanno rispettato le mie convinzioni, non hanno cercato di fare proselitismo, ma io non avevo risorse, non avevo denaro, non potevo comprare i giornali, le riviste. Quindi, il curato mi portava l’invenduto della sua chiesa, vale a dire i quotidiani o le riviste che non riusciva a vendere, ma aveva preso l’abitudine di togliere da questi giornali tutto quello che lui considerava troppo cattolico. Una sera, il curato aveva molta fretta, c’era un incontro a cui doveva partecipare. E’ arrivato nella mia cucina con una pila di giornali e mi ha detto: “Signora, non ho avuto il tempo di fare la selezione, la faccia lei, lasci da parte quello che non desidera vedere o leggere, domani passerò poi a riprendere il resto”. C’era l’enciclica di Giovanni Paolo II sulla misericordia. La buddista che ero in quel periodo leggerà Giovanni Paolo II, perché voleva conoscere la fede di coloro che mi avevano accolto. La lettura di questo testo desta in me grande curiosità intellettuale: volevo controllare e verificare l’argomentazione di Giovanni Paolo II, e per farlo dovevo fare riferimento a un libro, il Vangelo. Quindi ho chiesto il Vangelo al curato, a padre André. Si è molto stupito di una buddista che chiedeva il Vangelo e mi ha risposto che in Francia il Vangelo non si legge così, bisognava prepararsi alla lettura. Allora gli ho detto di darmi tutte le letture di preparazione ma di non dimenticarsi del Vangelo, di portarmi anche quello. Ciò che non ho mai detto al curato, è che io non ho mai letto tutte quelle letture di preparazione, ma direttamente il Vangelo. Allora, il Vangelo mi presenta Gesù di Nazareth e lui mi seduce con la sua umanità. Ho letto nel Vangelo che Gesù chiedeva asilo, come me. In Giovanni 1,11, “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. Ho letto che Gesù è nato durante un viaggio dei suoi genitori, ed è scritto che non c’era posto per loro all’albergo, Luca, 2,7. Ho visto che Gesù era praticamente vicino a me, io, l’emigrata, io, la rifugiata politica, con la presenza di Gesù vicino. E questa vicinanza di Gesù mi darà il coraggio, l’audacia di non avere più paura dei francesi: e mi affermerò davanti ai francesi così come sono, perché Gesù, questo richiedente asilo, era un uomo libero. E la libertà di Gesù di Nazareth era tale che né la sua famiglia né i politici né la sua religione potevano ovviamente affibbiargli nessuna etichetta. Questo mi ha dato il coraggio di essere me stessa davanti ai francesi. Nel 1980, divento colei che ascolta Gesù di Nazareth, il maestro. E qui, nella frattura dell’emigrazione, la presenza diventa parola. Il Vangelo mi darà un linguaggio per comunicare con i francesi. Adesso passiamo al terzo incontro, quello eucaristico. Durante un intero anno, il 1980, ero solo colei che ascoltava il maestro. Alla fine del 1980, accompagno un gruppo di giovani che vanno sulle Alpi a sciare, ero la cuoca del gruppo. Finisco il mio lavoro e chiedo il permesso di andare a messa. Ero curiosa, volevo sapere che cosa avveniva a messa, una curiosità intellettuale. Il curato ha detto che potevo andare, che non era certo proibito né vietato, così ho finito col fare come tutti. Ma al momento della comunione, non potevo condividere il corpo di Cristo perché non ero cristiana. Entravo per la prima volta in una chiesa e non ho capito molto della messa. La prima cosa che ho notato, è quello che i cristiani fanno a messa: in piedi, seduti, in piedi. Erano i piedi, poi si sedevano: ho seguito il movimento delle persone in chiesa, un po’ seduti, un po’ in piedi. Ma al momento della comunione, quando il sacerdote alza l’ostia, ho guardata i miei vicini e ho visto che guardavano verso l’ostia, quindi ho fatto anch’io la stessa cosa. Ho rivolto il mio sguardo verso l’ostia. In quel momento, ho sentito come una chiamata che mi dice: “Da molto tempo sto camminando insieme a te ma tu non hai voluto ancora riconoscermi”. E’ come una domanda, la domanda di riconoscere questo maestro che chiamo Gesù di Nazareth. Ho vissuto una liturgia bellissima, grazie al giusto atteggiamento dei celebranti, dei sacerdoti e dell’intera assemblea che mi ha portato a vivere una forte esperienza. Questa forte esperienza è che questo Dio che noi diciamo così grande, così potente era in ginocchio davanti alla mia debolezza di donna. Questo Dio chiedeva il mio consenso: potevo dire di sì, potevo dire di no. Se avessi detto no, non sarebbe più esistito per me. Ma io ho scelto di dire sì. Durante questa messa, ho preso consapevolezza che il luogo di Dio è il più umano. Se volete, ho vissuto l’esperienza di Dio, un’esperienza che viene da più lontano, da molto più in alto di noi. Non è certo la mia esperienza, non sono certo i miei meriti ma piuttosto è una partecipazione di me stessa a un’esperienza che viene da più in alto. E allora, qui giungiamo a quello che si dice nella tradizione asiatica, che “tutto deve essere rapportato e collegato con l’esperienza di Dio”. Da questa esperienza di Dio deriverà il mio desiderio di non essere solo ascoltatrice: non volevo essere solo colei che ascolta il maestro ma colei che lo segue. Da ascoltatrice a discepola, volevo essere discepola di Gesù Cristo. Ho fatto la richiesta del battesimo, dopo due anni di preparazione ho ricevuto il sacramento nella chiesa cattolica di Francia, nel 1983. Dopo il battesimo, sono diventata cristiana e cattolica, e da cristiana cattolica ho vissuto l’esperienza molto forte di essere mandata dallo spirito di Cristo a rileggere la mia tradizione di origine, cioè il buddismo. Non per diventare buddista, ma per cercare le tracce dei passi del mio Signore e maestro che già erano presenti nella tradizione buddista. Perché il risorto ci precede e ci aspetta sempre in Galilea. Penso che il Dio di Gesù Cristo non ci chiami ad ammirarlo ma che ci chiami sempre per mandarci. Siamo tutti convocati all’incontro del risorto in Galilea, l’incrocio, il bivio delle nazioni. In questo bivio, ho scritto la mia ultima opera, il mio ultimo libro dal titolo La mangrovia. Nell’immaginario degli asiatici, la mangrovia è una foresta che cresce fra il mare e la terra ferma. È un luogo mistico, un luogo di purificazione, un luogo di morte ma anche un luogo dove si rinasce. La mangrovia è una foresta litoranea che si trova proprio all’interfaccia fra il mare e la terra. Nasce dalla miscela delle acque, l’acqua salata e l’acqua dolce. Gli emigrati come me vivono alla frontiera fra due culture, e io sono una miscela della cultura francese e della cultura khmer. Vivere alla frontiera delle culture non è una questione semplice, anzi, è molto difficile: è un’esperienza spirituale ragguardevole. Penso che noi, gli emigrati, abbiamo inventato un nuovo modo di vivere insieme affinché gli incontri tra le diverse culture, tra le diverse religioni, non generino cacofonia né un solo rumore, ma una vera sinfonia. Forse è questa l’emergenza uomo, il tema del nostro incontro oggi al Meeting. E vorrei concludere con una immagine di speranza. Vedete proiettata l’immagine di un fiore, è il fiore di ninfa. E’ una fotografia fatta da mia figlia nel 2004, nel luogo esatto dove i miei fratelli, mio padre e mio marito sono stati fucilati dai khmer rossi, assieme ad altre 300 persone del mio Paese. Nella tradizione khmer, si pensa che questi fiori parlino di quello che buddisti chiamano trasmutazione, perché queste piante crescono in paludi nauseabonde ma quando esce il fiore, che bellezza straordinaria, che speranza straordinaria! È la trasmutazione delle contrazioni dolorose in impulsi di vita. E lo spirito di Cristo ha consentito che le nostre culture, le nostre tradizioni spirituali si incontrassero nella mia esperienza di donna, che si incontrassero nel quadro di una dialogo fondato sull’amicizia, sul rispetto vicendevole. Questo dialogo ci interpella profondamente per costruire insieme una umanità nuova. Mi permetto di presentarvi la croce della chiesa di Battambang, il mio paese natio. Vedete, è il risorto che ci fa dono del suo spirito, è il risorto che ci dice di non avere paura. E noi asiatici, che non amiamo gli uomini nudi, abbiamo messo i pantaloni a Cristo. E il risorto, vedete, presenta delle ferite come il popolo khmer, come il popolo cambogiano, segnato per sempre dalla ferita inferta dai khmer rossi. Oggi discepola di Gesù Cristo, io credo che ciò che ferisce l’uomo ferisce anche il Dio di Gesù Cristo. E per questo, cari amici, noi tendiamo verso questo risorto per esprimere la nostra speranza in una umanità riconciliata, in cui ognuno possa curarsi dell’altro. È un sogno, il sogno di una umanità riconciliata. Se si sogna da soli, rimane un sogno ma se sogniamo in più persone, se sogniamo numerosi, questo sogno, uno di questi giorni, si trasformerà in realtà. Quindi, vi invito a sognare insieme a me per questa umanità riconciliata in cui ognuno potrà prendersi cura dell’altro. Grazie della vostra attenzione, dedico questi applausi al Signore, a Dio, a Dio Gesù Cristo.
DAVIDE PERILLO:
Grazie alla professoressa Claire Ly perché è vero che, applaudendo questo percorso, questa storia, si applaude il mistero, si ringrazia Cristo. È impressionante sentire raccontare questa storia perché è veramente il segno che il nostro cuore è irriducibile. In campo di sterminio l’uomo grida e cerca Dio. E quando si accorge che questa assenza, questo deserto è abitato, comincia a rifiorire. E più scopre questo mistero, più ne scopre la fisionomia, i tratti, come ha raccontato Claire, più scopre questo Tu misterioso, che ha un inizio ostile poi comincia a diventare familiare, amico, più scopre se stesso e più fiorisce: conoscendo il mistero, l’Io rifiorisce. E la cosa impressionante è che fiorisce rimanendo se stesso, portando tutta la sua storia, la sua tradizione, la sua cultura. Fiorisce quello che c’è. E mentre fiorisce, costruisce. E la prima cosa che costruisce, una delle prime cose che costruisce, sono ponti, cioè il tentativo che fioritura si allarghi, diventi di tutti, sia possibile a tutti, come ci raccontava nell’ultima parte del suo intervento. Incontrando il mistero, l’io fiorisce, si ridesta e costruisce. E desidera che tutti lo possano incontrare. Un po’ come sta succedendo, anzi, come vediamo succedere continuamente, qui al Meeting, in questi giorni. Perché il Meeting non è altro che questa serie di incontri possibili perché ci sono degli Io che fioriscono, che rifioriscono. Allora, ringraziamo Claire Ly ancora una volta e godiamoci lo spettacolo di questi Io che vediamo fiorire in questi giorni. Godiamocelo fino in fondo, impegnandoci anche a difendere la possibilità che questo accada. Invito tutti, per esempio, a firmare l’appello per la difesa dei cristiani perseguitati che vedete nei padiglioni del Meeting in questi giorni. Perché è vero che difendendo l’Io si accoglie Dio e viceversa. Grazie.
Trascrizione non rivista dai relatori